Capitolo 13

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Hugo era ancora in piedi davanti a lei quando Rose decise di alzarsi.
Un lieve vento soffiava fra i lunghi filo d'erba, agitandoli in sincrono e facendoli ondeggiare l'uno contro l'altro.
Il sole picchiava più forte mentre le lancette correvano sul quadrante dell'orologio, a indicare il tempo che passava sempre più velocemente.
Rose si stiracchiò, lanciando un ultimo sguardo alla figura del fratello, perfettamente immobile e ferma contro l'azzurro cielo dello sfondo.
Le braccia erano dietro la testa, dita incrociate sulla nuca coperta di piccoli capelli rossi, mentre il viso era alto verso il cielo, il ciuffo sulla fronte che si alzava a comando del vento e ricadeva leggiadro dietro la sua testa come una specie di scivolo. Il sole solleticava i contorni del suo corpo, sottolineandolo con una leggera striscia gialla che si adagiava perfettamente al suo confine. Era tanto esatto che sembrava fosse stato ricalcato.
Rose gli lanciò un ultima occhiata, le parole della loro conversazione che le giravano per la testa senza più tenera conto del filo logico, e poi, fulmina, aprii la porta di casa, entrando dentro l'abitazione.
Sentii distrattamente dietro di lei Hugo che di girava a guardarla, e lo vide stringersi disinteressato nelle spalle quando lei iniziò a marciare verso le scale che, in tutto il loro squallore, torreggiavano nel piccolo salotto.
Rose non se ne curò, iniziando a salire i gradini di gran lena, attenta a non far scucire il taglio sulla pianta del piede. Poggiò una mano sulla ringhiera, strusciandola in modo assente sul metallo arrugginito, giusto per una questione di abitudine. La borsa dondolava debolmente al suo fianco, il suo interno che si scontrava continuamente fra di loro, in incontri di box un piena regola dove, probabilmente, qualcosa sarebbe uscito rotto. Le perline sbattevano l'una con l'altra, creando un leggero tintinnio che avvolgeva la figura di Rose, unico movimento nel silenzio religioso nel quale la casa era caduto.
I suoi capelli rossi rimbalzavano sulla sua schiena, rimanendo una palla compatta, uniti nei modi crespi, senza scomporsi in piccoli fili come a qualunque altra ragazzina normale.
Rose non se ne interessò e, con un piccolo balzo, atterrò sul pianerottolo del piano superiore, trovandosi la bianca porta del bagno che si ergeva chiusa davanti a lei. La ragazza vi si mise difronte, osservandola da sotto le soppracciglia corrugate, mentre decideva cosa fare. Alla sua sinistra la casa si allungava in un corridoio rosso inghiottito dall'oscurità, che scompariva, senza che vi si potesse scorgere la fine, in un lungo tunnel buoi, mangiato dalla illuminazione più assente. Le pareti erano state tanto trascurate che la carta da parati non le copriva quasi più, lasciando, ansi, che buona parte del muro originale venisse allo scoperto, come se la sua copertura fosse stata tirata via, scrostata con attenta precisione dal dolore della perdita. Li, da qualche parte nelle tenebre, c'era la camera di Hugo, ormai pulita dai vetri dello stesso ragazzino poco prima.
Alla sua destra, invece, la tenue luce che usciva dalla sua stanza colpiva perperdicolarmente il muro rosso, sottolineando come un puntatore luminoso la carta ormai completamente staccata, che si piegava al terreno e si muoveva ai comandi del vento in un ultimo spasmo di vita. La porta in legno era aperta, e sbatteva contro il muro a intervalli regolari, scontrandosi con la parete e venendo avvolta per brevi attimi dalle lunghe lingue rosse che cedevano sotto il peso del tempo dal muro.
Oltre, diversi metri dopo, si riusciva a intravedere la camera matrimoniale di Hermione e Ron, ormai solo di quest'ultimo che spiccava, in tutta la sua dolorosa presenza, nel piano superiore come un granello di polvere in una superficie linda.
Rose non ci entrava da quattordici anni, e ormai aveva quasi dimenticato come fosse.
Ma non avrebbe mai dimenticato i frammenti di ricordo e rabbia che le sarebbero venuti a galla a una sola occhiata, come se il lucchetto della scatola dove lei li aveva tenuti nascosti, lontano dal cuore, si rompesse improvvisamente, lasciandoli andare in un torrente di episodi passati che Rose non avrebbe mai potuto replicare.
Aveva paura di ricordare, e il pensiero di poter cercare qualcosa, nella sua mente, che avrebbe potuta ricondurla a quei tempi, o a quello che avrebbe potuto avere se Hermione non fosse morta tanto prematuramente, popolava i suoi incubi.
Rose scosse la testa, sforzandosi di tenere a bada quei pensieri. Aveva altro da fare, ora.
Lei come era?
Rose, per quanto si fosse sforzata di cercare, non aveva mai trovato una foto della madre in quella casa. Sembrava che l'alito oscuro della morte non si fosse accontento di privare il suo esile corpo dell'anima gioiosa e guerriera che aveva albergato in lei per oltre vent'anni, ma che avesse spazzolato tutto, ripulito ogni tipo di pezzo che poteva ricondurre gli altri a lei, cancellato ogni prova della sua esistenza su questo mondo. Sembrava che nella sua violenza dolorosa avesse deciso di eliminare tutto, lasciando solo il ricordo dolce e pungente con cui consolarsi, che emanava, tuttavia, un sapore amaro di perdita dopo avervi usufruito.
Ovviamente, Rose sapeva che era stata una decisione di suo padre quella di eliminare le fotografie che la ritraevano, evitare che i suoi occhi cozzassero contro l'immagine della defunta moglie, unica donna che aveva mai amato in vita sua, per tutelarsi contro il dolore, creare una specie di barriera a proteggiere la profonda ferita sul cuore che la morte di Hermione aveva inferto a tutti.
Rose, sotto questo punto di vista, lo capiva. Anche lei stava lavorando in questo verso.
Ma non riusciva comunque a comprendere l'ossessione di Ron verso il rinvciudersi dentro la stanza matrimoniale proprio il ventuno agosto, ricorrenza della morte di Hermione.
Ma Rose, adesso, non doveva preoccuparsi di questo.
Si girò alla sua destra, prendendo come punto di riferimento la piccola luce che fuoriusciva dalla sua stanza, e vi entrò fra le mura scolorite, chiudendosi la porta alle spalle.
Con la storia della lettera si era completamente dimenticata la cosa più importante.
Rose camminò verso il letto, saltandocisi sopra per raggiungere il comodino. Le molle cigolavano sotto i suoi passi, ma non era un suono fastidioso.
Rose piombò a terra, chinandosi contro il comodino nero per prendere ciò che cercava. Tirò fuori il cassetto, le perline al suo fianco tintinnarono più intensamente, come di curiosità.
Affondò una mano infondo, sempre più giù, fino a al fondo del cassetto, e le sue dita di chiusero contro ciò che stava cercando.
Ritirò fuori il braccio, chiamandolo a sé, e si alzò.
La carta verde brillava forte contro la tenue luce che illuminava la stanza, mandando lampi verdognoli sulle pareti, che si mischiavano al rosa sbiadito del muro, quasi come desiderasse di farsi notare.
Il regalo di Hugo era rimasto intoccato da quando lo aveva comprato nel negozio di Flint.
Rose chiuse il cassetto con un calcio, saltò di nuovo sul letto e uscii dalla sua stanza, il raggio di luce che la seguiva dovunque andasse, marcando i suoi movimenti con la stessa assiduità di uno scrittore.
Rose, facendo attenzione al suo spiede - non che si fosse tagliata più di tanto, certo, ma, da quello che le avevano detto nei laboratori di medicina, era sempre meglio stare attenti, prestare un occhio in piú a qualsiasi ferita: non si sa mai, può sempre peggiorare -  ridiscese le scale, il coro di scricchiolii dei gradini che creavano un accesa sinfonia in sincrono con le perline della borsa, e tagliò a metà il soggiorno, uscendo di nuovo fuori, sotto il sole alto del primo pomeriggio.
Hugo si voltò verso di lei, lo sguardo pigro e disinteressato, solo per assicurarsi che fosse effettivamente Rose e non il ritorno di Grattastinchi.
I suoi occhi, tuttavia, si sgranarono quando videro ciò che la sorella teneva in mano.
La mascella gli cadde, e le sopracciglia gli scattarono così in alto da sparire sotto il ciuffo di capelli rossi, che si era come afflosciato sulla sua fornite a seguito della scoperta.
Le braccia precipitarono con un tonfo lungo i suoi fianchi, troppo stupefatto per riuscire a formulare qualsiasi frase.
La testa rossa si piegò lievemente in avanti, come se non regesse il colpo.
Rose si sentii arrossire, temendo di aver sbagliato.
