Capitolo 94

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Roxanne camminava velocemente. Andava avanti e indietro per la stanza, le mani attorcigliate l'una all'altra, e il labbro serrato fra i denti.
Frank la osservava con blando interesse.
"Ti serve qualcosa, Rox?" Chiese annoiato. Non si curò di nascondere lo sbadiglio che aveva spezzato le sue parole.
Lei si fermò. Si impuntò con le gambe, voltandosi di scatto verso di lui, i ricci neri che fendevano l'aria. "Stai scherzando?"
"Io?" Frank si indicò "No. Assolutamente"
"Mi vorresti dire che non sai perché sono qui? Che non lo immagini nemmeno?"
"Roxanne, non sono un Legilimets e di certo non prevedo il futuro. Per sapere le cose ho bisogno che qualcuno me le dica"
Roxanne gli lanciò uno sguardo accigliato. Si torturò l'orlo della manica, indecisa.
Quando Frank l'aveva vista arrivare, completamente sconvolta da qualcosa, non aveva aspettato tempo per aprire la sua Sala Comune e farla entrare. Non aveva nemmeno esitato a portarla su, nel suo Dormitorio - anche se ciò non significava non fosse scocciato di vederla - collezionando le attenzioni curiose dei suoi compagni di Casa, che però si erano astenuti dal fare qualsiasi tipo di commento. Certo, ora c'erano abituati: Frank, da novembre più o meno, usciva con una ragazza diversa. Si sorprendeva perfino lui di aver tanto successo in quanto a galanteria: non si era mai considerato particolarmente bello o spiccato per una conversazione a due prolungata.
Però, non appena chiedeva alle ragazze di fare un giro per in castello o a Hogsmede, queste accettavano, anche felici. Forse Frank possedeva un fascino a lui ignoto - magari il ragazzi timido e impacciato colpiva ancora le ragazze, che si sentivano stranamente tranquille e filasse con lui - o forse, più probabilmente, si era semplicemente sparsa la voce che non voleva una storia seria, che dopo una volta non vedeva più quelle ragazze, del fatto che le scaricasse la mattina dopo. E le ragazze erano attratte da chi le faceva soffrire - un controsenso, dato che poi passavano mesi a dare la colpa a certi soggetti - quindi cadevano ai suoi piedi non appena rivolgeva loro uno sguardo.
Frank ricordava che, la prima volta che aveva chiesto a una ragazza di uscire, non era stato facile. Lo aveva fatto tre volte, prima di poter ottenere un si.
Ora invece era molto più semplice. Le ragazze agognavano di poter essere solo una della lunga lista personale di ragazze di Frank - altro controsenso sul quale Frank non voleva indagare. Chissà, forse consideravano un onore farne parte.
Forse si era perfino guadagnato la nomina di puttaniere - ironico, considerato perché lo stesse facendo, e che, per inciso, non stava funzionando - ma la cosa non gli dispiaceva.
Comunque. Non era certo per fare parte di quella lista che Roxanne  si trovava lì in quel momento. Con lei aveva legami più...commerciali, se proprio si devono indicare.
Il loro patto, che lei gli aveva rinfacciato a Hogsmede prima di partire per le vacanze di Natale, era la salda ancora che teneva Frank allacciato a Roxanne e viceversa.
E Frank, anche se aveva detto di non avere la più piccola delle ipotesi che potesse spiegare la visita di Roxanne da lui, sapeva che c'entrava quel patto. Però sperava di no. Lo sapeva, tanto che aspettava solo lei tirasse fuori l'argomento.
Lui non avrebbe fatto il primo passo per parlare. Poco ma sicuro.
Voleva ritardare quel momento fino all'ultimo. Fino a quando sarebbe stato possibile.
"Abbiamo esagerato" disse Roxanne in un soffio di voce.
Frank sentii le sue speranze crollare, cadergli addosso come un castello di carte: leggere e taglieri.
Sbuffò. É finito la possibilità di ritardare la conversazione.
"Roxanne" sospirò passandosi una mano sul viso "ormai é fatta"
"Ma non possiamo lasciare le cose così!" Esclamò lei, inpanicata. Balzò sul posto un paio di volte, saltando fino a far venire mal di testa a Frank.
