Capitolo 100

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"Scorpius, non é così che si fa!" Lo rimproverò la Weasley, per quella che al ragazzo parve la trecentesima volta.
Trecentesima volta di troppo.
Scorpius sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Avrebbe voluto dire che non serviva niente, che tanto sbagliava comunque, che non gli interessava niente di quelle stupide lezioni supplementari di Trasfigurazione, eppure stette zitto.
Aveva già mosso queste obbiezioni nelle due settimane precedente, dalla prima volta che avevano iniziato fino a ora, ma la ragazza non sembrava nemmeno sentirle. Le scivolavano addosso, senza scalfirla, e riprendeva a spiegargli l'esercizio con una calma e una pazienza che davano su i nervi a Scorpius.
E ora, ormai agli inizi di febbraio, Scorpius aveva imparato che niente di quello che lui diceva aveva un conto:
La Weasley non lo ascoltava. Le sue proteste le entravano da un orecchio e le uscivano dall'altro senza che sortissero in lei alcun effetto desiderato. Ad esempio quello di demordere.
Quindi meglio stare zitto e lasciarla fare. Se non parlava, poi, non doveva concentrarsi nemmeno su cosa dire, e poteva impegnare tutte le sue energie a leggerle la mente.
Doppio vantaggio, no?
E lei non se ne accorgeva nemmeno.
Stupida.
Scorpius sbuffò. "Non ci riesco"
"Non ti stai impegnando" ribatté la Weasley, lievemente stizzita.
Scorpius roteò gli occhi. La ragazza aveva preso sul serio troppo seriamente quelle lezioni, più seriamente perfino di lui.
Da quando ti importa delle cose dopo l'estate?
Effettivamente a lui interessavano meno di zero. Batterlo in quel senso ci voleva poco. E poi era vero: aveva perso la voglia di fare qualcosa per qualsiasi cosa, dopo quella estate. La sua attenzione si spostava da una cosa all'altra repentinamente, senza che niente gli lasciasse un ben che minimo segno. Un po' lo stesso effetto che le sue lamentele avevano con la sua tutrice.
Però nessuno doveva azzardarsi a biasimarlo. Era normale, data la sua situazione.
Nessuno doveva rimproverargli il fatto di aver perso vitalità.
Davvero. Scorpius ne sarebbe uscito pazzo.
"O forse" disse Scorpius, guardadola nella pozza di luce dove, inconsciamente, lei si era posizionata, più scocciato del solito "semplicemen-  -te, ci sono negato. Non é poi così difficile da capire"
Lei socchiuse gli occhi, affilando lo sguardo azzurro. Si passò una ciocca rosso fuoco dietro l'orecchio "se é vero che nessuno nasce imparato - e ci sono prove che é così - e anche vero che nessuno nasce senza saper fare qualcosa. È tutta una questione di impegno e allenamento" concluse calma e pratica, come se si fosse semplicemente limitata a dire un elenco della spesa.
Scorpius la guardò in sottecchi. Aveva i capelli rossi sciolti sulle spalle, una massa informe crespa e aggrovigliata di rami scarlatti sulla testa; indossava la solita divisa di Hogwarts, la gonna che le sfiorava le ginocchia in una carezza delicata, e le calze grigie che le risalivano sulle gambe fasciando i polpacci magri; un maglioncino sempre colore grigio e, su di esso, spiccava come un fiocco su un pacco la cravatta rosso e oro di Grifondoro, l'unico elemento colorato che intervallava quella distesa di depressione che si era messa addosso.
Era anche della stessa tonalità dei capelli.
Scorpius scosse la testa. Si lasciò cadere con un sospiro su una sedia dietro di lui, gettando la bacchetta lontano. Tanto non ti serve.
La Weasley lo guardò inclinando la testa. "Che fai? Ti arrendi?"
"L'arresa mi sembra la miglior arma, in questo momento" ribatté lui.
"O la strada più semplice" commentò secca e risenta la ragazza. "Per come ho detto prima, ti dico che basta solo un po' di impegno. Se ti sforzassi di più ci riusciresti. É un incantesimo facile"
Per te le avrebbe voluto dire lui.
Era vero, però, ragionò Scorpius, mentre la ragazza si chinava a raccogliere la borsa da terra. Il fatto che con la buona volontà e la giusta determinazione si riuscisse a fare tutto. Scorpius dovette darle ragione almeno nella sua testa.
Il ragionamento non faceva una piega. Peccato ci fossero delle situazioni che andavano oltre questa definizione.
Come la mia. Pensò Scorpius. Magari, se fosse stato così semplice. Se con la buona volontà e un po' di allenamento fosse riuscito a tirarsi fuori da quel guaio.
Magari bastasse questo.
Ma non é così.
Scorpius si strinse nelle spalle. "L'arresa non mi sembra poi così male, come opzione"
Lei lo guardò sgranando gli occhi, scandalizzata "é la strada peggiore si possa prendere!"
Scorpius roteò gli occhi. "Palese lo avresti detto"
"Cosa?" Domandò lei. Quando Scorpius la guardò colse il suo sguardo confuso, ma non c'era traccia di rabbia o risentimento, o qualsiasi altra emozione negativa. Come se lei lo avesse.
Stupido si batté mentalmente una mano sulla fronte ovvio che ce le ha.
Scorpius sbuffò. Si mise seduto composto, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
"Noi Serpeverde non abbiamo l'orgoglio di voi Grifoni. Per noi arrenderci non é un motivo di umiliazione o che so io." Spiegò, con la stessa chiarezza che aveva usato lei poco prima. "Non lo facciamo" proseguii, sotto lo sguardo a metà fra il concentrato e lo scettico di lei - anche se si sforzava di non far trapelare questa parte "per il semplice fatto che siamo determinati. Pronti a tutto per i nostri obbietti" terminò a mezza voce. Dannazione. Aveva appena dato il giusto pretesto alla Weasley per attaccarlo. Lo aveva offerto su un piatto d'argento!
E poi era vero. I Serpeverde lottavano per i propri ideali e gli obbiettivi.
Scorpius degluttii. Lui non lo stava facendo.
Ottimo. Non era bravo neppure come Serpeverde. L'unica cosa che pensava gli venisse bene.
Allora il Capello Parlante ha sbagliato Casa allo smistamento pensò frustrato. Avrebbe dovuto mandarmi dai Corvonero. Non dalle Serpi.
Sí, la colpa era ovviamente del Cappello Parlante.
La Weasley però non sembrava essersi resa conto dell'occasione che lui le aveva - involontariamente - messo sotto il naso.
Corrugò le soppracciglia, come se stesse pensando a qualcosa di vitale importanza. Poi scosse la testa. "Propongo una pausa" disse "ti va?"
Scorpius alzò una mano "io propongo di farla finita con queste lezioni.
Andiamocene"
Lei si voltò, prese una borsa e sparii tra gli scaffali. Scorpius chiuse gli occhi.
Ecco. Come ogni volta che cercava di mettere una fine a quella cosa insulsa e inutile, lei lo ignorava. Sembrava nemmeno non sentirlo.
Esattamente come aveva fatto in quella occasione. Le sue parole le erano scivolate addosso senza alcun significato.
Scorpius sbuffò. Alle volte la cosa si faceva davvero stressante. Parlare con lei era come parlare a un muro.
Fortunatamente riusciva a leggerle nel pensiero, per avere almeno una blanda illusione di riuscire a intrattenere un dialogo con la ragazza. Se no avrebbe sul serio avuto più risultati se si fosse voltato e avrebbe provato a intrattenere i mattoni alle sua destra.
Venire ignorato, poi, non gli era mai piaciuto. Aveva sempre fatto valere la sua opinione, sopprattutto quando c'era qualche bullo nei paraggi e lui spiegava con una calma e un sangue freddo che sorprendeva perfino se stesso, che no, non é così che ci si comporta.
Poi lui e Albus si ritrovano a scappare per i corridoi di Hogwarts, ma questa era una altra faccenda.
Non era questo il punto.
Scorpius sbuffò ancora. Chissà cosa stava facendo lei. Cercava un libro, Scorpius vedeva che ci pensava anche con una certa intensità, ma non riusciva a capire come quale e perché.
Lanciò uno sguardo alle diverse file di scaffali. Era il primo pomeriggio, e la luce entrava a secchiate nella stanza, tingendo tutto di oro e attraversandola come lance luminose.
Vedeva la testa rossa della Weasley china sui libri, un dito che percorreva le coste di quelli posizionati tranquillo sui propri ripiani.
Attento a non farsi vedere, Scorpius spostò piano la sedia. Eccola, ora vedeva la sua figura intera.
Poggiò la schiena allo schienale della sedia e, arpionandosi al banco per avere la certezza di non cadere, si dondolò, staccando le gambe anteriori di legno per sporgersi oltre.
Sì, eccola lì, che vagava fra i libri come se vi potesse ritrovare un segreto nascosto. Socchiuse gli occhi, mantenendo un contatto visivo prolungato - proprio come gli aveva insegnato sua madre.
Era un libro sulla medicina. Medi-Magia, per essere precisi. I caratteri del titolo erano in oro, e brillavano sotto la luce lieve del sole, ma le lettere erano sfocata, le parole indefinite. Evidentemente, seppure la ragazza aveva una memoria di ferro - cosa che lui aveva potuto constatare tranquillamente in quelle settimane di osservazione - non riusciva a ricordare come intitolasse.
Scorpius alzò un angolo della bocca. Sapeva quanto fosse frustrante, come cosa. Consceva benissimo quella sensazione, tanto che si sorprendeva la ragazza non avesse ancora dato di matto. Lui, al posto suo, l'avrebbe fatto.
Trovava la cosa terribilmente irritante. E di certo motivo per di un qualcosa che accidentalmente andava in frantumi per il suo nervoso.
Trovato! Il pensiero arrivò euforico e chiaro alle orecchie di Scorpius.
Il ragazzo trasalì. Si diede dello stupido, e ripiombò con la sedia per terra, provocando un lieve tonfo che si moltiplicò sulle mura deserte della Biblioteca, amplificandosi.
Scorpius si morse il labbro. Fantastico.
Lei poteva averlo sentito. Si diede ancora dello stupido.
Non é proprio giornata per fare dei complimenti, eh? Pensò ironico.
Scosse la testa. Avrebbe dovuto concentrarsi, e invece passava il tempo a prendersi in giro. A gongolare. No. Io devo sapere.
Lui doveva concentrarsi per l'unico motivo per cui era la. Per cui non mandava al diavolo Rose Weasley e le sue stupide lezioni e per cui accettava di prestarsi a quella tortura.
Trovare qualcosa su quel maledettissimo ricordo. Quello che aveva visto nella mente di Hugo e lo stava ossessionando - cosa molto strana, visto il totale disinteresse che aveva provato per tutto il mondo e per il resto delle cose che aveva riaccompagnato il suo ritorno a Hogwarts.
Scorpius si passò una mano fra i capelli. Sì, doveva riuscirai. Era per quello che era lì, no? Capire la verità.
Non per altro. Assolutamente.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla figura esile ed elegante della ragazza.
In quelle settimane, era diventato tanto avvezzo a leggerle nel pensiero, che ormai non doveva neanche sforzarsi più tanto. Gli bastava giusto fare un piccolo passo e, in men che non so dica, era di nuovo nella testa di lei. Ormai quando entrava in una stanza o semplicemente era nei paraggi - Scorpius riusciva a leggere nella sua testa se lei si trovava  nel raggio di dieci metri, un vero record personale - i pensieri di lei venivano riversati dentro di lui in modo semplicissimo e veloce come raccogliere dell'acqua da un fiume con una bacinella. Davvero facile.
In quel tempo che aveva istaurato quel rapporto, fra tutte, c'erano state due cose che lo avevano realmente colpito.
La prima: la vastità della conoscenza della Wealsey.
Sul serio, quella ragazza sembrava aver ingoiato l'intero libro di testo. Era capace di ripetere a memoria paragrafi interi senza mai gettare un occhio sul libro - e Scorpius la invidiava per questo talento - e ricordava un tutto e per tutto il loro programma, senza mai segnarselo. Alle volte aveva anche citato testuali le sue parole, con una precisione che prima lo avevano colpito, poi gli avevano fatto gelare il sangue nelle vene.
Quella ragazza era troppo intelligente.
Troppo...memonica. Scorpius si chiedeva se era una penitenza provare a ricordare qualsiasi cosa le venisse detto senza scriverla, o se lo facesse solo così, tanto per. O se non se ne accorgesse proprio.
La seconda cosa che lo aveva colpito era stata un altra: i pensieri che faceva.
Rose Wealsey era tanto intelligente quanto narcisista. Ogni volta che qualcuno le rivolgeva un occhiata obliqua (anche perché, probabilmente, era solo arrabbiato con il mondo intero), o magari non la salutava come lei avrebbe voluto, o magari era distratto e non l'aveva vista passare, lei si cruciava per anche giorni su quell'avvenimento, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato, ed essendo nella convinzione più fervida che quel cambiamento di atteggiamento fosse colpa sua. Praticamente passava la sua intera esistenza domandandosi se andava a genio a tutti, chiedendosi se si comportasse bene.
E credeva sul serio che qualsiasi mutamento nel carattere o nel rapporto con le persone fosse colpa sua.
A Scorpius veniva quasi da ridere. Non si era resa conto che lei non era al centro dei pensieri di tutti. Che nessuno stava là pronto a sgridarla qualsiasi cosa facesse, che nemmeno il più pignolo dei loro compagni ci sarebbe rimasto male se faceva un passo di cinquantatré centimetri anziché di cinquanta.
Che quasi nessuno la calcolava quanto lei credesse. E questa era esattamente la definizione di narcisista che Scorpius attribuiva alla parola.
Sì, Rose Wealsey era il narcisismo fat-to persona.
Beh, si rovinava la vita da sola con tutti quei dubbi. Se pensava continuamente a come apparire agli altri si sarebbe dimenticata di vivere.
Scorpius sentii una vaga, vaghissima, sensazione di disagio alla pancia. Si mosse piano sulla sedia, attribuendo tutto allo stress e lo ignorò.
In quanto a quello che gli importava davvero, era ancora in alto male.
Lo strato di pensieri che faceva da muro alle sensazioni più personali e profonde non era ancora stato scorticato. I mattoncini di futili preoccupazioni che lo componevano non erano ancora caduti, e Scorpius stava provando sempre più rabbia per la cosa.
Ogni volta che pensava di essere vicino alle meta scopriva che non era così. Che quando toglieva un mattone ne sbucavano altri tre.
Quando credeva di aver scalfito il muro, ecco che saltava fuori un altro strato e lui doveva riiniziare daccapo.
E la cosa lo innervosiva. Non poco.
Sembrava davvero una protezione fatta a posta, tanto che Scorpius aveva iniziato a chiedersi non fosse sul serio così. Forse lo aveva fatto senza nemmeno accorgersene, o forse era voluto, una cosa fatta a posta per evitare qualcuno giocasse con la sua mente.
Però, se così fosse stato, la ragazza avrebbe dovuto avere una conoscenza molto amplia nelle arti oscure, e Scorpius vi ci sarebbe già dovuto imbatterci. Inoltre, se lei aveva creato quello scudo in modo intenzionale, avrebbe dovuto capire già da tempo che qualcuno faceva continuamente irruzione nei suoi pensieri.
Quindi le cose erano due:
O era volontario, aveva nascosto i suoi studi ai poteri di Scorpius e sapeva ciò che lui stava facendo ma lo lasciava fare per qualche motivo oscuro.
O non si era mai resa conto di aver costruito quella barriera e non sapeva nemmeno ci fosse.
La seconda era la più probabile.
Proprio a livello razionale.
"Scorpius" la Wealsey sbucò da degli scaffali, e Scorpius non riuscii a trattenere un sussulto. "Ci sei? Pronto per iniziare di nuovo?"
Scorpius la fissò. Era ancora con un sorriso stampato in faccia, e gli occhi azzurri brillavano sotto la luce del pomeriggio.
Eppure la felicità era scalfita. Chiunque l'avesse vista non lo avrebbe mai capito, non ci sarebbe mai arrivato, ma Scorpius sí.
Lui le leggeva nel pensiero, aveva una visione a tutti tondo di lui.
E sapeva che non aveva trovato ciò che cercava.
Scorpius Sbuffò. Annuii, tarandosi su.
"E va bene" disse scocciato "continuia- -mo"
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La lezione con Scorpius era appena finita. Rose correva a rotta di collo per i corridoi del castello, la borsa in spalla e i capelli che le volavano all'indietro, in modo tanto orrendo che lei non lo voleva nemmeno immaginare.
Però non poteva fermarsi. Aveva lezione con Scarlen, proprio ora.
La cosa era a incastro: dalle tre alle cinque con Malfoy e dalle cinque e dieci alle otto con l'infermiera.
In pratica, aveva solo dieci minuti per: andare dalla Biblioteca alla Sala Comune di Grifondoro, posare i libri, correre di nuovo giù e raggiungere l'infermeria, al lato opposto del castello. E questo tre sere a settimana.
Le altre quattro erano prese dagli allenamenti di Quiddich, imposti di James. Erano molto serrati, e suo cugino aveva iniziato a pretendere di più, sempre di più.
Sì, la sua agenda era tanto piena che Rose non si sarebbe sorpresa da un momento all'altro scoppiasse.
E gli impegni, anche se le doleva ammetterlo, le stavano disintegrando di energie.
Le lezioni la stavano sfinendo. Erano diventate faticose, e Scorpius non era mai collaborativo. Ogni volta che iniziavano, puntualmente, dopo mezz'ora, Rose aveva un mal di testa atroce, come se qualcuno stesse bussando con insistenza all'interno del suo cranio.
E anche Scarlen si era fatta esigente. Pretendeva di più, voleva vedere dei miglioramenti, e volava sopprattutto che Rose li vedesse. La pressava, dicendole di studiare quando poteva, e poi prepararsi alla prova manuale.
E Rose, più il tempo andava avanti, più moriva dalla voglia di chiederle Perché avesse lasciato il San Mungo. Cosa l'aveva spinta ad andarsene da uno degli Ospedali più prestigiosi del mondo magico e rifugiarsi un una scuola, accettando una miseria - perché di quello doveva trattarsi - come stipendio.
E Rose sapeva benissimo che fosse una domanda invadente. Che non si faceva.
Ma la curiosità era ugualmente troppa.
Nonostante tutto, Rose però andava avanti. Certo, era impegnativo, ma voleva farlo a tutti i costi.
Voleva riuscire ad aiutare Scorpius e a seguire quelle lezioni, che di certo l'avrebbero aiutata.
Volava farlo, anche se si sentiva sempre più stanca.
Un bagliore bianco brillò in fondo al corridoio. Rose si rese conto di essere arrivata. Doleva solo fermarsi.
Si impennò sulle gambe, sperando di fermarsi in tempo.
Scivolò con un suono irritante sei metri dopo la porta. Miseriaccia.
Si aggrappò al muro, voltandosi piano, e cercando di prendere tutta l'energia possibile da quelle gambe a pezzi corse verso la porta.
Si fermò con l'affanno. Senza stare a perdere troppo tempo, bussò sul legno, attendendo paziente la risposta.
La voce dell'infermiera era solare.
"Entra pure, miss Weasley"
Rose non se lo fece ripetere due volte. Spalancò la porta e entrò nella stanza bianca, che, sotto la luce delle candele, sembrava brillare di luce propria.
Rose strizzò gli occhi, sperando di non accecarsi.
"Hai l'affanno" costatò l'infermiera, alzando un elegante soppracciglio scuro "perché sei venuta a corsa? Sei in perfetto orario"
Beh, un attimo fa non era così.
"E poi sai che per due minuti di ritardo non muore nessuno" continuò Scarlen. Si alzò, e con un colpo di bacchetta chiuse la porta. "Non voglio che ti affatichi ancora prima di entrare qui. Qua c'è tanto lavoro da fare"
"Lo so" Rose annuii come un automa.
Scarlen le sorrise. "Siediti. Mentre prendo le cose prova a riprenderti"
Poi si voltò, sparendo nel suo ufficio.
Rose, con un sospiro di sollievo, si trascinò stanca morta fino a una delle sedie accanto a un letto. Appena si sedette si sentii immediatamente meglio, come se quella scomoda seduta in legno le avesse ridato ener-gia.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi al muro con la schiena. Aveva ancora il respiro corto, che cercò di regolarizzare con una tecnica della respirazione che le aveva insegnato Scarlen qualche volta prima. Le aveva detto che la utilizzavano i dottori per calmare i pazienti post-traumatici (persone salvate da un incendio, un terremoto, e altre cose così) o anche per preparargli a un dolore atroce.
Beh pensò Rose, iniziando a legarsi i capelli in una crocchia disordinata per me va bene per tutte e due.
Poi pensò a quello che aveva detto Scarlen. Nessuno muore per due minuti di ritardo.
Beh, se fosse stata in uno ospedale vedo s proprio, con i pazienti da operare in tempi prestabiliti, con cose anche gravi da curare...allora sì che due minuti facevano la differenza.
Allontanavano il paziente dal confine della morte, e lo tenevano legato alla vita con maggior probabilità di successo
"Ti sei lavata?" Scarlen risbucò dal suo ufficio, la chioma nera raccolta in uno schihnon ordinato sopra la testa, solo due ciuffi che vi sfuggivano come lunghe corde scure e le incorniciavano il viso. Gli occhi marrone chiaro erano socchiusi, e scrutavano Rose come se cercasse una conferma che lei poteva reggere. Che poteva tenerla e non era il caso di mandarla indietro a riposare.
Rose balzò in piedi. Ovvio che ce la faceva.
"Ora vado. Iniziamo?" Chiese, notando la vaschetta di metallo fra le mani dell'infermiera.
Scarlen annui. Aveva infilato la mascherina, e Rose non avrebbe saputo dire se le stesse sorridendo o meno. "Sì, fai in fretta"
Rose andò nel suo ufficio (quello dell'infermiera) e si lavò per quattro minuti esatti. Mise guanti, mascherina, e poi uscii, tornando subito dalla sua insegnante.
L'ironia della cosa la colpii all'improvviso. Lei faceva da insegnante a Scorpius, e Scarlen lo faceva a lei...non sapeva esattamente cosa, ma percepiva un che di divertente. Le veniva da ridere.
Fortunatamente, la mascherina nascondeva quelle sensazioni.
Si avvicinò al banco che Scarlen aveva preparato. Sopra c'era la vaschetta di metallo e, al centro, spiccava il corpo verde e morto di una rana. Aveva le zampe divaricate, una specie di grande stella smeralda.
"Bene" Scarlen le porse qualcosa, che sotto la luce delle candele brillò come di una luce bianca "incidi"
Rose afferrò il bisturi. Sfiorò piano la pelle del ventre dell'animale, cercando di ricordare dove esattamente fosse meglio tagliare.
Sapeva che non era come operare su un essere umano, la pelle era molto diversa, ma non le importava.
Rose prese un sospiro, poi poggiò l'arnese sulla pancia della rana. Una striscia rossa e precisa zampillò oltre la lama, sottolineando la sua traiettoria come fosse stata la bava di una lumaca. Il sangue scarlatto precipitò giù, percorrendo la pelle dell'animale come una cascata rossa e poi precipitando dentro la bacinella in un fiume di fuoco liquido. Rose lo guardò un attimo stupefatta. Le sembrava di aver appena scoppiato un palloncino.
L'odore di carne morta le invase le narici, e Rose fece una smorfia.
"Disgusto, eh?" Domandò Scarlen, notando la sua espressione "già, per questo preferisco farlo con gli umani.
Sono vivi. Non puzzano.
Non c'è bisogno che ti abitui a questo odore"
Fortunatamente pensò Rose poi, con attenzione, iniziò l'operazione.
Tre ore dopo aveva finito. Ci aveva impiegato più tempo di quanto sarebbe servito per fare una semplice rimozione dell'appendice, ma lei era comunque soddisfatta.
E anche Scarlen. Per la prima volta da quando avevano iniziato quelle lezioni, si era lasciata andare a dei complimenti. Non esagerati, certo - se lo avesse fatto Rose avrebbe pensato non fosse davvero lei - ma comunque di più di quelli che faceva di solito.
Era un buon segno, no?
Ora si stavano lavando le mani, in silenzio. Scarlen aveva fatto evanascere tutto, complimentandosi ancora. Rose le era accanto, un asciugamano fra le mani.
Si sciolse la crocchia, lasciando che i capelli rossi le ricadessero disordinati e nodosi sulle spalle.
C'era una strana aria, quasi speciale.
Una sincronia, Rose si sentiva come in connessione con l'altra. Qualcosa che le diceva che c'era un intesa, qualcosa di più profondo, un permesso non scritto che le dava la possibilità di scherzare senza essere punita, di rivolgersi a lei non come la sua apprendista, ma come, piuttosto, un amica.
Forse era il lieve sorriso che le increslava a tratti le labbra, o il fatto che fosse riuscita a operare senza errori, o l'odore nauseabondo della rana, o la stanchezza di Rose, fatto sta che lei si sentiva bene, tranquilla con Scarlen. Beh, questa era una sensazione che la coglieva sempre, ma ora era come amplificata.
Come di un megafono.
E fu per questo, che decide di trovare a soddisfare la sua curiosità.
"Emm, Scarlen?" La chiamò piano, giocherellando con l'asciugamano che aveva tra le dita.
Scarlen si stava lavando la faccia. Alzò il viso, ancora bagnato, e la guardò attraverso lo specchio. "Si?"
Rose tentò di guardarla di rimando, ma non c'è la fece. Seppure era sicura di poterlo chiedere, ancora esitava, temendo di poter risultare maleducata. Fissò ancora l'asciugamano bianco. "Io, mi stavo chiedendo. Ecco..."
"Si?" Incalzò Scarlen. Dal tono, Rose pensava fosse seriamente curiosa di saperlo. Non sembra arrabbiata. È di buono umore. Approfittane.
Rose prese un profondo respiro. "Mi stavo chiedendo." Disse piano, torturando la stoffa che aveva tra le mani "ecco...é da un po' di tempo che mi chiedo perché..." Esitò. Degluttii, prese un respiro e alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi azzurri in quelli del riflesso della donna. "Perché hai lasciato il San Mungo? C'era qualcosa che non ti soddisfava?"
Scarlen si bloccò. Parve paralizzarsi in quella posizione, le mani serrate al lavandino e la faccia gocciolante.
Aveva una faccia stravolta.
Rose si sentii avvampire. Aveva paura di aver osato troppo. Se invece fosse stata una Legilimets, cosa che non era, avrebbe capito che dietro le iridi marroni di Scarlen Julep si agitavano le acque torbidi di ricordi dolorosi. Lei ci entrava solo in parte.
"Io vorrei saperlo, sai, per essere preparata" si affrettò ad aggiungere Rose, cercando di spiegarsi. Già si pentiva di aver fatto quella domanda. Era stata invadente!
"No" disse Scarlen, e Rose temette c'è l'avesse con lei. "No...il San Mungo era fantastico. Sarei potuta diventare dottoressa" Rose tirò un sospiro di sollievo. "Ma..." Scarlen si alzò. I suoi occhi erano duri, mentre la guardava dalla superficie liscia dello specchio.
Rose rabbrividì "ero io a non essere abbastanza forte per le loro dinamiche"
Rose la fissò confusa, ma Scarlen non disse altro.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora