Capitolo 36

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Rose e Roxanne stavano avanzando in silenzio verso i sotterranei.
La campanella della prima ora di lezioni sarebbe suonata a breve, e le due cugine camminavano con passo affrettato verso l'aula di Pozioni, la materia che avrebbero avuto per la mattinata. Due ore, e già Rose iniziava a sentire un senso crescente d'ansia.
No, non perché non le piacesse Pozioni - anzi, si era rivelata anche molto brava in quel campo - né, tanto meno, perché il professore la metteva in soggezione - Lumacorno, nonostante gli anni che avanzavano, aveva trovato il modo di conservare la sua aura giovanile e simpatica, anche se un po' troppo pomposa - ma, per il semplice fatto, che Alice non era con lei. Rose non ricordava di aver mai fatto troppi passi ad Hogwarts senza la vicinanza e le battute e la compagnia della sua migliore amica.
Ma, sebbene anche Alice frequentasse quella classe, la castana aveva deciso di saltare l'ora. Aveva detto di non sentirsi bene, ma la mattina, nel bagno, Rose l'aveva trovata fresca come un fiore - certo, ansia, pentimento, arrabbiatura e occhiate a parte.
Rose sapeva che, in realtà, la sua amica non voleva trovarsi sulla stessa strada di Roxanne. Era stata una scelta saggia, rifletté Rose mentre il freddo che penetrava dalle mura di pietra l'avvolgeva come un presagio sinistramente accogliente, dato e considerato il carattere di sua cugina: Roxanne era capace di tenere il muso a qualcuno per una semplice offesa per così tanto tempo che, spesso e volentieri, si dimenticava il motivo della lite.
Era più o meno quando questa amnesia causata dal tempo e dalla rabbia - e anche da una recondita intelligenza che la mulatta non sapeva di avere - coglieva Roxanne stordendola e quasi rendendola vulnerabile, che lo sfortunato che l'aveva offesa si faceva avanti, implorando in ginocchio e condendo le sue scuse con argomentazioni più o meno logiche a seconda del QI della persona in questione. E Roxanne, la maggior parte delle volte, concedeva il suo perdono, non per bontà d'animo, né per la consapevolezza che ormai era grande e non poteva fare certe scene - anche se, tal volta, questa coscienza sbucava fuori - ma per il semplice fatto che era stanca di trattare male qualcuno.
Rose, tuttavia, sperava che non si dovesse aspettare tutto quel tempo per riuscire ad avere una riconciliazione fra la sua migliore amica e sua cugina: non se la sentiva di fare per mesi la spola tra Roxanne e Alice, venendo sbatacchiata da una parte all'altra con una violenza peggiore di quella usata con una bambola di pezza che non aveva sodisfatto i gusti o li sfizi della giovane propietaria; voleva credere più che altro che il buon senso cogliesse Roxanne, in un momento in cui il suo QI saliva alle stelle, e che la facesse rendere conto della grande cazzata che stava facendo.
Rose lanciò un occhiata in sottecchi alla cugina, mentre imboccavano delle scale che davano sul buio semi totale, vagamente sconfitto dalle tremuli candele che disegnavano un leggero cerchio di fuoco sul corrimano; una piega arcigna incurvava il labbro carnoso della ragazza, conferendole un minimo - notabile solo a chi la conosceva da tempo - e quasi invisibile espressione scocciata che rasentava una prossima sfuriata.
Rose sospirò, notando la determinazione negli occhi scuri della cugina; sebbene le sue speranze, il suo buon senso la informava - con una vocina estramamente fastidiosa - che la spola, forse, avrebbe potuto farla anche per il resto dell'anno.
Rose e Roxanne scesero altri gradini, faticando a vedere per via del buio. Le mura di pietra che le circondavano erano scomparse, lasciando solo rimbalzare l'eco dei loro passi, e solo un inquetante luce verde che proveniva dal Lago Nero lasciava intendere che si trovassero nel luogo giusto.
Si lasciarono alle spalle la vita movimentata e solare - luminosa più che altro - scegliendo di percorrere una via più buia e triste, popolata da tenebre e false ombre pronte ad ingannarle.
Rose degluttii; forse, per la prima volta, si chiedeva perché avesse voluto continuare pozioni, e , per un solo attimo, se ne penti.
Scomparvero nel nero, inghottite dall'oscurità.
Camminarono per il corridoio alla cieca, Roxanne con un passo spedito sconosciuto a Rose, e Rose procedendo piano, a tentoni, pronta a mettere le mani avanti in caso di un improvvisa caduta.
Dopo poco, una lieve luce giallognola, mossa da un gruppo di corpi non ben identificati, si affacciò alla loro visuale, come una pallida in cui era stata condensato un raggio di sole.
Sbucò e illuminò quel che bastava per capire dove si mettevano i piedi; Rose si ritrovò a ringraziarla mentalmente.
Roxanne alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
"Finalmente" sospirò sollevata, aumentando il passo e costringendo Rose a correre per starle dietro. Rose si ritrovò a sperare che la cugina iniziasse a sentire la stanchezza del mattino, che le intorpidiva le membra e le avrebbe cosensentito di starle dietro senza mozzarsi un fianco; purtroppo per lei, la rabbia privata la sera prima per Alice doveva averle riscaldato i muscoli, rendendola quasi immune alla rincoglionaggine tipico delle prime ore del mattino.
Rose maledii la sua dimenticanza per la pozione.
La classe, accalcata in stretti ranghi davanti alla porta dell'aula ancora chiusa, sembrava in una calma attesa: c'era chi, aiutato dalle tenebre, copiava segretamente i compiti svolti; chi, nascosto in un angolino, si dilettava a ripetere gli ultimi argomenti fatti l'anno passato; un gruppo di Corvonero, tra cui Cristian Bott, riconoscibile grazie alla cascata liscia e corvina che ricopriva le sue spalle come inchiostro nero, che chiacchieravano a un lato della porta, ipotizzando su cosa avrebbe vertato la prima lezione del sesto anno - e dell'anno in generale - di Posizioni.
Rose sorrise, muovendosi verso di loro.
Roxanne captò il suo movimento, e le rivolse una smorfia di dissaprovazione.
"Non se ne parla nemmeno" sibilò sotto voce, allungandosi di un passo e agguantadola per il gomito; Rose si fermò ancora prima che potesse fare più di un passo. "Non ho intenzione di stare con spocchiose Corvonero"
"Non sono spocchiose" ribatté Rose, tentando di nascodnere il risentimento nella sua voce con un finto tono scandalizzato: il Cappello Parlante aveva ipotizzato di metterla in Corvonero, ma alla fine aveva optato per la Casa di famiglia.
Roxanne alzò gli occhi al cielo.
"Sono cervellone. É la stessa cosa"
"Non é affatto vero"
"Si che lo é"
Rose strappò via il suo braccio dalle dita di Roxanne, senza grazia; la guardò accigliata, mentre la sua bocca si apriva per replicare. Dire che era indignata é un eufemismo.
Rosie, non puoi essere cattiva. Una vocina esplose nel suo cervello, una vocina chiamata 'Intellogenza' É un opinione di tua cugina, e va rispettata in quanto tale.
Rose storse la bocca.
É orribile.
Non priva la libertà di nessuno.
Eccetto la mia.
"Puoi non seguirmi"
Il tono le uscii più freddo di quanto avesse voluto, e anche le parole erano dure, con una cattiveria che lei mai gli avrebbe messo volontariamente; non se ne accorse fin quando non vide l'espressione di sua cugina: le iridi scure si stavano aprendo, come una porta che da su un salone sconosciuto, e qualcosa di vago e sincero si faceva spazio dentro di esse, avanzando con la luce dell'incredulità a tracciare il cammino.
Sorpresa.
Roxanne era sorpresa. Si era sorpresa del fatto che Rose potesse per una volta tirare fuori parole un po' più meno da lei.
Rose chiuse gli occhi, avvertendo i comuni spilli rotondi delle pupille che si erano puntante sulla sua schiena.
Forse non c'erano, ma la sensazione era ugualmente disarmante e disagio.
Le sembrava che fossero carboni ardenti, una specie di condensa calda che si univa per bruciare sulla sua pelle.
Non avrebbe dovuto essere così cattiva. Tutti l'avevano vista.

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