Capitolo 105

47 2 0
                                    

Rose camminava in fretta per i corridoi. Le lacrime le bagnavano tanto le guance da sembrarle come una seconda pelle, e il fatto più irritante era che non sapeva nemmeno perché piangesse.
Aveva lasciato Scorpius due minuti prima e, appena gli aveva voltato le spalle, conscia che lui non potesse vederlo, era scoppiata in un pianto disperato. Aveva sperato che non le leggesse nel pensiero, perché non avrebbe retto se lui avesse saputo delle sue lacrime, dei pensieri confusi che le attraversavano la mente come spilli fulminei.
Non si era mai esposta tanto con qualcuno. Non aveva mai osato mettere al corrente una persona che non fosse lei stessa di tutte quelle paure, della responsabilità che aveva sviluppato nei confronti della sua famiglia dopo che aveva preso coscienza della sua posizione nel mondo magico; né aveva mai confessato la determinazione di tenere unita quel poco della famiglia sbrindellata dal dolore che le rimaneva.
Non ne aveva mai parlato con nessuno. Forse solo Alice era a conoscenza delle sue vere paure, ma non ne aveva mai fatto parola e Rose era più che contenta di evitare quel discorso.
Ed ecco il perché: perché quando ci pensava scoppiava a piangere in modo incontrollato, e non riusciva a controllarsi.
Cosa avrebbero pensato gli altri di lei? Cosa avrebbero detto se l'avessero vista piangere?
Avrebbero detto che era una fragile. Che esagerava nelle cose.
Oppure avrebbero accusato suo padre. Avrebbero detto che lui non era all'altezza di crescere due figli, che lui non faceva abbastanza per loro.
Era vero, ma Rose non voleva che suo padre fosse giudicato così freddamente da persone che nemmeno lo conoscevano. Da persone che non sapevano il suo dolore e i suoi sforzi, che non sapevano quanto soffrisse, quanto fosse difficile per lui.
No. Non potevano farlo.
Ma Rose già li sentiva nella sua testa. Le voci che attraversavano i corridoi, passavano da un lato all'altro dietro di lei, sottolineando il suo passaggio con una scia di malelingue dette solo per il gusto di non farsi i fatti propri.
Le sembrava proprio che fossero con lei.

Ecco, lo vedi? Io lo ho sempre detto.
Ron Weasley é troppo incapace per prendersi cura dei figli. Un conto era quando c'era anche la Grenger, ma ora...non da abbastanza.
Guarda come stanno! Si vede che non sono felici.

Che esagerata. Pensa di essere l'unica a soffrire? Si, ok, ha perso la madre, ma c'è anche gente che sta peggio. Che non ha un tetto sopra la testa, a differenza sua. Per non parlare del fatto che la Guerra ha lasciato molti orfani!
Sì, non può piangere così solo per qualche parola.
Lo fa solo per attirare l'attenzione.

Certo che é debole. Non finge e si vede, però che diamine, a solo parlato con una persona! Sembra il cristallo.
Un passo falso e lo mandi in frantumi.
Ma lei é una persona. Non può crollare come una campana di vetro che si é abbattuta contro un muro solo per poche parole.
Deve essere più forte.

Rose si stava pentendo. Pentendo di essersi lasciata andare, di aver messo Scorpius al corrente di quelle cose personali, di avergli dato l'arma da usare contro di lei, di sua spontanea volontà.
Nessuno l'aveva costretta, Rose ne era testimone. Perché, perché, miseriaccia, perché quando aveva visto Scorpius non lo aveva ignorato? Perché non si era girata ed era tornata in Sala Comune, da Alice e Roxanne? Perché era andata da lui?
Sarebbero bastate quattro pensieri differenti. Delle azioni che poteva prendere e che l'avrebbero salvata, che le avrebbero impedito di esporsi così tanto. Una semplice azione e avrebbe evitato tutte quelle lacrime.
Bastava voltarsi a tornare a ritroso.
Perché non lo ho fatto? Perché non mi faccio i fatti miei? Scorpius ha ragione, mi impiccio troppo nella vita altrui...no Rose scosse la testa. Non poteva permettersi che l'incontro con lui le scombulasse le idee, i principi sani che aveva maturato per tutto quel tempo. Non poteva permettergli di cambiarla.
Lei si impicciava nella vita altrui perché voleva aiutare, era solare perché non voleva fare pesare niente a nessuno, perché voleva che anche gli altri fossero felici. Il suo non era una ricerca di attenzione, era un vero interessamento a ciò che accedeva alle persone che le stavano a fianco. Voleva essere gentile, voleva rallegrare anche gli altri, pure se non erano suoi amici. Perché si prendeva a cuore anche le persone diverse da lei, perché era empatica.
Non era narcisista. Di questo ne era certa. E niente di quello che aveva detto Scorpius poteva scalfire questa convinzione.
Ma ciò non toglie a avesse fatto una grande cavolata. Per il desiderio di aiutarlo, si era svestita, spogliata del sorriso solare che sfoggiava per nascondere ciò che realmente sentiva e lo aveva messo al corrente del modo di distruggerla.
Lui aveva le armi. Spettava a Scorpius la decisione di approffitare, prendere la palla al balzo e cogliere l'occasione quando poteva.
Era una sua scelta. Scelta nella quale Rose non aveva alcuna voce in capitolo per indurlo a non fare niente di sbagliato.
Ed era stata colpa sua. Se solo avesse ignorato la presenza di Scorpius nel corridoio del settimo piano...
Adesso non avrebbe combinato quel casino spaziale. Adesso, Scorpius non avrebbe tutto l'occorrente per gettarla nello sconforto. Aveva il mezzo, la voglia e anche i motivi, Rose sapeva di non essere stata la migliore delle persone con lui. Adesso lei sarebbe tranquilla nella sua Sala Comune, ancora a parlare con le sue amiche, non a gelare nei corridoi che nemmeno conosceva.
Forse era così che si era sentita Alice. Con Smith. Lei si era fidata di lui, si era messa in mostra e aveva deciso di aprirsi anche più di quanto Rose poteva solo immaginare.
E lui l'aveva tradita. Aveva detto a tutti ciò che avevano fatto, quando Alice fosse...divertente. Tutta la scuola,nel giro davvero di una notte, sapeva cosa fosse successo fra Smith e Longbottom.
