Capitolo 30

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Rose si rigirava la palla rossa tra le mani. Era stato un regalo di zio George, anche se lei ora non rammentava più  in quali circostanze lui Ielo avesse dato.
Appoggiata al tronco di una quarcia, sul bordo del Lago Nero, si riparava sotto l'ombra dell'albero, accucciata vicino alle radici e quasi invisibile per il buio che, lentamente, avanzava lungo il giardino di Hogwarts, mangiando i fili d'erba e inghiottendolo nell'oscurità.
Ovviamente, non c'è ne era bisogno. Erano ai primi di settembre, e quindi il sole era raro quanto trovare un buon Legilimets fra gli studenti. Si nascondeva dietro delle nubi che sembravano gonfie di pioggia, nonostante non fosse caduta una sola goccia d'acqua durante i giorni trascorsi al castello. Si stava bene: un leggero venticello le scompigliava i capelli, smuovendo le fronde degli alberi e increspava la liscia superficie del lago facendolo somigliare a un foglio accartocciato; il suo maglione la copriva abbastanza quanto bastava non subire troppo freddo, anche se una certa stanchezza stava iniziando a pervaderla.
Ma a Rose però non importava.
Aveva finito le lezioni di quel giorno, e tra pochi minuti sarebbe iniziata la cena, o forse lo era già.
Dopo l'ultima ora (Antiche Rune) aveva salutato tutti e, con una scusa stupida - a giudicare dallo sguardo scettico e indagatore che le aveva rifilato Alice, Rose aveva capito che la sua migliore amica non le credeva - si era defilata e, presa la sua borsa di perline dal baule, era andata nel giardino.
E ora era la, la borsa mollemente abbandonata accanto a lei, che rifletteva gli ultimi, rossastri raggi solari, amplificandone la luminosità e spedendole in mille piccole direzioni diverse; e la palla in mano, ormai quasi ovale dopo tutti quegli anni passati a giocarci e a schiacciarla quando era nervosa. Aveva scoperto che la gomma piume era un ottimo anti-stress, da quelle esperienze.
Rose chiuse gli occhi, poggiando la testa contro il legno dietro di lei.
L'aveva presa in attacco di nostalgia.
Stare in mezzo a tutti quegli studenti, gli occhi che la fissavano con insistenza aspettando che compiesse un passo falso, pronti a giudicare prima di conoscerla, prima che lei avesse il tempo di dire ma...era diventato, a un tratto, insopportabile, e improponibile. E impossibile.
Chiusa in quelle paure, sempre a misurarsi, dosare i suoi comportamenti, sorrisi, assicurarsi che nessuno si sentisse offeso da qualche suo atteggiamento, le aveva dato la sensazione di soffocare. Come se tutto il suo autocontrollo, i suoi timori e le sue congetture si fossero radunate sopra di lei, amalgamate in un unica salsa di previsioni ipotetiche, schiacciandola sotto un mare di angoscia e libertà sigillata, e solo ora Rose sentiva che davvero, il suo fiato stava per finire.
Doveva riprendere aria.
Per questo, ora, si stava godendo il tramonto. I raggi del sole che venivano sempre meno, passavano oltre l'orizzonte e scomparivano per qualche ora. La palla luminosa del sole stava vedendo inghiottita dal grande lago, dove si specchiava in una pallida ombra gialla dai contorni sfumati di ciò che era in realtà.
Sembrava un grande occhio che, dopo aver brillato e illuminato le meraviglie di Hogwarts e dato luce alle vite più segrete di ogni studente che abitava in quel castello, si stesse, finalmente, chiudendo.
Concluso il suo lavoro, la stella più luminosa si andava a riposare.
Un po' come Rose.
Una volta aveva visto lo stesso tramonto, a tredici anni, da una finestra della Biblioteca, poco dopo essersi svegliata di sopprassalto.
Lo aveva beccato quasi alla fine, quando ormai anche i più alti raggi scomparivano oltre la corte di nuvole e colline che si stagliava scura e minacciosa contro lo sfondo nero, ma lo aveva trovato ugualmente bellissimo. Ne aveva visto la bellezza anche nel suo momenti più buio, più morente.
Rose sospirò, voltandosi verso la borsa. Era aperta, e sembrava invitarla come una bocca.
Rose infilò una mano fra le pieghe del tessuto e, ormai allenata, andò a cercare la tasca nascosta, della quale nessuno conosceva l'esistenza tranne che lei. Non ci guardò nemmeno: la conosceva troppo bene.
Difatti, un attimo dopo, ne estrasse il piccolo foglio di carta, ripiegato su se stesso in modo abbastanza logoro e squallido. Poggiò la palla sull'erba, e lo prese con delicatezza. Lo spiegò, aprendolo sulle sue gambe fasciate dalla gonna scolastica.
La foto spiccava sul tessuto grigio come un punto nero in uno sfondo bianco. I colori erano talmente contrastanti che sembrava di entrare in una fornace.
Eppure...Rose percepiva che non erano così diversi. C'era un qualcosa che li univa...una nota comune che le permetteva di mettere le due cose accostate e farne un paragone come se fossero state la stessa cosa. Come una sorta di piccolo, minuscolo filo che lo legava insieme, seguendo una logica ancora sconosciuta, e un istinto quasi primordiale.
Rose socchiuse gli occhi, girando la fotografia di tre quarti. C'era qualcosa che le sfuggiva. Si sentiva come quando stava cercando delle differenze in due gemelli: sapeva per logica che non erano uguali, ma al tempo stesso non riusciva a trovare un elemento discordante.
Era spaccata in due.
Rose rimise la foto dritta, avvicinando le soppracciglia. Voleva rinunciare, eppure sapeva di esserne vicina.
E poi, mentre il vento soffiava più forte creando delle onde quasi alte nel lago, che si ergevano sulla superficie liscia come uno scoglio sul marmo dritto e candido; e l'ultimo raggio di sole scompariva oltre la distesa immensa d'acqua lasciando che le tenebre si chiudessero come un sipario nero a tutti tondo sul castello, prendessero il suo posto e il sopravvento fra il verde ormai indistinguibile che la circondava, Rose capii. Capii perché le sembravano uguali.
Erano un qualcosa che c'era stato, e ora non poteva più essere.
Emanavano entrambi una nostalgia immutabile e permanente ormai conosciuta alla ragazza.
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Rose entrò nella Sala Grande quando ormai tutti stavano mangiando. Normalmente si sarebbe imbarazzata, ma erano tutti così immersi a mangiare che quasi nessuno la notò mentre attraversava un po' ansiosa eppure apparendo tranquilla la Sala, sorpassando il Tavolo di Serpeverde e dirigendosi a quello di Grifondoro, appena dopo.
Alice si accorse subito di lei.
"Ehy! Rose!" La chiamò, agitando una mano in aria per catturare la sua attenzione - anche se diversi altri studenti si erano voltati sospetti verso di lei a sentire quelle parole, e Rose non voleva - "vieni, siamo qui"
Lo vedo avrebbe voluto dire lei, ma si astenne dal parlare. Invece sorrise.
"Ehy, cia-"
"Dove eri finita? Perché non eri in Biblioteca come avevi detto? Stai tramando qualcosa? Per caso-" Alice le vomitò addosso così tante parole che Rose temette di cadere. Si appoggiò alla spalla di Roxanne che, immersa come era a spazzolare tutto ciò che c'era nel suo piatto, non si era nemmeno accorta della presenza della cugina. Dato che non la scacciò, probabilmente non sentii nemmeno la leggera pressione data dalla mano di Rose. Rose dubitava che fosse un atto di estrema gentilezza, perfino con il cibo davanti.
Guardò Alice sbattendo le palpebre, che replicava il suo sguardo con una serietà quasi sconosciuta. Dopo un paio di minuti riuscii a riscoutersi.
"Ero nel giardino, vicino al Lago Nero" disse sotto voce, mentre si sedeva fra le due amiche.
Alice inarcò un soppracciglio, lasciando perdere la coscia di pollo che aveva in mano. La fece cadere nel piatto, e Rose agognò di assaggiarla.
"Ho guardato fuori dalla finestra e non c'eri"
Rose rimase un attimo spiazzata.
Alice l'aveva spiata?
Stiracchiò un sorriso "bhe, io ero accanto alla quercia, buchino al Lago Nero, non mi avrai visto"
Alice mise su un espressione scettica, e Rose si pentii delle sue stesse parole: Alice era una Cercatrice, abituata a vedere una minuscola scheggia d'oro anche con il tempo più sfavorevole, dirle di non aver visto una ragazza dai capelli rossi nel deserto del giardino era praticamente un insulto.
"Ah sì?"
La sua voce tirata tradiva chiaramente un offesa.
Rose cercò di rimediare. "Bhe, é possibile, sono stata dal lato opposto a quello che si vede dalle finestre, proprio davanti al Lago Nero, dalla Biblioteca é davvero impossibile-"
"Non ero nella Biblioteca" la interruppe calma Alice, anche se dai suoi occhi azzurri sembravano partire lampi.
"Ah" Rose si mise un attimo a riprendersi; non le venne a mente quale altra finestra desse sul giardino in una posizione della quale era impossibile vederla "e allora dove eri?"
Alice fece scoccare la lingua al palato.
"In Sala Comune"
"In Sala Comune?"
Rose per poco non urlò, e Alice le diede un calcio allo stinco per intimarle di abbassare la voce; Rose arrossì.
"Si, in Sala Comune. Si può sapere perché sei così sorpresa? Sai" aggiunse Alice, mollandole un altro calcio - Rose represse un gemito - "é la che la maggior parte dei Grifondoro sani di mente va quando finisce le lezioni.
Tu dove eri?"
Rose, cercando di non fare smorfie con il viso per il dolore che le si stava spargendo per tutta la gamba, disse:"te lo ho detto: al Lago Nero"
Alice sbuffò, risentita.
"Ho guardato per tutto il tempo fuori dalla finestra, e non ti ho visto: se ci fossi davvero stata mi sarei accorta di te"
"Ero sotto un albero. Le sue foglie mi davano ombra! Se mi hai guardato  dall'alto é logico che non mi hai notata: le foglie erano tanto fitte da non fare vedere la mia figura"
"Ah" Alice parve un attimo delusa; si mise a giocare un po' con la sua coscia di pollo prima di tornare all'attacco e fare svanire il momento di imbarazzo che l'aveva colta. Si infiammò, voltandosi verso Rose tanto velocemente da farle perdere l'equilibrio sulla panca: si appoggiò di nuovo a Roxanne.
"Si può sapere perché voi andate sempre nei posti più strani?" Chiese offesa, guardandola accigliata "no, davvero, non potete seguire la massa per una volta? Si può sapere cosa ti schifa tanto della Sala Comune?"
Rose fece un mezzo sorriso, rimettendosi seduta composta. Poggiò una mano sulla spalla di Alice, che la guardò come se fosse un insetto.
Rose aveva capito perché l'amica aveva usato il plurale, e ciò la divertiva non poco.
"Conosci noi Weasley-Potter da tanto tempo, Alice" disse sorridendo; Alice la guardò preoccupata "credevo che ormai avessi capito che stare con noi equivale a stare con persone mentalmente instabili e che non seguiranno mai e poi mai le regole  facili, semplici e standard per vivere.
Questo é un insulto per noi"
"Ben detto" Roxanne riemerse dal suo cibo solo per annuire con enfasi e sottolineare la sincerità delle parole di Rose.
Rose alzò una mano e la cugina le batté il cinque, prima di tornare al suo cibo.
Alice aveva un espressione quasi scandalizzata, e ciò era strano visto che era sempre lei quella più assidua a comportarsi in modo così...fuori dagli schemi. più ribelle e sconcio di tutte le altre ragazze che zrise conosceva. Fuori da ciò che il nome che portavano imponeva.
Alice era diventata un ottima giocatrice di Quiddich, cosa che la separava tanto dal padre, al suo tempo a Hogwarts un ragazzo abbastanza impacciato e incapace sulla scopa. Però ciò aveva reso sempre Neville fiero.
Quando Alice era stata presa in squadra, il suo terzo anno, Neville era così contento che aveva dato una sua festa di Natale per congratularsi con la figlia. Aveva invitato tutti: i Weasley, Potter, Malfoy e Scamander.
Era stata una festa grandiosa, e Scorpius, allora gentile, aveva anche comprato una scopa di lusso alla ragazzina, prestandosi poi con lei per un canto di coppia.
Rose non ricordava di aver visto la sua migliore amica più rossa di quell'evento. Era stata una vera sorpresa per lei.
Quando anche Frank era diventato Cercatore dei Tassofrasso, Rose era stata felice perché si aspettava di nuovo quella stessa festa. Evidentemente però era l'unica a pensarla così: Neville si congratulò con il figlio, ma in modo meno plateale di quando fosse stato con la figlia. Probabilmente avrebbe fatto la festa anche per Neville, ma Rose ricordava bene che, l'anno prima, si era ammalata una delle piante delle Serre, e Neville era rimasto sveglio giorno e notte per riuscire a curata: si era ridotto talmente male che spesso dimenticava anche di dover insegnare.
Non c'era da sorprendersi se non aveva avuto la testa per festeggiare anche il figlio. E poi aveva già avuto la gioia con Alice: rifare la festa sarebbe stata una triste ripetizione.
"Ragazzi, silenzio, devi fare un annuncio"
La MecGrannit, inaspettatamente si alzò, e nella Sala piombò il silenzio, più per sorpresa che per reale rispetto verso la sua autorità.
Perfino la preside sembrava sorpresa dal risultato che aveva ottenuto.
"Niente di grave o fuori dal comune, né, tanto meno, pericoloso" si premurò di assicurare gli studenti; Laila Finnigan non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo "volevo soltanto avvertici che, a breve, arriverà un nuovo studente trasferito qui da un altra scuola di Magia. Avrebbe dovuto essere qui con noi già dal primo settembre, ma a causa di alcuni imprevisti il suo arrivo é stato rtardato. Niente di che, é solo che per il trasferimento ci é voluto più tempo del dovuto" la MecGrannit rimase in silenzio; poi cambio espressione: fissò tutti gli studenti, una nota seria che le aveva incupito il volto. Il suo sorriso era svanito e Rose collegò la sua espressione alla data del giorno troppo tardi "come sapete tutti" riprese la preside, una tristezza impregnava le sue parole, e per Rose fu come ricevere del limone su una ferita aperta "tra poco sarà il 19 settembre, giorno in cui, quarantuno anni fa, nasceva Hermione Grenger, una delle Salvatrici del Mondo Magico" la preside scoccò agli studenti, per questa volta davvero in rispettoso silenzio, un occhiata severa "noi le dobbiamo tutto: e anche merito suo se adesso non siamo sotto il dominio di Voldemort.
Purtroppo, ci ha lasciato troppo presto, come la maggior parte dei morti che vedete qua.
Come ogni anno, onoreremo i suoi sacrifici il giorno della sua nascita con lo 'sciopero' delle leziono, e confido che tutti gli studenti prendano questo esonero come un occasione di riflessione sulla velocità e imprevedibilità della vita.
Sono stata chiara?"
Ci fu un piccolo brusio di assenso, anche se distinguere chiaramente le parole era impossibile.
Rose stette zitta, iniziando a giocare con il suo cucchiaino. Sentiva lo sguardo di Alice e Roxanne sulle sue spalle, preoccupato, insieme a quello curioso di chissà quanti studenti.
Per gli altri era solo in giorno di vacanza, ma per Rose era uno dei giorni peggiori dell'anno, forse persino peggio dell'anniversario della sua morte.
La sí, che si rendeva conto di cosa aveva perso. Di quanto tempo era passato. Dell'ingiustizia della vita.
Di cosa avrebbe potuto avere.
Ecco perché le era venuta la nostalgia: il compleanno di sua madre si avvicinava, e lei non poteva fare niente per fermare il tempo.
Strinse il metallo fra le dita. Non é giusto.
Il freddo le penetrò nella pelle.
Non é affatto giusto.
Le sue nocche divennero bianche.
Perché?
La sua mano ebbe un piccolo spasmo.
Non-
"Rose?"
Con un sospiro, Rose bloccò il pensiero. Lasciò andare il cucchiaino, voltandosi con un sorriso verso Alice, che la guardava apprensiva.
Evidentemente credeva potesse fare qualche cavolata.
Evidentemente ha ragione.
Rose le sorrise, dolcemente.
"Sto bene"
"Sicura?"
"Certo Rox" Rose sorrise anche alla cugina. Si alzò. "Scusate, non ho fame.
Vado nel Dormitorio"
"Ma non hai mangiato niente!" Si oppose Roxanne, un po' debolmente.
"Non ho fame"
"Rose..."
"Hermione..."
"Sto bene" Rose fece alle due il sorriso più convincente che riuscii a uscirle. "Sono solo stanca"
Roxanne aprii la bocca per dire altro, probabilmente per fermarla, ma Alice le mise una mano sulla spalla, facendole cenno di tacere. Si rivolse a Rose.
"Va bene. Ti raggiungiamo in Dormitorio, ok?"
"Certo!" Grazie.
Rose uscii dalla Sala con gli occhi puntati sulla schiene. Era quasi certa che anche la MecGrannit la stesse osservando, una nota dispiaciuta negli occhi severi.
Superò le imponenti porte di quercia e se le chiuse alla spalle, ritrovandosi improvvisamente sola. Nascosta.
Era riuscita a chiudere fuori tutti quegli sguardi indesiderati. Sorrise.
Nessuno più la guardava.
Si incamminò lungo il corridoio deserto, non pensando a niente.
La luce delle candele la illuminava malamente, cercando di lottare contro le tenebre che invadevano gli angoli del castello entrando dalle finestre, si riversavano sul pavimento in pozze buie di piccoli buchi neri.
Una piccola pioggierellina stava iniziando a cadere, si abbatteva sulle vetrate come piccolo aghi.
Quando un lampo scurciò il cielo, Rose si fermò.
Sulla sua pelle si riflettevano da un lato il rossore delle candele e dall'altro i riflessi della pioggia, che si confindega con le lentiggini, dove l'oscurità regnava sovrana.
Si voltò piano verso le inferriate, e il suo volto perse ogni illuminazione; divenne indistinguibile in quell'ammasso scarsamente illuminato di ombre.
Si fissò intensamente al vetro, osservando il suo riflesso.
Era sempre la stessa, eppure sperava che così non fosse. Che i suoi capelli diventassero marroni, la sua pelle più scura, senza lentiggini, gli occhi nocciola, che avrebbe preferito a quella distesa azzurra che ricordava troppo un mare. Troppo delle lacrime.
Rose mise una mano sul vetro, mentre la pioggia batteva con più insistenza.
Continuò ad osservarsi, nel frattempo che il temporale scatenava la sua furia con lampi e tuoni spaventosi, ma che la ragazza appena sentiva.
Si specchiò intensamente, aguzzando lo sguardo.
Non poteva fallire. Non ora. Ne aveva bisogno.
Forza.
Niente. Non c'era.
Non lo aveva ancora trovato.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora