Da quando Rose aveva trovato quella curiosa telecamera Babbana nel comodino di suo padre, ne era rimasta ossessionata. Sul serio.
Era un chiodo fisso nella testa della ragazza, sedentario, che si era piantato con radici di morbosa curiosità più solide di quando avesse mai potuto immaginare, o anche solo ipotizzare, e non sembrava intenzionato ad andare via. Per quanto Rose ci avesse provato, non era riuscita a sdradicare l'idea che da un paio di giorni le ronzava in testa come un ape fastidiosa, o come una sirena tentatrice.
Per la prima volta da quando ne aveva memoria, se qualcuno le avesse dovuto chiedere come descrivere il desiderio folle che era nato in lei, piantato nella terra delle omissioni e cresciuto circondato dalla incoscienza giovanile, alimentato dalle troppe domande senza risposta, avrebbe detto che aveva dei grilli per la testa.
Sì, lei che cercava sempre di passare inosservato, che avrebbe solo desidarato fondersi con gli altri per non lasciare traccia del suo passaggio e che non faceva niente fuori dall'ordinario per non spiccare tra la folla più di quanto già non facesse, stava maturando un azione che - lo sapeva bene - l'avrebbe distrutta oltre ogni limite.
E non solo lei. Era ormai assodato, ci era arrivata nel giro di qualche minuto, che ciò che avrebbe potuto vedere e ascoltare aveva tutto il potenziale e le carte in regola per sfraciallare il precario equilibrio della sua famiglia. Non ci voleva certo un genio per capirlo e per armarsi di conseguenza.
Bastava che si avesse un cervello funzionante con più di due neuroni collegati fra loro. Niente di speciale, insomma. Rose non so sentiva neanche particolarmente sveglia per essere arrivata a una conclusione tanto ovvia.
L'unica cosa che testimoniava il suo intelletto superiore era dimostrato dal fatto che aveva già elaborato un piano per armarsi di conseguenza. Era facile: non aprire quella cassetta e tenersi i segreti e le domande.
Una cosa da niente, ecco. Rose normalmente avrebbe accettato questa condizione anche di buon grado. Felice, addirittura, di non dover riscavare in un passato doloroso e portare a galla cose che era meglio lasciare marcire nel terreno.
Però ora era cambiata. Non sapeva bene cosa, ma sapeva che era cambiata. Un dato di fatto, di cui nemmeno lei era a conoscenza della fonte.
In barba alla sua presunta intelligenza non si sentiva assolutamente pronta a lasciar perdere. A lasciar cadere quelle verità nel freddo baratro della morte e della dimenticanza.
Era sua madre, miseriaccia. Era un suo diritto sapere tutto, no? Ron non poteva precludere delle informazioni.
Non me aveva alcun diritto. Sì, lui l'amava, ma anche Rose. E di certo nemmeno Hugo era da meno.
E aveva anche già accettato il fatto di essere cresciuta senza nemmeno una foto a ritirarla - fatta eccezione per quella che era riuscita a salvare dal genocidio di Hermione in digitale, e che riposava tranquilla nella sua borsa di perline. Ma non aveva avuto comunque niente a mostrarle il suo volto. Senza alcun racconto di suo padre. Non lo aveva mai sforzato a fargli dire delle storie, e Ron era stato ben felice di tenere i ricordi di Hermione per se. Solo per se.
Come diceva sempre Hugo, lui non aveva nessun ricordi di Hermione.
Niente da collegare a lei, niente in cui perdersi quando il dolore e la tristezza per la sua morte si mischiavano alla nostalgia in una miscela pericolosa e straziante che sfociava in un pianto. E Rose lo sapeva, perché provava la stessa cosa.
I suoi ricordi...era meglio non parlarne.
Ogni volta che chiudeva gli occhi e si concentrava su sua madre, con tutte le forze che aveva in corpo...vedeva solo il nero, il letto di ospedale e la lunga striscia di sangue che colava da una mano sporgente sul materasso e andava al terreno, scorrendo sul pavimento in un fiume rosso e mortale e bagnandole i piedi con la delicatezza delle carezze delle onde sul bagnasciuga. Un solletico alle dita, un solletico inquetante e orribile.
Che puzzava di morte, minaccia, tristezza. Catastrofe. Che poi, era esattamente ciò che era successo alla sua famiglia. La morte di Hermione era stata come l'esplosione di una bomba: gettata a capo fitto sulla loro famiglia l'aveva sbrindellata, senza lasciare nemmeno una pallida ombra in ricordo a ciò che erano. Lei e Hugo erano troppo piccoli per conservare, far vivere dentro di loro, degli episodi felici che avevano preceduto la morte di Hermione. E che quindi, visto che non erano fissati nella loro mente, non potevano essere replicati. Mai.
Sarebbero stati infelici per sempre.
Hugo diceva di non avere niente, Rose aveva ancora gli incubi sulla stanza di ospedale...perciò tentare di mettere in scena qualcosa che aveva reso felice la famiglia in passato era improponibile. Lei non riusciva a stare in pace nemmeno con quel frammento di ricordo che le inondava la mente quando si concentrava su Hermione Granger.
Quel rivolo di sangue l'aveva sempre terrorizzata, a maggior ragione quando aveva capito fosse l'unica cosa che conservava di sua madre; Che la teneva in vita dentro di lei.
Di certo, quel ricordo, non lo usava come consolazione. Non erano proprimente ciò che si definisce confortevole.
Rose si affacciò nel corridoio. Era vuoto e silenzioso, esattamente come era stato da quando erano tornati a casa.
Non c'era nessuno in vista. Ron era uscito per andare a lavoro, e Hugo era chiuso nella sua stanza, da solo, come se dovesse pensare a qualcosa di fondamentale e non volesse essere disturbato.
Tranquillo fratellino pensò Rose voltando la testa dall'altro lato, nel lato opposto del bagno e della stanza del fratello non ho alcuna intenzione di disturbarti.
La porta della camera matrimoniale so ergeva davanti a lei come un buco rettangolare e buio. E inquetante.
Un brivido le corse lungo la schiena, mentre si staccava dal l'uscio della sua camera e attraversava il corridoio in punta di piedi. Si diede distrattamente della stupida: non c'era nessuno, ergo, nessuno poteva sentirla o coglierla sul fatto.
Il pensiero però non la influenzò. Continuò ad avere un passo felpato, mentre la distanza si accorciava sempre di più a ogni suo passo e la porta si ingrandita come non mai.
Era come salire una collina, con la cima che, dapprima lontana, diventa più grande, più definita, più chiara, si può distinguere tutto, dai piccoli alberi che sorgevano sulla superficie, ai nidi suoi loro rami, la bellezza della vista al di sotto...fino a che non si rivela per ciò che é: l'ultima tappa prima della morte.
Rose sentii il cuore mattertarle nel petto. Era un ronzio nelle orecchie, che la indeboliva, la assuefava la inebitiva...una volta aveva letto di un veleno di un serpente: l'attacco consisteva nel gettare negli occhi della vittima la propria arma, in modo da intoroidirla e stordirla, renderla inerme, e poi mangiarla con calma, visto che quella era nell'impossibilità di difendersi. Era un attacco tanto curioso perché la vittima non si rendeva conto di star morendo: fino all'ultimo battuto cardiaco, pensava di essere in un sogno.
C'era una pozione, che lei sapeva fare, che 'scioglieva' questo intorbimento, e faceva riprendere la vittima. Era facile, e poteva salvare la vita.
Bastava portarsi una boccettina quando si visitavano luoghi esotici e si era apposto.
Ecco quello era il suo veleno. Quella porta, quel ronzio nelle orecchie, che quasi la spingevano verso le fauci del serpente, e non la facevano rendere conto del pericolo in cui stava andando incontro. La differenza di quel veleno e quello del serpente, era che Rose non poteva essere curata. E, lo sapeva, avrebbe sofferto mentre lentamente il suo cuore soccombeva alla verità.
Davanti alla porta, si fermò. Il coraggio le era venuto meno. Fissò la maniglia con occhi un po' vuoti.
Non le sembrava giusto. Leale nei confronti di suo padre. Si voltò indietro, osservando le scale davanti al bagno.
Se lui l'avesse vista li, ne sarebbe rimasto deluso. L'avrebbe sgridata.
Le avrebbe detto che ciò che aveva con tanta determinazione nascosto lo aveva fatto per il suo bene. Che non doveva guardare.
Però era troppo curiosa.
E poi suo padre non aveva mai fatto discorsi del genere. Perché miseriaccia avrebbe dovuto iniziare proprio adesso?
Si voltò di nuovo verso la maniglia.
Il pomello oro sembrava chiamarla come una voce famigliare, di quando era piccola e uno dei suoi zii le diceva di tornare alla Tana prima che si allotnanasse troppo, inoltrata nel bosco che abbracciava l'abitazione dei suoi nonni.
Rose prese un profondo respiro. Con mano lievemente tremante, poggiò le dita contro il freddo metallo della maniglia. Strinse piano, guardandosi un ultima volta indietro.
Magari, avrebbe anche trovato le risposte e un senso alle parole che le aveva detto Hugo, e che l'avevano lasciata più scombussolata che altro.
Si voltò di nuovo, ora più decisa che mai. Rimase un attimo in ascolto nel piano inferiore, temendo che suo padre rincasasse all'improvviso proprio in quel momento e la beccasse con le mani nel sacco.
Niente. Non successe Niente. Tutto rimase silenzioso e immobile nel tacito rispetto della casa e del dolore.
Rose guardò la maniglia, che a un tratto le sembrava spaventosa. Cercò di cacciare via tutti i pensieri più negativi prima che potessero travolgerla.
Chiuse gli occhi, prendendo un sospiro.
Il silenzio era ancora religioso e totale.
Chiuse le dita intorno alla maniglia. Aspettò un attimo e, poi, la spinse giù.
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"Albus, saresti così gentile da chiedere a Alice di inviare a te le lettere destinate a te?" Lily fece capolino nella sua stanza, il casco rosso che brillava sotto le tenui luci della casa "sul serio, non voglio avere niente a che fare con le vostre..." Fece una smorfia, poi scosse la testa. "Il suo gufo sbaglia sempre finestra. Diglielo. É imbarazzante!"
Albus alzò lo sguardo dal suo libro "e tu saresti così gentile da dire a mamma e papà che sei fidanzata con Lysander Scamander?" Lily lo guardò oltraggiata, socchiudendo gli occhi e dischiudendo le labbra per la sorpresa "si, Lily. Lo so. E ringraziami per il fatto che non lo ho detto a James, se no a questa ora il tuo fidanzato si ritroverebbe senza qualche arto"
Lily sbuffò. "Hai deciso solo di preservare te stesso, non di fare un favore a me. Io non ti ringrazierò" decretò.
Albus inarcò un soppracciglio. "E dimmi, sei diventata una Legilimets? No, perché fino a prova contraria non ricordavo tu fossi nella mia mente"
"No. Semplicemente tu sei un Serpente, e io conosco i Serpeverde"
Albus sbuffò. "Ma esci con un Corvonero"
"Che non é certo stato il mio primo fidanzato"
Albus fece scattare la testa verso di lei con gli occhi allucinati. Aprii la bocca, ma non riuscii a dire niente.
Lily scoppiò a ridere. "Oh, Al, ma cosa credevi? Che fossi una santa?"
"Credevo ti fossi preservata un po' di più. Merlino, Lily, hai quattordici anni!"
Lily lo guardò male. "Dì alla tua fidanzata di addestrare bene il loro gufo, o la prossima volta che mi porta una sua lettera non sarò così clemente da dartela senza leggerla" minacciò. Infilò una mano dietro la schiena e ne estrasse una busta bianca, un po' logora. Fulminando con gli occhi Albus la scaraventò all'interno della stanza, senza badare a dove la tirava; Albus la vide volare nell'aria, un incantesimo bianco contro le pareti azzurre della camera, e si allungò appena in tempo per afferrarla. La strinse tra le dita, lanciando uno sguardo trionfale e di scherno alla sorella.
Lily era rossa per la rabbia. "Esibizionista" sibilò, prima di voltarsi e chiudersi la porta alle spalle.
Albus parlò prima dello scatto della serratura. "E fra me e Alice non c'è niente!" Urlò.
Non sentii la risposta della ragazza, ma gli parve che facesse uno sbuffo a metà fra lo scettico e il divertito.
Albus alzò gli occhi al cielo, divertito. Alle volte Lily si faceva troppo castelli per aria.
Abbassò lo sguardo sulla lettera, e il suo sorriso gli morii dalle labbra. Si mise seduto sul letto, poggiandosi contro il muro della camera.
Non aveva mentito a Lily. Fra lui e Alice non c'era effettivamente niente, apparte una litigata in corso che lui non avrebbe saputo a cosa collegare.
Gli sembrava che da un momento all'altro la ragazza avesse smesso di considerarlo amico. Così, all'improvviso.
Puf.
Il giorno prima andava tutto bene, e, anzi, c'erano un paio di sviluppi...e quello dopo non lo trattava come uno sconosciuto - cosa che Albus avrebbe di certo preferito - ma sembrava proprio che lo detestasse. Lo odiasse con tutto il suo cuore.
E Albus era rimasto tanto perplesso da non riuscire nemmeno a reagire, se non con qualche battutina, che sembrava aver fatto innervosire Alice solo di più. Ma lui non aveva fatto niente!
Niente che ritenesse pertinente, almeno.
Il suo litigio - unilaterale, avrebbe voluto aggiungere, ma sapeva che se lo considerava in questo modo non me sarebbe mai venuto a caso - aveva attirato, però, qualcun altro.
Abbassò gli occhi sulla lettera che stringeva fra le dita. Lily non si era sbagliata.
Quella lettera era di casa Longbottom.
Solo che, a differenza di quanto pensava sua sorella, non era stata Alice a mandarla in un esplosione della fantomatica tresca che Lily sosteneva esistere, ma, bensì, Frank.
Sì, Frank Longbottom gli aveva spedito una lettera. Se Albus ci pensava gli veniva ancora da ridere.
Da quando Albus e Alice avevano litigato, Frank si era avvicinato a lui come non mai. Sembrava che il solo fatto di essere riuscito a fare soffrire sua sorella lo esaltasse tanto da spingerlo a diventare amico di un Serpeverde con cui non aveva mai quasi parlato prima di allora.
Albus non ci capiva niente. Il rapporto tra Frank e Alice era troppo complicato per metterci mano, ed era anche più intricato di quello che c'era fra Albus e James. E loro due si volevano bene nonostante James gli avesse rotto un braccio e Albus avesse deciso di spaccare la sua scopa giocattolo quando erano piccoli.
Questo era tutto dire.
Comunque. Albus e Frank avevano iniziato una sottospecie di psiaco amicizia, che Albus non aveva la più pallida idea di dove avrebbe portato.
Frank, però, diceva che lo avrebbe aiutato a capire dove aveva ferito Alice, se lui, in cambio, gli avesse dato una cosa. Su questo fantomatico 'baratto', però, Albus non era stato ancora delucidato. Ovvero: non sapeva cosa Frank volesse in cambio.
Ma aveva accettato comunque. Voleva togliersi la curiosità, e provare a capire cosa fosse successo, e magari aspirare a un rapporto un po' più intimo della amicizia con Alice...gli sembrava strano che Frank non fosse iperprotettivo con lei, nonostante non avesse un rapporto rose e fiori. Poi si era ricordato che lui, oltre al sangue Potter, aveva anche geni Weasley: geloso anche dell'aria che gli altri respiravano.
Quindi era tutto normale.
Purtroppo per lui, però, Frank aveva deciso di parlare per enigmi.
L'unica cosa che fino a ora gli aveva detto era stata: "Sam Wood"
Un nome per cui Albus non aveva alcun legame. Nessuno, a stento la conosceva. Sapeva che era una Grifondoro dell'anno di Alice, ma poco più. E comunque non gli importava di lei.
Un nome, quindi, che non gli diceva niente.
Non avevano neanche un rapporto che si potesse definire tale. Certo, era uscito con lei per farle un favore, ma la cosa era finita lì. Lei lo aveva aiutato a Pozioni, e lui, approfittando di una notte di ronda di Scorpius, aveva ricambiato il favore concendendole un appuntamento che, secondo le parole di Sam, serviva per altri fini. Di questi, Albus era all'oscuro. Ma non gli importava.
Non avevano fatto niente di male. Erano usciti oltre il coprifuoco, certo, ma avevano solo passeggiato per il giardino di Hogwarts. Non si erano sfiorati più del dovuto, nemmeno un bacio.
Per questo, Albus non aveva la più pallida idea di quale diamine di collegamento potesse esserci fra Sam Wood e Alice Longbottom.
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Il paesaggio, fuori dalla finestra, era immobile. L'aria ferma, la fontana ferma...non c'era nemmeno un alito di vento.
L'unica cosa che si muoveva erano i lievi fiocchi di neve che si agitavano leggiadri e cadevano al suolo con la delicatezza di una farfalla, stendendo un telo bianco sullo sconfinato giardino di Villa Malfoy.
Sua madre di voltò verso di lui. "Come é andata a Hogwarts?"
Scorpius, annoiato, spostò lo sguardo dalla finestra a sua madre. Astoria si era conservata una donna molto minuta e forte, con i principi che l'avevano fatta disprezzare dai Malfoy ancora per saldi nella testa. Era ancora sorridente, come quando era piccolo, e solo un po' di capelli bianchi qua e là indicavano il tempo che passava.
Gli stessi principi che aveva provato a insegnare a lui.
Ma ora, se Scorpius si concentrava, riusciva a vedere quanto fosse esausta. Sembrava sfinita, la stanchezza si era affossata in lei tramutandosi in profonde occhiaie sotto gli occhi e diverse righe di preoccupazione che la rendevano più vecchia. E sembrava aver fatica a guardarlo. Sembrava le costasse uno sforzo enorme mantenere il contatto con i suoi begli occhi verdi a quello grigi del ragazzo.
Più la guardava, più Scorpius pensava che fosse schiacciata da un peso che non poteva sostenere.
E la causa era lui.
"Sappiamo come é andata alla sua scuola" suo padre parlò prima che Scorpius avesse il tempo di rispondere. Il ragazzo chiuse la bocca offreso, voltandosi di scatto verso il padre. "E sappiamo che sta calando in tutte le materie. Tutte. Nessuna esclusa" Draco rimase zitto per un secondo. Alzò lo sguardo dal giornale che teneva in mano, comodamente seduto su una poltrona del salotto, il tessuto bianco che si accartocciava sotto il suo peso come fogli di carta "Cosa hai intenzione di fare?" Chiese a Scorpius, la voce strascicata "Se cambi così repentinamente comportamento le persone si accorgeranno che qualcosa non va"
"E tu, giustamente, vuoi tenerlo nascosto" commentò Scorpius incolore.
Astoria strinse le labbra. "Draco..." Disse, a mo' di avvertimento.
Il marito alzò lo sguardo su di lei. Sembrò chiederle qualcosa con lo sguardo, poi scosse la testa e si alzò.
"Scorpius" disse severo, poggiando il giornale sul divano. In copertina, la foto di una squadra di Quiddich si muoveva senza sosta "lo dico per te."
"Pensa un po'. E io che pensavo parlassi per dare aria alla bocca"
"E io che credevo avessi ancora abbastanza intelligenza e buon senso da ascoltarmi" replicò Draco, freddo.
Scorpius lo trafisse con gli occhi. "Pensi di avere le idee più intelligenti?'
"No. Ne sono semplicemente sicuro"
"Draco!" Esclamò Astoria. Aveva il viso corrucciato, le braccia strette così tanto sotto il seno che stavano diventando bianche. Appoggiata all'uscio dell'ingresso del salotto, guardava entrambi con gli occhi verdi dardeggianti.
Scorpius si trattenne dallo sbuffare. "Mamma..."
"Tesoro..."
Astoria li ignorò. Marciò dentro il salotto tagliando la stanza a metà. Si fermò davanti a Scorpius, mettendogli le mani sulle spalle e avvicinando il suo viso al suo.
Scorpius resse il suo sguardo senza problemi.
"Voglio sapere" disse Astoria vigile, stringendo le mani sulle spalle del ragazzo, gli occhi che scivolavano da una parte all'altra del suo viso, cercando qualcosa che a Scorpius non era ben chiaro "se ti senti bene"
"Sto bene." Affermò Scorpius, sempre incolore.
"Ti voglio sincero. Per una volta, non preoccuparti di farmi preoccupare, e pensa a ciò che é meglio per te"
Scorpius distolse lo sguardo. Gli occhi di sua madre esprimevano troppo affetto per poter reggere ancora. Li portò fuori dalla finestra, dove la neve continuava a cadere lenta e indisturbata sul ventidue dicembre.
"Sto bene"
Astoria rimase in silenzio per un secondo. Poi sospirò, tornando alla sua altezza naturale.
"Sai che non ti credo" disse. "Le sedute da Scarlen Julep ti stanno aiutando?"
Scorpius, lentamente, annuii. Ricordava l'aiuto che quella donna gli dava, anche se solo psicologicamente.
Non aveva le competenze per studiarlo in altro modo. "Molto" aggiunse, vedendo l'aria dubbiosa di sua madre.
Astoria si concesse un lieve sorriso. Sembrava che saperlo bene almeno mentalmente le desse un certo sollievo e conforto. Evidentemente non vuole che mi si logori anche la testa.
Vuole tenermi sano con il cervello fino all'ultimo. Pensò Scorpius. Le diede ragione: anche lui, in quella situazione, avrebbe trovato in ogni banalezza il più minimo conforto.
"Mi fa piacere." Disse Astoria. Storse lievemente la bocca. "Quella donna é giovane, ma anche troppo gentile.
Non so perché, ma non si fa pagare.
Eppure qualche denaro in più non le farebbe male..."
"Se lei non vuole, non sarà pagata" dichiarò Draco. Riprese il giornale "i soldi comunque con le mancano"
"Neanche a noi" ribatté Astoria, piccata.
Draco le fece un tenue sorriso. "Lo so, tesoro. Ma preferisco spenderli per nostro figlio, se non ti dispiace"
Astoria stette zitta per qualche secondo. Poi scosse la testa, lasciandosi cadere esausta sul divano accanto a Draco. Scorpius li osservò un attimo, poi si concentrò di nuovo sulla finestra.
Sarebbe stato bello andare fuori e fare una partita di palle di neve, come facevano ai vecchi tempi.
Passarono diversi minuti, prima che il silenzio del salotto della casa dei Malfoy fosse interrotto.
"Mi chiedo perché lo abbia lasciato" rifletté Astoria ad alta voce, lo sguardo perso davanti a lei.
Scorpius si voltò a guardarla. "Chi?"
"E cosa?" Domandò Draco, ancora preso dal suo giornale.
"Il San Mungo"
Scorpius la guardò in modo interrogativo. "Cosa?"
"Scarlen...prima che tu la conoscessi per ciò che ci serve lavorava al San Mungo. Usava il suo potere in modo anche molto responsabile, e aiutava un sacco di donne. Anche gli uomini, eh, ma sopprattutto le donne." Spiegò Astoria. La sua voce era un po' trasognata, come se si fosse persa tra i ricordi "immaginerai il perché senza che io lo dica.
Comunque, so che veniva pagata bene. Molto bene. Ed era anche un esperta conosciuta in tutto il mondo."
"Cosa c'entra, esattamente?"
"C'entra, Draco. Nessuno con un potere come il suo servirebbe le persone gratis, come invece lei sta facendo con noi. È un potere raro, e loro lo sanno, non si lasciano sfruttare dal primo che capita."
"Stai dicendo che Scarlen avrebbe un motivo per farsi sfruttare da noi?" Draco inarcò un soppracciglio, scettico.
"Sto dicendo" ribatté Astoria, impaziente, guardando Scorpius "che é strano. Tutto qui"
Scorpius alzò le soppracciglia "devo preoccuparmi?" Chiese, vagamente divertito dalla piega che la conversione stava prendendo.
Astoria si allarmò subito. "Non intendevo assolutamente questo. Scarlen è una donna coscienziosa, responsabile e gentile. Non farebbe mai niente di grave"
"La conosci tanto bene?" Domandò Draco.
Astoria annuii. "Sì, era una studentessa brillante. Tassofrasso.
É stata presa al San Mungo quando aveva diciannove anni, e ci ha lavorato fino ai venti. Ha lasciato dopo la morte di Hermione"
"Ah" mormorò Draco.
Scorpius la guardò in modo interrogativo. Era sorpreso dal fatto che sua madre conoscesse quella donna. In tutti quegli anni non ne aveva mai fatto parola.
Come mai iniziava adesso?
Stupido si disse un secondo dopo, scuotendo la testa. Hermione é una donna famosa. Logico che mamma conosca la sua storia.
Di certo non erano amiche. Erano quasi di due fazioni opposte, anche se Astoria era concorde a tutti i principi di Hermione.
Eppure lo chiese comunque. "Conoscevi la salvatrice del Mondo Magico?" Domandò sorpreso. Gli occhi, probabilmente, gli uscivano fuori dalle orbite, ma a lui non gli importava.
"Stai scherzando? Ovviamente" sua madre gli sorrise "eravamo molto amiche. Sopprattutto ai tempi della scuola. Per un po' siano state anche socie" aggiunse, un po' più a bassa voce.
Scorpius la guardò senza dire niente. Perché sua madre se ne usciva ora con una notizia del genere? Avrebbe potuto raccontargli le cose prima, quando era più piccolo...come mai ne trovava il coraggio solo adesso?
"Davvero?" Fece Sciroius, scettico.
Sua madre lo guardò inclinando la testa di lato.
"Scorpius" disse "io sono la Madrina della sua prima figlia"
A Scorpius andò la propria saliva di traverso. Tossí, toccandosi il petto in modo quasi convulso. Astoria balzò in piedi, preoccupata, ma, con un lieve sorriso sulle labbra, Draco le fece un cenno per indicarle che non era niente fuori dal normale.
Perplessa, Astoria si risedette.
Scorpius riuscii a riprendere il controllo di sé. Guardò sua madre basito e allucinanto.
"Mi stai dicendo" disse piano, agitando le mani "che tu...e i Weasley..." Congiunse le dita in un gesto esplicito.
Astoria sgranò gli occhi. "Sciroius Malfoy, come diavolo..."
"Intendo dire" si affrettò a specificare Scorpius, arrossendo vistosamente "che, nella teoria, visto che tu sei la madrina della Weasley, tecnicamente saremmo imparentati"
"Tecnicamente" ribadí Astoria. Aveva uno sguardo curioso, che Scorpius non riusciva bene a identificare "tu conosci i suoi figli? So che il minore é nella tua stessa Casa. Non so come abbia reagito Ron alla notizia"
Ron? Da quando il signor Weasley é un amico così intimo da essere chiamato per nome?
Scorpius scosse la testa. In mente gli esplosero i volti dei due fratelli Weasley, e per la prima volta ne vide l'incredibile differenza: quello della maggiore età sempre sorridente, quello del fratello duro.
"No" disse Scorpius. "Non parliamo molto"
"Se tu impieghi il tempo a scuola per prendere per il culo gli altri, Scorpius, non vedo come potrebbe essere altrimenti"
Scorpius si voltò verso suo padre sorpreso, più per il fatto di avergli sentito pronunciare la parola 'culo' che per il vero senso della frase.
Draco non alzò gli occhi dal giornale.
"Il battesimo della piccola Weasley, per me, é stato l'ultimo vero momento felice con Hermione" raccontò Astoria. Scorpius la guardò.
Astoria aveva lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé, e il ragazzo sapeva a cosa ricordarlo.
Sua madre sembrava necessitare di dire quelle cose. Di liberarsi da quel peso. Era proprio un bisogno fisico: lasciar trasparire qualche poro e far uscire qualcosa per evitare di scoppiare.
Evidentemente, la pressione che lui le stava causando l'aveva portata tanto all'estremo da non riuscire più a tenersi dentro i suoi segreti.
"Non ricordo di aver mai visto Ron felice dopo quel giorno. Mai più" disse Astoria. Poi si alzò dal divano con uno scatto, postò gli occhi terrorizzati su Scorpius e uscii dal salotto a passo svelto, sotto lo sguardo attonito del figlio.
Scorpius ci mise un po' a collegare che 'quel giorno' non fosse riferito al battesimo della Weasley, ma al giorno della morte di Hermione.
E ci mise anche un po' a capire perché sua madre fosse così paurosa.
Temeva che la stessa cosa avrebbe potuto accadere alla loro famiglia, se niente si fosse risolto - come probabilmente sarebbe stato.
E lei, evidentemente, non voleva lasciare Draco per qualcosa che non era in suo potere.
Scorpius sentii lo stomaco farsi pesante. Sul cuore un leggero peso che si andava via via a aumentare, sommandosi ai sensi di colpa che già sentiva. Scorpius sospirò, poggiandosi contro la parete del soggiorno.
Guardò fuori dalla finestra. La neve cadeva ancora a filtri dal cielo, come lacrime ghiacciate.
"Visto?" La voce di suo padre gli arrivò lontana.
Scorpius dovette impegnarsi per concentrarsi sulle sue parole. Lo guardò, e Draco gli rivolse il solito volto impassibile.
"É per questo" disse severo suo padre, accennando con un movimento minimo del capo al punto dove sua madre era scomparsa un attimo prima "Che non devi destare sospetti. Che devi fare passare tutto inosservato. Che la gente non deve venire a farsi i cazzi nostri.
É esattamente per questo che non devi svelare il tuo segreto, non devi fare trovare la verità"
Scorpius balzò in piedi. Si sentiva improvvisamente arrabbiato.
Sfidò il padre fulminandolo con occhi dardeggianti. Grigi, esattamente come i suoi.
"Papà, non so come ti hanno abituato i nonni, ma la verità vigente a galla sempre. I segreti non possono rimanere tali a lungo" disse.
"Beh" disse Draco "vedi di non farlo accadere.
O questa sarà la rovina per tutti. Non solo per noi"

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In The Name/ Scorose.
FanfictionTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...