Aveva sputato sulla fiducia che Alice aveva riposto in lui. E le aveva anche causato diversi danni, in quanto a fidarsi delle relazioni - Rose non ne avevano mai parlato, per rispetto verso la sua migliore amica, e perché capiva quanto potesse risultare difficile riuscire a dialogare su una ferita ancora fresca, ma lei sapeva che Alice non fosse uscita completamente indenne dalla cosa, come invece voleva dare a vedere. Nessuno avrebbe avuto la forza di uscire da quella ferita senza che ciò si ripercuitesse anche nel futuro. Chissà, forse il fatto di aver affrontato Smith l'aveva aiutata.
Alice doveva aver sentito tutta la fiducia verso il genere umano - sopprattutto verso quello maschile - cedere, cadere come pezzettini di un puzzle dopo che una mano ci é passata sopra; sparire come un disegno sulla sabbia quando arriva l'alta marea; crollare, mattone dopo mattone, e sfracellarsi al suolo come una torre; toccare il terreno senza che potesse rendersene conto.
Ma la differenza fra Rose e Alice era sostanziale.
Alice lo aveva fatto di sua spontanea volontà. Volutamente. Coscienzemente, conoscendo i rischi e quindi accettandoli. Certo, questo non scusava Smith per come si era comportato, ma Alice sapeva ci fosse una piccola probabilità andasse in questo modo: e aveva deciso che correre quel rischio ne valeva la pena.
Doveva accettare le conseguenze. Era stata una sua scelta, quella di fidarsi del Tassofrasso, e si era rivelata sbagliata. E Alice lo sapeva.
Per questo si era sempre data la colpa, non  aveva mai cercato scusanti, aveva accettato il fatto che fosse colpa sua, si era presa le sue responsabilità. Rose poteva benissimo immaginarselo.
Rose, no. Non lo aveva fatto volutamente. Quando si era sfogata con Malfoy non aveva avuto il tempo di rendersene conto, di valutare le conseguenze, decidere se fosse la cosa più giusta da fare o meno.
Semplicemente, lei non si era controllata. Era sbottata, Pum, come se un tappo che aveva soppresso e controllato i suoi movimenti e le sue parole fosse saltato, andato, e lei avesse riversato fuori tutto ciò che sentiva.
Senza filtri. E aveva dato in mano al ragazzo che la odiava una arma potentissima per farla fuori.
Ecco perché piangeva. 
Rose non ci aveva pensato due volte, aveva subito scartato l'idea di andare nella Sala Comune. Non voleva che gli altri la vedessero a quel modo, così debole e, anche se Alice le aveva sempre di dimostrato un appoggio costante e zero critiche, Rose non si fidava a mostrarsi tanto debole. E poi, anche se avesse voluto, avrebbe dovuto comunque attraversare l'intera Sala Comune, sotto gli occhi curiosi e per niente benevoli dei suoi compagni di Casa.
Pronti a criticarla. Pronti a giudicarla.
Un brivido le corse su per la schiena. Rose rabbrividì, stringendosi le braccia al petto. Indossava solo una tenue vestaglia bianca - fortunatamente, per niente trasparente - e in quel momento si maledí per non essersi portata niente di più pesante.
Ma come poteva saperlo, lei, che quel deficente di Malfoy era fuori e l'avrebbe...l'avrebbe fatta infuriare.
Rose non ricordava di essersi mai arrabbiata tanto. Non ricordava nemmeno in singolo episodio nel qualche aveva alzato la voce come aveva fatto poco prima con Scorpius.
Quel Serpeverde aveva l'enorme potete di farle perdere le staffe, e nel controllarle, invece, lei era una maestra.
Rose sbuffò. Ecco. Un altro punto a mister platinato. Grazie tante.
Per un attimo le venne il dubbio che, forse, non fosse così brava a controllarsi. Scuotendo la testa, allontanò quella congetture, e accelerò il passo.
Sapeva non avrebbe dovuto trovarsi lí, e sapeva che, se qualcuno l'avesse vista, l'avrebbe rimproverata e mandata a letto, con un aggiunta di rimozione di cinque punti da Grifondoro.
Rose non poteva ricavare una scusa che l'avrebbe protetta, in questo senso. Certo, era un Prefetto, ma non era di ronda, e niente avrebbe potuto giustificate la sua presenza là, a girovagare senza sosta fra o corridoi.
Però non le importava. Confidava nel fatto che nessuno l'avrebbe vista. Beh, si sentiva più sicura di quanto avrebbe voluto, sicura come se indossasse un mantello dell'invisibilità, e di certo un eccesso di fiducia in sé l'avrebbe portata a farsi scoprire, a capitolare, e a beccarsi qualche punizione, ma Rose era troppo offuscata dalla lite appena avuta con Scorpius Malfoy, per rendersene conto. Per accorgersi che, se avesse peccato di ego, il piano già fragile che aveva creato un fretta e furia si sarebbe infranto.
Dopo quelle che le parvero ore, ma che probabilmente erano solo una mezz'ora buona, Rose si fermò.
Di bloccò, appoggiandosi a un muro interamente ricoperto di quadri e riprese fiato. Si sentiva le gambe a pezzi, il fiato corto e i muscoli in fiamme come se avesse corso.
Si sentiva bagnata sul collo. Confusa, ci passò una mano, e si rese conto che era sudore. La pelle delle dita era bagnata e appiccicosa, come se Rose le avesse infilate in una gelatina.
Fece una smorfia pulendosele sulla cornice di un quadro - lo avrebbe fatto sul muro, ma quello era stato tanto riempito di dipinti che Rose non riusciva a trovare nemmeno la cosa più simile a un mattone.
Si chiese per un secondo se Alice e Roxanne erano preoccupate per la sua assenza. Se se ne fossero accorte, e a cosa stessero pensando in merito.
Non le interessava di andarle a informare che stava bene.
Sospirò e, rimettendosi in piedi, riprese la sua camminata. Ormai non piangeva più, ma le guancie conservavano ancora una traccia bagnata, e Rose era sicura di avere ancora gli occhi gonfi e pesti. Di certo, se qualcuno l'avesse vista alla luce del sole, si sarebbe reso conto di ciò che era successo. Rose ringraziava il nuovo accogliente del corridoio e il deserto che riempiva l'ora della notte.
Svoltò in diversi corridoi, più volte, senza riuscire a riconoscergli sotto il nuovo vestito scuro che stavano indossando. Dopo diversi giri a caso, si fermò di nuovo, perplessa.
Davanti a lei, illuminate dalle fiamme delle candele, c'erano delle scale a chiocciola. La fiamma rossa guizzava sui gradini tingendoli di una tenue tonalità scarlatta, e disegnato cerchi di luce aggressiva dentro il mattone.
Una ringhiera correva accanto alle scale, liscia e verde, sulla quale si riflettevano, come per la scala, le luci delle candele. Alcune poggiavano proprio sopra di essa, disegnando un alone arancione sul metallo scuro, mentre altre erano per aria e gettevano il loro bagliore sotto forma di piccole scaglie rosse, che facevano brillare il corrimano come un canale sotto la luce del sole.
Rose riconobbe all'istante il luogo.
La Torre di Astronomia. Il punto più alto di Hogwarts.
Non sapeva come fosse arrivata la. Era come se avesse messo in pausa la sua vita durante la passeggiata e, solo ora, riprendeva il tasto play. Come aver camminato nel sonno per tutto quel tempo, e ora che si era scontrata con la realtà sbattendoci la faccia, si era svegliata e aveva ricollegato il cervello.
Rose sbatté le palpebre. La scala rimase esattamente immobile, dove era prima.
Allora era davvero lì. Non se lo stava immaginando. Le sue gambe l'avevano mossa verso quella direzione che tanto odiava.
In barba alle sue vertigini. Era il colmo, se pensava di non aver neanche voluto andarci.
La Torre non le piaceva nemmeno. Troppo alta, troppe finestre dalle quali cadere...no, non era esattamente la cosa migliore per una che soffre tanto di vertigini e solo con una scopa in mano riesce a controllarsi. Alle volte, durante le lezioni, si era appoggiata un po' a Alice, ma la sua migliore amica non riusciva a darle la sicurezza che le serviva.
Rose scosse la testa, avvicinandosi ai gradini. Cercando di non concentrarsi su quanto fosse alta e provando a dimenticare le sue vertigini, Rose prese a salire.
Aveva una pessima sensazione. Non sapeva cosa la spingeva a farlo, se non quella persistente sensazione di qualcosa terribilmente sbagliato nel petto. C'era qualcosa che le metteva ansia, una conoscenza a fondo del suo subconscio che le diceva di andare a controllare.
Un presentimento.
Un po' come quando si ricordava all'improvviso una nozione di medicina che aveva creduto di aver dimenticato. In quel caso ne era contenta, ma ora...
Ora sperava solo di sbagliarsi. Che stesse esagerando tutto. Che non ci fosse niente da temere.
Rose, con il cuore che martellava nel petto un po' per la paura un po' per le vertigini, arrivò vicina al fondo delle scale. Sentiva un ronzio nelle orecchie, mentre la classe di Astronomia le si parava davanti a poco a poco, pezzettino per pezzettino. Più saliva, più riusciva a vedere in là nella stanza, più chiaramente le cose.
C'erano i telescopi, abbassati come animali che brucavano; qualche mappa stellare che qualcuno aveva dimenticato su un tavolo e ora era rischiarata dalla fiamme delle candele; e la luce argentata della luna filtrava dalle finestre e si stampava sul pavimento in macchie che somigliavano a specchi.
E poi, sul bordo di una finestra che Rose non poteva vedere per intero, una specie di palla. Rose corrugò le soppracciglia, il cuore ormai un mantello pneumatico nel petto.
Con il sangue a mille nelle vene, e la tensione alle stelle, Rose mise il piede sull'ultimo scalino. Si issò su, e riuscii a vedere l'intera stanza di astronomia.
Tremava un modo impercettibile.
Poi vide la stanza per intero.
Sbiancò, il sangue che si ghiacciava nelle vene. Non sentiva neanche più il suo stesso cuore battere. Niente brividi, tutto in  pausa.
Sul davanzale della finestra non c'era una palla. Ma una figura. Un ragazzino, che le dava le spalle.
Perché qualcuno dovrebbe stare così, in piedi di notte, sulla Torre più alta di Hogwarts?
La risposta la colpii come uno schiaffo, e le fece muovere un passo avanti.
Il rumore ruppe la quete. La bolla di terrore scoppiò, e Rose tornò a vedere le cose in prima persona. Le parve come di tornare nel suo corpo, il terrore che animava un fuoco incontrollato dentro di lei.
Anche l'altro se ne accorse. Si voltò verso di lei, probabilmente spaventato da quel suono, e la luce della luna guizzò sul suo volto come una fiamma di ghiaccio, immobile nell'eternità dell'incertezza.
Rose lo riconobbe all'istante. Sbiancò incredula, ma ne ebbe appena il tempo che lo vide inciampare. Il piede di perse l'appoggio sul davanzale della finestra, e un brivido di pura paura percorse Rose, dandole una scarica quasi dolorosa.
Lei si gettò in avanti.
"Hugo!"
---------------------------------------------------------
"Secondo te, Hermione é morta?" Chiese Roxanne.
Quelle parole risvegliarono Alice. "Cosa?" Domandò, alzando di scatto la testa dal libro di Babbanologia. Per un terribile istante pensò fosse successo qualcosa di improvviso, poi si accorse dell'espressione di Roxanne.
Non sembrava triste. Solo a metà tra lo scocciato e l'arrabbiato.
Alice sbuffò, rendendosi conto che quello, come sempre, era una domanda esagerata. Eppure nascose un sospiro di sollievo. "Non scherzare su queste cose, Rox" disse secca, tornando al libro "non c'è niente di divertente"
"Non stavo scherzando" ribatté Roxanne. "Ero seria"
Alice le lanciò un occhiataccia.
"Guarda l'ora! Se ne é andata più di due ore fa!"
"E allora?"
Roxanne scattò in piedi, scandalizzata"E allora non é normale!"
"Magari sì"
"No." Roxanne socchiuse gli occhi "La consoci. Hermione fa sempre le cose in modo molto veloce. Ora invece sembra essere caduta nel cesso."
"Ma non é andata al bagno..." Osservò stancamente Alice.
Roxanne la ignorò "Questo é strano"
"O magari richiede solo un po' più tempo del previsto?" Tentò Alice, per niente in vena di quella discussione.
Rose non era una bambina. Sapeva gestire se stessa.
Poteva fare quel che le pareva per quanto tempo voleva. E lei era solo la sua migliore amica, mica sua madre!
Roxanne sospirò. Alzò le mani "e va bene! Non ci allarmiamo.
Facciamo come vuoi tu"
"Grazie" disse Alice, sorridendo smagliante per nascondere un fondo di irritazione. Lei doveva studiare.
Non aveva tempo per le scemenze inutili di Roxanne.
Alice abbassò di nuovo gli occhi sul libro. Babbanologia le piaceva molto, era anche per questo che non voleva rinunciare a frequentarla solo perché lo faceva anche quel coglione di Smith.
Quel coglione che hai affrontato pensò con affermazione, e ciò le diede un moto di orgoglio nel petto.
C'è l'aveva fatta. Ed era felice.
Anche se con parecchi mesi di ritardo.
Ma questo non era importante, no?
Alice sospirò. Sì, certo, invece, che era importante. Era stata debole per tutto quel tempo. Cosa le diceva che non sarebbe successo di nuovo, di non saper reagire? Cosa...
Basta pensarci. Si impose.
Roxanne diceva che lei era stata grande. Diceva che aveva avuto fegato. Che la ammirava.
Alice credeva lei stesse esagerando.
Lei non si sentiva a quel modo. Non si sentiva forte come la descriveva Roxanne.
Era stata più una cosa d'obbligo, una avversione morale che aveva reso un dovere ribellarsi. Era stato scontato, qualcosa che doveva avvenire tempo prima ma, per ritardi vari, aveva impiegato quasi un anno.
Un po' come le poste.
Si sentiva debole.
Però, per quanto volesse, non riusciva a negare di sentire una certa eccitazione nel pensare a ciò che quello che aveva fatto aveva completato.
Voleva continuare a pensare fosse debole per punirsi, ma non riusciva comunque a sopprimere quella voglia di strillare al mondo che, finalmente lo aveva fatto.
E no, non era contenta per la soddisfazione morale che ciò le aveva dato (in realtà si, anche, ma questo era offuscato dal pensiero di sentirsi debole) ma perché...
Si avvicinava sempre di più il momento di stare con Albus.
Albus. Albus. Albus...
Quanto ci aveva pensato, solo in quei dieci giorni? Quanto lo aveva sognato?
Aveva vissuto più e più volte il loro bacio, cercando di rievocare le sensazioni che aveva provato...
Ed era giunta a una conclusione.
Voleva rifarlo. E al più presto.
Ma, per quando le dolesse, c'era una altra questione importante da definire.
Non poteva dare un nome fra ciò che c'era fra lei e Albus senza averla chiusa. E, rendendosene conto,alle volte si ritrovava a dare la colpa a suo padre che le aveva fatto notare quella pecca nella sua vita.
Alice sospirò, cercando di tornare alle pagine stampate del suo libro.
Doveva assolutamente chiarire con Frank.
Accidenti...
---------------------------------------------------------
Hugo non era andato sulla Torre per ciò che Rose temeva.
Oh no. Assolutamente no. L'idea di buttarsi giù, per una volta, non lo aveva neanche sfiorato.
Ma, per spiegare la sua presenza là in quella posizione altamente compromettente, occorre andare un po' indietro in quella notte, riepilogare la sua storia.
"Sono un Prefetto, ormai" disse una voce strascicata, ovattata dietro la porta di legno "nessuno più dirmi qualcosa, ormai"
"Lo sei solo per la punizione che ti ha dato la MecGrannit" ribatté una voce conosciuta.
Hugo, seduto contro il muro dei Dormitori, alzò lo sguardo. Fra le mani aveva ancora Cime Tempestose, una lettura che si stava rivelando più compromettente di quanto lui avrebbe mai detto, e la luce ormai morente nel sole lo oltrepassava toccando il terreno in delicati cerchi sfocati, in un raggio verde-rosso, smorzato dall'acqua del Lago Nero che si vedeva dalla finestra sotto la quale sedeva.
Davanti a lui, si ergeva, imponente e scura, la porta del Dormitorio dei ragazzi del sesto anno, e dietro, Hugo riconosceva la voce di suo cugino che parlava con Scorpius Malfoy, il suo migliore amico.
Da quello che aveva capito, questo ultimo voleva uscire. Così. Di notte. Arrivato il coprifuoco.
Quale modo più veloce per perdere punti?
Hugo sbuffò, alzandosi. Non gli andava di perdere punti solo per qualche figlio di papà che non riusciva a tenere il culo nelle coperte per il tempo necessario, e di certo non voleva essere trovato così, seduto davanti alla porta come se li stesse aspettando. Si mise il libro sotto il braccio, mentre si allontanava silenzioso. Sentì suo cugino e l'altro scambiarsi qualche altra battuta, poi la porta del loro Dormitorio si aprii e riversò fuori la testa biondo platino tipica dei Malfoy.
Hugo si appoggiò al muro, osservandolo scendere le scale e sparire, la chioma bionda che rifletteva la luce delle candele.
Chissà dove deve andare di tanto importante, pensò distrattamente. Sapeva, sotto sotto, che Scorpius non era uno stupido, e che, se faceva una cosa, aveva uno scopo ben fissato in mente - esattamente come il resto dei Serpeverde. Di certo era uscito per qualche motivo più profondo che non trovava importante confidare a Albus, ma Hugo sapeva della sua esistenza.
Il Malfoy non era certo uno che usciva e rischiava di prendersi un rimprovero solo per una passeggiata notturna. No, doveva per forza esserci qualcosa di più importante sotto...
Una vaga curiosità gli stuzziccò la mente. Hugo si alzò e, senza sapere esattamente come o perché, lo seguì.
Il suo compagno di Casa uscì dalla Sala Comune, e Hugo lo seguì, attento a non farsi vedere. Gli sembrava strano che Scorpius non si curasse nemmeno vagamente di provare a nascondersi, a mascherare la sua presenza con un qualche tipo di incantesimo. In un folgorante momento di genio, si chiese anche perché Albus non gli avesse dato il suo Mantello dell'invisibilità - Hugo sapeva che esisteva perché, qualche volta, Lily gli aveva accennato cosa facesse James a casa, e sua zia Ginny aveva raccontato che, durante il suo ultimo anno a Hogwarts, lo usava spesso per incontrare Harry.
Il mantello avrebbe fatto correre molto meno rischi sul fatto di essere scoperto,  era un ottima garanzia contro un potenziale inceppo del piano, e Al era amico di Scorpius...
Perché non aveva proposto una sorta di protezione aggiuntiva da dargli?
Ah pensò a un tratto Hugo forse lo ha James. Albus non sa come prenderlo.
Quindi niente mantello. Allora Scorpius ne aveva davvero di coraggio per rischiare di prendersi ancora una sonora sgridata... esattamente come sto facendo io pensò Hugo e, per un secondo, si sorprese. Poi scosse la testa.
E lui non era mai importato della scuola. Non era di certo noto per prendere i voti alti che invece caratterizzavano Rose (motivo per il quale - sommato al fatto che aveva ucciso una strega intelligente che era anche stata sua alunna - si era giocato l'ingresso al Lumaclub del professore di Pozioni, anche se Lily diceva lo invidiasse per via della sua fortuna). E a lui non poteva fregar di meno di prendere qualche richiamo o che, anzi, suo padre venisse informato di una sua negligenza - Hugo dubitava che Ron avrebbe anche solo aperto la lettera, o avesse continuato a leggere una volta che avesse scoperto di trattasse di lui e non di sua sorella.
Ma Scorpius é più diligente di me.
Hugo si bloccò. Quella frase gli suonava strana alle orecchie, come se fosse di una nota stonata. Ripensò all'inizio dell'anno, a ciò che continuava a dire Albus a proposito del fatto che Scorpius gli nascondesse qualcosa di importante e che fosse per questo motivo che era cambiato. Che quello non era lui. "Solo per una punizione della MecGrannit" aveva detto Albus.
Lo era.
Era cambiato. E, secondo Albus, stava nascondendo qualcosa.
Un campanello suonò nella mente di Hugo. Che cosa?
Poi ci fu un rumore. Hugo dovette trattenersi dal lanciare uno strillo ben poco virile. Si lanciò velocemente contro il muro, e per poco una armatura non gli crollò a dosso.
Respirò. Il cuore batteva a mille.
Non sapeva esattamente cosa fosse stato. Un rumore, forse, o una voce che chiamava qualcuno, ma non aveva fatto in tempo a decifrare le parole.
Circospetto, si guardò intorno. Una grande finestra era davanti a lui, e la notte si addensava oltre il vetro in macchie scure. Le ombre delle inferriate si stampavano sul pavimento in sottili filamenti chiari, causati dalla luce delle luna. Hugo alzò lo sguardo.
Il satellite era una palla bianca e pallida nel cielo.
Piano, Hugo si sporse oltre il muro. Sentiva due voci parlare, ma era troppo lontano (o forse gli altri parlavano troppo a bassa voce) per capire cosa dicessero. Un attimo dopo, individuò i proprietari: uno era Scorpius, mentre l'altro, il ragazzo con cui stava parlando, aveva una massa scura e riccia sulla testa, due occhi verdi che brillavano sotto la luce delle candele riflettendo nell'iride  Smeralda, tal volta, le loro fiamme e sottolineando lo sguardo arrabbiato che aveva; al petto portava la cravatta blu e argengento dei Corvonero.
Un Corvonero? Pensò Hugo confuso che cavolo ci fa qui anche un Corvonero?
Cercando di fare meno rumore possibile, si alzò in piedi. Tutta quella storia non lo convinceva.
C'era qualcosa che puzzava. Terribilmente.
Hugo si affacciò piano, sempre provando a nascondersi agli occhi dei due. Non avrebbe dovuto preoccuparsi troppo, però, dato che i due ragazzi sembravano così presi l'uno dall'altro da essere incapaci di guardare oltre e rendersi conto che ci fosse anche lui.
Non sembravano più notare il castello intorno a loro, come fossero solo loro due.
Facendo passi piccoli, Hugo tentò di avvicinarsi. Il Corvonero aveva un aria stranamente famigliare, come se lo avesse conosciuto di vista, ma Hugo non riusciva ad associare al volto un nome. D'altro canto, Scorpius lo fissava con un odio negli occhi difficilmente eguagliabile, e Hugo intuii non fosse proprio il migliore degli studenti.
Fu solo quando il Corvonero parlò, che Hugo lo riconobbe.
"Chi?" Chiese la voce di Scorpius con sorprendete acidità.
"Rose, detta Hermione, Weasley"
Hugo sobbalzò. Il ragazzo nuovo.
Yahn. Il nome gli si parò nella testa quasi estraneo. Però sapeva chi fosse, in linea generale, Rose gli aveva accennato qualcosa.
Hugo si fece a un tratto vigile. Rose.
Quel ragazzo aveva detto il suo nome. Rose doveva centrarci qualcosa con lui. Ma cosa mai poteva volere uno come Yahn, riservato e indisparte, da sua sorella? Hugo si appuntò mentalmente di scoprirlo.
Per un secondo, la faccia di Scorpius si contorse. Hugo notò un certo sforzo, forse per impedirsi di dire qualcosa di troppo.
Troppo cattivo o fuori luogo.
"E perché?" Chiese sibilando Scorpius.
"Indovina? FATTI MIEI" Sbottò Yahn, facendo una smorfia.
Hugo inarcò un soppracciglio. La voce del Corvonero aveva avuto una nota strana, alta, acuta, come se a dirla fosse stata una ragazza. Non aveva il genere di timbro profondo che invece hanno le voci maschili, quelle dopo dello sviluppo (la voce di Hugo era appena cambiata, una variazione di cui lui si accorgeva appena, ma che Lily non faceva altro che ribadirla) che invece era stata presente fino a quel punto.
Hugo inclinò la testa di lato, appoggiandosi al muro. Quella voce aveva l'aria vagamente...isterica.
Distratto, si rese conto di essersi perso parte della discussione. Si impose di riconcentrarsi, scuotendo la testa.
Pessima idea.
Un ciuffo di capelli si impigliò in una bianca ragnatela che scendeva dal soffitto e, sbiancando, Hugo non riuscii a trattenere un urlo che uscii comunque smorzato. Fece un salto indietro, e cadde lungo disteso sulla schiena. Miseriaccia pensò.
Fortunatamente, un altro fracasso aveva soppraffatto il suo rumore. Hugo si alzò sui gomiti, chiedendosi se per caso Hogwarts avesse preso un tir
nella notte e lui non me fosse a conoscenza. Il suono cigolante che aveva rotto la quete gli aveva ricordato le porte di casa sua, quelle dai cardini tanto arrugginite che sembravano stridere e urlare, solo cento volte più profondo e alto.
E, mentre guardava, sbiancò.
Dubitava di aver più colore in volte, probabilmente era diventanto solo della stessa tonalità di uno straccio.
Le porte della Sala Grande erano spalancate, e un terzo ragazzo si era affiancato a Yahn e Scorpius.
Un Tassofrasso. Hugo guardò meglio.
Frank?
"Che c'è?"
"Gazza" ansimò Frank "Gazza sta arrivando"
Fu come se qualcuno prese possesso di Hugo. Un energia che non sapeva di avere gli caricò il corpo, facendolo balzare come una molla. Si alzò in piedi e, sperando nessuno lo vedesse, girò sui tacchi, correndo a perdi fiato.
Non aveva definita una meta dove andare. I Sotterranei erano esclusi, troppo distanti.
Le sue gambe lo guidarono prima che il cervello potesse decidere. Si rese conto di dove stesse puntando solo quando, in un attimo di calma, posò gli occhi sul muro, e riconobbe il corridoio pieno di quadri.
Non era sorpreso. Non aveva idea in quale altro posto avrebbe potuto andare.
L'unico posto che gli veniva in mente.
L'unico in cui si sentiva davvero al sicuro.
Hugo, con il fiatone, salii le scale della Torre di Astronomia. Sperava che Gazza non avesse la brillante idea di venire a perquisire proprio quel posto, o sarebbe stato fritto. Non tanto per il richiamo della MecGrannit o la sgridata che Rose gli avrebbe fatto una volta venuta a sapere che lui era andato nel corridoi a coprifuoco scattato, ma solo perché aveva una fifa assurda
Quel bidello metteva davvero in soggezione.
E i brividi, aggiunse mentalmente Hugo, arrivato in cima. Prese un profondo respiro, beandosi di quell'aria.
Adorava la Torre di Astronomia. Gli piaceva stare in alto, guardare tutto senza poter essere osservato. Senza pensarci troppo, andò alla finestra che prediliva - quella che dava sulla Foresta Proibita, vicino a Hogsmede e alla casa di Hagrid. Poggiò le mani e guardò giù. Buio. Vedeva solo nero.
Spostando, Hugo si issò sul davanzale. In piedi, pensando a ciò che aveva appena visto. Chissà se qualcuno lo aveva notato.
No...Hugo scosse la testa erano tutti impegnati a correre. E poi me ne sarei accorto!
Chissà se gli altri c'è l'avevano fatta. Forse Gazza era arrivato e aveva beccato qualcuno (Hugo voleva sperare per Yahn, ma era molto più probabile Frank) e, intrattenendolo, aveva dato il tempo agli altri di scappare. Forse aveva fatto la spia, ma di questo non doveva preoccuparsi.
Nessuno sapeva che c'era anche lui, lì.
Non seppe quanto tempo fosse passato, quando, più che sentire, avvertii un altra presenza.
Hugo prese in considerazione di scendere dal cornicione e voltarsi a guardare, almeno assicurarsi che non so trattasse di Gazza, ma avvenne tutto troppo in fretta.
Ci fu un rumore dietro di lui. Hugo sobbalzò, voltandosi.
Vide il viso di sua sorella, bianco contro la luce della luna che filtrava nella stanza, con i due occhi azzurri che sembravano un mare al buio, le onde del terrore che si muovevano paurose nelle iridi chiare. I capelli rossi erano accessi, un fuoco sulla sua testa, in netto contrasto con la pelle chiarissima.
Rose? Che ci fa lei qui?
Hugo ebbe appena il tempo di fare questa considerazione, che sentii il piede senza più appoggio.
Trattenne il fiato, mentre lo stomaco gli si accarttociava su se stesso dalla paura.
Vide la figura di Rose rimanere un secondo immobile, troppo sconvolta, poi, fulminea, scattò verso di lui, una macchia bianca e rossa contro le ombre della notte.
Hugo tese le mani avanti, cercando un appoggio. Vedeva l'aula di Astronomia inclinarsi sotto di lui, alzarsi e sparire come se qualcuno la stesse spostando; anche Rose spariva, l'ombra bassa ingiottita dal davanzale che si innalzava sempre di più; i contorni della finestra erano freddi e troppo lontani per essere afferrati.
Si sentii cadere, il vuoto inghiottirlo.
Si rese appena conto di urlare.
"Hugo!"
E Hugo si sentì volare indietro. Fu come se una mano lo prese per una caviglia, trascinandolo in avanti. Il tocco era tanto sicuro che pensò davvero Rose lo avesse afferrato con le dita edili. Si graffiò la schiena sul cornicione della finestra, e probabilmente la maglietta gli si strappò.
Poco importava. Il suo cuore batteva ancora troppo velocemente.
Hugo, un attimo dopo, si ritrovò seduto, tremante, sul pavimento della Torre di Astronomia.
Rose era davanti a lui, il viso pallido e sollevato. In mano aveva la bacchetta. Tremava contro il suo fianco.
"Che cavolo..." Sussurrò lei. Hugo notò che aveva gli occhi rossi e gonfi, come se avesse appena pianto. Se si sforzava riusciva a vedere le tracce delle lacrime sulle sue guancie, illuminate dalla luce argentata della luna come code di stelle cadenti. Rose si accorse del suo sguardo, e si passò frettolosamente una mano sulla faccia. "Che volevi fare?"
"Io..." Volevo osservare Hogwarts avrebbe voluto rispondere Hugo, ma sapeva quanto suonava debole come cosa. Perfino alle sue orecchie sembrava solo una scusa.
Si guardò indietro, scorgendo con la testa le inquetanti chiome scure della Foresta Proibita, che brillavano di un alone chiaro contro la luce lunare.
Sapeva cosa sua sorella stava pensando.
Si voltò a guardarla "Rose, io..."
"Sta zitto" lei alzò le braccia, e Hugo aveva già alzato una mano, pronto al colpo, che però non arrivò.
Sentii le braccia calde di sua sorella intorno al collo, il corpo vagamente frenante contro il suo. Ebbe la sensazione di sentirla singhiozzare, ma non aveva intenzione di indagare oltre.
Hugo sgranò gli occhi, osservando il capo rosso della ragazza nella sua spalla. "Rose, io"
"Zitto" gli disse di nuovo lei. Si staccò, alzandosi. Gli porse una mano, la luce della luna che faceva brillare di argento i suoi occhi "vieni"
Hugo la fissò senza muoversi. Sentiva la bocca asciutta. Ricordò l'espressione di Scorpius, quella smorfia di rabbia quando Yahn aveva pronunciato il suo nome.
Quello di Rose.
Deglutii, e le afferrò la mano.
Ah riuscii solamente a pensare  Hugo neanche lei ha rispettato il Coprifuoco. É fuori dal letto...
---------------------------------------------------------
Correndo, Frank cercava di non pensare a niente. Niente su cosa lo avesse spinto fuori dal letto, niente sul perché Scorpius Malfoy e il ragazzo nuovo fossero davanti alla Sala Grande, niente su cosa stessero discutendo.
Eppure non ci riusciva. Svoltò un angolo, trovandosi vicino alle cucine.
Continuava a rievocare nella mente ciò che aveva letto, ciò che lo aveva spaventanto.
Una cotta, in media, dura dalle due settimane ai quattro mesi.
Se dura di meno, allora é solo attrazione sessuale.
Se dura di più, allora é amore.
Amore...Quella parola aveva uno strano suono alle orecchie di Frank. Gli faceva uno strano effetto, lo faceva congelare dalla paura.
Amore...da quanto aveva una cotta per Lorcan? Ormai dal giugno prima, quando, finita la scuola, si era messo a parlare con lui e aveva scoperto il lato nuovo della persona che aveva considerato a due dimensioni per lunghi cinque anni.
Ora erano a febbraio. Il che significava che erano passati molto più di quattro mesi.
Frank degluttii. Allora...no.
No. No. No. E no.
Lui non era innamorato di Lorcan.
Erano solo buoni amici. Migliori.
E lui era molto bello. Era si un anno dietro di lui, ma aveva un certo fascino che faceva sospirare tante ragazze quando passava...
Ma Frank non era una ragazza. Non era innamorato di Lorcan, un ragazzo che, con alte probabilità, era etero.
Svoltò di nuovo, trovandosi davanti alla sua Sala Comune.
E poi...
Io non sono gay!
---------------------------------------------------------
La paura che aveva provato Rose per quei brevi attimi, le aveva tolto il fiato. Era stato un colpo allo stomaco, un qualcosa che la soffocava, la faceva morire dentro.
Il terrore di non riuscire a prenderlo...
Fortunatamente era riuscita a estrarre la bacchetta, e lo aveva preso in tempo.
Aveva tirato un tremante sospiro si sollievo.
Adesso, lo stava portando giù dalla Torre - anche per un desiderio personale. Non le piaceva stare in alto per via delle vertigini - in silenzio.
Hugo non aveva emesso un fiato. Camminava a testa bassa, senza avere il coraggio di incrociare il suo sguardo.
Rose aveva la netta sensazione non si ritenesse degno di farlo. Ma questo era studio, insomma, perché lei avrebbe dovuto essere miglior di Hugo?
Erano fratelli. Non c'era assolutamente niente che potesse porre uno sopra all'altro - a parte forse l'età, ma Hugo, Rose ne era sicura, sarebbe cresciuto tanto in altezza da sembrare il più grande.
Rose lo portò infondo alle scale. Si voltò a fissarlo, ma lui non alzò gli occhi scuri. Sospirò. Non voleva dire niente se Hugo non iniziava a essere collaborativo.
Inutile dire che, come sempre quando un altra persona stava male, lei aveva messo da parte i suoi problemi, il suo dolore, la laura che Scorpius potesse usare ciò di cui era a conoscenza contro di lei, e si concentrava interamente su di essa.
E poi si trattava di suo fratello. Sangue del suo sangue.
Come poteva ignorarlo?
"Hugo" Rose sospirò piano. Si sedette lentamente, sopra un gradino, accanto ai piedi del ragazzino. Alzò lo sguardo, e lo trovo stranamente rigido "cosa volevi fare?"
Hugo trasalii impercettibilmente. Fece un passo indietro, come se Rose emanasse una puzza incredibile.
"Niente" rispose, dopo un attimo di silenzio.
Rose incrociò le braccia al petto, severa "Hugo..."
"Sono serio" lui ancora non la guardava "volevo osservare Hogwarts"
"Dalla Torre più alta del castello?"
Hugo si strinse nelle spalle "lo faccio sempre."
Rose continuò a fissarlo. Vedeva solo il capo rosso di lui, il ciuffo scarlatto che pendeva dalla fronte come una tenda. Aveva le mani strette in pugni lungo i fianchi, le nocche bianche.
Sospirò. "Ti credo." Disse. Voleva rassicurarlo. Hugo non sembrava troppo propenso a scambiare qualche parola "ma promettimi, ti prego, che, se mai ti passasse per la testa un idea assurda..." Rose fece una smorfia, nascondendo il terrore di ciò che con la voce lasciava implicito "parlamene. O con me o con qualcuno" tentò un sorriso, che però lui non vide "o magari con Lily. Sono certa che lei troverà il modo di dissuaderti da qualsiasi cosa"
Hugo non rispose. Se ne stava così, immobile con le mani lungo i fianchi, e non parlava. Rose si chiese se non si fosse trasformato in una statua di sale.
Lei si alzò. Salii i gradini che la separavano da lui e, in un unico slancio fraterno, allacciò le mani dietro il suo collo.
E...lo sentii irrigidirsi.
Rose, perplessa, si staccò. Ora incontrò per la prima volta gli occhi scuri di suo fratello, che la fissavano con una sfumatura strana dentro l'iride marrone.
"Rose" disse Hugo, brusco. Fece diversi passi indietro. Salii le scale, e superò Rose in altezza "non merito la tua gentilezza."
Lei sbatté le palpebre, confusa "cosa...? Hugo, perché dici questo?"
Hugo esitò. Fece un altro passo indietro, guardandosi intorno come se sperasse ricevere la risposta scritta sul muro. Alla fine sospirò, abbassando gli occhi "Ti ho privato di una madre" mormorò piano. Rose lo sentii a stento.
"Cosa?"
"Rose, tua madre!" Hugo si passò una mano fra i capelli, nervoso. Si staccò qualche ciocca, sotto lo sguardo preoccupato e perplesso di Rose "Rose io la ho uccisa"
Rose capii. Una lampadina le si accese nel cervello.
"No" disse veloce "non é stata colpa tua. Possiamo indagare chiunque, addossare perfino a papà la responsabilità di ciò che le é successo.
Ma non a te. Niente era in tuo potere per impedire la sua morte"
"Avrei potuto evitare di nascere" ribatté Hugo.
"Ma non é una tua scelta" Rose addolcii lo sguardo, salendo quanto lo aveva fatto lui. Gli mise una mano sulla spalla, un gesto tenero "Io non penso sia stata colpa tua, Hugo. E di certo non ti condanno. Non c'è la ho con te per ciò che é successo. Non potevi saperlo."
"Sono un assassino" disse Hugo, e parve darsi uno schiaffo da solo.
"No. Non lo sei"
Hugo alzò lo sguardo. Puntò le sue iridi castane dentro quelle azzurre di Rose, la rabbia della roccia contro la potenza del mare. "Come fai a esserne così sicura?"
"Perché, se tu fosti un assassino saresti cattivo. E io so per certo che tu non lo sei."
"Lo sono" confessò Hugo.
"No."
"Non puoi esserne sicura"
"E tu non puoi esserlo del contrario."ribatté Rose con forza. Aumentò la presa sulla spalla di Hugo, che però non emise un fiato "Hai per caso delle prove dove c'è scritto che tu sei cattivo?"
Hugo rimase in silenzio un minuti buono. Poi, piano, annuii.
Rose inarcò le soppracciglia, ma capii a cosa lui si riferisse non appena si toccò il petto. Alzò la mano, stringendo fra le dita la cravatta verde-argento dei Serpeverde.
Rose lo fissò sorpresa "cosa dovrebbe significare?"
"Tutti i maghi più oscuri erano Serpeverde." Disse lui "La gran parte dei Mangiamorte, e non é certo una novità il fatto che la mia Casa abbia allevato cattivi. Abbia formato cattivi"
"Ancora non capisco il nesso"
Hugo sbuffò "se non sono cattivo, perché allora la porto" mostrò la cravatta come se fosse un serpente da stritolare, e Rose pensò che, se continuava in quel modo, si sarebbe strozzato. "Se non sono un assassino e non la ho uccisa, come dici tu, perché sono in Serpeverde?"
Rose rimase un attimo spiazzata, poi scoppiò a ridere. Hugo alzò lo sguardo, guardadola orripilato.
"Davvero me lo chiedi?" Domandò Rose, scuotendo la testa "oh, Hugo...io sapevo saresti stato un Serpeverde da quando hai sei anni" lui sgranò gli occhi, e Rose si rese conto di aver fatto una gaffe. Cercò di rimediare come meglio poteva "sai bravissimo agli scacchi." Disse "Ricordi? Quando eravamo piccoli giocavano sempre insieme. Nonostante fossi più grande di te, perdevo sempre. Perennemente.
Non riuscivo mai a batterti."
Hugo abbassò lo sguardo "mi facevi vincere"
Rose incassò il colpo "no. E poi sei sempre stata una persona astuta.
Molto astuta. Davvero uno stratega coi fiocchi.
Perfetto per le qualità che cerca Salazar" Hugo rimase in silenzio, e Rose pensò che dovesse continuare"in più sei determinato e ambizioso. Molto ambizioso. Entrambe caratteristiche che hanno tutti i Serpeverde. E ciò gioca a tuo vantaggio."
Hugo alzò lo sguardo. Aveva gli occhi smarriti "Ma io mi sento cattivo" disse, e con ma mente la fece ritornare a tanto tempo prima, quando erano entrambi due bambini che non sapevano cosa era successo alla loro madre.
Che pensavano tutti crescessero solo con un uomo che non li voleva per casa.
Rose sorrise.
"Fa qualcosa di buono"
"Cosa?" Hugo era perplesso.
"Se farai qualcosa di buono, vedrai che ti sentirai tale. Buono" esitò un attimo, aspettando che le sue parole sortissero l'effetto desiderato. Poi vide l'espressione di Hugo aprirsi un po', e capii fosse il momento di continuare"Ad esempio aiuta gli altri. Vai da Hagrid. Risolvi delle tue fisse mentali." Rose cercò nel viso di Hugo un qualche indizio che stesse dicendo le cose giuste. Non lo trovò, ma fermarsi adesso le sembrava stupido.
"Una cosa" disse piano, soppesando bene le parole "potrebbe essere fare pace con Medelain" Hugo la guardò allucinato, ma lei fece finta di non accorgersene " c'è la ha con te come se tu gli avessi fatto chissà cosa." Si morse la lingua e escluse la domanda cosa "io ci ho parlato, ma a quanto pare odia anche me. Se tu provassi a riappacificarti con lei..."
"Non funzionerà" disse subito lui, svelto.
"Prova a farti perdonare da lei" Rose sorrise all'espressione scettica del fratello. "Dovrebbe essere soddisfacente"
Lui sembrò ragionare sulla cosa. Rose non aveva mai desiderato così tanto essere una Legilimets, per riuscire a vedere cosa gli passasse per la testa.
Alla fine Hugo annuii, con lo sguardo perso. Rose sapeva stesse pensando a qualcosa di importante, lo capiva da quanto fosse profondo il suo sguardo scuro, ma non aveva idea Medelain non centrasse assolutamente nulla.
Solo vagamente in parte.
Rose sorrise e fissò fuori dalla finestra che si apriva sulle scale. Il sole stava sorgendo, irradiando di luce il guardino di Hogwarts. Qualche pagliuzza dorata aveva iniziato a bagnare anche loro, colorandoli di una leggera sfumatura gialla che si infrangeva sui capelli ramati come piccoli coltelli.
Le sembrava come se quel sole segnalasse una nuova epoca.
Poi il suo sorriso si incupì. Prese una nota confusa, mentre il sole saliva sempre più alto nel cielo azzurro.
Il suo riflesso le restituì uno sguardo saggio che la confuse.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora