Memory

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Due mesi.
Il calendario, appeso al muro davanti a lei che ondeggiava innucuo, come a sbeffeggiare la sua aria contrita e concentrata, diceva chiaramente quanto tempo fosse passato, quanti giorni fossero trascorsi e quante volte la lancetta delle ore aveva svolto un giro completo. Luna quasi stentava a crederci. Le sembrava ieri che era successo tutto.
Due mesi, otto settimane.
Erano stati due mesi di stallo, silenzio incredulo e battute soppresse. Versi sorpresi, respiri sospesi in un baratro più profondo della mortalità. I principi sciolti, lacrime donate al vento sperando che potessero abbandonarci per sempre, e urli strazioniti di chi ancora rinnegava la catastrofe.
Liberati, sperando che potessero lasciarseli alle spalle, non trovarli mai più, quando invece stavano solo alimentando il loro dolore. Nessuno, a parte Luna stessa, capiva che la terra non era tonda, ma in salita.
Ciò che veniva lanciato, scagliato con una forza tale da lasciare interdetti le persone, non percorreva una docile curva per poi sparire oltre l'orizzonte e non tornare mai più. No, si librava nell'aria, sospeso dalla potenza e dall'intensità del desiderio di smettere di soffrire, e descriveva una linea retta e verticale, stagliandosi alto e scuro come una nube, un presagio oscuro, dentro l'immenso cielo della vita sconfinata; e poi scendeva, la picchiata accompagnava da un fischio stridulo e inquetante, di avvertimento, e ripiombava con più forza verso chi aveva lanciato quelle lacrime, quel dolore.
Due mesi, otto settimane, sessantuno giorni.
Sessantuno giorni senza di lei, senza Hermione. Niente più i suoi sorrisi, le parole, le perle di saggezza. Senza più la sua felicità, la sua parlantina svelta e la gioia negli occhi di Rose e Ron.
Senza niente di niente. Niente che appartenesse a Hermione. Lei li aveva lasciati, rompendo le catene della vita e lasciando che la placida pace e l'immensa tranquillità l'avvolgessero come una coperta, facendola brillare di un calore disumano e una aura angelica, come un diamante liquido sepolto sotto il mare. Il mare della morte, del dolore e del non ritorno.
A Luna sembrava ieri che le aveva annunciato, euforica, di essere incinta del secondo figlio. Non le sembrava fosse passato tutto quel tempo. Non ne aveva proprio sentito lo svolgersi.
Due mesi, otto settimane, sessantuno giorni e millequattrocento sessantaquattro ore.
Tante di quelle ore che Luna aveva passato sensa Hermione. Che Ron aveva passato senza moglie. Che Rose e Hugo avevano passato senza madre.
E non era temporaneo. Sarebbe stato sempre così.
A Luna doleva, non poteva farci niente. Nessuno avrebbe ridato a Ron la donna che amava, a Rose la madre che le sarebbe stata accanto sempre e comunque, fregandosene del giudizio degli altri, che l'avrebbe protetta come solo una madre sa fare. E a Hugo la persona che aveva dato tutto pur della felicità degli altri.
Nessuno avrebbe più conosciuto Hermione Granger, e niente avrebbe mai potuto rimpiazzare il vuoto che la consapevolezza della perdita avrebbe scavato nella coscienza dei tre Weasley. Che avrebbe brillato, come una ferita aperta, sotto il sole degli eventi lieti e vivi, dove Hermione non era più ammessa.
Nessuno, neanche rifugiarsi nei ricordi, avrebbe restituito ciò che era loro di diritto.
Due mesi, otto settimane, sessantuno giorni, millequattrocento sessantaquattro ore e ottantasettemila ottocento quaranta minuti.
Tutto questo tempo, che tutti avevano passato senza Hermione. E Luna appena se ne rendeva conto.
Aveva ancora nelle orecchie il rintocco delle campane funebri, il temporale che scorreva davanti a lei come serpenti trasparenti nonostante fossero ad agosto, e il pianto di tutti gli Weasley-Potter che non riuscivano a credere alla loro perdita.
Nella sua mente era ancora stampate le immagine del dolore, dell'arresa difronte a una volontà più forte e dell'incredulità che, in tempo di pace, la perdita potesse colpire ancora, e con sorprendente forza. Impresse dentro la memoria come se la Morte stessa si fosse divertita a rendere nostalgico ogni foto, episodio o ricordo avvenuto prima del ventuno agosto duemila otto.
Tutto, ovunque Luna si girasse, gridava a gran voce il nome di Hermione, accompagnato dalla sadica e triste frase, tanto diabolica che Luna immaginava una bocca con un ghigno feroce e contento pronunciare quelle parole, che diceva: non c'è più. Non l'avrete più. Adesso é con noi.
E non tornerà.
Niente vi darà indietro la cara amica, morta per così poco.
Due mesi, sessantuno giorni, otto settimane, millequattrocento sessanta ore.
Tutto questo tempo, passato senza Hermione. Niente che collegasse qualcosa al fatto che lei fosse ancora fra loro, almeno con lo spirito.
Per parte di Hermione, per tutto quel tempo, Luna non aveva avuto niente.
Ma aveva avuto altro. Quel tempo, seppure aveva conservato congelata la consapevolezza che Hermione fosse morta, aveva portato altro.
Per parte di Ron. Luna aveva visto il suo dolore, le sue lacrime, il vuoto nei suoi occhi. Le iridi spente.
Riconosceva quello sguardo. Era quello che aveva avuto lei a nove anni.
Dopo che la sua mamma era morta.
Era la domanda, il desiderio inespresso e il pensiero formulato solo parzialmente, che cantava con voce soave e illusoria e magnetica: che senso a vivere.
Perché continuare a trascinarsi in una vita lunga senza la ragione che ci spingeva avanti, che ci costringeva a mettere un passo davanti all'altro?
Perché non farla finita? Perché non accelerare i tempi e raggiungere ciò che amiamo? Perché non forzare le cose e prendere in mano la nostra vita per fare ciò che ci rende veramente felici? Raggiungere chi ci rende veramente felici, e rimanere brillanti incastonati in pietre ancora grezze, che solo una luce fantasma poteva spronare a splendere?
Ma Luna aveva imparato presto che quella non era una soluzione. Morire per la tristezza non poteva essere considerata una morte accettabile.
Il suicidio non era un opzione. Avrebbe portato solo altro dolore.
E Luna voleva limare il più possibile questa possibilità.
Adesso, se lei avesse ascoltato quel pensiero, non avrebbe mai conosciuto la vera essenza della vita. Della libertà, della gioia. Cose che tutti quelli che avevano lasciato un impronta su questo mondo avevano provato, chi poi chi meno.
Adesso se lei avesse dato retta a quella vocina maligna, crudele e senza senso, non si sarebbe mai sposata, e, sopprututto, non avrebbe avuto i suoi due magnifici figli: Lorcan e Lysander.
"Mamma!" In quel preciso momento, un bambino biondo fece irruzione nella cucina, interrompendo il filo dei pensieri di Luna con la sua vocetta stridula e famigliare. Luna si voltò verso la testa gialla, così simile alla sua, e sorrise a Lorcan.
Quel bambino era particolare. Molto diverso dal fratello gemello.
Luna non sapeva ancora il perché, ma era convinta che i suoi figli avrebbero maturato e fatto crescere un rapporto pacifici e benevolo in due sponde opposte delle decisioni. Opposte e contrastanti. Come un fiore che riesce a sconfiggere l'inverno e pianta le sue radici in un campo innevato.
Anche se quello non é il suo posto.
"Ciao, Lorcan" disse Luna, piegandosi sulle ginocchia e arrivando all'altezza del figlio. Il bambino le si gettò fra le braccia senza aspettare altro. Alzò il capo e le sorrise, sbarrando i grandi occhi azzurri e la bocca sdentata.
Luna sorrise intenerita.
"Nonno vuole farci vedere un Corpo di Eurumpent" disse Lorcan, emozionato. Seppure aveva appena un anno, era avanti rispetto ai suoi coetanei, e parlava già discretamente, esattamente come Lysander - poteva centrare l'essere maghi, ma Luna credeva fosse più i geni dj Roulf che altro. "Possiamo?"
Luna sorrise, scompigliando la testa al figlio.
"Certo. Ma fate attenzione. E non staccatevi mai da vostro nonno"
"Siii" il bambino si staccò da lei, trotterellando verso l'uscita della cucina di casa Loovgood, e dirigendosi nel soggiorno, dove Lysander stava già saltando per la felicità.
Luna si alzò in piedi, seguendo con lo sguardo i due. Sorrideva, mentre incrociava le braccia al petto e si poggiava leggera sullo stipite della porta vicino all'uscio. Trattenne una risata osservando i gemelli.
Erano ancora incapaci di muoversi bene, e le con le loro azioni e i loro salti sembravano più essere dei pezzi di legno incantanti per rimbalzare lievemente sul pavimento che degli esseri viventi. Beh, apparte i loro strilli di felicità, niente avrebbe suggerito che un cuore batteva dentro quei piccoli corpicini.
Un cuore. Ecco, in Hermione anche quello si era fermato.
Il cuore.
Luna si incupii un attimo, mentre osservava suo padre andare ad aiutare i suoi figli.
Hermione non avrebbe mai avuto queste piccole gioie. Non avrebbe mai visto il rapporto fra Rose e Hugo, come si sarebbe sviluppato. Poteva immaginarlo, ma non interferire.
Come se stesse guardando tutto attraverso uno schermo. Cosa, che, effettivamente, era.
Si chiese se anche sua madre si rammaricasse di non vedere come fosse cresciuta, cosa fosse diventata.
Chi, fosse diventata. Si chiese se lei avrebbe voluto interferire nella sua vita per darle delle dritte. Probabilmente sí. Avrebbe avuto sempre consigli da darle, indicarle la via più giusta. Era comunque una madre. Luna si chiese come sarebbe stato. Avere una guida, si intende. Cosa avrebbe provato a potersi rivolgersi tranquillamente a sua madre per dei consigli, poter contare su un qualcosa di solido che sarebbe stato sempre con lei, nonostante tutto e tutti. Poi si chiese in cosa sua madre sarebbe intervenuta. Cosa le avrebbe consigliato.
Luna sospirò. Era cresciuta senza una madre, sapeva come doveva essere.
E non voleva che altri ci passassero. Aveva avuto per nove anni la presenza materna nella sua vita e poi, di punto in bianco, se la era vista strappare via, come una foglia che abbandona il suo ramo per il vento. Il vuoto nel cuore era stato terribile, e non lo augurava a nessuno.
Invece Rose e Hugo sarebbero cresciuti senza madre. Proprio come lei. Come Neville, come Harry e come Teddy.
Ma forse per loro sarebbe stato diverso, non avrebbero avuto quel vuoto nostalgico nel petto.
Forse non l'avrebbero ricordata. Luna pensava fosse meglio così.
"Luna" suo padre la ridestò dai suoi pensieri, e le sorrise, la chioma bionda ormai bianca e lunga piegata di lato, come una lucente scia argentea. "Noi andiamo. Fai come se fossi a casa tua"
"Ma questa é casa sua!" Protestò Lysander, la voce incredibilmente acuta, mentre cercava di mettersi un cappello, che però rimaneva storto sulla chioma bionda. Nonostante il funerale di Hermione si fosse svolto a fine estate, ora il freddo iniziava a darsi sentire.  Luna sorrise.
"Puoi lasciarlo così" disse al figlio. Lysander alzò lo sguardo su di lei, perplesso. Luna annuii "vai tranquillo"
"Non ti preoccupare" aggiunse un altra voce, poco lontano, e Lysander, sentendola, sorrise e smise di aggeggiare con il suo indumento.
Lorcan, già imbacuccato, lanciò un occhiata indagatrice al fratello, poi, come se avesse soppesato chissà quale questione, si portò una mano alla testa e storse il suo cappello. Ora l'inclinazione era identica a quella di Lysander.
Luna rise.
"Allora andiamo" disse il signor Loovgood, padre di Luna, e le sorrise. Si avvicinò e le baciò la fronte "torniamo tra poco Lunetta, tu vedi di non preoccuparti."
"Come potrei?"
Uno strano sguardo incupii gli occhi di suo padre, e Luna lesse nel suo volto lo stesso pensiero che le stava attraversando la testa. Non mosse un muscolo del suo viso, ma il sorriso prese una nota di tristezza.
"Ciao" salutò Lysander, agitando convulsamente la mano, seguito a ruota dal fratello. Xes Loovgood lanciò un ultima occhiata alla figlia, poi si voltò. Prese i nipoti in braccio fra le risate dei due e li portò fuori, oltre la porta di ingresso. Luna lo sentii dire: "bene, esploratori, é arrivato il momento di pescare qualche Eurumpent!"
Luna lo seguii con lo sguardo, contenta. Sentii che l'aria intorno a lei si faceva più densa, presente, ma non ci fece troppo caso. O meglio, già sapeva chi fosse e del tacito patto che c'era tra loro, quindi perché voltarsi e salutarlo?
Sentii un calore sulla spalla.
"Come stai?" Le chiese Roulf, gentile.
Luna girò il capo verso di lei con un verso insofferente.
"Non é a me che dovresti chiederlo"
Roulf prese un espressione stupida, ma non disse niente. Le sorrise incoraggiante.
"Ti manca, non é vero?" Chiese piano, attento alle sue stesse parole.
"Come potrebbe il contrario?" Replicò Luna.
Roulf sospirò. "Eravate così tanto amiche ai tempi di scuola. Mi dispiace"
"Oh. Non penso che ci potevamo definire amiche" disse Luna, puntando i grandi occhi azzurri al soffitto.
Roulf ora si lasciò cogliere più sorpreso di prima, e non riuscii a nasconderlo. La sua mano scivolò dalla spalla di Luna, che sorrise.
"Il nostro era più un rapporto..."
"Litigioso?" Suggerii Roulf.
Luna scosse la testa, i lunghi capelli biondi le solleticarono la schiena. Guardò di nuovo il soffitto.
"Non esattamente. Era più uno scambio di opinioni"
"Civile?" Chiese Roulf.
"Violento" ribatté Luna.
Roulf la fissò interrogativo, ma aspettò prima di fare altre domande. Evidentemente, visto gli anni da chi stavano insieme, doveva aver imparato che alle volte Luna si perdeva nei suoi pensieri e voleva essere lasciata in pace. Luna aveva ancora gli occhi al soffitto, assorta, come se potesse trapassare quel tetto e sbucare al piano superiore, fino alla soffitta dove un tempo c'era la sua camera. Camera abbandonata da quando di era sposata, tre anni prima.
Alla fine, Roulf riprese a parlare.
"Vi trovate spesso d'accordo, immagino. Attaccavate chi non la pensava come voi?"
"Oh no." Luna non staccò gli occhi dal soffitto, mentre le si formava un sorriso sul volto "eravamo io e lei, ad attaccarci"
"Ah" ora Roulf parve davvero confuso.
Luna si voltò verso di lui, sempre sorridendo. "Ma ciò non vuol dire che non fossimo amiche. Certo, la pensavamo diversamente su MOLTE cose, ma il legame e la maturità andava oltre questo"
"Immagino"
Luna sentii la nota scettica nella voce del marito, ma decise di non darvi peso. Pensò che fosse inutile star perdere tempo a parlare se lui partiva già così perplesso, e un idea le illuminò il cervello. Si voltò verso Roulf.
"Vieni"
Era inutile parlare, ma non mostrare.
Roulf sembrava stupefatto mentre la osservava passargli davanti e dirigersi alle scale. Dopo un attimo, Luna sentii che la seguiva.
Luna guidò il marito per la casa dove era cresciuta, su per le scale e lungo il corridoio. Sbucarono dentro un salotto dal quale una finestra lasciava intravedere un fiume limpido che si stendeva nel prato, tagliando a metà il verde come una sorta di linea indesiderata, che, se fosse stato estate e il sole avesse brillato sulla valle, avrebbe mostrato uno scintillio davvero mozza fiato.
Ma ora era ghiacciato. Freddo e vuoto, cupo per le nuvole che oscuravano il cielo, sembrava soltanto bloccato per sempre. Immobile dentro quell'alone di gelo che aveva imprigionato la sua vita come una gabbia.
Fortunatamente sarebbe rinato. Avrebbe spezzato le sbarre della gabbia della bruttezza. Hermione, invece, sarebbe rimasta per sempre congelata e vuota.
"Ecco" Luna si addentrò nel salotto, Roulf sempre più confuso al suo seguito, e prese a salire delle scale che portavano alla soffitta. Non si vedevano, da dentro il salotto, e Luna fu costretta a chiamare due volte il marito informarlo su dove fosse.
Roulf salii dietro di lei con un espressione sbigottita. Quando Luna mise piede dentro la sua vecchia stanza, uno strano strato di polvere l'accolse, con il pulviscolo che aleggiava per l'arai come a rendere atto di qualche strano incantesimo.
Era buio. Luna accese la luce della sua bacchetta, che proiettò un raggio bianco che si rifletteva sui muri come uno spiraglio di sole fra le nuvole.
Roulf sbatté le palpebre, accecato.
"Ok. Siamo qui, e adesso?"
"Shh" Luna, piano, intimò all'uomo di stare zitto. Roulf serrò la bocca con uno schiocco, ma non sembrava offeso.
"Guarda" proseguii Luna, puntando un dito lungo il muro della camera, parzialmente illuminato dalla luce della sua bacchetta.
Roulf strizzò gli occhi, non capendo in un primo momento cosa guardare. Lo stacco fra la luce e le tenebre era tale da non rendere spiccante ciò che era inquadrato dalla bacchetta di Luna.
Sembrava più che altro solo una tiepidezza continua. Luna aspettò paziente.
"Oh" esclamò a un tratto Roulf, stupefatto. Luna seppe con certezza che aveva visto cosa lei voleva vedesse.
"Già"
Roulf si voltò verso di lei sorpreso, facendo scattare la testa nel buio della stanza. Sembrava colpito. "Li hai fatti tu?"
Luna annuii, muovendo appena la bacchetta, e illuminò con precisione ciò che guardavano entrambi con grande ammirazione. La parete sembrava brillare sotto il tocco leggero della luce, e le scritte dorate che la ricoprivano rimandavano tenui scintillii, come di monetine dentro una camera blindata, in risposta alla luce della sua bacchetta.
Roulf le lanciò un altra occhiata, poi, di punto in bianco, l'abbraccio.
Luna, stretta fra le forti braccia del marito, rimase immobile, la sorpresa che si andava a mischiare con qualcos'altro, un emozione calda, che saliva direttamente dal suo cuore.
"Mi dispiace" sussurrò Roulf contro il suo corpo, ora cosciente e con una sincerità disarmante.
Solo ora, Luna capii cosa aveva sentito. La sensazione che si andava a mischiare alla sorpresa successiva all'abbraccio.
Il conforto.
I quadri che aveva fatto da ragazzina, quelli che raffiguravano i suoi amici (solo: Ron, Neville, Ginny, Harry e Hermione) erano rimasti intatti, quasi intoccati e insofferenti all'azione del tempo, e rappresentavano ancora con precisione la delicata arte del pennello e la cura che Luna aveva messo in quei disegni. Erano l'impronta indelebile di ciò che lo aveva legati. La prova più vera.
Luna sentii il cuore scaldarsi sotto il tocco di Roulf, il conforto che cresceva in lei come un erba tranquilla. Rigogliosa, veloce e tranquilla.
Il suo sguardo vagò suoi quadri, i suoi ricordi, l'unica cosa non triste che le rimaneva del tempo della Guerra. Li scorreva come se stesse leggendo delle pagine di un libro, anche perché nelle pieghe della pittura, nella cornice e nel piccole imprecisioni che coloravano i suoi ritratti Luna ci vedeva davvero, senza sforzare la mente, delle parole, e le leggeva come un libro.
Poi il suo sguardo si inceppò. Gli occhi inciamparono, mentre si fermavano su un viso come se questo lo avesse tirati e se con un magnete.
Luna sospirò triste, mentre leggeva ciò che spiccava nel volto del suo amico.
Non si era soffermata su Hermione, no, ma su un altro compagno, uno che era ancora in vita e che stava soffrendo.
Uno che, forse, aveva avuto il destino più triste di tutti.
Rimanere in vita vedendosi strappare l'amore della persona della quale era innamorato.
Il ritratto di Ron era immobile, i capelli rossi illuminati dalla luce della bacchetta che risplendevano sotto di essa come se fossero braci accese, ferite aperte. Il suo sguardo azzurro, tiepido e placido come il mare su cui si riflettono le nuvole che occupano il cielo, era fermo, vuoto, immobile, come Luna lo aveva visto dal funerale di Hermione.
Il suo volto mutò in una nota di appena disappunto. Sospirò ancora.
Roulf sciolse l'abbraccio, rimandando con le mani sulla vita di Luna e osservandola da sopra, in ansia.
La staccava di almeno dieci centimetri, notò Luna.
"Luna..." Disse Roulf, senza riuscire a trovare le parole. Girò lo sguardo da tutte le parti, ma quello che vide parve solo farlo stare peggio. "Sappi che io ci sono. Ti capisco"
"Pensa che io non ero nemmeno innamorata di lei" disse Luna con voce sognante.
Roulf ora era fortemente perplesso. Era così confuso che le lasciò andare i fianchi.
"Scusa?"
Luna accennò con il mento avanti, verso i quadri. Roulf li guardò, e poi intercettò il punto dove quelli di lei si erano fermati. Fece una specie di verso strozzato.
"Ron." Disse "lui..."
"Sta male. Malissimo. Non ascolta più nessuno." Luna si fermò un attimo a osservare il ritratto del suo amico. Allungò distrattamente una mano verso la tela "beh. Anche io sarei come lui" ragionò ad alta voce "non lo si piú certo biasimare"
"No" convenne Roulf, gli occhi ancora fissi sulla tela "no. Non si più certo."
Luna rimase in silenzio. Roulf fece correre gli occhi da lei al quadro di Ron, e capii i pensieri della donna senza chiedere niente.
Sospirò appena, sorridendo.
"Vuoi andare, non é vero?"
"Voglio vedere come stanno Rose e Hugo" ribatté Luna. Porse il braccio al marito "e si, magari anche vedere come se la cava Ron"
Roulf alzò gli occhi al cielo, poi afferrò il braccio teso di Luna e si smaterializzarono.
Luna piombò con piedi pesanti in un prato pieno di erbacce, davvero poco curato, e ne rimase discretamente sorpresa. L'aria fredda le sferzò il viso in modo quasi piacevole.
Roulf, accanto a lei, pestò un oggetto in metallo e emise un verso di dolore.
"Accidenti" sbottò Roulf, mentre si avvicinava o alla casa di legno; si guardò indietro per osservare arcigno ciò su cui era atterrato "perché Ron non pulisce questo giardino? Almeno non si farebbe male di continuo"
"Non penso che pulire sia fra le sue proprietà" disse Luna, intuendo qualcosa. Roulf la fissò in modo interrogativo, ma non disse niente.
Qualche attimo dopo, anche Roulf capii ciò che Luna aveva notato fin da subito. Non era né il disordine del giardino, né la sporcizia che si intravedeva dalle finestre.
No, più si avvicinava o alla casa, più un altro suono si stagliava nitido sopra l'ululare del vento, che lo aveva inglobato dentro di esso come se volesse nasconderlo.
Roulf fece un espressione sorpresa e incredula.
"Ma questo é..."
"Il piano di un bambino" Disse calma Luna, ora arrivata alla porta di ingresso. Roulf fissò il legno con uno sguardo corrucciato.
"Perché cavolo Ron non fa niente? Non dovrebbe calmarlo? Noi con i nostri lo facciamo"
Luna batté alla porta, calma.
Non guardò il marito per rispondergli.
"Non penso che calmare suo figlio sia fra le sue priorità"
Lui corrugò le sopracciglia.
"Come fai a dire che Hugo e non-"
La porta che si apriva soffocò le sue parole. Un rettangolo di luce buia investii i due, disegnandosi sull'erba e tagliandola a metà con le tenebre. Ora, il pianto disperato si sentiva ancora di di più. Li prese in pieno come se avessero gettato loro degli spilli.
Ron, il volto bianco tirato e stanco, stava sull'uscio osservandoli con un minimo di interesse. Inarcò un soppracciglio.
"Beh" disse "cosa c'è?"
Luna entrò senza dire niente, mentre sentiva distrattamente il marito parlare severo al rosso.
Luna non si importava dei rimproveri che Roulf stava dando a Ron. Se li meritava. Qualcuno doveva dirgli come comportarsi, farlo rigare dritto.
Non poteva andare così alla deriva.
Aveva due figli da crescere, che lui lo volesse o no.
Luna salii le scale cigolanti, sbucò nel corridoio e puntò verso destra, dove la stanza matrimoniale si stagliava con una porta grossa e cupa, spiccando per la sua inquietudine e per il pianto sempre più forte. Camminò lungo il corridoio,in cui la carta da parati che ricopriva i muri aveva diversi principi di staccamento, e aprii quella maniglia velocemente. Entrò nella stanza quasi senza sentire il gelo della perdita e nel fatto che lei non avrebbe dovuto trovarsi là, e vide immadatamente la culla. Da dentro si levava in aspirali disparati un piano forte, tenue a tratti, come se fosse stato stremato dalla fatica. Luna vi si diresse piano, la bacchetta in aria. Con un incantesimo cambiò il pannolino al piccolo - che a giudicare dall'odore a dir poco schifoso non doveva essere toccato da almeno un paio di settimane - e lo pulii con un Teguglio. Quando fu sicura che Hugo fosse pulito, gli si avvicinò, prendendolo in braccio e provando a farlo calmare.
Ci mise diversi minuti, ma, alla fine, Hugo smise di piangere. Luna sorrise, abbassando lo sguardo per vederlo. Aveva due mesi, quindi non era troppo formato, ma si riuscivano comunque a intravedere dei capelli rosso fuoco che spiccavano pochi e dritti, che indicavano che era uno Weasley.
Luna sorrise intenerita. Quel bambino somigliava a Ron.
All'improvviso bambino aprii gli occhi, e Luna fu investita così violentemente da una sensazione di famigliarità che perse un poco l'equilibrio.
Qualcosa, nel volto del piccolo, le aveva ricordato la madre.
Hermione. Lei era in quel volto.
Luna lo fissò ancora, cullandolo dolcemente.
Guardò fuori dalla finestra, dove i colori del tramonto si mischiavano con le tenebre in un quadro incompleto, bloccato in un momento per sempre parziale.
Due mesi, otto settimane e sessantuno giorni.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora