Capitolo 112

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I capelli rossi di lei gli solleticavano il viso come tante piccole punte di chiodo. Scorpius aveva una mano intorno alla sua vita, mentre la ragazza si appoggiava a lui completamente, tanto che il ragazzo sentiva il vero e proprio calore emanato dalla pelle di lei.
Aveva la testa poggiata sul suo petto. Gli occhi chiusi, le palpebre che sbarravano la vista di quei due bei occhi azzurri. Scorpius la strinse maggiormente a sé, desiderando ci fosse maggior contatto, desiderando che lei diventasse una parte di lui.
Sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi a intervalli regolari, e si accorgeva appena che lui stava rallentando la respirazione per permettere ai loro cuori di incrociarsi, battere all'unisono. Pelle su pelle, quella di lei chiara tanto da brillare e ricoperta di minuscole lentiggini che le percorrevano il corpo come una sorta di stelle in un cielo in verso; e quella di lui pallida al confronto, bianca come candeggina. Erano sdraiati, abbracciati, le gambe un nodo difficile da sciogliere, e Scorpius non sapeva nemmeno più dove finivano le sue e iniziavano quelle della ragazza che gli stava affianco.
Le coperte verde della Sala Comune di Scorpius gli avvolgevano, proteggendo gli ultimi sprazzi di pelle e dando loro un minimo di decoro.
Scorpius sospirò. Adesso sì che si sentiva appagato e felice.
Quel suono fece ridestare lei. La ragazza si mosse piano, attenta, e Scorpius si affrettò a allentate la presa sulla sua vita per consentirle maggior movimento.
Lei mugonò qualcosa, poi si scosse, come se avesse preso una scossa. Alzò la testa e, senza guardarlo, gli diede un veloce bacio sulla guancia. Scorpius lo sentii come una soffice e candida carezza sulla pelle.
"Dormito bene, amore?" Gli chiese lei, aprendosi in un sorriso che le illuminò il volto. Si appoggiò sul suo petto, conscia di non fargli male, per guardarlo negli occhi.
Scorpius le passò una mano sulla testa rossa. "Con te sempre"
La ragazza sorrise di più, ormai completamente sveglia, le iridi chiare illuminate dalla luce del giorno che faceva capolino sotto forma di raggi verdi.
E Scorpius incontrò gli occhi azzurro-mare di Rose Wealsey.
Merlino. Era bellissima. Come aveva fatto Scorpius a ignorarla per tutti quegli anni? Come aveva fatto a non accorgersi che razza di ragazza meravigliosa fosse?
Aprii la bocca per esprimere il proprio pensiero, e stava per farlo quando si interruppe. L'occhio gli cadde sulle proprie mani, appoggiate con naturalezza alla schiena nuda di lei.
I palmi erano rossi come sangue, e le dita solo piccoli ossi che spuntavano come scogli in un mare solitario.
Scorpius si svegliò con un urlo, quasi sbattendo la testa contro il soffitto del suo letto a baldacchino. In una frazione di secondo si chiese se avesse svegliato qualche suo compagno di Casa, poi l'interesse per quella marmaglia di ragazzi che avevano smesso di rivolgergli la parola - ma Scorpius non poteva biasimarli - svanii, e lui lottò per liberare le mani dal groviglio di coperte smeralde.
Le alzò, tenendole sopra la testa illuminate dalla luce lunare.
Erano ancora sue. Le dita c'erano tutte. Delle chiazze rosse si allungavano un po' per tutte le falangi, colorando di striscie scarlatte, come se lui le avesse immerse nel sangue. Sembrava un tracciato, una linea da seguire, un percorso prefissato che non sarebbe cambiato nonostante lui lo volesse. Nonostante tutti i suoi sforzi.
Scorpius sospirò. La strada che porta al non ritorno pensò amaramente, ma ormai si era rassegnato.
Le tende del suo letto si aprirono all'improvviso, in uno sfrigolio di metallo.
Scorpius sobbalzò, prima di voltarsi e intravedere la faccia del suo migliore amico. "Tutto bene?" Gli fece Albus, apprensivo, gli occhi verdi colmi di preoccupazione e il volto stanco. Scorpius lanciò un occhiata all'orologio sulla scrivania. Le tre e quattro.
Ottimo. Aveva rovinato la notte a tutti.
"Bene" ripose, affrettandosi a infilare le mani sotto la coperta - era buio, e dubitava che la mente stanca di Albus potesse notarle, ma era meglio non rischiare. "Perché non dovrebbe?"
"Hai urlato".
"Urlo spesso" ribatté Scorpius. Poi si sdraiò, pregando solo che il suo migliore amico se ne andasse e lo lasciasse in pace. Albus era letteralmente rimasto l'unico ancora al suo fianco, che non si attendeva al suo atteggiamento menefreghista e da bollo che Scorpius si ostentava a mostrare.
Lui e, per qualche ironia della sorte, Rose Weasley.
Basta pensare a lei, Scorpius!
"Davvero? Ti conosco da quasi sei anni, e non ti ho mai visto proferire suono durante la notte" Albus gli rifilò un occhiataccia, e Scorpius alzò gli occhi al cielo. "C'è qualcosa che non va"
"No. Niente. Ti sbagli. Era un incubo, ora torna a dormire"
Albus sospirò. "Non era una domanda"
"E il mio non era un invito.
Albus, torna a dormire"
Albus lo ignorò e, al contrario, si sedette al suo fianco, al lato del letto.
Scorpius si sposò bruscamente, evitando che il suo corpo entrasse in contatto con quello del suo migliore amico.
"Al!" Scorpius lo fissò in cagnesco, stringendosi la coperta sul petto "si può sapere cosa hai intenzione di fare?"
"Oh, andiamo, ti comporti come una dodicenne che vede per la prima volta un ragazzo" sbuffò lui alzando gli occhi al cielo. "Cosa c'è, hai paura che non riuscirai a comportarti nel modo corretto per colpirmi?"
"Taci" Sibilò Scorpius.
"O forse ti vergogni per il tuo seno." Albus gli lanciò un occhiata ambigua, che Scorpius ignorò bellatamente "E già, potrebbe essere un problema questo"
"Cosa di 'taci' non riesci a capire, esattamente?"
"Un po' tutto. A partire dal suo significato"
"Ottimo" borbottò Scorpius, e si voltò su un fianco, dal lato opposto dove stava Albus.
Quasi sentii gli occhi del suo amico trafiggerlo.
"E cosa di 'ti puoi confidare con me' tu non riesci a capire?" Gli chiese Albus, glaciale.
Scorpius non si voltò a guardarlo.
"A volte proprio non riesco a capirti" disse piano, dopo diversi attimi di silenzio "io non ho niente da nascondere. Non ho niente da confidare.
Sto bene" scandii, anche se sapeva fosse una bugia.
"No. Tu non stai bene. Si vede lontano un miglio, Scorp. E io voglio capire perché" gli disse Albus, deciso.
Scorpius meditò sulla risposta. Nella mente gli si pararono i fogli bianchi, la scritta in nero che risaltava come una sentenza di morte sopra quella carta.
I fogli che lui nascondeva. I figli che lo avevano costretto a cambiare.
Gli stessi figli che nascondeva nel suo comodino, terzo cassetto, e di cui ricordava la posizione con insolita precisione.
Chissà. Forse la memoria diventa più forte quanto più é drammatico o quanto più sono forti le emozioni che quel ricordo ti genera rifletté un po' a caso, solo per temporeggiare la risposta. E per provare a dare una spiegazione alla memoria fotografica che in sedici anni di vita - quasi diciassette - non aveva mai avuto.
Alla fine sospirò. Si voltò, girandosi sul fianco.
Albus lo stava ancora guardarlo, gli occhi verdi una distesa di prato che pululava di piccoli animali che ne infestavano l'erba sotto il morbo della preoccupazione. La sua figura era snella, piccola e bianca contro la luce della luna che si stagliava alle sue spalle, e ne ritagliava il contorno il un foglio grigio-argento.
Sembrava gli conferisce un aura, e lui risaltasse su essa e con essa.
Le iridi brillavano, una distesa di diamanti sotto un fascio di luce.
"Allora? Mi vuoi dire cosa nascondi?"
Scorpius sentii il peso del suo segreto gravargli sul cuore.
"Niente. Non nascondo niente" ripose tornando a dormire.
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Ripensandoci, non era stata colpa sua.
Insomma, era stata colpa del piccoletto Weasley. Quel ragazzino stava sempre in mezzo, e Scorpius ormai gli leggeva i pensieri solo per sfizio, per piacere personale.
E non era colpa sua se quel ragazzino pensava costantemente alla sorella.
E quindi non era colpa sua se a furia di sentirlo la aveva sognata.
Sembrava che Hugo non avesse altro per la testa. Il pensiero di Rose era fisso in lui, come avrebbe potuto essere il pensiero di un mattone per un muratore, o il bisturi per un dottore, o una bacchetta per un mago, o...
Sì, insomma, concetto afferrato.
Cose così, no?
Però Hugo Wealsey era un continuo tenere come punto di riferimento la sorella maggiore. Nella sua mente continuava a lodarla, a dire tutti i suoi pregi, a osannarla e a chiedersi perché lui non fosse come lei, perché lei riuscisse nelle cose dove lui non era capace, eccetera eccetera...
Diceva (pensava, più che altro, ma Scorpius era troppo stanco per corregersi o fare caso a quelle piccolezze) che era troppo buona, gentile, altruista, intelligente, brava per essere cresciuta senza madre, che era troppo una brava persona per meritarsi la totale assenza di una figura femminile e bla bla bla. Più volte Scorpius lo aveva anche sentito incolparsi per ciò che era successo a sua madre e, sebbene provasse solo un remoto istinto che gli diceva di andare da lui e almeno provare a consolarlo, gli dispiaceva per il ragazzino. Si chiedeva quanto dovesse essere difficile vivere con un senso di colpa del genere, non solo di aver ucciso una persona, ma addirittura di aver tolto una madre alla creatura più meravigliosa, buona, brava e meritevole della Terra (tutte parole dello Weasley, sia chiaro).
Poi Scorpius si ricordava dei suoi problemi e il pensiero di Hugo Weasley gli voleva via dalla testa.
Il pensiero di Hugo, ma non quello di Rose.
Per quanto gli costasse ammetterlo, la pensava in continuazione. E non andava bene.
Ma non era colpa sua, rifletté adesso, prendendo del succo di zucca e versandoselo dentro il bicchiere, era solo un riflesso condizionato di ciò che sentiva sempre nella Sala Comune. Lui non poteva controllare il suo potere, e di certo se il ragazzino urlava nella sua testa le qualità che rendevano Rose Wealsey la tipica ragazza perfetta Scorpius non era nessuno per poter anche solo provare a credere che non fosse così.
O provare a ignorarlo.
Scorpius si ritrovava a fare queste considerazioni, qualche ora dopo, durante la colazione. Aveva dormito una merda, Albus lo aveva lasciato in pace solo alle cinque, e a quel punto aveva avuto troppa paura di addormentarsi e fare si nuovo quel sogno per concedersi un riposo più che meritato. E in più era preoccupato per la sua condizione, i suoi segreti, ciò che lo stava divorando dentro dall'estate.
Aveva ripensato al sogno che aveva fatto, ai suoi pensieri verso Rose Wealsey, ed era giunto all'unica plausibile spiegazione del perché avesse sognato proprio lei e non qualsiasi altra ragazza figa nella scuola - beh, anche se dal suo sogno Rose poteva benissimo competere con le altre ragazze della scuola.
Semplicemente: aveva letto i pensieri di Hugo Wealsey, lui gli aveva fatto vedere Rose sotto una nuova luce, non la narcisista che Scorpius credeva un tempo, e lui ne era rimasto tanto colpito che la sua mente gli aveva riproposto in sogno ciò che credeva di volere.
Ma la verità era un altra: Scorpius voleva ancora capire come mai Hugo ricordasse un episodio con sua madre quando questa era morta, e lo cercava nella testa di Rose con assiduità che alle volte gli metteva una certa inquetudine.
Ah, si, ricordo all'improvviso a sé stesso. Era quello il motivo.  É quello il motivo per cui le hai letto tanto nel pensiero da ormai sentirli anche a distanza, da ormai capire quando arrivare una buona decina di minuti prima che lei faccia effettivamente ingresso nella stanza. È questo il motivo per cui quando senti anche solo un vago accenno di lei nella mente del fratello ti fiondi a leggerla come se niente fosse. Scorpius scossa le testa, scioccato dai suoi stessi pensieri.
Era quello il motivo per cui era stato felice di quelle lezioni supplementare che gli dava Rose.
Purtroppo - e questo era un altro lato negativo - più passava il tempo con la ragazza, più lei continuava a colpirlo con dei lati del carattere di cui Scorpius non si era mai accorto, che erano rimasti seppelliti sotto strati di indifferenza che per quegli anni erano governati sovrani.
E più Scorpius si accorgeva di quanto gli piacesse il carattere che lei tirava fuori. Più passava il tempo, più riscopriva la ragazzina che aveva ignorato per sei anni. Era come se, giorno dopo giorno, Scorpius togliesse via via degli strati alla sua persona, e finalmente potesse riuscire a scorgere la vera Rose, quella nascosta, soffocata, sotto cumoli di controllo per dosare il proprio carattere.
Quando lei si era aperta in quel modo, la notte in cui Scorpius aveva seguito Yahn alla Sala Comune dei Grifondoro, dicendole tutte quelle cose su di lei che Scorpius non aveva neanche scorto, nonostante la sua capacità di leggere nel pensiero, era stato tentato di darle contro, di utilizzare quelle informazioni a suo vantaggio per ferirla più di quanto avesse fatto per l'intero anno - e magari allontanarla una volta per tutte - ma poi aveva rinunciato.
Aveva pensato che lei...non lo sapeva, ma non voleva darle un danno così grave. Dopotutto Rose non era colpevole di niente, non aveva fatto assolutamente nulla per meritarsi quel trattamento. E anche se Scorpius sapeva sarebbe stato meglio se lui avesse continuato a fare il bullo, a offenderla, a ferirla per farla stare lontano da lui, non ci riusciva.
Forse si stava facendo influenzare dai pensieri di Hugo Wealsey, ma la riteneva davvero troppo gentile, buona e altruista per avere quel genere di trattamento che invece riservava agli altri. E poi aveva già sofferto abbastanza.
Forse non avrebbe retto se lui avesse usato come un coltello la sua momentanea perdita di controllo.
E in più...quella emozione, la luce nei suoi occhi, quella che animava il suo volto gli piaceva come poche.
Gli piaceva - il carattere, si intende.
"Scorpius?" Albus, messo non troppo meglio di lui a livello di sonno, lo guardava stanco "ti sei incantato? Devo ricordarti che abbiamo lezione?"
"No" Scorpius si passò una mano fra i capelli scompigliati. "Sono solo...stavo pensando."
"Lo vedo." Borbottò Albus. Si alzò "beh, vedi di non perderti troppo nella tua mente e usala per vedere le risposte alle domande dei prof. Siamo davvero messi male, adesso, se non arriviamo in orario..."
"Calmati, arriveremo in orario" Scorpius alzò gli occhi al cielo per la preoccupazione del suo amico.
Ecco cosa faceva poco sonno: incrementava lo stress.
Albus gli lanciò uno sguardo fulminante "taci" disse, poi si voltò e uscii dalla Sala Grande.
Scorpius lo seguì con lo sguardo per un momento, fino a quando quello non scomparve oltre le grandi porte di quercia. Poi si alzò, afferrò un pezzo di pane dal tavolo - Medelain, che lo stava per prendere lei, lo fissò malissimo - e si voltò, diretto a seguire l'amico in qualche aula di lezione di cui nemmeno lui era sicuro.
Scorpius uscii dalla Sala Grande sovrappensiero. Svoltò un angolo, i ricordi che tornavano al sogno fatto quella notte - non era così male, se ci rifletteva bene - e, di punto in bianco, si imbatte in una figura che non doveva assolutamente trovarsi lí.
Come se l'avesse invocata con la mente, Rose Wealsey stava un piedi davanti a lui, e lo fissava in modo perplesso e curioso al tempo stesso.
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Alice ormai era decisa. Era tanto tempo c'è ci pensava, ed era fermamente convinta che fosse arrivato il momento.
Ok, non aveva propriamente risolto con Frank, ma almeno sapeva il motivo dell'odio che lui provava per lei e avrebbe cercato di limitare le occasioni prossime che lo scatenavano, nel futuro. Non avevano raggiunto nessun punto di incontro, ma almeno Alice non andava più alla cieca per sapere come mai Frank la detestasse tanto.
Credeva che, visti questi sviluppi, fossero sulla giusta strada per costruire un rapporto solido. E magari uguale a quello degli altri fratelli.
Sì, poteva essere.
Ma adesso doveva fare anche altro. Aveva aspettato tanto, aveva meditato per cercare di sapere se fosse una buona idea o meno, aveva cercato di andare di testa e non di cuore, e ora aveva preso una decisione.
Risulto Smith e Frank, con le loro questioni che l'avevano logorata come non mai, Alice era più che sicura fosse arrivato il turno di Albus.
Fosse arrivato il momento di chiarire con lui la loro situazione, i loro sentimenti e...
"La nostra condizione" Alice sospirò davanti allo specchio. Si passò una mano fra i capelli castani, e infilò diverse ciocche sfuggite alla cosa alta dietro le proprie orecchie. Si stava fissando attentamente, cercando di vedere se andasse bene, per vedere se fosse attraente. I capelli castani erano un po' lasciati liberi sulle spalle, delle ciocche le ricadevano in tutti i modi intorno a lei, incorniciandole il viso con fili marroni. Gli occhi azzurri erano arzilli, la pupilla tanto ristretta da lasciare intravedere tutto il cielo dentro le sue iridi, e Alice riusciva a scorgere anche qualche traccia d'oro che solcava quella vallata circolare di celeste.
Si studiò, la bocca che diventava una linea sottile.
Non stava male. Forse, certo, avrebbe potuto avere un maso meno all'insù, due occhi un po' più da cerbiatta, le labbra più carnose...
Alice sbuffò, dandosi della ridicola da sola. Perché adesso era così difficile accettarsi? Perché uscire e stare insieme agli altri, attraversare la Sala Comune e andare da Albus le sembrava un impresa più ardua che avesse mai dovuto compiere?
Lei era una Grifondoro: non avrebbe dovuto avere paura.
Mai le era importato tanto di un ragazzo. Mai si era preoccupata tanto di come apparire in pubblico (quella era Rose, costantemente in ansia su come comportarsi per l'idea che la gente si sarebbe fatta di lei).
In poche parole, mai era stata meno sicura di così. Lei, che aveva sempre avuto un carattere forte, certa di tutte le sue convinzioni, le sue azioni e il resto dentro il pacchetto che conteneva la sua essenza; adesso si trovava terribilmente indecisa su come comportarsi, cosa dire per farsi perdonare il ritardo di tre mesi seguito al loro bacio.
Ora capiva come doveva sentirsi Rose tutti i giorni.
Ed era orribile. Sperava che non dovesse ricapitarle mai più una cosa del genere.
Alice sospirò. Pensare al suo aspetto fisico era stupido, Albus era un ragazzo profondo: si sarebbe sicuramente spinto oltre il superficiale.
E poi non era da lei rimanere ferma a non fare niente. Non era da lei restare immobile a contemplare la sua immagine riflessa.
Lei era una persona attiva. Lei viveva di fatti, non di altro.
Lei andava al sodo. Subito.
Non esitava davanti alle sfide.
E nessuno avrebbe mai cambiato questa parte di lei.
Alice si fissò allo specchio, e per un attimo stentò a riconoscersi.
Era davvero lei la ragazzina timida e indifesa che lo specchio le mostrava?
Da quando aveva paura? Da quando non si muoveva? Da quando temporeggiava?
No, lei non era così.
"Fottiti" sibilò allo specchio, poi si staccò dal lavandino e si precipitò fuori dal bagno del suo Dormitorio.
Entrò nella camera e Roxanne, seduta sul suo letto per via delle numerose ore buche, alzò lo sguardo perplessa.
"Alice? Che cosa...?"
"Non ho tempo per parlare, ora" disse lei, correndo a per di fiato per la stanza. Roxanne le lanciò un occhiataccia, quando Alice le lanciò per errore un reggiseno in faccia. "Devo andare"
"Dove?"
"Da tuo cugino" Roxanne sgranò gli occhi, e balzò in piedi "o, non preoccuparti." Le disse Alice, agitando una mano in aria con fare leggero "non lo voglio mica picchiare"
Roxanne però, non sembrava tranquilla "No, Alice, tu non capisci..."
"Se torna Rose dille che sono da Albus, e che non mi importa se é a lezione" disse Alice senza ascoltarla.
"Alice!" La chiamò l'altra, ma Alice, ormai troppo decisa per tornare indietro, non la ascoltò.
Roxanne si lanciò in avanti, ma Alice era già sparita dritto la porta del Dormitorio.
Roxanne rimase ferma, immobile, fissando il legno davanti a lei con espressione vacua.
"Ma io dovevo parlarti" sussurrò al silenzio intorno a lei.
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"Dove vai?" Gli chiese Nott, in piedi davanti alla porta del Dormitorio.
Hugo, che non si era aspettato nessuno a sbarragli la strada (da quando qualcuno che non era Rose o Lily lo calcolava?), Sobbalzò. Spostò lo sguardo sul ragazzo, e alzò un soppracciglio elegantemente.
"A fare una cosa"
"Cosa?"
"Non mi sembra siano affari tuoi"
Nott rimase a fissarlo in secondo, poi si agitò sul posto. "non vorrai cacciarti nei guai, vero?" Chiese. Hugo aprii la bocca per dire che lui non lo aveva mai fatto, ma evidentemente le sue intenzioni dovevano essere plausibili anche dall'esterno. "Non dire che non é così" lo precedette Nott alzando una mano "ti ho visto, qualche settimana fa, rientrare nel bel mezzo della notte.
Si può sapere cosa ti prendeva quel giorno?"
"Era settimane fa. Chi vuoi che se lo ricordi?"
"Io me lo ricordo" affermò il suo compagno di stanza.
Hugo spostò gli occhi da quelli nocciola del ragazzo. "Comunque non c'entra. Devo fare una cosa, e non sono affari tuoi"
"Hugo, sul serio. Non metterti nei guai." Ribadì Nott. Che strano, pensò Hugo, un ragazzo di cui nemmeno conosceva il nome si stava preoccupando per la sua media scolastica.
Suo padre non lo aveva fatto per quattordici anni.
"Anche se fosse?" Chiese burbero "Che ti interessa?"
L'altro parve essere colto alla sprovvista "c'è che farai perdere punti a Serpeverde! E, se permetti, io vorrei anche vincere questo anno"
Ah, é questo quello che gli interessa.
La Coppa delle Case.
Tutto torna.
Ci era stranamente rimasto male.
Scosse la testa "non mi farò beccare"
"Hugo..."
"Ohhh stai al tuo posto, Nott!" Sbottò Hugo, esaurito. Il ragazzo sobbalzò, sorpreso, e Hugo sentii un vago senso di colpa nascere in lui. Lo ignorò "non sono affari tuoi. Io pago per le mie conseguenze senza chiedere nulla agli altri"
"Ma se le tue conseguenze riguardano tutti come fai a prenderti singolarmente la responsabilità?" Ribatté Nott.
Hugo sbuffò. Parlare così non gli piaceva, soprattutto se l'altro aveva ragione.
E soprattutto se Hugo stesso sapeva di essere nel torto.
"Fatti gli affari tuoi" rispose seccato, poi lo scostò con un gesto della mano e uscì dal Dormitorio di Serpeverde.
Sentí indistintamente l'altro emettere un paio di versi di protesta, ma quando svoltò un angolo e scese le scale anche quelli furono soffocati dal silenzio e della distanza.
Hugo si ritrovò nella Sala Comune, pressoché deserta - e ciò era abbastanza normale, visto che quasi tutti gli studenti erano a lezione. Ci sarebbe dovuto essere anche Hugo stesso, ma aveva ben pensato di saltarla.
E, visto che lo aveva fatto anche Nott, non era l'unico.
C'era solo qualche ragazzo dal sesto in su che studiava, chinato su qualche libro occupando così le ore buche. Hugo sospirò, salendo esattamente dove dirigersi.
Salva dove trovarla. Sapeva dove l'avrebbe trovata.
Ci aveva pensato. Aveva risulto la cosa su Hermione, aveva chiarito con Scarlen Julep come erano andate le vicende, e credeva fosse arrivato il momento di dare ragione a Rose.
Di ascoltare il consiglio che gli aveva dato prima, il consiglio che gli diceva cosa fare.
Era anche la cosa più giusta. Lui aveva sbagliato. Se ne rendeva conto, e ora doveva solo ammetterlo ad alta voce alla ragazza alla quale aveva fatto un torto tre anni prima - torto stupido, che lei non si meritava, e dettato dall'infantilita e dalla mente chiusa.
Hugo degluttii. Facile, no?
No, affatto. Non era facile per niente.
Era dannatamente difficile, e Hugo lo sapeva bene. Lui non era mai stato bravo a chiedere scusa, e tanto meno a essere nel torto - suo padre non gli aveva mai insegnato la differenza fra giusto e sbagliato, e, con lui, Hugo era sempre stato sicuro di essere nel giusto.
Quindi ora, che doveva chiedere delle scuse, si trovava in alto mare.
Non aveva la più pallida idea di cosa fare, come iniziare.
Ci aveva messo tre anni per capire di aver sbagliato, quanto gli si sarebbe voluto per ammettere ad alta voce il suo errore? E a chinare la testa e a chiedere scusa?
Ma ciò non avrebbe costituito un ostacolo per ciò che voleva fare.
Ormai era - abbastanza - sicuro di cosa fare.
Aveva passato quelle settimane a pensarci, a qualcosa doveva pur essere servito, no?
Si era addirittura fatto un discorsino!
Tre righe, ma pur sempre impegnativo.
Così, Hugo marciò spedito verso le scale dei Dormitori. Dormitori femminili. Sebbene le altre case avessero un meccanismo per non permettere ai ragazzi di entrare nelle stanze delle ragazze, la Sala Comune di Serpeverde faceva eccezione.
Hugo non sapeva perché, e nemmeno gli interessava. Salii piano le scale, avvertendo appena il tremore, mentre l'agitazione si faceva strada in lui come una corrente calda dentro l'oceano gelido.
Le parole del suo discorso iniziarono a svanire dalla sua mente, volare via come se fossero gonfie di Elio e lasciare solo un vioto idiota nel suo cervello.
Hugo camminò piano, rallentando sempre di più man mano la porta si avvicinava, si ingrandiva nel suo campo visivo. Era vagamente consapevole del cuore che batteva all'impazzata nel petto, che pompava sangue come dei tamburi nelle orecchie.
Quando si ritrovò davanti alla sua metà, Hugo esitò solo un secondo prima di battere la mano sulla porta in legno.
Non era concentrato per riuscire a sentire ciò che accadeva all'interno - il battito del suo cuore gli occupava tutta la mente - ma immaginò che qualcuno, quel qualcuno, si stesse alzando da una poltrona e stesse andando ad aprire. Magari la strusciava sul pavimento, e i suoi passi pesanti annunciavano il suo imminente arrivo...
Un attimo dopo, la porta si aprii con un risucchio, e Hugo trattenne il fiato.
La ragazza sulla soglia inarcò un soppracciglio, d'apprima perplessa, la divisa di Serpeverde rigorosamente indosso e una mano poggiata allo stipite della porta. Lo guardò schifata.
Come biasimarla pensò Hugo, sentendosi piccolo sotto quegli occhi puntati su di lui.
Poi il volto di lei si colorò di rosso, come se  qualcuno vi avesse gettato sopra della vernice scarlatta, la rabbia che montava.
"Che ci fai tu qui?" Gli chiese brusca Medelain Heartquake.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora