Capitolo 10

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Piccolo squarci di luce - come una sorta di speranza - interrompevano la pioggia battente che accompagnava il loro viaggio.
Il silenzio avvolgeva la famiglia Weasley come un guanto bianco, stringendo in una morsa le loro gole e stroncando sul nascere ogni vano tentativo di conversazione.
Rose sentiva la sua gola secca, il volto piú rosso del solito e le orecchie che andavano a fuoco, probabilmente raggiungendo lo stesso colore dei capelli.
La sua lingua era carica, spingeva contro il palato cercando di schiudere le labbra e provare ad articolare qualsiasi frase di senso compiuto. Spesso si era anche ritrovata ad aprire la bocca, provando a dare voce a qualche suo pensiero riguardante il tempo, ma il suo cervello - unica parte che sembrava Hermione le avesse voluto lasciare, insieme ai capelli incredibilmente crespi - le cuciva le labbra, serrando le mascelle una contro l'altra.
Forse era meglio così - ansi, molto probabilmente - rimanere zitti e rispettare il religioso silenzio che aveva accompagnato i tre fuori dalla casa, li aveva seguiti come un ombra nei movimenti e adesso respirava loro sul collo, in un apprensione restrittiva incredibilmente fastidiosa da sopportare. Lasciare che le parole non dette aleggiassero tra loro, venissero trasportare dal leggero vento che scompigliava i capelli color carota, e accettare la loro forza indebolita di incoraggiamento, come se fosse stato un urlo contro il muro.
Dopotutto, i tre erano - Rose lo poteva immaginare bene, e lo vedeva negli sguardi persi di Ron e Hugo, riflesso nelle iridi le medesime emozioni che anche lei provava - persi nei loro pensieri, gli occhi bassi e pupille puntate a terra, il sole che si infrangeva sui loro capelli, tessendo fili rossi molto simili a stoffa sulle loro teste.
Il suono dei passi scandiva il tempo, perfettamente sincronizzati l'uno con l'altro, e rompevano l'aura di sacralità rispettosa che li seguiva e sembrava aver costruito su di loro una cupola di vetro: tanto pulita da risultare invisibile, ma altrettanto potente da riuscire a esiliarli dal mondo, come se le loro vite fossero state tagliate, cucite via, dal resto dell'umanità, e fossero stati destinati a vagare, per sempre, fra di loro senza avere contatti esterni o scambiare parole divertenti.
Forse bucare quella cupola non era una buona idea. Avrebbe opposto resistenza, segando con le dita e tagliando la pelle.
Rose rimase muta, temendo che le sue parole potessero rompere il silenzio e ferire qualcuno. Non era pronta ad asciugare il rosso sangue sgorgante di tagli che non riusciva a vedere se non col cuore.
O forse la cupola era solo un effetto del grande ombrello contro cui si erano riparati. La pioggia sbatteva sulla stoffa viola, disegnando macchie più scure e lasciando intravedere, di tanto in tanto, le nubi che occupavano il cielo come un manto grigio. I piccoli plinc che si andavano a formare con l'urto si sommavano al suono dei passi, ed erano tanto tenui e insonori che spesso Rose aveva pensato fossero rispettosi per il lutto che stavano attraversando. Ma non poteva essere così. Solo loro soffrivano, e pensare che qualcuno potesse capirli era fantascienza pura.
Rose aveva imparato la lezione a sue spese.
Ma, ora, alla rossa non interessava. La sensazione di aver sbagliato si era lentamente ingigantita in lei, e aveva iniziato a salire dal suo stomaco fino a prendere il fegato, i reni, e tutti gli altri organi bassi; aveva varcato le difese di razionalità e incoraggiamento che Rose cercava di ignettarsi a suon di pensieri sensati, ed era trovato al sangue; scorreva nel suo corpo come viaggiando ad alta velocità su un autobus, prendeva passaggi e slittava lungo tutta la sua pelle, saltellando dalle piccole lentiggini che cospargevano i suoi arti magri; attraversava il suo corpo con dolorosa consapevolezza, scaldando il bianco latte della pelle facendola rendere sempre più conto del suo errore; e, infine, era arrivato al cuore, pietrificando nella sua morsa gelida l'organo pulsante, facendolo restare fermo nell'immobilità del ripensamento e del pentimento.
A lungo andare, il sospetto si era trasformato in certezza, lentamente, lasciando che soffrisse piano sucvobe del ragionamento, che la comprensione scottasse la sua pelle fino a fare uscire a suon di dolore la conclusione, come acqua che evapora sotto il sole di agosto, e la sensazione era diventata una vera e propria punizione.
La consapevolezza di aver sbagliato si era completamente impossessata di lei, e rendeva rigidi i movimenti fluidi facendole scordare banali azioni che, tutti i giorni, aveva compiuto, vittima dell'automa quotidianità.
Accanto a lei, Ron reggeva l'ombrello tanto forte da fare diventare bionde le nocche, e far tremare un po' le mani che spesso avevano avuto scostoni, prima a destra e poi a sinistra sulle loro teste, come se dopo tutto quel disabitudine ad uscire insieme l'uomo si fosse dimenticato come si coprivano più persone contemporaneamente sotto un unica protezione.
Lo sguardo azzurro puntava in avanti, sfidando la pioggia a catinelle che uscurava la vista, come a volersi perdere, guardare oltre, fra quei violenti fili d'acqua che si alzavano davanti a lui, sbattendo con forza contro l'ombrello che teneva in mano.
I capelli scompigliati, con i quali aveva accolto i figli poco prima, si alzavano ritti sulla sua testa, agitandosi a comando del vento che sfilava tra di loro come fra i fili d'erba.
Spiccavano sulla sua testa come pali rossi, alzando la sua figura più di quanto già non fosse; ondeggiavano, piegandosi sotto una forza che non potevano controllare, al comando dell'aria, e quasi si piegavano completamente toccando con le punte di fuoco il cranio.
La mano che non reggeva l'ombrello era mollemente abbandonata al suo fianco, e si agitava in sincrono con la gamba opposta, lanciandosi avanti e indietro, fendendo le piccole goccioline che lo mitraggliavano come punte di aghi, ammazzando per qualche breve istante il flusso continuo di acqua piovana.
Per il resto, il suo corpo appareva rigido, trattenuto, quasi che una forza più potente del vento e più decisa della pioggia lo bloccassero dal fare azioni affrettate e insensate.
Rose lo guardava in sottecchi ma, dopo che suo padre non girò lo sguardo per fare scontrare i loro occhi azzurri, la ragazza lo ignorò, passando oltre.
Il suo sguardo si fermò sul fratello.
Hugo camminava a tre passi di distanza da loro, la pioggia che bagnava la testa reclinata in avanti, appiattendo ancora di più il suo ciuffo rosso, dal quale cadevano, seguendo come una linea guida i sottili capelli rossi, le piccole gocce che si erano intrufolate tra i suoi capelli, insieme ai raggi di sole che, come uno scorcio, tagliava le nubi, interrompendo con un taglio netto il continuo grigio che occupava il cielo.
Hugo aveva le mani ficcate nelle tasche, affondate nella stoffa come a voler scomparire, che stringevano in pugno le dita. Rose poteva benissimo immaginare le unghie che si conficcavano nella carne.
Aveva il passo irregolare, discontinuo, come se si stesse concentrando molto di più di quanto fosse necessario per mettere un piede davanti all'altro. I suoi piedi inciampavano nelle pietre disseminate qua e là per il terreno, sbilanciando il corpo slanciato verso terra, dando l'impressione di poter cadere da un momento all'altro, toccare il suolo con un sonoro schianto a seguito di una raffica troppo forte. Somigliava molto a un paletto di cartone ficcato nel terreno, succobe del vento e vittima della pioggia, che attraversa il suo corpo fino come a voler tagliere e, alla fine - a furia di raffiche veloci e mirare -, riusciva a spezzarlo, lasciando che la parte alta cadesse con un tonfo di sconfitta del terreno inondato di acqua, con un piccolo splash che sottolineava comicamente la sua perdita.