Fran si alzò in piedi. "Va bene" Sibilò, poggiando le mani sulle spalle di Roxanne e costringendola a stare ferma; lei inclinò la testa di lato, aspettando con ansia le sue parole  "ma ho bisogno di pensare. E, per farlo, devi stare in silenzio" completò Frank, più brusco di quanto si fosse immaginato.
Roxanne rimase immobile un paio di secondi sotto le sue mani. Poi gli fece una smorfia, spostando con poco garbo le mani di lui dalle sue spalle.
Lo guardò con la bocca serrata in una linea sottile. Fece un passo indietro.
"É tutta colpa tua" sputò.
Un campanello suonò nella testa di Frank. Serrò i pugni lungo i fianchi, fissandola in cagnesco"Mia? Mia? Devo ricordarti che sei stata tu a chiedere il mio aiuto?"
Roxanne si passò una mano fra i capelli, afferrando i ricci e tirandoli con insolito sgarbo.
"Questo...non c'entra"
"Oh, si che c'entra!" Ribatté Frank, arrabbiato "c'entra eccome!"
Lei lo guardò distrutta. "Frank..."
"Sei stata tu a voler vendicarti di Alice!" Urlò lui "Tu" le puntò un dito contro con tanta veemenza che Roxanne trasalii "tu hai mosso tutto questo piano!"
"Dovevi fermarmi! É tua sorella!" Rox era sempre più in panico.
"No." Sibilò Frank, la voce tanto bassa che si chiese se Roxanne lo sentisse ancora "Sei tu che non dovevi chiedermi aiuto. Lo sapevi che io avrei fatto di tutto pur di farla..." Lasciò la frase in sospeso, consapevole che Roxanne aveva capito. Distolse lo sguardo, quando le iridi scure della ragazza presero una nota allibita e incredula.
Lei lo fissò sconvolta. "Come puoi dire questo?" Gemette.
"Hai la faccia di dirmelo?" Domandò calmo Frank. "hai sul serio la faccia di dirmi come posso dire questo."come di permetteva lei, che aveva fatto di peggio, a dire a lui una cosa del genere? Come? Con quale falsa certezza che lei fosse nel gusto? Fece un passo avanti, sempre più freddo "tu... Tu hai fatto un casino solo per una stupidissima litigata con Alice. Cosa era successo? Te lo ricordi ancora?"
Lei scattò all'indietro. "Sai che me la prendo quando..."
"Quando le persone della tua famiglia hanno opinioni diverse dalle tue" completò Frank. "Sì, Roxanne. So che te la prendi" il suo tono secco parve quasi inaridire la ragazza.
"Beh, ciò non toglie che é esagerato. Non possiamo trovare giustificazioni" disse Roxanne dopo diversi minuti di silenzio. Si lasciò cadere senza fiato sul letto di Frank. "Dobbiamo trovare una soluzione"
"Perché?" Chiese Frank, seriamente non capendo. Era passato, no? Già successo mesi prima, e nessuno aveva avuto conseguenze gravi. Perché Roxanne vi dava tanto peso? "Albus e già uscito con Sam. Tanto tempo fa.
Alice li ha visti, come hai detto, ma non mi pare abbia avuto chissà quali ripercussioni. Ora sta bene" ricordò a Natale, quando lei gli aveva chiesto perché lui la odiasse tanto. Come se potesse capire "é inutile pensarci. Non é successo nulla di grave, e dubito succeda ora che sono passate settimane. Probabilmente sia Albus che Sam che Alice lo hanno dimenticato. Meglio no?
"Potrebbe non essere così" disse piano Roxanne.
"Io non ci penso più." Frank scosse le spalle "Dovresti farlo anche tu."
Roxanne si passò una mano fra i capelli. "Ma..."
"Rox" la voce di Frank non ammetteva repliche "ormai é passato"
Roxanne lo guardò. Sembrava terrorizzata a morte, gli occhi sgranati e il nero dell'iride che aveva inglobato la pupilla. "Forse l'abbiamo fatta soffrire troppo. Forse non se lo meritava. Anzi, non se lo meritava.
Alice...é buona, gentile io...oddio, le ho fatto pesare una cosa da niente"
"Finalmente te me sei accorta" commentò distaccato Frank.
Roxanne balzò in piedi. "Sì, ma avresti anche potuto farmelo notare prima.
Abbiamo fatto una cosa sbagliata, Frank. Alice non se lo meritava. E io..."
"Ti senti in colpa" concluse lui.
Roxanne lo guardò sorpresa. Aprii la bocca come per ribattere, poi la richiuse e rimase a boccheggiare come un pesce. Alla fine annuii, risedendosi piano. "Si" ammise "molto"
Fran rimase in silenzio per tanto tempo.
A volte davvero faticava a capire Roxanne. Quando era arrivata, la prima volta, ormai a inizio anno scolastico, sembrava furiosa. Frank aveva avuto l'impressione che lei avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farla pagare a Alice. L'ira, rabbia, si agitavano in lei come un unica sostanza, come energia di vita.
Un ottima rabbia da usare e incanalare contro Alice.
E Frank ne aveva approfittato. Aveva usato la rabbia che Roxanne provava verso sua sorella per i suoi scopi.
Era un ottima occasione, da non sprecare. Una rabbia così intensa, folle, che sarebbe stato un vero spreco gettare.
E Roxanne non si era quasi resa conto che lui l'aveva aiutata a pianificare quel piano per i suoi obbiettivi.
Non per altro. Sospettava che la ragazza lo sapesse, nel profondo, ma la conoscenza del subconscio non si era estate alla parte razione e consapevole del resto.
E alla fine Frank non si era nemmeno sprecato tanto. Probabilmente, se Roxanne non fosse stata tanto accecata dalla rabbia, avrebbe potuto organizzare quel piano anche da sola - certo, Frank aveva preferito mille volte essere chiamato, ma era rimasto deluso dalla facilità con la quale avrebbe fatto soffrire sua sorella...così giusto perché se lo meritava, in barba a ciò che aveva appena detto Roxanne.
Avevano semplicemente detto a Albus di uscire con Sam e passare sotto la Torre di Grifondoro. Niente di più.
Il resto lo aveva fatto Alice svegliandosi e beccandoli dalla finestra del loro Dormitorio.
Alla fine sospirò. Alzò le mani.
"Sei stata tu a dire che Alice sarebbe stata più gelosa di Sam che di chiunque altro" riassunse velocemente, e gli parve che Roxanne incassasse la testa, come se si vergognasse. Ma era solo una sensazione "E poi volevi aiutare tuo fratello, no? Sei stata tu a confidarmi che Alice ti aveva detto le piacesse Albus, il primo settembre.
Hermione II era a una ronda, vero?"
Roxanne annuii piano. "Quando é tornata ci aveva quasi beccato a parlarne." Sorrise. Poi tornò immediatamente seria, in modo tanto repentino che Frank sgranò gli occhi "subito dopo abbiamo litigato per Colin Canon. Ma questo non é importante" disse subito, sorridendo all'espressione confusa di Frank.
Lui fu sul punto di chiedere spiegazioni, ma alla fine cambiò idea.
Scosse la testa. "Beh, Roxanne, non so che dirti. Ormai é passato, nessuno ci sta pensando più.
Dovresti farlo anche tu"
Roxanne si passò a ancora una mano fra i capelli. Se avesse continuato così, pensò Frank, non avrebbe dovuto sorprendersi se delle ciocche le ramanevano impagliate nelle dita.
"Non lo so" disse mordendosi il labbro.
Frank la osservò. Così, con lo sguardo scuro fisso in avanti, l'esperienza contrita e il labbro carnoso stretto fra i denti, che non faceva altro che risate quanto fosse pieno, la ragazza era davvero bellissima.
Una di quelle che, se non fosse stata così fissata con gli scherzi e con le parolaccie, probabilmente tutta la scuola le sarebbe andata dietro.
Ed era in quella posizione, quella espressione che fa impazzire tutti i ragazzi, quella che fa venire l'impulso di baciarla - sopprattutto se metterla su era una bella ragazza come Roxanne.
Ma Frank non sentiva niente di tutto ciò. Niente di niente.
Non voleva sporgersi e far combaciare le loro labbra, non desiderava ardentemente stringerla fra le braccia, non agognava sentire la pelle di lei contro la sua.
Eppure si stava sforzando. Sforzando di sentire qualsiasi cosa. Un emozione, un istinto maschile che lo portava a fare quello che tutti i ragazzi fanno normalmente.
Ma niente. Lui sentiva il vuoto totale.
Perché? Perché non aveva quegli istinti? Perché non era come gli altri?
Perché, cavolo, perché lui doveva sempre essere l'alternativo? Quello che non si rispecchiava nei caratteri standardizzati?
Perché non desiderava cose che invece gli altri, al posto suo, avrebbero pagato per avere?
Perché non era come gli altri?
"Va bene" Roxanne si alzò, e Frank distolse gli occhi. Poi ci ripensò, puntandoli sotto la schiena.
Ma sentii solamente il nulla ancora. "Io...me ne vado"
"Alleluia" sbuffò Frank, scortese. Non c'è l'aveva con lei, ma il fatto di averle visto il sedere e non aver sentito nemmeno il più piccolo scatto dentro di sé lo aveva irritato. E infastidito "vai. E vedi di tornare qui solo se é necessario a livelli estremi"
Roxanne lo guardò male. Incrociò le braccia al petto, accigliandosi. "Troppo gentile, grazie." Borbottò.
Barcollò fino alla porta del Dormitorio, poggiò la mano sulla maniglia e si fermò. Un attimo dopo si voltò verso Frank, lo sguardo accigliato. "Ah proposito. La gentilezza non era una caratteristica dei Tassofrasso?"
"No. Quelli sono i figli dei fiori.
Noi siamo adolescenti"
Roxanne non gradii la sua battuta. Strinse le labbra, voltandosi e uscendo dal Dormitorio.
Frank sbuffò, gettandosi sul letto.
E anche questo era andata. Dissuadere i dubbi e i rimorsi di Roxanne: fatto.
Bene.
Frank si girò di lato nel letto. Poi ancora, ancora e ancora.
Sbuffò, mettendo la testa sul cuscino.
Non sapeva che fare.
No, non era vero. Lo sapeva.
Ma interrogarsi su quella questione gli faceva male. Gli metteva tanti dubbi addosso.
Per questo cercava un occupazione. Qualsiasi occupazione, che gli permettesse di distrarsi, di avere una scusa per non pensarci.
Ma non poteva. Ora era solo, senza niente da fare, e per di più con il silenzio a circodnarlo, cosa che lo angosciava più di tutte.
Poi venne salvato.
Qualcuno bussò alla porta del Dormitorio. Sì, cavolo, era esattamente quello che gli serviva! Una distrazione servita su un piatto d'argento, che addirittura era venuta da lui senza che facesse niente!
Cosa poteva desiderare di più?
Frank alzò il capo. "Chi é?"
La voce che sentii in risposta gli fece gelare il sangue nelle vene.
"Frank? Frank, ci sei?"
No cavolo. Tutto ma questo no.
Frank degluttii. Si alzò sulle braccia, guardando la porta come se fosse un mago che gli puntava contro una bacchetta.
No pensò a un tratto Frank, sgranando gli occhi se fosse qualcuno che vuole uccidermi sarebbe anche meglio.
"Puoi entrare" disse Frank. Poi si diede dello stupido. Cavolo. La voce gli era tremata. Si era sentito tanto? Forse però l'altro non se ne era accorto.
La porta del Dormitorio si aprii piano, e una testa castana fece capolino dentro la stanza. "Frank" Lorcan posò gli occhi su di lui. Poi si passò una mano tra i capelli. "Va tutto bene?"
Ecco Frank si sentii sbiancare ha sentito che tremavo.
Lorcan entrò nella stanza. Non era a disagio, per niente, ma sembrava comunque guardare restio nella direzione di Frank. Chiuse la porta alle spalle, incrociando le braccia al petto.
"Ho visto Roxanne uscire di corsa" disse diretto, certo, lui era uno che andava subito al punto. Lorcan si appoggiò al muro, lo sguardo azzurro stranamente turbato "é successo qualcosa?"
"No." Rispose Frank "solo una piccola litigata"
Per quanto gli volesse bene, non aveva alcuna intenzione di dire il perché. Che aveva voluto fare soffrire sua sorella giusto per il gusto di vederla stare male - che poi non se lo era neanche goduto, visto che Alice si era chiusa in se stessa, decidendo di non mostrare apertamente il suo dolore (una vera perdita per Frank).
Lorcan non sembrava convinto. "Sicuro?" Gli chiese, affilando i grandi occhi azzurri a palla.
Frank sentii il suo cuore accelerare. Anche se non di certo uno sguardo amichevole quello che Lorcan gli stava rivolgendo, e Frank lo sapeva bene, lui non poteva fare a meno di sentire quelle cose, sentire una specie di lotta nel suo stomaco, le membra che si eletrizzavano e i nervi tesi, pronti come se avesse dovuto accoglierlo all'improvviso.
E lo stava maledicendo. Tutto, nella sua testa.
Non era normale, sentire quelle cose.
Non li, non per lui.
Frank si alzò. Finse di guardare fuori dalla finestra, coprendo il fatto che in realtà non reggesse lo sguardo indagatore di Lorcan.
"Sì, Lorc, abbiamo risolto." Rispose.
Forse il suo amico - sentii una stretta al cuore in prossimità di questa parola - si rese conto della sua finta, ma parve decidere di non infierire oltre.
Forse sapeva che Frank non aveva fatto niente di male. Niente a Roxanne, per lo meno.
"Bene" Lorcan gli sorrise. Poi il suo sguardo si incupí "si può sapere cosa guardi? Qua c'è solo terra"
Frank sbatté le palpebre, e mise a fuoco la finestra. Un quadrato di terra più scuro del resto.
Si affrettò a distogliere lo sguardo.
Stupido.
E poi li vide. I suoi occhi scuri incontrarono quelli schiari di Lorcan, in una intensità di sguardo che gli tolse il fiato.
Ecco. Di nuovo quelle sensazioni. Il cuore che viaggiava veloce nel petto, e la pancia parve saltargli in gola da quando era emozionato.
Non riuscii a trattenersi. Fece un minuscolo passo in dietro.
Lorcan non se ne accorse, la distanza era variata in modo minimo, ma per Frank fu abbastanza per avere l'illusione di aver di nuovo il controllo della situazione. Di essere uscito dal raggio di azione dell'effetto che la presenza di Lorcan gli provocava.
Che Lorcan non avesse più effetto su di lui.
Però quelle sensazioni c'erano ancora.
Ma Frank cercava di non darci peso. Non poteva darci peso.
"Ve bene" Lorcan gli sorrise ancora, poi si voltò e uscii dal Dormitorio.
Frank si ritrovò di nuovo immerso nel silenzio. L'eco della porta che sbatteva si era spento da un pezzo, assorbito dalle pareti di pietra che lo circondavano, eppure Frank pensava ancora a lui, al suo viso.
Era perfetto. Gli occhi-
No Frank si fermò ancora prima che potesse iniziare a ragionare. Si incamminò a lunghi passi verso il letto, buttandosi sopra di esso con poco garbo. Abbassò le palpebre conto il cuscino, cercando di svuotare la mente.
Gli occhi azzurri di Lorcan, però, erano ancora dietro le sue palpebre chiuse. Frank sbuffò, mettendosi supino.
Ecco perché era uscito con tutte quelle ragazze. Perché voleva dimenticarlo, convincersi che sentiva quelle cose solo perché non aveva mai provato a stare con una ragazza. Che in realtà era diventato tanto disperato da pensare che la compagnia di un altro maschio a lui piacesse.
Che non poteva essere...
Tutte quelle uscire, tutti gli sforzi che aveva fatto, erano stati vani.
Non aveva funzionato. Quando era con loro non provava niente.
Quando una ragazza si avvicinava a lui sentiva solo il più totale vuoto.
Forse non è quella giusta pensava, ma quando si esce con mezzi castello quella giusta si dovrebbe trovare, no?
Niente battito che accelerava, brivido o la voglia di sporgersi a baciarle.
Assolutamente nulla. Il vuoto più totale.
Invece, ogni volta che vedeva Lorcan...si sentiva vivo. Sentiva come se fosse rinato, sentiva la voglia di vederlo sempre, il desiderio di stringerlo a sé.
Ed era sbagliato. Erano due maschi.
Non poteva funzionare. Nessuno avrebbe voluto che funzionasse.
E ora, nonostante si fosse tanto sforzato di non sentire niente, di sopperire quelle sensazioni, era punto e daccapo.
Con le ragazze non provava niente, ma quando Lorcan era in vista il suo cuore galoppava nel petto.
Forse era solo confuso. Una stupida coincidenza.
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La Torre di Astronomia era sempre stato il suo posto preferito.
Il vento in faccia, la vista del giardino di Hogwarts, i piccoli studenti che si muovevano sullo sfondo verde come formiche, tutte cose che gli davano uno strano senso di superiorità, un potere che non avrebbe mai avuto il diritto di usare.
