Capitolo 104

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Ron, alle volte, si chiedeva come avesse reagito Harry alla morte di Hermione.
Nel senso: ovviamente sapeva come aveva reagito, sapeva le lacrime che aveva versato e quanto ci fosse stato male. Nonostante fosse concentrato sul suo dolore, non aveva avuto dei paraocchi totali che gli avevano impedito di vedere quanto anche gli altri soffrissero.
Oh sì, quello lo aveva visto, anche se nessuno si era mai azzardato a farsi vedere mogio per la morte di Hermione davanti a lui. E la cosa - entrambe - gli aveva fatto male.
Come se qualcuno gli tirasse un pugno in petto. Ricordava che, il primo anno di scuola, lui e Draco Malfoy si erano presi a pugni spesso.
Una volta a Natale, una durante una partita di Quiddich.
Una volta Draco gli aveva rotto il naso - poi aveva completato il giro rompendolo anche a Harry, ma Ron quasi non se lo ricordava. Era stato un dolore allucinante, come se mille scheggie fossero premute con forza contro il suo naso, fino a formare una gigante incudine di puro dolore, che gli trapassava il craneo.
Ecco. Dopo la morte di Hermione era stata la stessa cosa, solo che il dolore emotivo é mille volte peggio di quello fisico.
Quello fisico, in primis, può essere curato. Basta un incantesimo, la mano giusta, e tutto passa. Se ci si fa attenzione non lascia nemmeno cicatrici importanti.
Quello emotivo no. Non può essere curato, non c'è una formula che fa smettere di soffrire, che toglie la mancanza di ciò che non possiamo più avere. L'unica cosa in cui si può sperare é che il tempo spalmi nel giro di anni il suo balsamo che fa alleviare un po' l'incudine pressante sulla faccia. Ma spesso anche questo rimane solo un desiderio gridato al vento.
Il dolore emotivo lascia cicatrici profonde, invisibili eppure più terribili di quanto possano mai essere dei segni sulla pelle.
Intoccabili nella loro inesistenza concreta.
Incurabili, proprio perché nascoste dall'ombra personale e inscrutabile di chi non capisce, di chi non ha mai provato quello che provi tu, che non sa come fare. Ti sorride, ti fa un lieve cenno di scusa e poi se ne frega, tornandosene alla sua vita senza più pensarci perché non é un problema suo.
Solo quando la catastrofe lo colpirà in prima persona, una lancia nel petto, tornerà, per un secondo, con la mente al vostro incontro, e solo in quel momento capirà. La sua mente sarà stata sforzata e aperta, squarciata, tanto dal dolore che riuscirà ad accogliere ciò che prima aveva rimosso.
E là si pentirà.
Ma l'attimo del tempo è più fugace di  quanto la rapida incisione nella promessa del tronco di due innamorati.
Lo fai, e poi non c'è più l'amore.
La storia é finita.
Ron scosse la testa. Si, avendo vissuto la gioventù in una guerra e avendo perso un fratello, sapeva gli effetti che il dolore ha sulla gente.
Aveva visto il dolore buttare giù sua madre, George, Ginny, perfino lui stesso. Ma tutti si erano ripresi.
Poi però c'era stato il secondo raund. La morte aveva chiamato a sé l'unica cosa che Ron avesse mai amato, e lo aveva lasciato solo, stordito come un bambino che si ritrova per la prima volta in un parco, e non aveva retto.
Si era lasciato andare. Il caldo piacere tossico dell'alcol, fino al desiderio di abbracciare la morte per ricongiungersi a lei, toccarla di nuovo, l'intelligente Hermione che se ne era andata senza una parola. In modo improvviso.
Troppo velocemente perché lui riuscisse a capirci qualcosa. Aveva continuato a stringere la sua mano morta fino a quando un dottore non lo aveva staccato da lei con delicatezza, una diplomazia che si usa solo in quei casi.
É la, in quel momento, Ron si era reso conto che la donna che amava era morta. La consapevolezza lo aveva colpito in pieno, facendogli vedere le gambe.
Non ricordava troppo altro, di quel giorno, e considerava fosse meglio così. Ringraziava i suoi buchi di memoria, che gli evitavano di usare anche quei ricordi per ferirsi, come invece faceva con qualsiasi altra cosa. Sì, aveva eliminati tutte le foto di Hermione, ma la videocamera l'aveva tenuta. Sapeva che fosse sbagliato, ma si sentiva bene quando, a suon di rammarico e nostalgia, si schiaffeggiava, lasciando profondi segni dolorosi nell'anima, riemmergendosi, in ciò che non poteva più avere.
In poche parole, era masochista.
E gli piaceva.
Ron sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Era seduto nel salotto di casa sua, al buio più comoleto. L'unica luce era emanata dalla punta della sua bacchetta, abbandonata mollemente al ginochio.
Sapeva che avrebbe dovuto smettere, ascoltare ciò che gli dicevano i suoi fratelli e lasciare che quegli episodi passati non avessero potere su di lui. Non potessero toccarlo.
Ron ci provava, sul serio, ma era difficile. Ci provava a fare rimanere il passato tale, ma é più facile a dirsi che a farsi. Ogni volta che guardava quella telecamera era estasiato di scorgere ancora la figura del legante di Hermione, la massa scura e indomabile di ricci che lo aveva fatto innamorare di lei.
Ma questa felicità era passeggiera, passava come un alito di vento, gli portava il dolce odore di una torta che però, immediatamente dopo spariva, inghiottita dallo spazio infinito della generosità e della collettività che lo circondava.
E non c'era più. E Ron lo capiva, la consapevolezza lo colpiva in pieno, e lo faceva stare male. Malissimo.
Lo feriva. Ma non poteva far altro, come un mago soggetto alla maledizione Imperius, che riavviare il video, farlo partire di nuovo e vedere, anche per pochi secondi, il volto felice di sua moglie.
E lui era felice con lei.
Ma quella felicità era fuoco. Era come una droga, una sbronza presa per dimenticare. Sì, all'inizio stavi bene, ti sballavi, i pensieri concreti e importanti svanivano dalla sua testa come se fossero stati cancellati con la gomma.
Si, ok, ma poi? Il post ubriacatura era una tortura. Tutto ti ripiombava addosso con la forza di un macigno, colpendoti anche con più violenza. Non solo ti tornavano in mente le cose che volevi dimenticare, e ti apparivano anche sotto una luce più grave, come se fossero stati illuminato da un riflettore rosso, ma in più avevi e ricordi di tutto ciò che di stupido avevi fatto la sera prima e si, se non ti aveva ucciso il mix degli alcolici che ti eri scolaro, lo avrebbe sicuramente fatto l'imbarazzo. Quella felicità consumava tutto ciò che c'era in lui, rendeva sterile ciò su cui passava, bruciava i sentimenti di Ron ancora aridi. Ardeva nel suo cuore nel conforto della fiamma solo per distruggerlo dall'interno. Sentiva male là, e non si concentrava sul resto del dolore che occupava la sua pelle, la pungeva come se avesse addosso una coperta di spine, o fosse crollato su un tappeto di rose.
Oh Merlino Ron si prese un secondo per sorprendersi dei suoi stessi pensieri "sto divagando come non mai"
Almeno me ne sono accorto pensò per consolarsi.
Scosse la testa e si alzò dal divano. Così, in ombra, la casa gli incuteva un certo timore e inquetudine mischiato a una famigliarità e una tranquillità difficile da eguagliare. Le sensazioni si mischiavano in una unica grande ciotola per dove cozzavano come una coca-cola col pesce. E Ron ne era abbastanza confuso.
Aveva pulito la casa quello stesso giorno, giusto perché Harry gli aveva lasciato il giorno libero e lui non voleva stare con le mani in mano. Aveva passato lo straccio (come faceva sempre la domenica prima che Hermione morisse) aveva messo a posto i cassetti, rassettato i letti (era riuscito perfino a entrare nella stanza di Hugo e a sopportare il letto spoglie di Hermione II. Un vero record) e aveva anche cercato di fare qualcosa per rimediare al cigolio delle porte (alla fine non aveva concluso niente, ma tanto é il pensiero che conta, no?)
Anche se la disabutudine di non fare quelle cose per anni si faceva sentire. Aveva dimenticato diverse cose, in primis la posizione degli elementi per pulire, e in secondis il loro utilizzo. Se poi pensava che si era lasciato tanto andare da non rinnovare il set per le pulizie e che era dovuto andarlo a comprare al negozio vicino casa...
Meglio non rimuginarci ancora troppo.
Ron sospirò e si diresse in cucina. Per un attimo pensò di accendere la luce, poi si disse che conosceva a memoria quel luogo da potersi orientare benissimo anche al buio.
Si sbagliava. Meno di tre passi e aveva già sbattuto violentemente il ginocchio destro contro uno spigolo.
Ron imprecò a gran voce. Gemendo e cercando di non inveire troppo contro Salazar Serpeverde, si trascinò verso il frigo. Lo aprii, l'aria fredda e la piccola luce azzurra che lo investivano come una carezza ghiacciata di un iceberg, e ne estrasse un pezzo di formaggio.
Si mise al tavolo e ne addentò una fetta.
Quella mattina, dopo aver ricevuto il inatteso Patronus a forma di cervo nel suo migliore amico, Ron era rimasto a fissare il punto dove quello era arrivato per diversi minuti. Sul serio, era tanto sorpreso da non sapere cosa fare. Poi, dato che non voleva a nessun costo rimanere solo con i propri pensieri, aveva preso la decisione di pulire tutta la casa.
Aveva finito verso sera, e si era anche ritenuto molto soddisfatto. Era stato tranquillo fino a quel punto quando, nel bel mezzo della notte, aveva sognato Harry.
Niente di che, anzi, avevano passato trentatré anni della loro vita a condividere qualsiasi cosa, e non era certo strano che Ron lo incontrasse anche fra le sue coperte, ma non era quello ad averlo lasciato interdetto.
Era stato il sogno. L'espressione di Harry sul suo viso. Ron aveva provato in senso di deja-vu, come se stesse rivivendo un ricordo e non fosse completamente frutto della sua immaginazione.
Ma non riusciva a collegare quando o dove fosse avvenuto (certo, aveva visto il salotto della Tana, ma cosa gli diceva che quello non fosse un dettaglio dato dalla sua fantasia?). E poi...Harry aveva una espressione affranta. La stessa che Ron gli aveva visto in faccia dopo la morte di Sirius.
Però nel sogno Harry era adulto, quindi, a meno che non fosse stato colto dai sensi di colpa e dalla nostalgia, non era certo Sirius la causa del suo malessere.
Ed era questo che aveva portato Ron. Chiedersi come il suo migliore amico avesse reagito alla morte di sua moglie. Cosa avesse provato, cosa sentisse.
Sapeva del suo stesso dolore, sapeva che Harry doveva stare malissimo, eppure era cosciente che non fosse la stessa cosa. Lui amava Hermione, il suo dolore era diverso da quello di Harry.
Per Harry, Hermione era la persona più simile a una sorella che lui avesse mai avuto. Il loro legame era molto forte, e forse anche più forte di quello di Ron e Ginny, visto che andavano oltre il semplice stato di sangue.
Ron aveva perso un fratello. Ne era rimasto distrutto.
Forse per Harry era la stessa cosa, ma Ron immaginava fosse anche peggio.
Per legare, Harry e Hermione, non avevano avuto bisogno né di una relazione romantica, né del legame di sangue.
Erano semplicemente migliore amica e migliore amico. E la loro era l'amicizia più forte e indissolubile che Ron conoscesse. E anzi, ai tempi di scuola Ron aveva creduto ci fosse anche qualcosa di più.
Stupido si disse se non te ne fossi preoccupato avresti avuto il tempo di passare più momenti belli con lei.
Ma tu sei stupido. Geloso. Insicuro.
E hai perso quelle occasioni d'oro.
Complimenti.
Ron scosse la testa, sbattendosi un pugno sulla fronte. Stonc. Sì, il dolore. Era questo che si meritava.
Harry e Hermione, invece, non si erano mai meritati la sofferenza. Ron se la era quasi guadagnata.
Loro due erano migliori amici, avrebbero potuto vivere felici, tutti e tre, ricordando le avventure che avevano accompagnato la loro infanzia, belle e brutte, e il loro legame li avrebbe tenuti uniti anche nei momenti più bui.
E Harry e Hermione avrebbero sempre avuto quella marcia in più, quell'intesa e quei momenti intimi che Ron era esiliato dal capire, perché loro due, non avendo un accidente in comune a livello di parentela, si consideravano ugualmente legati da un legame più forte di quello che Ron stesso sentiva con i propri fratelli. E loro erano quelli di sangue.
Ma la amicizia tra Harry e Hermione si era rotta per una volontà più grande di loro. E solo adesso, a distanza di quattordici anni dalla morte di Hermione, Ron si chiedeva come si sentisse Harry ad averla persa.
Ron sospirò. Era un pessimo amico.
Non ricordava che mai ne avessero parlato. Non ricordava nemmeno che lo avesse chiesto, si fossero messi a tavolino e avessero parlato di ciò che sentivano (orgoglio da uomini, lo avrebbe definito Hermione).
Forse era questo il significato del sogno? Voleva dare a Ron una svegliata e spronarlo a indagare su come si sentisse il suo migliore amico?
Neanche per Harry la morte di Hermione era stata una faccenda semplice o facile, questo Ron lo sapeva bene. Dopo tutte le persone che Harry aveva visto morire davanti ai suoi occhi...perdere anche una sorella dopo che la Guerra era finita non poteva far altro che gettarlo nella disperazione più totale.
Ecco. Anche se per molti versi Harry e Ron erano agli antipoti, questa era la loro cosa in comune.
Tenevano entrambi tanto a Hermione che avrebbero dato la vita per lei.
E la sua morte, improvvisa e senza che nessuno potesse fare niente per impedirla, mi aveva gettato entrambi in un baratro senza fondo.
Ma Harry lo nascondeva, si era ripreso e, faticando un po', probabilmente, se ne era anche uscito.
Ron no. Non aveva avuto questa forza.
E lo invidiava da morire.
Si alzò dal tavolo barcollando. Doveva sul serio chiedere a Harry come si sentisse dopo la morte di Hermione, anche se con più di un decennio di ritardo. Come l'avesse presa.
E poco importava che l'orologio sopra il frigo indicasse fossero le tre di notte, Ron avrebbe voluto chiederlo comunque. Voleva dimostrare a Harry che lui c'era, lui era ancora lì, un vago ricordo di ciò che era la loro amicizia.
La testimonianza che la loro amicizia c'era stata. E che, almeno Ron sperava, ci fosse ancora.
Harry c'era sempre stato per lui. E Ron voleva ridare il favore.
Fece il giro del tavolo, le fette di formaggio abbandonate sul piano.
Andò in salotto, e si fermò davanti al divano. Prese in considerazione l'idea di prendere la bacchetta, segnalata ancora dal puntino di luce che emanava e che rischiarava tutto il salotto, ma poi decise che non gli serviva. Scosse le spalle e andò all'ingresso, sperando in un angolo recondito della mente che quella decisione portasse a una strada migliore di quella alla quale aveva portato la scelta di non accendere la luce. Il ginocchio gli faceva ancora male.
Ron afferrò il suo giacchetto, se lo issò sulle spalle e se lo agganciò in vita. Erano a febbraio, la temperatura era ancora parecchio fredda. E Ron non voleva rischiare di prendersi un raffreddore solo per parlare con Harry (dagli Aurur non era concesso assentarsi solo per picolezze come un raffroddore, quindi se Ron si fosse sentito male ma il medico competente lo avesse dichiarato idoneo a fare il lavoro, lui sarebbe stato fregato il doppio: non solo stava col naso tappato anche per settimane, ma non aveva neanche l'esonero dall'attività lavorativa).
Poggiò una mano sulla maniglia, prese un profondo respiro e uscii.
L'aria fredda della notte gli sferzò il viso risvegliandolo completamente. Ron non si era reso conto di avere ancora la stanchezza accumulata della notte passata in agitazione, e solo ora che si sentiva arzillo riuscii a concepire il fatto che stesse dormendo in piedi.
L'aria gelida gli diede anche un po' di lucidità. E ripensò alla opzione di andare da Harry.
Forse essere svegliato a quell'ora della notte non doveva andargli troppo a genio. E magari aveva qualcosa da fare con Ginny, qualcosa di cui Ron non voleva assolutamente sapere nulla, e non gradiva essere disturbato.
Sopprattutto solo per una domanda. Solo per una, stupidissima, domanda.
Senza che quasi Ron se ne accorgesse, aveva imboccato la strada che portava al cimitero. Quello piccolo, dove anche la tomba di Hermione svettava contro il nero del cielo.
Ron rallentò il passo. Doveva aver camminato con più velocità di quanto si immaginasse, dato che aveva già raggiunto la radura di salici piangenti, e i sassi scricchiolavano sotto le sue suole come delle patatine.
Ron basta pensare a mangiare si impose Ron.
Sospirò, poi fece altri passi avanti. Già la vedeva, la lapide una figura più scura del blu che le stava in torno, la piccola fotografia incorniciata che ammiccava nella sua direzione sotto qualche lampione che Ron non riusciva a vedere.
Ron si fermò un attimo, inqueto. Ascoltò il vento che gli andava in faccia, gli sollevava i capelli rossi come lunghe lingue di fuoco, e rimase a sentire il frusciare delle foglie che simulavano perfettamente un pianto.
Perché era andato là? Perché, dopo essersi reso conto che stava facendo una cavolata, non era tornato indietro, a casa, e si era rimesso a dormire? Tanto non ti saresti comunque addormentato pensò. Beh, ma era comunque meglio il caldo accogliente delle coperte che il gelido freddo di fuori, appena attutito dal cappotto che portava.
Ma niente. Anche se voleva girarsi e tornare indietro, non succedeva niente. Le gambe rimanevano immobili, piantante in quel terreno di sassi come se ci avessero messo le radici. Non ascoltavano gli ordini del cervello.
Ron preferiva stare al freddo ma con Hermione, che tranquillo e al caldo fra le due coperte.
Ma perché? Beh, la risosta gli balzò in mente come se qualcuno iela avesse suggerita.
Perché la amo. É stata l'unica donna che mai ho amato, e che mai amerò.
Il mio cuore appartiene a lei.
Ron incassò la testa fra le spalle. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato in cui che aveva pensato.
Provò a immaginare il suo futuro, scacciando quella sensazione.
E di nuovo, la visione di lui vecchio e solo nella sua casa vuota, senza più né Rose né Hugo, gli diede tristezza.
Un infinita nostalgia.
Poi un secco rumore ruppe la quete. Ron drizzò le orecchie, scrutando il buio.
Ecco. Anche la sua decisione di uscire senza bacchetta era stata una pessima idea (ma che gli era preso? Dalla morte di Hermione, da quando ricordava non era mai uscito senza bacchetta. Nessuno lo farebbe. E gli Aurur impongono un comportamento severo riguardo all'autodifesa)
Miseriaccia. Era spacciato.
Il rumore ci fu di nuovo, più forte e più vicino. Il cuore di Ron prese a battere convulsamente ma, come era stato addestrato a fare, Ron lo ignorò.
Non poteva preoccuparsi di questo, ora. Doveva concentrarsi su altro.
Ci fu silenzio. Per diversi minuti.
Ron tese le orecchie, un gatto che ascolta in attesa della sua preda.
Se lo era immaginato?
Un sonoro tonfo lo smentii. Ron si raddrizzò, mentre una figura nera si stagliava nel buio.
Ron, addestrato, tese il braccio davanti a sé, confidando che il buio nascondesse l'assenza della sua arma. Ti prego, non posso morire, i miei figli hanno bisogno di me.
"Fermo dove sei!" Urlò "o giuro che ti uccido"
La figura cadde "fermo, fermo, fermo, non voglio farti del male" esclamò una voce sorprendentemente conosciuta "non sono cattiva!"
Ron sgranò gli occhi, e lasciò cadere il braccio lungo il fianco. Era troppo sorpreso per fare qualsiasi altra cosa.
Sbatté le palpebre "Pansy?" Chiese, mentre la luce della bacchetta dell'altra si accendeva illuminando la sua figura slanciata e il corpo nero.
No pensò Ron non é nero. É solo un vestito.
"Weasley" lei aveva voluto essere acida, ma il suo tono tradiva la sorpresa di ritrovarselo davanti "che ci fai qui?"
"Potrei farti la stessa domanda"
"E io non sarei tenuta a risponderti"
"Si, invece. Sono un Aurur, e tu ti aggiri in modo sospetto nel bel mezzo della notte" Ron le lanciò un occhiata eloquente "è il mio dovere accertarmi che non hai cattive intenzioni"
"Un Aurur che dimentica la propria bacchetta non si é mai visto" commento Pansy, e Ron sentii le sue orecchie accendersi di rosso.
Ah. Lo aveva notato. Ottimo.
Pansy gli sorrise, poi, barcollando, cercò di andarsene. "Quindi" disse, quando fu a un metro di distanza da Ron, la luce tremolante della bacchetta che si andava spegnendo ma illuminava comunque dal basso il suo volto, i capelli scuri e gli occhi neri su cui guizzava il manto bianco riflettevano una specie di rabbia trattenuta"smettila di rompere"
Ron allungò un attimo la mano verso di lei, poi la lasciò ricadere al suo fianco, mentre la osservava allontanarsi, andare via.
Tanto non serviva a niente. E a lui non poteva importare di meno di aiutare qualcuno che non sarebbe tornato come prima.
Poi Pansy si fermò. Ron lo capì dalla assenza del rumore dei suoi passi, e si voltò verso la sua figura, immobile e nera nel mezzo delle ombre della notte.
Gli dava le spalle, ma Ron inarcò ugualmente un soppracciglio con fare perplesso.
"Non ti ho mai ringraziato" la voce di Pansy era debole, masticata. Era come se fosse ubriaca, ma Ron sapeva bene che non era così. L'aveva vista in faccia un attimo prima!
Corrugò la fronte "cosa?"
"Non vi ho mai ringraziato" si coresse Pansy, ancora di spalle "beh, non fino a questo momento"
"Per cosa?"
Pansy non si voltò. "Per quel giorno, poco prima delle vacanze di Natale.
Quello..." La voce le si ruppe un secondo "quello dove mi avete aiutato con quell'uomo. Tu, Potter e la moglie"
"Ah" a Ron tornò in mente quell'episodio. Il clima di novembre, le chiacchere su dove passare il Natale, il vicolo buio in cui avevamo svoltato per non avere gli occhi di tutti puntati addosso. Pansy che litigava con un uomo. Esitò, prima di chiedere:"chi era?"
"Chi?"
"Mi hai capito" Ron ponderò l'opzione di fare un passo avanti, ma poi scosse la testa e la scartò "quell'uomo. Quello che-"
"Ah. Nessuno" rispose lei stringendosi nelle spalle "solo uno dei tanti"
"Pansy..."
"Uno delle mie tante avventure, come dice Astoria" Pansy si voltò piano verso Ron, e lui riuscii a scorgerle una smorfia in viso "uno dei tanti privi di valore"
"Perché fai così?"
"Così?" Pansy si voltò completamente verso di lui, gli occhi socchiusi "intendi perché non cerco un uomo? Perché scopo a destra e a manca senza innamorarmi?" Ron dovette trattenere un sussulto spontaneo alla parola 'scopo' "senti Weasley, non penso sia affare tuo" completò secca Pansy con una smorfia.
Si voltò di nuovo, dandogli ancora le spalle. Era già lontana doversi metri, i salici piangenti a poco dall'inghiottorla in quella massa disperata e aggrovigliata dei loro rovi, quando Ron la richiamò in dietro con poche parole.
"Non mi sono mai scusato" disse, e un gelido alito di vento sottolineò le sue parole, come se le portasse verso la donna.
Pansy si bloccò. Il movimento rigido del corpo disse a Ron che aveva capito, più di quanto lo avrebbero mai fatto delle parole.
Era tesa.
"Per quella volta, al negozio di Tom" proseguii Ron. L'aria di stava ghiacciando, intorno a loro, e Ron non avrebbe saputo dire se per il freddo clima di febbraio o per le sue parole. "Mi dispiace" ammise. Doveva farlo "non avrei mai dovuto insinuare quelle cose. Non avrei...non avrei dovuto mettere il dito nella piaga e far emergere cose..." Deglutii rumorosamente "private"
Pansy rimase in silenzio così a lungo che Ron quasi non c'è la fece più. Doveva continuare a parlare, o la totale assenza di rumore lo avrebbe fatto impazzire "avevo appena rivisto Astoria dopo tanto tempo" continuò "Non so se te lo ha detto, ma lei e Hermione erano molto amiche, dopo che l'ultimo anno avevano legato..."
"Ovvio che me lo ha detto, Weasley" replicò secca Pansy. "Anche io sono amica di Astoria" si voltò piano, gli occhi due fessure nere che si confondevano con l'oscurità intorno a loro "e per scuse intendi il tuo riferimento puramente casuale, cattivo a velato in modo pietoso su" si interruppe, la voce tremante. Prese un profondo respiro e continuò. "Blaise? Il mio fidanzato?"
Ron arrossì. "Si. Lo so. Mi dispiace." Esitò "so come ci si sente" aggiunse a mezza voce, un po' per giustificarsi un po' perché era vero.
Pansy non lo degnò nemmeno di una occhiata.
"Dopo Blaise non c'è stato più nessuno. Nessuno di cui mi sia innamorata, e dubito che mai succederà."raccontò "Sono anche andata a Hogwarts, alla scuola, per rivederlo un ultima volta." Prese a giocare con la cerniera del suo cappotto "Ho incontrato tua figlia." Ron la fissò, ma non ebbe il coraggio o il tempo di interromperla, perché lei ricominciò a parlare "Mi sa che la ho spaventata." Sorrise. Aprii il pugno, lasciando andare il metallo che esalò una piccola luce, il riflesso della bacchetta di lei "Però ho raggiunto i Dormitori di Serpeverde. "proseguii risoluta "E ho visto il suo nome, lì, certo come una sentenza di morte e sono scoppiata in lacrime.
Probabilmente, l'indomani, i Serpeverde mi avrebbero trovata stesa per terra senza più lacrime, ma il figlio di Draco é arrivato, mi ha spaventanta e mi ha fatto scappare."
"Conosco quella sensazione" disse Ron, lo sguardo basso "quella di certezza, che ormai hai perso tutto e non vale più un accidente lottare. Meglio lasciarsi andare"
Pansy non rispose. Si guardò intorno, con fare disinteressato, ma una punta nera dei suoi occhi era ancora rivolta a Ron.
Ron sospirò. Voleva ancora riempire il silenzio, che lo metteva sempre a disagio. Anche quando era un bambino. Fece girare lo sguardo intorno a loro, il cerchio di salici piangenti che li abbracciava come fredde braccia morte, un vago tentativo di conforto però inutile. Le lacrime che lui aveva finito erano versate da loro.
Guardò Pansy. "Perché vieni qui?"
"Lo sai" rispose lei.
Ron la guardò confuso.
"Mi hai visto." Continuò Pansy "là, a piangere su una lapide" indicò con un dito verso un fitto passaggio fra i salici, che si snodava quasi senza via di fuga "credevo lo avessi capito.
Qui é seppellito Blaise"
L'immagine di Pansy piegata sulla lapide che singhiozzava si stagliò nella mente di Ron, chiara e limpida come se la vedesse per la prima volta, là davanti a lui. Un po' era vero, Pansy riportava dei segni invisibili sulla pelle, delle cicatrici sul dolore che erano la testimonianza di quanto soffriva.
Ma Ron non se ne era mai reso conto.
Deglutii "perché lo avete seppellito qui?" Chiese "Voglio dire, é un posto che non conosce nessuno, e lui era appena maggiorenne quando é morto. Di certo non aveva fatto testamento"
Pansy gli lanciò una veloce occhiataccia, probabilmente risentita per quella domanda personale che aveva fatto riaffiorare ricordi dolorosi. Scosse la testa e, con il viso rivolto verso il cielo stellato, rispose:"Ho sempre pensato gli sarebbe piaciuto." disse "É bellissimo."
"Anche io"
"Cosa?"
"Qui é seppellita Hermione." Disse Ron "Anche io ho sempre pensato che le sarebbe piaciuto. Dopo una vita sotto i riflettori come la sua per essere prima la strega più intelligente della sua età, e poi per essere una delle salvatrici del Mondo Magico, avrebbe preferito riposare in un posto tranquillo e periferico dove nessuno sarebbe venuto a disturbarla" Ron scosse le spalle "probabilmente ho sbagliato, ma ormai è fatta. Non si torna indietro."
"No." Il tono di Pansy era risoluto. Distolse lo sguardo, quando Ron puntò i suoi occhi dentro quelli neri di lei "questo posto é perfetto. Esattamente ciò che avrebbe voluto"
"Come fai a dirlo?" Ron inclinò la testa di lato, guardadolo seriamente incuriosito. Come poteva avere tutta quella certezza? Lui era sempre stato pieno di dubbi sul fatto di aver sbagliato con lei anche dopo la sua morte.
Ma se Pansy gli dava delle prove...
"É la stessa cosa che penso per Blaise." Disse lei, stringendosi nel cappotto nero e facendo qualche passo a casaccio, gli occhi che scrutavano la distesa intorno a loro "Voglio pensare che almeno questo la ho fatta giusta. Che, anche se é morto, sia riuscita a rendere giustizia alla sua ultima volontà."
"La stessa cosa che penso io" Ron sorrise, trovando un vago fondo divertente alla cosa "siamo simili"
La testa di Pansy scattò verso di lui come se qualcuno l'avesse spinta. Aveva una smorfia oltraggiata sul viso. Lo guardò scandalizzata "No" disse in modo orripilato, come se Ron avesse detto una scuenpiaggine.
Ron corrugò le sopracciglia, guardandola confusa "cosa?"
"No, mi hai sentito. Non siamo simili" ribadì Pansy.
"Perché...?" Ron era confuso. Lui vedeva in lei una specie di specchio, la sua versione femminile solo con una storia opposta e più cattiva (era fiero dell'essere e appena accorto).
Dopotutto, avevano entrambi amato alla follia una persona, provando un emozione che non sarebbe mai più ricapitata con qualcun altro. Certo, la  avevano persa per motivi diversi e in momenti differiti dal tempo, ma, in sostanza, la sensazione era la stessa.
"Non siamo simili" sibilò Pansy "e non abbiamo la stessa storia"
"Si, invece. Sia Blaise e Hermione sono morti!"
"Non c'è solo questo" sussurrò lei, irosa "Se fossi stata io, al posto tuo...Se Blaise se ne fosse andato dopo che ci eravamo sposati, dopo che mi aveva dato due figli da crescere, io..."la voce le si smorzò, come una foglia secca sotto uno stivale "Sarei stata la persona più felice del mondo."continuò dura "Non gli avrei fatto mancare niente. Gli avrei viziati. Gli avrei donato tutto l'amore di cui sono capace, per rimpiazzare quello che lui non poteva più ricevere. Tutto quello che era indirizzato a Blaise sarebbe andato a loro. Sarei felice di crescere i suoi figli. Perché ciò avrebbe significato che una parte di lui sarebbe stata per sempre viva, e non solo nella mia testa.  E lo farei con amore. Ne sarei grata.
Tu non lo sei." Sputò fra i denti, quasi schiumando "Vorresti morire. Vorresti vedere loro morire. Non gli hai mai voluti. E non li vuoi tutta ora.
Quindi, no, non azzardarti a dire che siamo simili, io e te, perché non é così" gli lanciò un ultimo, dardeggiante, sguardo di fuoco,"tu hai sprecato un occasione che io volevo.
Ma che non ho avuto la possibilità di imboccare"
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Il giorno dopo, quando Ron si svegliò, non perse tempo.
Senza neanche alzarsi dal letto, si chinò sul comodino nero e prese la telecamera, quella sua e di Hermione.
Così, poggiandosi sui gomiti, la testa al cuscino, l'accese, vedendo le immagini scorrere sullo schermo.
E si immerse, coscientemente, nel mare acido di ricordi più dolorosi e buoni che avesse.
L'ultimo.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora