Capitolo 2

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Catherine

Sono ancora scioccata per la mia nuova assunzione in fondo inaspettata. Era da giorni che aspettavo quella chiamata e per un attimo pensavo di aver mandato all'aria tutto.

«Quindi non è stato lei a chiamarmi?» domando sconvolta dal fatto che avessi scambiato le due voci.

«Sa Catherine, molti dipendenti sostengono che io e il grande capo abbiamo la stessa tonalità di voce. Poche persone, quelle più importanti per noi, riescono a distinguerci.» mi informa il gestore delle risorse umane sorridendo per la mia ingenuità. Cavolo, quindi io avrei parlato con il mio vero superiore? Improvvisamente mi sento agitata senza capirne il motivo. È un semplice datore di lavoro che mi ha appena assunta e che mi permetterà di guadagnare un bell'onorario. Dovrei essergli grata solo per questo. Annuisco leggermente abbassando il capo. Adam, se solo fosse qui con me, mi ucciderebbe senza neanche pensarci. Voglio dire, chi si farebbe tutte queste fisime per uno "stupidissimo" posto di lavoro?

«Quando vorrebbe cominciare?» mi domanda porgendomi un contratto, ovviamente, di lavoro. «In questo contratto troverà tutte le informazioni relative alla sua assunzione. I termini sono ovviamente contrattabili e...» non lo lascio di finire da parlare che immediatamente gli porgo la mano stringendola così forte da farmi male quasi io stessa.

«Vorrei iniziare subito!» esclamo convinta della mia decisione. Un sorriso seducente e soddisfatto si fa spazio tra le labbra di quello credevo essere il mio capo.

«Sono contento di aver trovato un legale così dedito al suo lavoro. Non aspettavamo altro signorina.»

«Non aspettavo altro che realizzare il mio sogno di esercitare. Penso che questa mia fretta nell'iniziare questa nuova carriera sia più che giustificata!» esclamo felice per l'elogio appena udito dall'uomo in giacca e cravatta, apparentemente costosissimi.

«La prego di seguirmi. Le farò vedere l'edificio e il suo nuovo ufficio. Non le chiediamo di essere presente ventiquattro ore su ventiquattro, ma almeno le dovute ore per lavorare e rappresentarci nelle eventuali sede processuali e non.» Dio, questo uomo è proprio comprensibile, ma forse non conosce ancora la sottoscritta. Ho lavorato nei negozi più improbabili ed umilianti e secondo lui mi metto a scherzare con un lavoro simile? Sarebbe da matti abbandonare il proprio lavoro, al quale sei particolarmente dedita, per lasciare spazio al divertimento. Forse loro sono abituati così.

Da fuori, pensavo che in questo edificio trasparissero lusso e ricchezza da tutte le parti, ma adesso ne sono più che sicura. Il pavimento che sto calpestando con le mie "sudice" scarpe, probabilmente è fatto in oro massiccio o non ci potrebbe essere nessun'altra spiegazione. Scherzi a parte, al di là dell'oro, cosa che penso sia alquanto improbabile, penso che sia praticamente umanamente impossibile non notare il costosissimo pavimento tirato a lucido ogni giorno per fornire importanza alla struttura. Quasi quasi ti ci puoi specchiare ancora meglio dello specchio di casa mia. Nell'immobile risuonano i fastidiosissimi ticchettii dei tacchi delle segretarie, suono al quale penso dovrò fare l'abitudine se voglio vivere pacificamente senza contrasti in questo lusso così sfarzoso.

«Questo è il suo nuovo ufficio, signorina Cath...»

«Mi chiami Cat. Gli amici mi chiamano così. Preferisco il diminutivo.» gli confesso con faccia affranta e dispiaciuta dalla mia totale e inaspettata confidenza. La verità è che a volte parlo senza neanche rendermene conto. L'uomo davanti a me mi sorride riuscendo a nascondere parte della mia inefficienza. Sembra quasi che questo uomo mi conosca. Certo, ci siamo conosciuti solo da qualche minuto, ma questi minuti sembrano, a parer mio, anni.

Non lo so per quale strano e perverso motivo, ma in quest'uomo vedo la figura di un padre, un uomo grande e forte non solo fisicamente, ma anche moralmente, pronto a proteggere l'amore della sua vita, sua figlia o chiunque abbia il merito di essere amato da un uomo del genere. Un uomo che con le sue braccia potrebbe proteggere l'intero stabile.

Il signor Smith chiude la porta alle sue spalle lasciandomi sola nel mio nuovo ufficio. Non capisco cosa ci possa trovare di bello in un ambiente del genere, ma so per certo che questa stanza potrebbe diventare la mia seconda casa, non solo se parliamo del periodo di tempo che trascorrerò tra queste pareti, ma anche per il loro modo accogliente di proteggere e tenere al sicuro una persona.

Le pareti, ricoperte da una serie di quadri che raffigurano la natura, sono di un colore chiaro, tendente al bianco. Solo il colore riesce a trasmettermi un po' di pace dopo tutto il nervosismo che sono riuscita ad accumulare in questi ultimi giorni a causa di questo nuovo lavoro e di tutti gli altri che fino a questo momento non hanno cercato di rintracciarmi, forse a causa della mia inadeguatezza nei loro confronti.

Sorrido ormai stanca di fare tutti questi ragionamenti. In fondo ormai ho trovato il lavoro che stavo cercando e salvo imprevisti, fino a quando non combino qualche guaio, nessuno potrà mai licenziarmi. Mi accomodo sulla mia nuova poltrona girando come una bambina per poi soffermarmi sul meraviglioso panorama che mi mostra la posizione del mio nuovo lavoro. Le biciclette e i passanti continuano a camminare nonostante l'ingresso lavorativo sia già passato da un bel po'. Gli alberi scuotono le loro foglie a causa del vento, mentre i bambini giocano al parco qui di fronte socializzando tra di loro e godendosi l'età più bella che la vita ci abbia potuto regalare.

Mi alzo dalla comoda poltrona per ammirare il resto della sala e rimanendo affascinata da ogni singolo millimetro di questo nuovo spazio. Prendo il cellulare dalla borsa scrivendo un nuovo messaggio ad Adam. Ancora non ho avuto tempo di chiamarlo presa ed estasiata dal mio nuovo lavoro. Il mio coinquilino risponde immediatamente nel momento in cui decido di non inviargli più un messaggio ma di ascoltare la sua voce rasserenatrice.

«Così hai un ufficio enorme?»

«Si» inizio ad alzare leggermente la voce per l'euforia mentre apro leggermente la porta per dirigermi in bagno. Ho davvero urgenza. «E devi vedere i colo... Cazzo mi scusi!» il mio cellulare è caduto a terra aprendosi in mille pezzi e molto probabilmente la chiamata vocale con il mio amico si sarà interrotta a causa di questo inconveniente.

Un profumo di muschio si fa spazio tra le mie narici, buone intenditrici del dopobarba applicato sulla pelle di questo, presumo giovane, uomo. Quando alzo il volto la mia testa non ci capisce più niente. Forse in tutta la mia vita non ho mai trovato un inserviente così sexy e così affascinante, magnetico.

«Mi scusi io...» inizio a balbettare una serie di parole insignificanti che sicuramente mi metteranno in poca luce davanti agli occhi di questo uomo così affascinante. Sorrido imbarazzata non sapendo che altro fare per poi raccogliere le parti del mio cellulare ormai andate distrutte. «Mi dispiace veramente tanto non averla vista, ma ero così presa da questo mio nuovo lavoro che stavo raccontando dell'accoglienza di questa azienda al mio coinquilino. La prego non lo dica al nostro capo, le prometto che non ricapiterà più una situazione del genere. Glielo prometto.» inizio a dire una serie di parole che forse se le dovessi riascoltare non avrebbero né capo né coda, ma in questo momento l'unica cosa che cosa che conta è giustificarsi in nome del mio primo giorno di lavoro, affinché quest'ultimo proceda per il meglio... o almeno spero. Finito questo mio inutile discorso, l'uomo di fronte a me decide di voltarmi le spalle ed andarsene mostrando la sua mascolinità sotto quella maglietta blu, molto probabilmente utilizzata buona parte del tempo per fare jogging e una tuta consumata ormai da tempo. Certo che nonostante la sua mascolinità quell'uomo è un vero e proprio cafone. Poteva chiedere benissimo chi fossi o presentarsi e invece? Invece non ha fatto niente di tutto ciò rendendomi ancora più confusa dato che è entrato nel mio nuovo ufficio senza neanche illustrarmi ciò che gli servisse. 

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