I suoi occhi marroni, però, puntavano al terreno, quasi fidandosi con il terra che lo sottostava. Le iridi cioccolato erano attratte dal terreno, incollate in quel posto fangoso dove persino i piccoli sassi che ne arricchivano a livello geostatico sembravano abbandonarvici, affogando in quella melma di acqua e terra che aveva ridotto così i campi che qualche tempo prima erano stati rigogliosi e belli. Davano l'impressione di volerci perdere anche loro, ricongiungendosi al colore che le rendeva così simili.
Hugo fissava le gocce che rimbalzavano con forza contro i sassi, come se avessero vissuto nell'illusione di poter scalfire la superfice solida che rifletteva, brillando sotto il bagnato, i tenui raggi solari che bucavano le nubi come pugni su un foglio di carta, e poi fossero stati costretti ad accettare la triste realtà di essersi sbagliati.
Tuttavia, la smorfia che accompagnava il suo viso da quattordici anni a questa parte, si era momentaneamente assopita, addormentata, dimenticata dalle espressioni facciali di Hugo, vittime di pensieri più profondi e più importanti che occupavano il suo cervello.
Aveva lo sguardo concentrato.
Rose sospirò, infilando una mano nella borsa, giusto per sentire il naturale ticchettio delle poche robe che vi aveva dentro, e avere sotto la pelle qualcosa diverso dalla consapevolezza del suo errore, in modo da distrarsi da ciò che aveva sbagliato.
Aveva avuto la tentazione di alzarla e metterla dentro quella del padre, far incrociare le loro dita e sentire il calore rassicurante che la figura paterna le emanava.
Ma si era trattenuto. Come dei fili di una marionetta che imponevano all'oggetto immaginato i movimenti, così Rose si vietava anche solo di portare ad aver un contatto con Ron.
Era da tanto tempo che non ce l'avevamo, da prima che lei ricordasse: non sapeva come avrebbe reagito.
Il rumore dei passi si interruppe. Ron si fermò, e per poco Rose non andò a sbattere contro il metallo nero e lucido del cancello della Tana, che, contro la pioggia battente e i leggeri raggi di luce che lo colpivano, sembrava ancora più grande e imponente.
"Arrivati" borbottò Ron, lo sguardo indecifrabile mentre l'ombrello tremava nella sua mano.
"Fantastico!"
"Non fingere, Rose" Ron le lanciò un occhiata in sottecchi, prima di tornare a fissare oltre il cancello, dove la pioggia e la lontananza si mischiavano in un effetto illusorio di disformazione.
Rose gli lanciò uno sguardo, mente Hugo, un po' timoroso, si avvicinava contro di loro. Poi, anche lei affilò lo sguardo per cercare di intravedere le costruzione sbilenca di legno, retta in piedi dalla magia - molto probabilmente illegale.
Rose degluttii, la realtà delle sue azioni che si abbatteva su di lei come un onda. Mai in vita sua si era tanto pentita di aver scritto una dannata lettera.
"Entriamo"
Ron, l'ombrello che tremava talmente tanto da ormai coprirli solo ogni venti secondi, allungò una mano, rigida come se tenerla ferma per tutto quel tempo iela avesse atrofizzata in verticale, e - Rose prese un profondo respiro di coraggio - aprii il cancello, un cigolio vagamente inquentante che si mischiava alla pioggia ad accoglierli.
Ron spostò il cancello di lato, lasiciando un apertura di un metro verso il giardino della Tana, deserto per via della pioggia. Rose riuscii a intravedere diverse macchie più scure, sfocate, come se le guardasse attraverso una lente, sulle quali la pioggia battente sottolineava il loro contorno. La ragazza le riconobbe subito: sul prato verde della Tana erano dissiminati quattro automobili di colori diversi e indefiniti al momento, ognuno appartenente a una delle famiglie Weasley.
Più in là si stagliavano, chiare come stelle su in cielo buio, altre due macchine, probabilmente di proprietà Scamander e Longbottom.
Rose degluttii: erano stati gli ultimi ad arrivare.
Questo significava che, quando la porta di legno della Tana si sarebbe aperta rivelando le loro figure, tutti gli occhi, dai colori più disparati, si sarebbero posati su di loro, in un misto di sorpresa inaspettata che Rose non era sicura di riuscire a reggere.
Dannazione pensò mentre, a lunghe falcate, attraversava il giardino della Tana, tagliando orizzontalmente l'erba rigogliosa papà poteva sbrigarsi un po' di più!
Ma Rose non ebbe tempo di pensare a altro.
Prima che se ne potesse accorgere, erano arrivati davanti alla porta in legno della Tana, tanto vecchia che sembrava faticare contro la tempesta che imperversava fuori.
Rose si passò una mano sugli abiti, giusto per sentire come si fosse combinata. Le sue dita percorsero tutta la coscia, affondando fra il tessuto azzurro che la fasciava.
Fece una smorfia: era fradicia.
Anche i capelli si erano incollati al viso, disegnando curiosi fiumi rossi sulla sua faccia, quasi come se un fuoco amico la stesse attraversando, e la maglia si era completamente adagiata contro il suo corpo snello, rivelando anche piú del dovuto.
Ron e Hugo, comunque, non erano messi meglio.
Ma visto che doveva vederla solo la sua famiglia, Rose non si preoccupò molto. Alzò il viso verso il padre, un attimo confusa dal fatto che stessero ancora tremando sotto la pioggia al posto di essere soffocati dalle tremila braccia Weasley in abbraccia spacca ossa. Se ne pentii subito dopo.
Ron sembrava paralizzato: il viso era contratto, piegato in una smorfia di terrore infierita dalla paura, gli occhi si erano sgranati, infossandosi di più del viso lentigginosa e bagnato - sia dal sudore che dalla pioggia che batteva insistente su di lui - e sembravano quasi spiritati. Una mano era alzata, il pugno chiuso pronto a bussare, e si era fermata a circa due centimetri dal legno della porta, tremando leggermente, mentre tutto il coraggio che lo aveva portato fuori casa fino a quel punto era svanito, volatilizzandosi via dal suo volto.
Rose strinse le labbra e, maledicendosi per ciò che stava facendo, alzò la mano, battendo tre colpi decisi contro il legno.
Ron sobbalzò, e questo parve farlo tornare in se.
Abbassò la mano, l'ansia palpabile che si palesava sul suo volto come rivelato da un telo.
Dentro la casa ci fu diverso movimento, sedie che si spostavano e voci che si alzavano in una perfetta armonia di alti e bassi fatti dalla felice consuetudine di chi non soffriva per qualcosa, e, alla fine, la serratura della porta scattò, aprendosi sul soggiorno pulito della Tana.
"Ron"
La nota sorpresa era troppo evidente per essere ignorata.
Bill fissò Ron, gli stessi occhi azzurri che si specchiavano l'uno nell'altro, mentre la più felice sorpresa faceva spazio nel suo volto, mentre in Ron rimaneva quella smorfia pentita e sorpresa che lo aveva colto in prossimità della Tana.
"Bill" lo salutò Ron, muovendo appena il capo "come va..."
Bill lo tirò in un abbraccio ancora prima che potesse finire. Avvolse le braccia contro il corpo del fratello, che col tempo si era smagrito.
Rose, notò con una nota di disappunto che le braccia del padre rimasero incollate lungo i fianchi, senza rispondere all'abbraccio.
Storse la bocca, ma fece finta di niente.
"Forza allora" fece il maggiore dei Weasley, staccandosi dal fratello e sbattendo più volte le mani contro le sue spalle. "Entrate, o vi prendete un malanno"
"Oh William" fece George, gli occhi rotearono nelle orbite "così sembri proprio mamma"
"Ti ho sentito, George" lo riprese Molly, togliendosi il grambiole da cucina che avvolgeva il suo corpo rotondetto, e dirigendosi verso gli ultimi arrivati "é così bello vedervi"
"Si" disse Ron, entrando in casa e togliendosi il giaccone, sgusciando via dalle braccia della madre "ci siamo visti poche settimane fa"
Molly girò la testa verso di lui, i capelli stirati di grigio che ondeggiavano a ogni suo movimento. Lo sgiardò castano, identico a quello di Ginny, si piegò sotto una sfumatura dispiaciuta, dando a intendere di capire ciò che stava dietro le sue parole. Alla cieca, la donna afferrò Rose, tirandola dentro casa, al caldo.
La ragazza per poco non inciampò contro un nodo nel legno, cadendo rovinosamente in avanti.
Si aggrappò al muro illuminato, che creava molto contrasto fra il buio di fuori e quello a cui era abituata a casa sua.
Molly le sorrise, prima di tirarla in un abbraccio impedendole di vedere il resto dei presenti.
"Oh, Rosie cara, come stai?" Le chiese, stritolandola fra le braccia.
Rose sorrise, alzando il volto e scostandosi gentilmente da lei.
"Benissimo nonna"
Molly le rivolse un altro sguardo gioioso.
"Sei fradicia!" Costatò poi, passando le mani rugose lungo la maglia della rossa "Vatti ad asciugare prima di mangiare, e vale anche per te, Hugo!"
Hugo sbuffò, alzando gli occhi al cielo: vedendo tutte quegli occhi puntati su di lui era tornato la persona fredda e cinica di sempre.
"D'accordo nonna"
Hugo entrò in casa, seguendo Rose che teneva lo sguardo basso, paurosa a incontrare due iridi smeraldo che sapeva essere puntate su di lei. La ragazza si avviò su per le scale, con Hugo che avrebbe voluto fare lo stesso, ma venne braccato dalle braccia decise della nonna prima che potesse sgusciare via nel bagno.
Rose fece un mezzo sorriso, osservando la scena in alto da qualche scalino. Vide la nonna sussurrare qualcosa all'orecchio del ragazzo, e lui annuire impercettibilmente. Non aveva sentito le parole, ma poteva benissimo immaginarle. Il giorno dopo avrebbe detto a Hugo le stesse identiche cose.
Rose scosse la testa, salendo gli altri scalini.
La stanza scompariva dietro di lei, dimenticata come un ricordo lontano, sfumato dal tempo e dalla volontà.
Le luci che illuminavano il soggiorno svanivano dietro di lei, lasciando solo un impronta sfocata delle risate che rimbalzavano sui muri.
Rose salii, una mano sul corrimano e il buio che iniziava ad accoglierla, insieme al piano superiore della casa.
Sentii dei passi dietro di lei rincorrerla graziosi e immaginò fosse il fratello.
Fece per voltarsi - giusto per verificare la sua ipotesi - e i suoi occhi cassero in un punto che non avrebbe mai dovuto vedere. Lo spazio di vuoto fra gli scalini.
Rose trasalii, serrando le dita contro il corrimano, il senso di vertigine che iniziava a soppraffarla.
Le sembrò di alzarsi su, in  cielo, mentre sotto di lei tutto scompariva, tingendosi in un unico colore nero la luce brillante che proveniva dal salotto.
L'unica cosa ancora concreta, era il freddo metallo contro le sue dita.
"Non capirò mai come ti riesca a fare il portiere e a volare egregiamente su una scopa soffrendo di vertigini" disse una voce divertita dietro di lei.
Quella voce.
Rose la riconobbe subito, il suo timbro allegro e canzoniero era raro da trovare.
Un piccolo sorriso le si stampò sul volto, mentre alzava lo sguardo verso la ragazza che le sorrideva in risposta.
Alice Longbottom, i capelli castani legati in una coda alta con un laccio rosso che spiccava fra quel marrone, e che cadeva come un po' scuro verso il terreno, gli occhi azzurri stretti nelle ciglia lunghe che la fissavano sorpresi e contenti.
Rose allargò il suo sorriso.
"Ahh neanche io so come funziona il mio corpo, guarda"
Alice rise e, dopo averle lanciato uno sguardo di intesa, si slanciò verso di lei, stringendola in un abbraccio.
Rose avvolse le braccia lungo la vita fine dell'amica, facendo scontrare i petti e lanciando uno strano sguardo alla coda marrone che ondeggiava dietro la testa della castana.
Sorrise.
Sentii Alice stringere le proprie braccia sul suo corpo, e Rose si rilassò.
Lí, fra le braccia della sua migliore amica, Rose si sentii a casa.
Veramente, casa.

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