Rose rimase a fissare la porta dell'infermeria che sbatteva con occhi sbigottiti. Si voltò verso la donna dietro di lei, che sembrava confusa come la ragazza. Eppure c'era qualcosa, un lieve brillio dentro le iridi colore cioccolato che tradiva una conoscenza a Rose ignota. Questa ultima granò appena gli occhi, sorpresa, ma si premurò di non palesare apertamente i suoi sospetti e la sua perplessità. Non voleva apparire troppo indiscreta.
Eppure ebbe il sospetto che lei lo avesse capito. L'infermiera le rivolse uno strano sorriso, a metà fra le scuse e il triste.
"Penso sia arrivato il momento per te di andare" disse. Rose, quasi come un automa, annuii freneticamente. Le lanciò un ultimo sguardo, prima di voltarsi e uscire dalla porta con un insolita velocità, senza più guardarsi indietro.
Arrivò alla Torre di Grifondoro prima di quando anche solo potesse immaginare. Rimase un attimo sorpresa e scettica davanti al quadro della Signora Grassa, e solo quando questa le sbatté le mani davanti alla faccia (si fa per dire, ovviamente) e la ridestò con qualche parola poco carina, Rose si riscuoté. Scosse la testa, la coda che si era fatta cedette definitivamente e i ciuffi rossi le caddero intorno al viso come disordinate ciocche infuocate. Disse la parola d'ordine e il quadro scattò in avanti, il famigliare scontro metallico che a Rose sembrava ormai estraneo.
Si buttò dentro la Sala Comune di Grifondoro attirando più sguardi di quanto sperasse. Però forse non erano per il suo cognome o per la vita famigliare privata; poteva anche essere perché entrare tanto bruscamente da quasi cadere e tutto trafelata in una stanza attirava sicuramente e indipendente gli sguardi.
Certo, poi si fissavano su di lei senza passare oltre come invece avrebbero fatto con chiunque altro, come un bisturi che scivola sulla pelle da un punto all'altro perché indifferente, era perché l'avevano riconosciuta, e di certo l'incuriosiva: dopotutto, i suoi capelli rossi davano nell'occhio (anche troppo, per parte di Rose) e lo stato in cui si presentava non contribuiva certo a passare inosservato. Non era un aiuto per non farsi notare. Anzi, tutto il contrario.
Rose tentò un sorriso, uno dei soliti che usava - palesemente falsi - più che altro per farsi vedere normale come al solito, e quindi era come se dovesse che non c'era niente di strano; e far vedere che stava bene, in modo che non iniziassero a girare voci sulla sua strana comparsa in modo silenzioso, misterioso e sospetto nella Sala Comune...
Rose scosse la testa. I capelli crespi le volarono in faccia, e lei arrossì furiosamente. Se li tirò indietro e, sentendo tutti gli occhi addosso, si avviò verso la porta deil loro Dormitorio. Sparii dietro le scale come un fulmine, chiudendosi la porta alle spalle.
Le parole di Hugo, il suo discorso senza senso le giravano nella testa come fastidiose zanzare, e facevano crescere una ansia fredda dentro di lei. E Rose aveva la netta impressione di sapere il perché.
Derivava dalla congettura che le si era formata nel cervello, derivante dai pensieri che l'avevano travolta dopo ciò che suo fratello aveva detto.
Aveva - forse - capito ciò che Hugo aveva 'detto', ma quell'ipotesi era tanto spaventosa che Rose non voleva nemmeno prenderla in considerazione. Cercava di allontanarla dalla mente come avrebbe fatto con della polvere sopra un libro.
Ma era questo che la terrorizzava.
Se ciò che pensava fosse stato giusto...
Allontanarlo dal cervello non sarebbe bastato a sedare il problema.
Rose arrivò suo pianerottolo e sentii le mani prudere in maniera quasi incontrollata. Se le afferrò l'una con l'altra, mordendosi il labbro che fremeva. Strinse la bocca in una linea sottile, più che altro per non lasciarsi sfuggire neanche un verso. O un movimento che poteva suggerire che stava per scoppiare in lacrime.
Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.
Svuotò la mente, anche se le parole di Hugo le rimbombavano nella testa come un eco stridulo e metallico. Prese un respiro. Quando lo buttò fuori le uscii tremante. Rose fece una smorfia.
Ci riprovò,ma non ebbe più successo di prima. Lo fece di nuovo, ancora e ancora.
Niente. Tutto le tremava.
Scosse appena la testa, poi si avviò lungo il corridoio che portava al Dormitorio delle ragazze del sesto anno. Sperava non ci fosse nessuno - specialmente Alice o Roxanne - ma, sotto sotto, sentiva che non le importava più di tanto.
Chissene fregava se la vedevano in quello stato. Aveva bisogno di riordinare le idee, trovare un posto dove sedersi e riuscire a pensare lucidamente a quello che era appena successo. Era una questione quasi vitale. E lo avrebbe fatto, da sola nel Dormitorio o in compagnia. Il pensiero di non farsi vedere così debole non era certo al centro della sua testa, in quel momento.
Miseriaccia. Cosa importava se qualcuno pensava in modo errato su di lei? C'era altro più importante in ballo!
Rose passò davanti a diverse porte. Le scorrevano al fianco come una massa indistinta di scia scarlatta, e Rose le vedeva appena con la cosa dell'occhio. Da dietro quella del primo anno sentii diverse chiacchere eccitate, ancora che non credevano vero fossero lí, ad Hogwarts; dietro quelle del secondo le ragazzine decidevano che materie fare l'anno dopo, il terzo; quelle del terzo, per l'appunto, studiavano; mentre quelle del quarto si lamentavano dei troppi compiti; dietro quella del quinto sentii la voce irritata e infastidita di Laila Finnigan alzarsi di diverse note mentre parlava (forse a uno specchio, forse a una sua amica) di quanto trovasse fastidioso Marck Tomas...
E poi Rose arrivò davanti alla porta rossa del sesto. Dietro c'era uno strano vociare, ma Rose non se ne accorse.
Anzi, voltò la testa verso destra, dove avrebbe continuato a camminare se fosse stata di un anno lui grande, gli occhi appena socchiusi.
Quella del settimo anno era ad appena qualche metro di distanza. Se Rose avesse fatto qualche altro passo avrebbe potuto toccarla.
La guardò per un secondo, i pensieri che si dissolvavano piano nella sua mente come del vapore contro un ventaglio, assorta.
L'anno dopo ci sarebbe andata anche lei.
L'avrebbe occupata lei, insieme alle sue compagne, Alice, Roxanne Sam Wood e Padma Finnigan, esattamente fra otto mesi, se avesse passato l'anno con buoni voti...
Forse. Se non fosse impazzita prima a stare dietro suo fratello e suo padre.
Rose spinse più avanti il suo sguardo.
Oltre la porta rossa si alzava solo un muro tetro, quasi buoi per la sera inoltrata. Non c'era niente altro.
Il pensiero le mise tristezza. E poi le parole del fratello le esplosero nella mente come spilli. Sembrava fossero riusciti a bucare la bolla dove temporaneamente lei li aveva confinati quasi senza accorgersene, distratta da altre cose che, ora se lo chiedeva, non capiva come avessero potuto cogliere la sua attenzione con il caos dentro la sua testa.
Afferrò la maniglia in modo febbrile, la mano che tremava contro il metallo freddo. L'abbassò, e fece scattare la serratura con uno scatto curiosamente gradito.
Si precipitò nella stanza, e le voci arrabbiate la colpirono in pieno.
Rose sbatté le palpebre, stordita, come se qualcuno le avesse appena tirato una secchiata d'acqua gelida on faccia, o fosse sbucato da dentro un vaso urlandole in faccia "SORPRESA" senza nemmeno darle il tempo di razionalizzare.
Rose si voltò, chiuse la porta dietro di lei e vi si appoggiò sopra con la schiena, esausta. Non aveva nemmeno la voglia di vedere chi fossero i due litiganti nella stanza.
Sfortunatamente per lei, erano esattamente le persone che aveva cercato di evitare per tutto quel tempo.
E non poteva ignorarle, non ora che entrambe si erano fermate sorprese a guardarla.
Rose, sentendosi sospetta dell'improvviso silenzio che si era andato a creare, alzò lo sguardo.
La sua migliore amica e sua cugina la guardavano con occhi colmi di stupore e incredulità.
Rose scivolò a terra, sbattendo violentemente il sedere.
"Rose!" Esclamò Alice, e la sua voce tradii una certa preoccupazione.
Rose la guardò senza rispondere. Scosse appena la testa.
"Hermione" disse Roxanne. Lanciò un occhiataccia a Alice e, senza avere in ben che minimo interesse per Rose, si rivoltò verso di lei spalancando la bocca, oltraggiata "Alice mi ha dato della puttana, e-"
La diretta interessata la stroncò con uno sguardo di fuoco. "Non é affatto vero!"
"Si invece!" Si impuntò Roxanne.
Alice si passò una mano sul volto. "Solo perché tu mi hai detto che Smith a fatto bene a trattarmi come ha fatto!"
"Beh perché é vero!"
"Roxanne!" Urlò l'altra, inferocita "giuro che ti tiro qualcosa!"
"Fallo" Roxanne incrociò le braccia al petto, rifilandole uno sguardo di sfida.
Alice rimase in silenzio per un secondo, gli occhi dardeggianti. Alla fine si voltò indietro, poi afferrò un cuscino, tirando il braccio oltre la schiena.
"State ferme!" Rose, sorpredentemente perfino per lei, ritrovò la voce. Si alzò e, un attimo dopo - non ricordava nemmeno di essersi mossa - era in mezzo alle due amiche. Roxanne la guardava infastidita, mentre gli occhi di Alice avevano come un fondo di preoccupazione per lei, una specie di nube nera di presagio che oscurava l'azzurro cielo sereno delle sue iridi.
Rose cercò di non concentrarsi troppo su questa parte.
"Ma siete impazzire!" Sbottò "azziffarvi così. Ma vi sembra il modo?" Roxanne fece per parlare, ma Rose la fulminò con gli occhi, continuando "vi siete ricoglionite tutto di un tratto e io non me ne sono accorta?" Alice trasalii, non avvezza a quel linguaggio di Rose; Rose rise, in modo quasi cattivo "Cazzo, quando é successo, scusate? Sono stata con voi perennemente"
"Rose..."
"Ma forse é questo il problema" fece lei, l'aria folle "ero troppo impegnata a fare la matura per rendermi conto di che razza di deficenti mi circondo"
Roxanne la guardò sorpresa e offesa. "Hermione..."
"Ah no, forse perché ero troppo impegnato a evitare che voi due vi facesse fuori a vicenda. Deve essere per questo che non ho notato la vostra coglionzaggine"
"Rose!" Intervenne Alice, "non ti permetto..."
"Non mi permetti cosa?" Sibilò lei, voltandosi di scatto "non mi permetti di dire ciò che penso? Di dire le cose come stanno? E sentiamo, come hai intenzione di fare?" Sapeva di starla ferendo, lo vedeva nei suoi occhi, eppure non le importava "cosa mai potrai fare, a me?" La frase lasciò più implicito di quanto lei volesse intendere sul serio.
Alice fece un passo avanti. Poi la furia di Rose dovette spaventarla, e retrocedette. "Rose..."
Rose scosse la testa "devi imparare a essere più preziosa. A non perdonare come se niente fosse.
Non é una cosa da niente, Alice, é una cosa importante. Fondamentale, il perdono"
"Ah" esclamò Roxanne, lo sguardo fiero, soddisfatta.
Rose si voltò verso di lei, i capelli rossi che fendevano l'aria come fruste scarlatte. "E tu" sibilò, con tanta forza che Roxanne sgranò gli occhi "ti sei mai vista allo specchio? Sembri una bambina di tre anni!" Non era vero, Rose nemmeno lo pensava, ma il desiderio di ferirla, di sfogare tutta la rabbia che covava in corpo da troppo tempo per poterla sopportare oltre era troppo forte anche solo per pensare di fermarlo.
Roxanne la guardò allibita. Fece un passo indietro, come se Rose le avesse appena tirato uno schiaffo.
"Ma ho non ho..."
"Non me ne frega niente!" Strillò Rose, fuori di sé "mi avete rotto i coglioni con questa storia, a fare da ponte fra voi due, sempre a litigare e a dirvi le peggio cose. Per Merlino, imparate a crescere! Siate mature una buona volta!" Rose guardò Alice, che, troppo sorpresa, abbassò i suoi occhi "avete sedici anni. E vi comportate da cretine!"
"É stata lei a iniziare" borbottò Roxanne.
Rose si girò di scatto per guardarla "non me ne frega un accidente" sbottò, gli occhi che pungevano "mi avete rotto il cazzo a comportarvi come persone che hanno lo stesso quoziente intellettivo di una pianta carnivora. Roxanne, impara a perdonare, non far girare l'inferno a qualcuno solo perché una volta ti ha fatto uno sgambetto."
"Io non le ho fatto alcuni sgambetto" protestò Alice, perplessa.
Rose le lanciò un occhiataccia prima di continuare. "Non é questo il punto" guardò Roxanne "non devi condannare qualcuno per delle sciocchezze che nessuno conta, diventa un inferno stare con te!"
L'altra sbuffò, scettica. "Solo perché tu non sei capace di stare dietro al mio carattere non vuol dire che gli altri non abbiano la pazienza giusta per sopportarmi"
Rose sentii qualcosa montare dalla pancia, crescere come un fuoco e scorrerle sotto le vene come cristalli taglienti.
La rabbia.
"No Roxanne, perché se perfino io mi sono stufata di certe stronzate allora deve essere qualcosa di molto grave!"
Roxanne guardò Alice, alle spalle di Rose. Strinse le braccia al petto, e voltò la testa di lato. "No" disse. "Mi dispiace, ma scusa io non lo dico"
Rose sentii qualcosa scattare dentro la sua testa. Qualcosa tremò, poi cedette e si ruppe in una cascata di tintinnio incandescenti.
"Stai scherzando"
"No, Rose, tu non capisci-"
Rose parlò prima ancora di rendersene conto.
"Ti prego" Rose sentiva che avrebbe perso il controllo di lì a poco se Roxanne avesse continuato. Forse aveva lo stesso di Hugo poco prima, ma non le importava almeno di vede che siamo fratelli "non ne posso più, mi sto esaurendo a starvi dietro come una cazzo di balia. Io non ci riesco più, sto impazzendo, e voi non mi aiutate a-"
"Hermione" mormorò Roxanne, e non c'era sfida nella sua voce, solo una vergognosa mortificazione.
Rose fece per risponderle, ma dalla bocca le uscii un verso strano. Chiuse le labbra, mentre le mani tremavano ancora di più. Quando si rese conto di avere le guancie bagnate rinunciò a dire qualsiasi cosa.
Le sfuggì un singhiozzo. Poi un secondo. Un terzo e alla fine un quarto.
Stava piangendo. In pubblico, esposta a tutti i pensieri che potevano formulare gli altri su quel suo atteggiamento. Ma, incredibilmente, ringraziava che la stessero vedendo Roxanne Wealsey e Alice Longbottom, sua cugina e la sua migliore amica.
Loro avrebbero capito. Era ironico se pensava che era uscita dal Dormitorio apposta per non incontrarle, mentre ora era così felice che ci fossero proprio loro con lei, in quel momento.
Poteva andarle peggio.
"Va bene" sussurrò Roxanne, infine, spiazzata dal piano di Rose. "Io...Alice mi disp-"
"Oh, non ti preoccupare" disse l'altra, agitando con fare tranquillo una mano in aria "sono cose che capitano"
Roxanne guardò lei, poi Rose, poi di nuovo Alice. Era così impreparata a come reagire a un piano di una persona che era stata presa in contro piede, e ciò le aveva tolto tutte le parole di bocca. Non disse niente.
Alice invece abbracciò Rose.
Rose, piangendo più di quando in realtà fosse pronta ad ammettere, si avvolse le braccia intorno al busto. I singhiozzi le facevano ancora sussultare le spalle, e, seppure si sforzava di farli silenzioso, dalle labbra serrate continuavano a uscirle versi che avrebbe preferito non esistessero.
Però avere le braccia di Alice intorno a lei era confortante. Piacevole.
Rose avrebbe replicato l'esperienza, se solo non si fosse sentita sull'orlo di una crisi isterica. Però si appuntò mentalmente che, quando stava per crollare, era meglio se parlasse prima civilmente con Alice, o con un altra persona. Di certo era meglio che esplodere a quel modo e riversare la sua frustrazione su due persone che non c'entravano niente. Beh, anche se gran parte del suo stress era dovuto al fatto che Roxanne e Alice avevano litigato, e fare la spola fra le due mantenendo i nervi saldi richiedeva una presentazione e una preparazione che lei non si sentiva di avere...
Ma era comunque ingiusto. Rose si abbandonò all'abbraccio di Alice, cercando di ricavarne più conforto possibile. Chiuse piano gli occhi, dai quali sgorgavano ancora copiose lacrime.
Dietro le palpebre le si stagliò chiara, nitida oltre il nero che l'avvolgeva, quel letto di ospedale. O forse era casa sua.
Però Rose era certa di una cosa: il sangue che sgorgava dalla mano sporgente dal letto era rosso e denso, e terrorizzante. Ed era di sua madre.
Rose sussultò piano, trovando le braccia di Alice che la accolsero tranquilla. Rose strinse con forza le palpebre, sperando di poter mandare in frantumi quell'immagine come avrebbe fatto con uno specchio.
Così, a occhi chiusi, non vide mai lo sguardo incredibilmente preoccupato che Roxanne e Alice si scambiarono.
Lo ignorò.
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Tutto, in quella stanza, sembrava preannunciare una partenza.
Le coperte smeraldi dei letti a Baldacchino erano chiuse, stese e pulite, e lasciavano intravedere la coperta verde brillante che ricopriva i letti, e sembrava come scintillare sotto la lieve luce delle candele che proveniva dal dalle finestre del Lago Nero. Oltre il letto rifatto, la stanza era così messa in ordine che Scorpius dubitava si sarebbe mai ripetuto. I bauli erano allineati come soldatini ai piedi di ogni letto, e le diverse tonalità di verde erano in perfetto tono con tutto il resto della stanza, e erano quasi come piccole gemme più scure dentro un mare già verde.
Si, tutto ciò implicava un imminente partenza.
Ma la prova più eclatante era, certamente, la neve che cadeva copiosa da un cielo grigio. Era lenta, felice, senza fretta, perché sapeva che aveva tutto il tempo per coprire di bianco i migliaia di metri che circondavano i castelli di Hogwarts.
A differenza sua, che aveva quasi esaurito il tempo. Il pensiero lo innervosì, e lo scenario tanto bello che stava fissando oltre le acque sporche del Lago Nero prese la sua attrattiva.
Divenne triste, desolato, brutto.
Nero quasi quanto il suo umore e il nome che portava.
Scorpius sbuffò. Era arrivato - finalmente, dicevano alcuni, e Scorpius borbottava solo "secondo il calendario - il tanto atteso - non così tanto, per parte del ragazzo - giorno per la partenza per le vacanze di Natale.
Non a caso tutto era rifatto e in ordine. Dovevano andare via.
Scorpius sarebbe voluto rimanere. Voleva essere sicuro di imprimersi Hogwarts nella mente, per bene, prima che ogni ricordo svanisse da lui, lasciato senza spirito vitale. Però sua madre aveva detto di no, aveva detto che doveva andare con loro, passare il Natale con la famiglia, che poteva svanire da un momento all'altro...cazzate, pensava Scorpius, tante cazzate. Lui lo sapeva, e sua madre anche.
Era inutile fingere. Era arrivato il momento di accettare la realtà.
Scosse la testa, sedendosi sul suo letto. Poggiò i gomiti sulle ginocchia, afferrandosi il capo e lasciandosi andare ai ricordi di quelle ultime settimane di scuola.
Aveva preso in giro dei Primini - tanto per cambiare...la cosa lo stava un po' annoiando - e si era goduto con gioia distaccata le loro lacrime e le loro espressioni ferite. Poi aveva esagerato con un battitore della squadra - era giusto qualche battuta, che era stato l'altro a non prenderla bene e, anzi, a prendersela per niente - e ora, ogni volta che lo incontrava, la considerava una fortuna clemente se non riceveva una mazza in testa.
Che fortuna pensò ironico Scorpius...se solo sapesse la smetterebbe con certe stronzate.
Verso le ultime notti, poi, aveva anche iniziato a non dormire. Ogni volta che ci provava, gli tornavano in mente le parole che aveva letto a Hugo Wealsey, quell'immagine tanto confusa e contorta di qualcosa gli si stagliava nella mente tenendolo sveglio con quella luce accecante.
Scorpius ci aveva pensato a lungo.
Cosa mai avrebbe potuto significare? Chiederlo al ragazzino era fuori discussione - bastava che Albus sapesse delle sue doti da Legilimets, non c'era bisogno che anche un ragazzino con problemi affettivi fosse a conoscenza del suo segreto. E poi, chissà che razza di idee si sarebbe fatto. Magari avrebbe inteso quel gesto di interesse come una richiesta di amicizia - dato che sembrava un apatico e anaffetttivo cronico, quasi privo di amici, avrebbe inteso anche il semplice prestare una penna come una richiesta di matrimonio (Scorpius ne era certo, conosceva di gente del genere)- e poi sarebbe stato incollato tutto il tempo a lui e Albus , diventando una palla al piede pazzesca per Scorpius, e, anche questo lo sapeva bene, e lo dava come certezza assodata, lui sarebbe stato costretto a dirgli qualche cattiveria per farlo sloggiare.
L'interesse di Scorpius era dettato da una morbosa curiosità, e anche dalla consapevolezza di non poter avere ripercussioni; non per una preoccupazione verso di lui. Assolutamente.
Non lo vedeva come un fratello minore, a differenza di come lo vedeva Albus, sempre preoccupato per lui.
L'altra sua idea era stata leggergli nel pensiero. Ancora e ancora, cercando le più piccole informazioni. Era un piano che, in passato, aveva già funzionato.
Purtroppo per lui, Hugo Weasley sembrava aver altro per la testa che ripensare a quel ricordo che aveva trasmesso a Scorpius con una nitidità incredibile. Era come se avesse perennemente un panno dietro la fronte, un velo di altre occupazioni a cui Scorpius non importava che però non riusciva a scalfire per leggergli dentro. Era, come lo avrebbe definito sua madre, con la testa fra le nuvole, al momento.
Aveva altri pensieri, che Scorpius non poteva decifrare, come se fossero stati scritti in una lingua straniera.
Però non gli ci voleva un genio per capire che il ragazzino non stesse benissimo. E non lo pensava solo perché i suoi poteri gli suggerivano brevi stati d'animo, ma anche perché si vedeva a colpo d'occhio.
Scorpius si sorprendeva ancora che Albus non avesse ancora notato il cambiamento nel cugino. Normalmente era uno fra i primi ad accorgersi de qualcuno stava male - specialmente se si trattava di Rose o Hugo Wealsey o Scorpius. Va be, però era anche vero che, da un paio di mesi, Albus nascondesse una persona e quindi non poteva preoccuparsi troppo degli altri.
Quindi, anche la strada di leggergli i pensieri per trovare risposte era bruciata. Andata, inutile.
E così Scorpius si era ritrovato a dover trovare un altra soluzione. Gli era venuta in mente due settimane prima, durante una ronda con la Weasley.
Il suo cervello, mentre la guardava chinarsi e pulire dei trofei caduti a terra, si era illuminato.
Era lei la risposta. Se suo fratello minore ricordava qualcosa, sicuramente anche la Weasley femmina sapeva di cosa stava trattando... Scorpius poteva benissimo leggerle nel suo cervello per trovare un collegamento con ciò che aveva visto dentro Hugo Wealsey.
E poi, lui l'aveva vista. Era arci sicuro che Hugo l'avesse pensata. Grazie a quei mesi di riflessione e rimuginazione si era fatto una vaga idea di, inanzi tutto, chi fossero le persone che Hugo Weasley aveva pensato.
Era arrivato a una conclusione secondo lui plausibile: aveva ricordato la sua
Ora, c'era uno scoglio invalicabile, per questa teoria per renderla vera, non indifferente.
Non sapeva tutto della famiglia Grenger-Weasley, ma le voci nei corridoio c'erano, e giravano anche con insolita velocità. E c'era una cosa che rendeva non vera la sua ipotesi:
Hermione Granger era morta di parto, ergo, era impossibile che il suo figlio minore ricordasse un singolo momento con lei. E poi, in quell'immagine, i due bambini sembravano anche abbastanza grandi: sei anni li avevano tutti.
Ma Hermione era morta molto prima che i figli raggiungessero quella eta.
Però Scorpius era sicuro si trattasse della famiglia Weasley: un uomo dai capelli rossi, una donna dai ricci castani, e due bambini pel di carota.
Però Hermione era morta prima di veder crescere i figli, e con ciò era impossibile che Hugo Weasley ricordasse e bla bla bla.
Scorpius sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Ormai, tutte le volte che faceva quel ragionamento, si chiudeva in un circolo di pensieri come un vicolo cieco. Strinse le dita sui capelli. Non riusciva proprio a venirne a caso.
Ma era troppo curioso e perplesso per lasciar perdere.
Ed era qua che entrava in gioco Rose Weasley. Lei si sarebbe ricordata sicuramente un momento con sua madre, magari proprio quello a cui Hugo aveva pensato. E per questo Scorpius, durante le ronde, aveva iniziato a scavare nella sua mente.
In quei mesi di studio aveva anche scoperto cose molto interessanti. Aveva notato tutti gli anfratti del suo cervello, e ne era rimasto affascinato.
Sia chiaro, non da lei: Rose Wealsey, per lui, rimaneva una ragazza come le altre, senza che fosse più importante o meno. No, era rimasto affascinato da come la ragazza ragionasse.
Aveva notato tutto. Ed era rimasto colpito da quanti pensieri girassero nella sua testa, pensieri che lui aveva per tutti quegli anni ignorato. Ora sapeva che avrebbe potuto copiare da lei ai compiti
Era incredibile con quale minuzia la Weasley calcolasse le sue azioni, con quale precisione decidesse quale fosse il momento più opportuno per ridere e quello per rimanere in silenzio, facendosi anche parecchie paranoie su cosa la gente pensasse di lei (un comportamento un po' egocentrico, per parte di Scorpius. Ma lo sapeva che la gran parte delle persone si fregava di lei e non la criticava per una risata?). Però era un ottima calcolatrice. E Scorpius, suo malgrado, doveva concederglielo, questo. E ne era anche un po' ammirato.
Nessun individuo che aveva conosciuto - sì, perché era così che vedeva Rose Wealsey: come un individuo, un granello di sabbia un po' più luminoso degli altri sul quale Scorpius aveva lasciato vedere l'occhio - gli aveva mai lasciato quella sensazione di... matematica. Certezza, sicurezza e, soprattutto calcolo delle probabilità. Le opzioni che la Weasley prendeva in considerazione e che analizzava le passavano per il cervello a una velocità disarmante, tanto che Scorpius non riusciva a stare dietro a tutte e ne perdeva qualcuna. Ed erano tantissime.
Nessuno al quale Scorpius avesse letto la mente era in grado di reggere così tante variabili.
La porta del Dormitorio si aprii all'improvviso, e Scorpius alzò lo sguardo.
Il suo migliore amico era sulla porta, gli occhi un po' perplessi. "Che ci fai ancora qui? Tra poco si parte"
"Lo so" Scorpius fissò i bauli accanto a lui. "Mi nascondo da Bulustror. Gli ho detto che ha l'intelligenza di un troll"
"Divertente" commentò Albus, neutro.
"Ehy, se non ti piace come teatro le persone puoi anche non frequentarmi più"
"Non é questo il punto" ribatté Albus
Scorpius alzò gli occhi al cielo. "E quale é, sentiamo"
"Vuoi che te lo dica?"
"Me lo diresti comunque, anche se io dicessi di no." Scorpius gli lanciò un occhiata, e gli parve che Albus arrossisse "Quindi, sì, sentiamo l'ennesima cazzata"
"c'è che stai diventanto ripetitivo." Rispose Albus, ignorando l'ultima parte della frase; Scorpius lo fissò perplesso "Sbaglio o hai detto la stessa cosa a Medelain l'altro ieri?"
"So cosa vuoi fare Al." Disse Scorpius. Si alzò "e non funzionerà. Non é con l'ironia che tornerò il ragazzo dell'anno scorso."
"E allora concentrati, sforzati e vedi di non comportarti come un coglione incallito"
"Grazie" commentò Scorpius. Albus gli sorrise in modo angelico "sopprattutto per il coglione. Invece di offendermi, perché non te ne vai? Così mi fai stare solo e sono felice"
"Non ti sto offendendo" Albus sorrise, ma gli lanciò anche uno sguardo fulminante "é la verità"
Scorpius iniziò a irritarsi. Ma non lo diede a vedere - anche se lui e Albus erano amici da tempo, dubitava il ragazzo si sarebbe mai reso conto che la sua era una recita. "Allora" disse, guardandolo calmo ma con una furia negli occhi "visto che ti piace tanto la verità e mi rivuoi quello dell'anno scorso é meglio che io sia sincero con te: lo Scorpius gentile, altruista, coraggio che crede nei suoi ideali é morto, e non tornerà."
"E io cosa dovrei fare con questa confessione?"
Scorpius indicò con il mento le spalle di Albus. "Quella é la porta". Rispose" puoi andartene quando ti senti più pronto, uccellino"
Evitava di indicare le cose con le mani: le dita erano fasciate dalle bende bianche, e l'ultima cosa che Scorpius voleva era far notare il suo fardello al suo migliore amico. Per fortuna, Albus non era un Legilimets.
Albus fece una smorfia di disappunto. Si voltò indietro, lanciò uno sguardo alla spessa porta di legno dalla quale era entrato e poi sbuffò. La chiuse con un calcio, mentre Scorpius si chinava sul suo baule.
Scorpius gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla, neutro. "Potresti anche fare più piano"
"Potresti anche aprirti con me" ribatté Albus.
Scorpius inarcò un soppracciglio elegantemente "dopo che tu non mi hai ancora detto che ti vedi tutte le notti con lei?" Albus sbiancò, e Scorpius scosse la testa sconsolato "sono un Legilimets e il tuo é un pensiero fisso. Per Salazar, Albus, sembra che me lo urli nel cervello." Albus fece per replicare, ma Scorpius lo interruppe "quindi non venire a fare la parte a me se non ti dico le cose, visto che tu fai uguale" io ho motivi ben più profondi dei tuoi.
Albus chiuse la bocca. "Hai ragione. Nel nostro rapporto c'è mancanza di fiducia"
"Non siamo in una relazione, Albus"
"Ma" continuò l'altro, come se non lo avesse sentito; Scorpius roteò gli occhi "io so che tu sei un Legilimets, quindi sapevo che, prima o poi, lo avresti scoperto. Pensa, in un certo senso si può dire che io volevo farmi scoprire.
Invece tu" gli puntò gli occhi addosso, due affilati smeraldi di rimprovero che gli tagliavano la pelle "sai che io non ho poteri fuori dal comune. Per far si che io sappia qualcosa su di te sei costretto a dirmela, se no sarà logico che vuoi tenermi all'oscuro di qualcosa. Allo stesso tempo, se vuoi nascondere delle cose, per te, basta tenere la bocca chiusa, e io non saprò mai niente. Quindi no, Scorpius, non puoi paragonare i miei silenzi ai tuoi.
Io so che avrai modo di sapere la verità con uno sguardo. Io, invece, non posso farlo con te. E tu lo sai"
Scorpius rimase in silenzio. Quella conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva. Voleva farla pagare a Albus, fargli capire che il suo era tempo perso. Aveva un milione di strade per colpirlo nel suo punto debole - meriti anni di conoscenza che lo avevano istruito a tale scopo - ma alla fine optò per quallo che sapeva lo avrebbe toccato con più forza, più nel profondo. E poi era anche un po' per torna conto personale.
"Toglimi una curiosità" disse, lanciandogli un occhiata; Albus affilò lo sguardo, sospetto "tua zia é morta subito, vero? Intendo: ha partorito e poi..." Fece un gesto esplicito con la mano.
Albus fece una smorfia. Ecco cosa lo rendeva vulnerabile: toccare la sua cugina preferita e migliore amica.
Rose Wealsey. E poi poteva illuminarlo su ciò che aveva pensato Hugo, quindi a maggior ragione.
"É morta subito" disse Albus fulminandolo con lo sguardo. "É andata all'Ospedale con Ron e non é più uscita. Contento?"
Scorpius sorrise, glaciale. "Sì" poi si voltò, chinandosi di nuovo verso il baule. Sentii Albus sbuffare, camminare avanti e indietro e, alla fine, aprire la porta del Dormitorio.
Scorpius lo ascoltò allontanarsi in silenzio.
Bene pensò sollevato. Anche lui si é allontanato. Andata.
Si voltò verso la porta, certo di essere solo.
Invece no. Albus era ancora lì e lo guardava, in silenzio. Scorpius fece un espressione sorpresa.
"Perché ti ostini a voler continuare a essere mio amico?" Chiese senza pensare "Ti tratto male: fai come hanno fatto gli altri e taglia i ponti con me. Soffriresti di meno." Aggiunse a mezza voce. Sapeva di star facendo la cosa giusta, infondo all'animo.
"Perché" rispose Albus, aprendo la porta dietro di sé e sorridendogli con una spensieratezza pari a quella di un bambino "le persone non cambiano da un estate all'altra. Tu eri buono e lo sei ancora. Ma, se ti comporti così, vuol dire che é successo qualcosa che io non so. Ma tranquillo: non voglio chiederti niente." Aggiunse in fretta, notando l'espressione allarmata di Scorpius "Voglio solo starti accanto e darti il sostegno che ti serve.
Ti chiedo solo questo: permettimi di aiutarti quando avrai bisogno. Poi potresti pentirtene"
Scorpius lo guardò, in silenzio.
Albus non aveva bisogno di essere un Legilimets per capire quando c'era qualcosa, nelle persone a cui teneva, che non andava.
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In The Name/ Scorose.
FanfictionTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...