No pensò, cercando di provare a essere più sicura io ho fatto tutto bene.
Rose sostenne lo sguardo terra del fratello, alzando il mento altezzosa e provando a autoconvincersi di essere forte. Acquistò un briciolo di fiducia in se.
Hugo alzò gli occhi castani su di lei, le iridi che lanciavano lampi.
Le sue orecchie arrossirono di botto, come se qualcuno gli avesse lanciato contro una secchiata di vernice rossa. Aprii la bocca, il volto contratto piegato in una smorfia arrabbiata, e fece per dire qualcosa di non troppo carino.
Rose alzò una mano, precedendolo.
"Si, lo so" gli disse, reggendo lo sguardo furente che Hugo le stava indirizzando "niente regali per il tuo compleanno, non c'è niente da festeggiare e bla bla bla" gli si avvicinò, mentre il ragazzino si ritraeva irrigidendosi impercettibilmente "ma non mi interessa, quindi" gli porse il pacchetto verde, sorridendo "prendilo"
I raggi del sole battevano regolari su di loro, creando una piccola e leggera ombra ai loro piedi e sottolineando le figure snelle che di stagliavano contro la terra marrone, facendo risaltare i capelli rosso fuoco dei due fratelli come candele accesse.
Hugo la guardò sospetto, stringendo i pugni e piegandosi impercettibilente contro di sé stesso. I suoi occhi persero per qualche secondo la sfumatura arrabbiata, sfuggendo allo sguardo di Rose e posandosi sull'incarto che la ragazza teneva in mano.
Inarcò un sopracciglio, stringendo ancora di più i pugni. Le sue nocche divennero bianche.
Strinse le labbra, mordicchiando il labbro inferiore fra i denti, abbassando di più il volto.
"Allora?"
Rose avvicinò il pacco al fratello, attendendo una risposta da parte del ragazzo.
Hugo le lanciò uno sguardo diffidente, il ciuffo rosso che lasciava intravedere appena le iridi castane, e alla fine sospirò, rendendo una mano verso il pacco e stringendolo fra le dita.
Rose esultò internamente.
"Non farlo mai più" borbottò Hugo, ripetendo la stessa frase che diceva ogni anno, dopo che Rose gli consegnava puntualmente il suo regalo.
Rose alzò gli occhi al cielo, già conscia che non avrebbe rispettato le volontà del fratello e, a giudicare dalla nota per niente decisa e quasi rassegnata che spiccava nel tono di Hugo, anche il ragazzo era arrivato alla stessa decisione.
Hugo prese il pacco, facendo qualche passo indietro. Rose aspettò giusto un paio di secondi, un attimo indecisa poi, in uno slancio di coraggio che non sapeva di possedere, si allungò verso di lui, stringendo le braccia attorno alla vita fragile del fratello.
Hugo sussultò, irrigidendosi involontariamente contro di lei, senza rispondere all'abbraccio. Però non si scostò. Era già un inizio.
Rimasero così, Rose piegata in avanti le braccia intorno al corpo del ragazzo e Hugo dritto come uno sticafisso contro di lei, le braccia lungo i fianchi e la mano che reggeva il piatto regalo.
Dopo diversi minuti, Rose si staccò, facendo scontrare i suoi occhi azzurri contro quelli marroni del fratello.
Un improvvisa folata di vento la fece rabbrividire, alzandole la maglietta lievemente e scorrendo fra i capelli rossi come un pettine, quasi che si fosse auto convinto di riuscire a sciogliere i nodi che imperversavano fra di essi.
Hugo parve tornare in se, sobbalzando al freddo inaspettato e appiattendosi i capelli rossi contro la fronte, dato che l'aria li aveva sollevati oltre la testa, in una specie di onda rossa sul suo cranio.
Rose trattenne una risata, posando di nuovo gli occhi su di lui.
Hugo si lasciò andare a un tenue sorriso, e fece per dire qualcosa, ma Rose lo precedette ancora.
"Auguri. Anche se in ritardo"
Hugo abbassò lo sguardo, rimandendo in silenzio.
Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma una voce dietro di loro li fece sobbalzare.
"Ho comprato l'intero set di piatti al supermercato qui vicino, sette sterline e novanta, é un vero furto!" Ron rivolse loro un occhiata interdetta, vagamente deluso dalla non intereazione dei figli. Li scrutò con gli occhi azzurri.
"Andiamo alla Tana, allora"
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Il cancello di ergeva di nuovo davanti a loro, il metallo lucente che brillava tranquillo sotto i raggi del primo pomeriggio, dimostrando tutta la sua magnificenza.
A differenza della prima volta, però, non c'era alcuna traccia delle incessanti gocce di pioggia che picchiavano su di esso, come invece era avvenuto per il 21 agosto, la prima volta che ci erano andati.
Ora anche il giardino era occupato da risa e schiamazzi, che riempivano l'aria come un profumo estivo e liberare, da cui traspariva esplicitamente il divertimento e la spensieratezza che occupavano le teste dei proprietari di suoni così soavi, eppure erano intrise della malinconia tipica degli ultimi giorni di agosto, brevi momenti in cui si era ancora liberi di svagarsi prima di tornare ai propri doveri, e sostituivano la pioggia battente, mentre le diverse teste rosse degli Weasley si aggiravano fra l'erba ben curata, come tante piccole formiche indaffarate a prendere cibo.
Rose sorrise involontariamente, notando Albus e Alice che cavalcavano insieme la scopa, lui con i capelli neri e spettinati al vento e lei con la lunga coda castana che volava dietro di lei, quasi come una scia di vapore data da un motore, spintonandosi l un l'altra alla ricerca del boccino che si agitava nel cielo azzurro.
C'erano anche altri nel cielo, fra cui Frank Longbottom, Lorcan e Lysander Scamander, Lily Luna e James Sirius Potter, che sembravano insieguirsi seguendo un complicato schema di gioco.
Rose, quasi inconsciamente, premette una mano contro il cancello e lo spinse, aprendolo su quel paesaggio tanto divertente.
Si stava già prefigurando la scopa del capanno degli attrezzi fra le sue mani, il leggero vento fra i capelli che le batteva in faccia e la libertà che l'abbandonava quando cavalcava una scopa, insieme alla sue vertigini che sembravano mettersi momentaneamente in pausa per consentirle quegli attimi di piacere.
Dietro di lei, sentii Hugo camminarle a passo veloce, fremendo per raggiungere la sua scopa.
Ron probabilmente stava andando dentro la Tana, trasportando i bauli dei figli in un impeto di altruismo che Rose non era più abituata a vedere.
Rose, a grandi falcate - quasi saltando, nonostante il dolore alla piante del piede - raggiunse il capanno degli attrezzi, sgusciando dentro seguita da Hugo.
Rose gli lanciò un occhiata, mentre afferrava la sua scopa.
Hugo inarcò un soppracciglio nella sua direzione, chinato in ginocchio per agguantare l'ultima scopa funzionante sotto l'armadio.
"Che c'è?"
"Dove hai messo il regalo?" Chiese lei, non riusciendo a nascodnere come voleva la nota offesa nella sua voce.
Certo, si era preparata a ricevere un rifiuto del genere, ma vedendo la reazione non violenta del fratello aveva ipotizzato che, questa volta, avrebbe tenuto il regalo - nonostante non lo avesse ancora aperto.
Hugo alzò gli occhi al cielo, scocciato, prima di rivolgerle un occhiata ironica.
"Non penso che a papà farebbe piacere vederlo" borbottò, tirandosi in piedi.
Rose gli si avvicinò, scrutandolo con gli occhi azzurri.
Nascondeva un regalo per paura di ferire Ron, ma poi teneva poster di Serpeverde e Merlino in camera sua in bella vista? Non era troppo credibile come scusa.
O mentiva, o ragionava seguendo pensieri incredibilmente strani.
Ma Rose non disse niente, rispettando il silenzio dei fratello.
Hugo sgusciò fuori dal capanno, seguito immediatamente dalla sorella.
Alice, dal cielo, si voltò verso di loro, sentendo i passi sull'erba leggera.
Li vide e sorrise, interrompendo per un attimo la caccia con Albus, e alzò una mano in segno di saluto.
Rose sorrise, preparandosi a salire sulla scopa. Hugo le si mise accanto involontariamente, facendo lo stesso.
Montarono sulla scopa nello stesso istante, alzandosi senza pensieri nel cielo turchese che si andava colorando sempre di più di viola, scontrandosi e perdendosi nello sfondo sfocato dell'orizzonte del sole.
Ora, col vento in faccia, Rose stava bene.
E mentre volteggiava nei venti amici che aveva imparato a conoscere dopo anno di allenamento, sentiva che, finalmente, le sue preoccupazioni erano rimaste atterra, ancorate nella formalità della concretezza, incapaci di alzarsi in volo e seguirla nel cielo azzurro.
Questa, era la cosa che apprezzava di più.

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