Capitolo 3

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Quando Rose riemerse nel salotto semi-illuminato di casa sua, il silenzio regnava sovrano, e solo il leggero ticchettio dell'orologio a muro scandiva i secondi, con regolari tic che riempivano la stanza, rendendola quasi claustrofobica.
Ma, d'altro canto, l'orologio era l'unica testimonianza della presenza di vita in quella casa a tratti spettrale.
Rose sospirò, mentre usciva dal camino. Strofinò un po' le mani sul suo Jeans, provando a eliminare i tratti di fuliggine che le aveva arrecato il viaggio con la metropolvere. La sua borsa ondeggiò al suo fianco, dondolando come un antalena davanti a lei, e sbattendo a tratti con le sue costole, alternando il rumore delle perle che si scontrano fra di loro ai tichetti dell'orologio.
Rose si fermò solo dopo diversi minuti, rimettendosi dritta e assicurandosi che il regalo incartato per il fratello fosse ben nascosto nella sua borsa, premuto affondo sotto il resto che la occupava. Non c'era tanto: giusto un borsello per tenere i soldi, nel quale rimanevano appena due Falci; un burrocacao che Rose non usava quasi mai, ma messo la da Lily in caso di evenienze, e che piú che altro usava la Potter; e, infine, una fotografia ripiegata mestamente in un taschino seminascosto della borsa, del quale Rose non aveva mai fatto parola con nessuno.
Sul fondo, l'incarto verde brillava sotto la tenue luce del pomeriggio.
Rose chiuse con uno scatto la cerniera della borsa, gradendo il curioso stanc che fece il telaio che veniva unito. Si raddrizzò, spostandosi con una spinta poderosa i capelli rossi dietro le spalle, e lasciando che questi le cadessero crespi e disordinati lungo la sua schiena. Non erano molto lunghi: si fermavano molto sopra il fondoschiena, quasi a metà delle vertebre, ma puntavano verso il basso grazie al taglio scalato che si vedeva appena, per colpa di tutti i suoi boccoli. Sembrava che dalla sua testa partisse una freccia rossa, e indicasse la via per la terra scendendo disordinata lungo la linea storta della figura della ragazza.
Rose attraversò il soggiorno nella penombra, attenta a non sbattere contro niente e assicurandosi di fare passi felpati, la chioma rossa che balzava in modo morbido sulla sua schiena, alzandosi e abbassandosi a tempo con i passi.
Rose strinse la borsa di perline al suo fianco, mentre in punta di piedi saliva le scale, accompagnata dal consueto cigolio che l'avvolgeva beffardo. Passò davanti al bagno, lanciando una rapida occhiata alle sue spalle: la porta di Hugo era chiusa, e sembrava che il ragazzino non fosse uscito nemmeno per fare le mansioni piú elementari.
Rose sospirò, continuando a guardare davanti a sé. Suo fratello non doveva fare così. Si sarebbe fatto solo male.
Per un fugace attimo, l'idea di abbandonare tutto e bussare ripetutamente alla porta di Hugo fino a bucare la pazienza - già parecchio scarsa - che aveva il ragazzo e di costringerlo ad aprire, le atraversò la mente, ma Rose scartò subito l'ipotesi, scuotendo amaramente e impercettibilente la testa.
Conosceva Hugo e la sua testardaggine, di certo sarebbe rimasto ancora più sigillato nella sua camera se Rose lo avesse costretto ad uscire.
La ragazza sospirò, percorrendo gli ultimi passi che la staccavano dalla sua camera, e chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
Si appoggiò un attimo al legno malconcio e,appena lo sentii scricchiolare si ricordò ciò che suo zio Charlie, una estate precendente in cui era andato a trovargli, le aveva detto:
"Queste porte andrebbero rifatte...potrebbero collassare da un momento all'altro...perché Ron non so decide a cambiarle?"
Sotto il sole di quel giorno, Rose si era limitata a sorridere e annuire, dichiarando che avrebbe detto tutto al padre. Non lo aveva fatto, ma non lo riteneva importante.
Rose si staccò dalla porta, come se questa fosse bollente, facendo una smorfia. Fissò per un po' il legno, assicurandosi che non ci fosse niente di rotto, e poi tornò alla sua stanza.
Sospirò per la terza volta, sapendo cosa l'aspettava.
Rose aprii la borsa, prese il regalo incartato e lo premette infondo al cassetto, protetto dagli occhi indiscreti di chiunque, anche se sapeva che Hugo non sarebbe andato mai a rovistare nella sua stanza, a cercare un regalo che pensava di non ricevere. Ma non era Hugo che preoccupava Rose.
Rose si alzò, osservando i vestiti di tutti i colori che tappezzavano la stanza, come spruzzi di vernice su un quadro.
Giallo, verde, rosso, blu coloravano la stanza stinta di Rose, ormai imbruttita dal tempo e dal fatto di essere lasciata quasi completamente a sé stessa.
In realtà, Rose aveva provato a mantenerla in uno stato decente, ma non aveva accesso a tutti i materiali che le servivano per fare ciò. Era ancora una ragazzina, dopotutto.
Quei vestiti, sparsi così in disordine, davano un tocco di colore che le pareti avevano perso, e il rosa che le aveva colorare tempo prima era solo intravesibile, adesso, sotto la muffa degli anni passati.
Perfino dalla piccola finestra posta sopra il suo letto - anche questo consunto - lasciava filtrare solo il minimo di luce indispensabile, da sotto i vetri opachi e sporchi che Rose non si decideva a pulire.
Rose aspettò un altro secondo, osservando un piccolo raggio di luce che batteva sulla porta, disegnando un cerchio opaco in perfetto tono con il legno sporco, e tagliava la stanza orizzontalmente, illuminando i tanti granelli di polvere che volteggiavano graziosi e allegri nell'aria, prima di sospirare e mettersi a pulire.
Si armò di pazienza e, volteggiando leggiadra per la stanza, viaggiando veloce come se avesse dei pattini ai piedi, raccolse tutte le magliette radunandole e piegandole ordinate prima di metterle dentro l'armadio - che si aprii cigolando, rivelando un intenrno consunto e quasi vuoto - e chiuderle dentro per tanto tempo ancora. Probabilmente le avrebbe ritirate fuori Dominique o Lily, durante una delle loro visite.
Forse perfino Albus pensava di togliere la libertà a Rose di come trattare i vestiti, ma la ragazza non se ne curava.
Ansi, superò il baule ai piedi del suo letto e si buttò su di esso, rimbalzando sulle cigolanti molle arrugginite, e girandosi supino.
Si mise le mani dietro la testa, osservando il soffitto che si perdeva sempre di più nell'oscurità che avanzava, inesorabile, deviando il naturale ciclo del giorno.
Rose rimase ferma, aspettando che il sonno la soprafasse e sentendo la stanchezza arrivare, venire e abbattersi su di lei con tutta la forza che la ragazza aveva speso per andare a Diagon Allen.
Ormai il sole si buttava oltre l'orizzonte, tuffandosi nella pozza violastra del tramonto, e cedendo il posto alla pallida Luna, che brillava timida nel cielo stellato.
Rose chiuse gli occhi, la testa che si annebbiava sempre di più per il sonno. Si coricò nella notte, il pensiero di Hogwarts che si formava indistintamente nella sua mente, e si tesseva insieme alle sue emozioni per cucire la magica maglia del sogno che, quella notte, avrebbe avvolto la ragazza, in un terpore sicuro che le avrebbe ricordato casa.
La Luna, intanto, si era sostituita alla palla luminosa, e un raggio argentato tagliava a metà la stanza della ragazza, battendo sulla porta come a chiedere il permesso di entrare nei sogni della rossa.
Rose, senza accorgersene, Ielo concesse.
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Il giorno dopo, Rose non ricordava nitidamente cosa avesse sognato, ma conservava ancora il senso di felicità senza preoccupazioni che l'aveva avvolta per tutta la notte, senza lasciarla un attimo.
Difatti, un sorriso vedo fece capolino sulle sue labbra, non appena la ragazza si tirò su dal letto.
Svanii subito dopo, non appena Rose posò gli occhi su ciò che la circondava, la stanza che cadeva a pezzi e la carta da parati tanto scollata e sbiadita da sembrare solo delle lingue prive di forza, stramortire, che cadevano al pavimento, lasciando perdere ogni speranza di salvezza.
Rose, per un secondo, pensò di assecondarle.
La ragazza scosse la testa, il pensiero che passava tanto fugace quanto era arrivato, come un volo di uccelli.
Spostò le coperte, e scese dal letto con un balzo, accolta dal cigolio ormai tanto conosciuto al quale Rose non faceva più caso.
Ansi, spesso quando andava alla Tana o dal Potter, le sembrava incredibilmente strano non sentire il fastidioso ma famigliare cigolio che increspava il pavimento a ogni passo, suonando una bella sinfonia a tempo con i movimenti della persone che attraversava la stanza.
Ma alla Tana o dai Potter non c'erano i problemi che affliggevano Rose.
Rose sospirò, aprendo la porta e andando in bagno.
Sentii, appena fuori la porta, dei passi, che si fermavano proprio davanti a dove era lei, oscurando con l'ombra dei piedi la poca luce che riusciva a filtrare da sotto la porta.
Rose si lavò la faccia, asciugandosi velocemente per lasciare la stanza a quello che aveva riconosciuto come il fratello. Si passò le mani suoi jeans che non aveva tolto, e aprii la porta sorridendo.
Hugo le rivolse uno sguardo fulminante da sotto il Cioffio di capelli rossi, tanto lungo da oscurare quasi completamente il volto del ragazzo, dove solo le iridi marroni brillavano, accentrando l'attenzione come rubini.
Le mani ficcare nelle tasche e la schiena curva gli conferivano una strana aria scocciata che, Rose ne era sicura, non apparteneva al fratello.
"Fatto?" Chiese brusco Hugo e, senza attendere risposta, entrò nel bagno, chiudendole la porta alle spalle.
Rose sospirò, mentre si incamminava rassegnata lungo le scale, accompagnata dal cigolio che riempiva l'aria, e che sarebbe stato l'unico rumore se non ci fosse stato l'armeggiare in cucina di tazze e cucchiai, che sbattevano fra di loro creando qualcosa di molto simile a imprecazioni cristalline.
Rose si astenne dal commentare, mentre si dirigeva in cucina.
"'giorno" borbottò Ron nella sua direzione, sbattendo non troppo educatamente la sua tazza sul tavolo.
Rose osservò quasi in trance il latte che era fuoriuscito, prima di rispondere con un sorriso al saluto del padre.
"Buongiorno, papà"
Rose gli lanciò un altro sorriso, prima di voltarsi e prendere la sua tazza.
Si versò il latte e si sedette accanto al padre, che non sembrava minimamte interessato a toccare il cibo, contrariamente a ciò che il suo cognome Weasley imponeva.
Se ne stava lí, lo sguardo azzurro perso dentro il latte scremato punteggiato dai cereali, gli occhi ridotti a due fessure e le mani strette in pugno, attorto alla tazza. Non proferiva parola.
Rose lo capiva. Capiva il dolore che Ron passava, e lo condivideva.
Era lo stesso dolore.
Come uno spuntone nel loro cuore, che trafiggeva le emozioni rendendoli apatici, e rabbiosi.
Ma, in quel periodo dell'anno, tutti soffrivano. La ricorrenza era troppo vicina per essere ignorata.
Rose, però, non disse niente. Si sedette accanto al padre, la testa bassa e i capelli che le cadevano intorno, isolandola dal resto della stanza. Prese a girare mestamente il cucchiaino dentro la tazza, creando il piacevole rumore metallico che riempii la stanza, in assenza di altri suoni.
Ron, troppo avvezzo a tutti i rumori che negli anni aveva collezionato, non ci fece caso, le mani che si stringevano tanto da fare diventare le nocche bianche. Rimasero in silenzio per diversi minuti.
Solo un movimento, tanto inatteso quanto improvviso come una rapida folata di vento, riuscii a distrarlo dall'autocommiserazione, e catturò l'attenzione di Rose.
Hugo si affacciò sulla porta, e parve pentirsene un attimo dopo aver posato gli occhi sul padre.
Rose capii che il fratello non si era aspettato di trovare Ron li. Sbiancò.
Ron fece saettare gli occhi azzurri sul figlio e, riconosciuto si trattasse di Hugo, scattò in piedi, rovesciando la sedia.
Rose sobbalzò, posando brevemente gli occhi sulla sedia semi distrutta che riposava a terra, capovolta.
Ron socchiuse gli occhi, le iridi puntate sul figlio, imprigionandolo in due cerchi azzurri. Un attimo dopo, fece il giro del tavolo, e uscii - assicurandosi di non sfiorare Hugo - dalla cucina. Mormorò solo poche parole, a denti stretti.
"Vado a lavoro. Non vi uccidere in mia assenza, per cortesia"
Il tono con cui lo aveva detto, esprimeva però il suo desiderio che i figli disubedissero al suo ordine.
"Ma certo" rispose Rose, pregando che la discussione si concludesse lí.
Ron la guardò la sopra la spalla, incurvando appena gli angoli della bocca. Accennò un sorriso.
"Grazie 'Mione"
Rose arrossì al modo in cui l'aveva chiamata il padre. Ma, dopotutto, tutti la chiamavano con il suo secondo nome.
Detto questo, Ron si voltò, diretto alle scale che davano al piano superiore, dove c'erano le camere.
"Ma buongiorno!" Esclamò Hugo in tono di sfida.
Rose sbiancò, il cucchiaino che le scivolava di mano e cadeva nella tazza, affondando nel mare bianco del latte.
Ron si fermò un attimo sulle scale, la mano poggiata mollamente sul corrimano. Fulminò il figlio con un occhiata, senza voltare la testa.
La ragazza tratenne con il fiato in gola, attendendo e temendo l'esplosione del quale Ron avrebbe potuto dare prova.
Ma Ron non disse niente, e Rose tornò a respirare. Solo quando il padre scomparii oltre le scale si rese conto di aver trattenuto il respiro.
Scosse la testa, cercando di recuperare il cucchiaino.
"No" esclamò Hugo ironico, entrando in cucina e facendo roteare gli occhi, le mani ancora ficcate nelle tasche. "Non c'è la con me, ma come mi viene in mente? Se ne é solo andato dalla cucina quando stavo entrando io-"
"Hugo" lo bloccò Rose, apatica, senza alzare la testa dalla tazza.
Lui la guardò male.
"Lo hai visto anche tu! Non fare finta-"
"Hugo. Non infierire." Mormorò Rose.
"Ma-"
"Hugo"
Rose alzò gli occhi, e li puntò sul fratello, interrompendolo di nuovo.
Hugo socchiuse le palpebre, guardandola male, ma non disse niente.
"Comunque-"
Rose lo fulminò con lo sguardo, dando una sfumatura cattiva alle iridi azzurre che nessuno era abituato a vederle in volto.
Bastò quello per far interrompere Hugo.
Solo uno sguardo.

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