L'aria, lassù, era pulita. C'erano tante finestre per far entrare la luce, e ottimi posti per nascondersi se qualcuno fosse venuto a cercarlo. I telescopi, posizionati qua e là nella stanza che la ornavano con la loro elegante presenza, non facevano altro che incrementare l'atmosfera mistica che tanto lo affascinava.
Da quando era a Hogwarts, quel posto era diventato sinonimo di un luogo tranquillo, dove rifugiarsi per pensare. Ci andava spesso, e con gli anni che passavano le visite a quel luogo erano aumentate.
Ma lo rendeva tranquillo, gli dava un senso di calma e sicurezza che in nessun altro luogo, nemmeno a casa sua, riusciva a avere. A trovare.
Per questo aspettava con ansia il ritorno a Hogwarts. Per poter andare lì, guardare il cielo che si tingeva sempre più scuro e il sole morire all'orizzonte, baciando di oro, rosso e arancio le chiome della foresta Proibita, fino a farle diventare poi solo figure nere contro la notte ancora più scura.
Era diventato un posto dove rifugiarsi. Rifugiarsi da tutto, e da tutti.
Rifugiarsi anche da sua sorella, alle volte. Certo, era gentile, ma lui aveva bisogno di stare solo in certe occasioni.
E quel luogo faceva al caso suo.
Ultimamente, però, aveva assunto un altro lato positivo, abbastanza macabro.
Quella torre era così alta che se avesse voluto buttarsi giù sarebbe morto subito, nell'impatto.
Forse anche nella caduta. Doveva mettere una paura incredibile.
Hugo sospirò, seduto sul davanzale della finestra. Si sporse oltre il muretto, osservando la terra molti metri sotto di lui. Quanto era alto?
Cinquanta metri? Settanta? Forse anche cento.
A differenza di Rose, lui non aveva mai avuto problemi con le altezze. Poteva stare in piedi anche su una fune sospesa nel vuoto: non avrebbe ugualmente sentito la paura che invece coglieva sua sorella. Lei diceva che lo ammirava, e si chiedeva come facesse.
Per Hugo era normale. Stare in alto era quasi il suo elemento. Rose gli aveva detto che lei, per stare in un posto elevato, aveva necessariamente bisogno di un oggetto sicuro. Gli aveva detto che la faceva sentire tranquilla, qualcosa a cui aggrapparsi per allontanare la paura.
All'inizio Hugo aveva pensato lo prendesse in giro. Poi aveva capito:
L'oggetto sicuro di cui tanto decantava Rose esisteva, e la faceva sentire sul serio più tranquilla.
Era la sua scopa. Ecco svelato il mistero di come potesse soffrire le vertigini e essere un ottima giocatrice di Quiddich.
Hugo si strinse le gambe al petto. Le cinse con le braccia.
Le parole di suo padre gli viaggiavano nel cervello come un vento freddo. Hugo rabbrividí, stringendosi maggiormente le ginocchia al petto. Lanciò uno sguardo al sole all'orizzonte. Le fronde degli alberi erano piegate come da una mano gigante.
Forse faceva effettivamente freddo.
Scosse la testa. Non gli importava del freddo, e nemmeno di prendersi un qualche malanno. Se fosse stato male, avrebbe soltanto riportato parzialmente l'equilibrio delle cose.
Lui meritava di stare male. Meritava di passare le notti in un letto di Infermeria con la febbre alta in preda a dolori atroci. Già, venire sulla Torre di Astronomia era anche un desiderio masochista.
Lui aveva ucciso sua madre. Aveva privato sua sorella dell'amore che solo Hermione le avrebbe saputo dare.
Non si meritava di stare tranquillo, sano e bene.
Nella sua testa, le parole di Ron si intensificarono, come se Hugo avesse alzato il volume. Incassò la testa fra le ginocchia, sperando vigliaccamente e vanamente di fuggire a quella tortura.
Ovviamente, pensava tutto quello che aveva detto. Che avrebbe preferito Ron convincesse Hermione a abortire, ed era anche d'accordo con suo padre.
Ma ciò non voleva dire che non soffrisse. Che non stesse male anche lui.
E poi si puniva per questo. Lui non aveva il diritto di stare male.
Era colpa sua. E lo sapeva da tanto tempo, anche da prima che Rose dicesse di aver trovato la telecamera e Ron raccontasse la storia.
Dopotutto, lo aveva voluto lui.
Il desiderio di sapere qualcosa, di trovare delle immagini di Hermione, dei momenti - che avrebbero sostituito quello intimo che lui non aveva - di lei nei quali rifugiarsi quando la mancanza si faceva troppo forte lo aveva spinto a indagare.
A cercare le informazioni. Di qualsiasi tipo.
E poi, girando fra un libro a un altro, era incappato nella verità. Quasi per caso. Certo, quella donna lo aveva aiutato, ma aveva semplicemente confermato ciò che Hugo aveva già iniziato a sospettare.
Hugo sapeva già da tempo di aver ucciso sua madre, e il sapere che lei conosceva cosa sarebbe successo se avesse continuato la gravidanza, lo aveva quasi distrutto.
Era esattamente tutto quello che aveva tenuto.
Lei aveva dato la vita per lui, ma lui non meritava il suo sacrificio. Lo avrebbe meritato Rose, come meritava una madre, mentre Hugo non si era guadagnato un centesimo di quello che Hermione aveva fatto per lui. E questo lo faceva sentire malissimo.
Però si, Hugo sapeva già da tempo cosa aveva fatto quando non era nemmeno un infante. Cosa aveva combinato appena venuto al mondo.
E, seppur era d'accordo con suo padre, ciò non significava che il sentirgli dire quelle cose, che avrebbe preferito che Hermione abortisse,  non gli facesse male. Che il sapere in anticipo di essere un assassino aveva indolato la pillola. Non lo avesse fatto soffrire.
Al contrario. Gli sembrava una pugnalata al petto. E forse era stato proprio il fatto che fosse stato suo padre a dirgli quelle cose. Hugo avrebbe sopportato il fatto che fosse Rose a dirlo, che lei si arrabbiasse con lui, ma non che lo facesse Ron.
Quello era stato un colpo troppo basso.
Ma quello decisivo era stato un altro.
Quello che lo aveva mandato al tappeto, che lo aveva fatto perdere definitamente, era un altro.
Era il fatto che Rose non si fosse arrabbiata. Che non c'è l'avesse con lui.
Che anzi, tentava di consolarlo.
Questo aveva distrutto Hugo come un Crucio.
Lui non si meritava la sua gentilezza.
Lei avrebbe dovuto arrabbiarsi, e il fatto che non lo era non faceva altro che far sentire Hugo sempre peggio.
Si chiedeva ancora con quale forza di volontà Rose non c'è l'avesse con lui. Se fosse stato al contrario, Hugo sapeva benissimo che lui c'è l'avrebbe avuta a morte con Rose.
E ciò lo faceva sentire ancora più in colpa.
Hugo si alzò in piedi. Il terreno era sola una macchia indistinta di verde, sulla quale avanzava le oscurità, con la completezza di una macchia di inchiostro, a passo con l'abbassarsi del sole all'orizzonte.
Lanciò uno sguardo al terreno. Era buio.
Se si fosse buttato, nessuno lo avrebbe visto in tempo per salvarlo.
Nessuno lo avrebbe visto e basta. Nessuno avrebbe voluto salvarlo. E come biasimarli? Lui aveva portato via la donna più intelligente della sua età, come poteva pretendere che l'intero mondo magico non c'e l'avvesse con lui? Quando era appena un bambino aveva ucciso una donna che era una risorsa per tutta la comunità magica, sia per la sua forza che per i giusti principi. Era logico che gli altri maghi c'è l'avessero con lui.
Che volessero la sua morte per saldare il debito.
Hugo scosse la testa. Si voltò e balzò giù.
Il suono dei suoi piedi sul freddo pavimento della torre rimbombò per tutte le pareti. Il silenzio immediatamente dopo lo lasciò inqueto.
Hugo lanciò una occhiata alle sue spalle. Il sole era diventato solo un piccolo arco dorato, che brillava tenuemente mentre la luna si stava già alzando nel cielo nero.
Avrebbe illuminato il castello solo per poco tempo, poi tutto sarebbe ripiombato nel silenzio, amaro e ininterrotto di sempre.
Era ora di tornare alla sua Sala Comune.
Hugo scese le scale a chiocciola quasi a occhi chiusi - ormai conosceva troppo bene quel posto per farsi dei problemi su dove mettere i piedi.
Arrivato alla fine, si fermò, guardando in alto, dove i gradini scomparivano in una macchia di nero.
Una volta Rose gli aveva detto che aveva paura di salire quelle scale. Che le vertigini la prendevano anche la e che, visto che non poteva portarsi la sua fidata scopa, le lezioni di Astronomia erano le peggiori.
Per Hugo, invece, era come camminare per strada normalmente. Non si sentiva strano, e tanto meno non provava il senso di cadere.
A lui veniva naturale. E non capiva come mai Rose provasse una tale paura.
Lei era una Grifondoro! Il coraggio non era forse la caratteristica principale della loro Casa?
Però lui non capiva come facesse Rose a parlare di sangue e aprire le persone come se niente fosse. A lui faceva impressione, e non si sarebbe mai prestato a un intervento. Nemmeno ad assisterlo.
E Rose, probabilmente, non capiva perché Hugo fosse tanto restio ad ascoltarla parlare di MediMagia. Ma non era colpa sua: il senso di vomito era poi forte di qualunque altra cosa.
Erano pari.
Hugo si girò e prese a correre lungo i corridoi di Hogwarts. Superò la Sala Grande, le cucine, la Sala Comune di Tassofrasso e poi, finalmente, scese nei sotterranei.
Il freddo era intenso, ma Hugo a stento ci fece caso. C'era abituato, e non era troppo distante da quello che lo aveva accolto per tutto quel tempo sulla torre di astronomia.
Arrivò davanti alla porta della Sala Comune, la maniglia a forma di serpente immobile. Hugo disse la parola d'ordine e questa si mosse, lasciandolo entrare.
All'interno della Sala, verde, vide immediatamente suo cugino, che parlava fitto con Scorpius Malfoy. Il primo sembrava divertito, mentre il secondo scocciato, scandalizzato e oltraggiato al tempo stesso.
Un bel mix, insomma. Ci voleva concentrazione per poter essere tutte e tre le cose contemporaneamente.
Hugo non ci sarebbe mai riuscito. Rose si, ma sono perché lei era tanto empatica da capire tutti.
Poco distanti da loro, Hugo vide Medelain Heartquake. Quando i suoi occhi verdi incrociarono quelli scuri di Hugo, la ragazza gli sorrise smagliante, in un modo che fece gelare il sangue nelle vene al ragazzo.
Hugo scosse la testa, poi prese una direzione e si sedette il più lontano possibile da Medelain, Albus e Malfoy.
Non voleva parlare con nessuno. Si guardò intorno nella Sala, sentendo quasi i brividi mentre capiva qualcosa che avrebbe dovuto comprendere molto tempo prima.
O meglio: lo sapeva fin da prima, ma non si era reso conto, adesso, di averne la conferma.
La sfumatura verde della Sala gli diede la nausea. Un attimo dopo lo fece sentire a casa, in linea con ciò che era.
I Serpeverde erano rinomati in un campo, nel mondo magico: le Arti Oscure.
Tutti i Serpeverde erano cattivi.
Quasi gli aggiunse la voce di Albus nella testa. Ormai suo cugino gli aveva ripetuto talmente tante volte che la Casa di appartenenza era solo un nome che Hugo si correggeva in modo automatico.
Hugo lanciò una breve occhiata al muro. I nomi dei Serpeverde che si erano battuti contro Voldemort brillavano sotto la tenue luce, ormai quasi spenta, che filtrava da sotto il Lago Nero. Sembravano piccole stelle nel firmamento, troppo distanti nel tempo per capire il loro sacrificio. La natura di esso.
Saverius Piton, Regulus Black, Blaise Zabini. Avevano tutti dato la vita per un posto migliore.
Si erano schierati contro Voldemort ed erano morti.
Loro erano Serpeverde buoni.
Albus aveva ragione. Non tutti i verdi-argento erano fanatici del sangue puro o delle arti oscure.
Hugo scosse la testa. Quello non era certo il suo caso.
Poco importavano i nomi incisi su quelle targhette. Lui non apparteneva certo a quegli eccezionali Serpeverde che avevano scelto il bene. Dopo quello che aveva fatto, dubitava di sarebbe mai rientrato. Era sicuro di ciò.
Come era sicuro del perché fosse finito in Serpeverde. La risposta lampeggiava nella sua testa come un insegna al neon.
E Hugo l'accettò, anche se sentii una fitta di dolore in prossimità del letto.
Adesso non c'erano scusati.
Lui era un Serpeverde perché, nell'intimo, era un assassino.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora