Capitolo 39

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«Ipnotizzami, fai di me quel che vuoi e uccidimi. Togliti i vestiti, voglio vedere come ti tocchi.»






Pov Ryan




Quando avevo accettato di partire, non avevo idea di cosa mi aspettasse e a saperlo prima, avrei accettato senza pensarci.

Thailandia, un luogo così lontano, esotico, mistico e speciale per le innumerevoli bellezze naturali, per il paesaggio, per la cultura e i sorrisi contagiosi di una popolazione gentile.

Non potevo sapere che tutto ciò di cui avevo bisogno, era semplicemente lì, davanti al tramonto più bello che avessi mai visto e la mia fotocamera tra le dita.

I pensieri e i problemi, erano a  anni luce di distanza da me e finalmente, dopo tantissimo tempo, mi sentivo tranquillo.

Sarei tornato a casa con la carica giusta e con quel luogo impresso nella mente e nel cuore.

Vista l'ora e il brontolio allo stomaco, decisi di rientrare in hotel.

Ormai entravo solo per quello e per dormire, non ne avevo mai abbastanza di passeggiare tra i sentieri boscosi e spiagge candide.

Vedevo Robert davvero molto poco, aveva molto lavoro da fare e a me non dispiaceva quella solitudine, interrotta solo dalle obbligatorie chiamate che facevo a Christian, sotto sua minaccia.

Non appena raggiunsi l'entrata dell'hotel, tirai un sospiro di sollievo alla ventata di aria fresca proveniente dal condizionatore.

Passai una mano tra i ciuffi biondi caduti sulla fronte e feci per andare a ritanarmi in camera, quando mi bloccai al suono di una voce famigliare.

"Walker! Ti davo per sperduto" ridacchiò Robert, poggiando una mano sulla mia spalla che picchiettò un paio di volte.

"Sono stato un po' fuori ma anche tu sei sparito" risposi, seguendolo mentre mi accompagnava lungo il corridoio, fino alla mia camera.

"Cambiati e tra mezz'ora ti voglio davanti all'ingresso, una macchina verrà a prenderti. Mi servi" mi congedò così, senza nessun altro particolare e sparendo dalla mia visuale subito dopo.

Entrai dunque in camera, concedendomi una doccia veloce prima di fiondarmi davanti all'armadio, per scegliere cosa mettere.

Non avevo idea a cosa potessi servire e nel dubbio di dover incontrare delle persone importanti, optai per una camicia bianca e un paio di jeans neri.

Con il clima fuori, il mio abbigliamento era qualcosa di molto simile ad un suicidio ma comunque, non sarei potuto andare in mutande e ciabatte.

Mi sistemai il meglio che potei, ignaro di quale fosse il mio ruolo e precisamente mezz'ora dopo, raggiunsi l'atrio dove, come d'accordo, una lussuosa automobile dai vetri scuri, mi attendeva.

L'autista mi invitò ad entrare e una volta accomodato nei confortevoli sedili posteriori, partimmo per una meta a me sconosciuta.

Neanche il tempo di un quarto d'ora, che la macchina si fermò, davanti ad un edificio, nel centro di Bangkok.

Scesi, lasciandomi accompagnare dall'autista all'interno di quel palazzo ben strutturato.

"Segua il corridoio, alla fine si trova lo studio del signor Jeffrey" mi indicò l'omone, prima di lasciarmi da solo tra quelle mura di un bianco candito, spezzato solo dalla presenza di qualche quadro.

Seguii la strada indicata e come descritto trovai un'imponente porta, mi avvicinai ad essa e bussai un paio di volte, attendendo una qualche risposta.

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