Capitolo 14

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Catherine
<< Quindi ti ha baciata e tu non hai fatto niente? >> mi domanda per l’ennesima volta Adam scrutando attentamente ogni mia azione, manco se fossi un animale. La sua reazione mi da parecchio fastidio perché il mio coinquilino è il primo a concedersi al primo o alla prima che capita, quindi una ramanzina da lui non l’accetto proprio.
<< Senti chi parla! Colui che passa da un letto all’altro! >> lo provoco nella speranza che possa smettere di parlare, rimproverarmi o qualsiasi cosa stia facendo. << La dovresti smettere di darmi della poco di buono quando tu fai di peggio. >> a volte Adam è capace di strapparmi i migliori modi per pormi ad una persona. Devo ammettere che a volte è proprio un campione senza neanche impegnarsi.
<< Ma io di certo non vado a letto con il mio capo. >> mi ricorda ancora una volta. La conversazione sta diventando insostenibile, così decido di alzarmi dal mio comodo letto per dirigermi verso la cucina per preparare qualcosa per la cena. Non ho più intenzione di sentire tutte quelle corbellerie del mio amico, perché arrivato a un certo orario sa dire solo stronzate, anche se devo ammettere che questa volta ha pienamente ragione.
So di aver fatto una stronzata baciando il mio cliente, ma la verità è che quel bacio mi è piaciuto talmente tanto da pensare di voler riprovarlo. Le sue labbra erano così soffici e così deliziose che potrebbero rappresentare anche una droga per me.
Ripenso a quando ero tra le sue braccia. In quel momento mi sentivo al sicuro e niente e nessuno poteva sconfiggermi. Mi sentivo protetta come non lo ero da tanto tempo e per una volta è stata una sensazione fantastica. Da quando mi sono lasciata con Jeffry, più di un anno fa, non ho mai avuto la forza di andare avanti. Io avrei sposato quell’uomo, mi fidavo. A quei tempi ero sicura che lui avrebbe custodito per l’eternità il mio cuore, me lo aveva promesso. E allora perché fare delle promesse se già si sa che non si possono mantenere? Che ben presto si potranno infrangere? Io mi ero aggrappata a quelle promesse, proprio per questo motivo a distanza di un anno ancora non ci credo a ciò che il destino ha avuto in serbo per me.
Quando ti aggrappi a delle promesse è impossibile far ragionare il tuo cuore perché sarà stato il primo ad afferrare quelle semplici parole e farle sue per sempre. Quel muscolo involontario si stringerà sempre di più fino a quando non si romperà, smetterà di e per un attimo, in quel frangente, ti sentirai morire. Molte persone prima di Jeffry me lo dicevano: soffrire per amore è come morire. Il tuo  corpo diventa inerme mentre l’unica cosa che inizia a lavorare è il tuo cervello, quello che inizierà a difenderti per davvero da qualsiasi essere che potrebbe avvicinarsi a te. Non esiste il principe azzurro, dicevano, ma io ero convintissima di aver trovato il mio. Ero convintissima di aver trovato l’uomo delle fiabe, colui che non mi avrebbe mai tradita e che mi avrebbe protetta e portato il mio cuore con sé per l’eternità. Dio mio, che stupida che sono stata a pensare a tutte quelle storie per bambini! Dovevo capirlo prima: quando la prima notte che lui ha passato fuori casa io mi chiesi come mai fosse così allegro, sensazione che da un paio di mesi, ora che ci penso, mentre era con me non provava più.
Ritorno alla realtà quando il mio cellulare inizia a vibrare informandomi dell’arrivo di un messaggio: numero sconosciuto. Aggrotto le sopracciglia curiosa di sapere chi sia il mittente del testo, ma anche se visualizzo il numero non mi torna in mente nessuna persona il cui numero inizino con le stesse cifre. Per un momento ho pensato a Jeffry, ma il suo numero è ancora salvato sotto l’appellativo di “stronzo”, quindi non può essere.
“Ti prego, ho bisogno di te. MP”
Smetto ancora una volta di respirare riconoscendo le iniziali del suo nome. Le sue parole mi riempiono di gioia, ma allo stesso tempo un velo di paura riscuote il mio corpo. Cosa vorrà mai alle dieci e mezza di sera un uomo che io dovrei frequentare solo ed esclusivamente la mattina in ufficio?
“Come hai il mio numero?” digito velocemente quelle brevi parole cercando di capire la situazione in cui mi sono cacciata. Non vorrei mai che richiedere il colloquio in questa società sia stato un errore.
“Ho letto il tuo curriculum. Raggiungimi, ti prego. MP” questo uomo mi farà diventare sicuramente pazza e lo dovevo capire già dal nostro primo e turbolento incontro. Registro immediatamente il suo numero sentendomi in colpa per tutto ciò che sta succedendo, anche se non dovrei. 
“Smettila di firmarti. Ho registrato il tuo numero! Dove sei?”
“Laddove si spinge il tuo cuore. MP” alzo gli occhi al cielo notando ancora una volta le iniziali del suo nome. Questo è un vizio che penso non si toglierà mai. E poi che cosa significa “Laddove si spinge il tuo cuore”? È per caso impazzito? Gli ho chiesto delle semplici coordinate per raggiungerlo. Come può pensare che possa farlo seguendo il mio cuore? Neanche ci conosciamo: non so quale sia il suo film preferito o il suo luogo preferito qui in questa immensa città. Di lui so solo che ama infinitamente il suo lavoro, che per questo darebbe anima e corpo e che tratta la sua società come se fosse una seconda casa. In definitiva non conosco niente di lui e… aspetta! Spengo immediatamente i fornelli correndo verso la porta d’ingresso. Non mi preoccupo neanche di avvertire Adam, tanto so che alla fine dei giochi capirà la situazione. Di certo non è stupido.
L’ascensore sembra questa volta infinitamente lento mentre percorre la sua corsa verso l’alto. L’ansia percorre per intero il mio corpo facendomi saltellare sul mio stesso posto. L’unica cosa che voglio in questo momento è quella di vedere con i miei stessi occhi che cosa sta succedendo. Perché mandarmi quel messaggio pieno di disperazione?
Percorro i bui corridoi ritrovandomi poi finalmente di fronte alla porta del suo ufficio. Abbasso lentamente la maniglia sbirciando al suo interno per verificare se effettivamente ho avuto ragione. Quando mi ha suggerito di seguire il mio cuore per trovarlo dopo un po’ ho capito: l’unica cosa in comune tra me e quell’uomo, per quello che ho potuto constatare fino ad ora, è il nostro lavoro. Una passione che ci porterà sempre in posto comuni dettati dal nostro cuore.
La stanza è immersa nel buio e proprio per questo motivo penso che al suo interno non sia presente nessuno. Magari hai sbagliato, pensa la mia coscienza, ma quella vocina viene immediatamente soffocata nel momento in cui i miei occhi scorgono un uomo buttato a terra e con in mano una bottiglia di Jack Daniels in mano.
<< Che cavolo stai facendo? >> urlo andando verso la sua direzione per strappargli di mano la bottiglia. La sua testa viene tenuta dalla mano come se in quel gesto potesse ritrovare un minimo di sollievo, ma io so perfettamente che non è così. Così come so che non potrà trovare ne ora e ne mai sollievo in una bottiglia di alcool. << Mi vuoi spiegare che cosa è successo? >> domando ancora una volta cercando di catturare la sua attenzione. Quando sembrava che non volesse parlare, assumendo un atteggiamento da lunatico, finalmente parla lasciandomi per di più senza parole.
<< Ho perso. Ho perso tutto ciò che reputavo mio. Ho perso definitivamente tutta la mia vita. >> e nell’istante in cui pronuncia quella parole strazianti, una lacrima solca il suo viso.

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