Medelain teneva ancora la porta della propria camera aperta, una mano contro lo stipite. Studiava Hugo Weasley, di fronte a lei, per una volta privato da quello sguardo truce che sembrava rifilare a tutti. Anzi, per la prima volta si era tolto quel muso arrabbiato, quegli occhi scuri che sembravano brillare d'odio.
Per la prima volta, Medelain lo capì in un folgorante momento di illuminazione che quasi la fece barcollare, il ragazzino che le aveva rovinato la percezione di sé stessa fecendole venire un sacco di dubbi su cosa fosse giusto o sbagliato, sembrava...
Indifeso. Pauroso. Debole. Pensò Medelain, rimanendo perplessa - quando aveva capito chi fosse che la reclamava, si era aspetta tutt'altro.
Ora Hugo invece sembrava innocuo e fragile. Quasi tremante.
Tutto il contrario di ciò che lei aveva immaginato.
Senza tutta quella cattiveria che emanava da sotto la divisa di Serpeverde. Sembrava davvero...
Dispiaciuto. Pensò ancora Medelain, e le venne un dubbio. Forse devo farlo entrare pensò. Magari é sincero, magari vuole davvero...
Non puoi esserne sicura si mise in guardia da sola.
Ma Hugo sembrava supplicarla. Sembrava davvero onesto, sincero.
Medelain era una esperta nel capire se qualcuno bleffava o meno. C'erano diversi segnali del viso, suggerimenti che indicavano quando una persona stava mentendo, quando mascherava qualcosa. E Medelain li conosceva tutti.
A mente.
E non le pareva che Hugo Wealsey nascondesse secondo fini.
Medelain non si era mai sbagliata in certe cose.
"E va bene" si arrese, e vide gli occhi di lui illuminarsi, forse per la felicità ma, più probabilmente, per l'incredulità "entra" Medelain si scostò dalla porta, mettendo fine a quello che era stato un quarto d'ora di tira e molla fra "posso entrare? Devo parlarti" e "no, vai a farti fottere coglione".
Inutile dire che l'invito e il biglietto di sola andata per quel posto era stata tutte battute di Medelain, farcite di insulti che si intervallavano alle varie imprecazioni - Babbane e no, l'unico vantaggio di avere la famiglia per metà magica e per l'altra metà priva di poteri.
Hugo esitò sull'uscio, guardandola di traverso.
Medelain capii immediatamente il perché. "Non ho intenzione di mangiarti" sbuffò, rispondendo alla domanda implicita di lui. "Entra liberamente. E poi hai la bacchetta.
Saprai difenderti, no?".
Il ragazzino non disse niente. Le lanciò un ultimo sguardo circospetto e poi sgusciò dentro la camera, senza voltarle le spalle per più di una frazione di secondo.
Medelain alzò impercettibilmente gli angoli della bocca, accennando un sorriso. Hugo era un Serpeverde come lei.
Si aspettava un qualche tranello, una trappola. Un inganno.
Eppure Medelain non lo aveva, ma non poteva biasimare il ragazzino per averci pensato e essersi preoccupato di conseguenza.
Medelain aveva tutti i motivi per tendergli un imboscata. Sarebbe stato anche più normale da parte sua.
Ora che ci pensava, poteva benissimo lanciargli una qualche maledizione, giusto per fargli capire che...
"Mi so difendere da qualsiasi incantesimo" disse Hugo, quasi leggendole nel pensiero. Aveva gli occhi scuri socchiusi, il corpo rigido.
Un gatto pronto all'attacco "e niente mi impedisce di andare dalla preside e dirle del tuo attacco. Finiresti nei guai, sai?"
Medelain chiuse la porta del Dormitorio con un colpo d'anca, sorridendo candidamente "come facevi a sapere che stavo pensando a lanciarti una fattura?"
"Non lo hai negato"
"Non vedo perché dovrei" ribatté lei, poggiandosi contro la porta in legno.
Incrociò le braccia al petto "ho tutte le ragioni per desiderare di volerti ferire. Sarei nel giusto, in tal caso.
E tu lo sai" affilò lo sguardo, puntando i suoi occhi dentro quelli marroni di lui. Lo vide deglutire, e dovette reprimere un sorrisetto orgoglioso "e poi io non mento."
"Questo é esattamente ciò che direbbe una bugiarda" commentò Hugo, ancora teso.
Medelain sorrise, staccandosi dalla porta. Si avvicinò al suo letto, e Hugo si tenne alla larga, girando sul posto. "Non hai risposto alla mia domanda" disse Medelain, sedendosi sulla coperta smeralda del suo letto. Accavallò le gambe, guardando lui dall'alto in basso, impaziente.
Non aveva tutto il tempo del mondo.
E, anche se lo avesse avuto, non lo avrebbe di certo sprecato con lui.
Hugo prese un profondo respiro. Sembrava deciso e timoroso al tempo stesso "Medelain, io-"
"Oh, non mi riferisco a quella" lei agitò una mano in aria per indicare quanto in realtà i pensieri del ragazzino fossero sbagliati. Vide la confusione farsi largo fra le iridi scure di Hugo, ma non vi badò "intendevo:
Come facevi a sapere che stavo pensando effettivamente a cosa lanciarti?"
"Avevi una strana luce negli occhi" rispose immediatamente lui, e Medelain mutò appena il suo stato d'animo: da tranquilla a sorpresa "ed é la stessa luce che vedo - vedevo, in realtà - quando Albus e Scorpius stavano per combinare una delle loro"
"Non parlarmi di Scorpius" Medelain gli scoccò un occhiataccia "quel bullo che si crede chissà chi mi ha deluso. Gli anni scorsi era gentilissimo, un vero ragazzo per bene. Gli ho anche chiesto di uscire, una volta" ricordò all'improvviso, la se stessa di tredici anni che pensava di fare colpo sul figlio del Mangiamorte, pensava di poter cambiare il cuore di tenebra che non aveva. Che stupida "pensavo davvero sarebbe stato meglio, invece si é rivelato peggio di suo padre.
Non mi sorprende che ora abbia tutti contro, che nessuno sia più con lui. La cosa che mi lascia perplessa é che Albus sia ancora suo amico. Insomma, non lo ha ripudiato per le stronzate che spara?"
"Ma sarà una scelta sua?" Ribatté Hugo, facendo un passo indietro.
Medelain lo guardò da sotto un ciuffo di capelli biondi che le stava davanti al viso "Io lo avrei fatto" disse, il tono più duro di quanto in realtà non volesse.
"L'amicizia va oltre a questo"
"No" lei si agitò sulla sedia. Non era così, meglio che quel ragazzino capisse subito come andava la vita "sono amica di una persona perché la visualizzo in un determinato modo. Se poi questa si rivela tutt'altra cosa, demolisce l'idea che mi ero fatta di lei, allora tanti baci e a mai più"
"Non tutti la vedono in questo modo"
Medelain inarcò un soppracciglio, pronta a ribattere. Poi lasciò perdere, pensando che non ne valesse la pena.
Si era appena accorta di una cosa. "Non mi sorprende che voi state amici." Disse, le mani sulle ginocchia e una posa rigida, gli occhi fissi dentro quelli scuri del ragazzo.
Adesso sì che sembrava turbati. Una massa di tenebre che si muoveva incontrollata, dettata dal panico.
"Non siamo amici" ribatté immediatamente Hugo, come se lei lo avesse offeso in qualche modo.
Medelain rise "Certo"
"Ci sopportiamo. É diverso"
"Io non vedo differenze" replicò Medelain, ma non voleva più parlare di questo. Era stanca, voleva tornare al libro interrotto quando Hugo aveva bussato alla sua porta, e non aveva altro tempo da sprecare per ascoltare le chiacchere di quel ragazzino. "Allora" disse, interrompendo qualsiasi replica lui stesse per fare riguardo ancora l'argomento Scorpius Malfoy. Alzò il mento, fissandolo nel modo più truce che conosceva "dí quello che mi devi dire e facciamola finita. Non ho voglia di ascoltarti, e tanto meno il tempo.
Forza" lo invitò "dì ciò che devi e poi vattene"
Hugo la guardò. Prese un profondo respiro, e Medelain ebbe la sensazione di scavasse dentro per riuscire a dire ciò che aveva da dire, ciò che stava pensando da tempo.
Se ne sorpresa, e sentii indistintamente le sue soppracciglio inarcasi piano. Il ragazzino sembrava davvero insicuro su cosa dire.
E ciò non l'avrebbe mai detto di lui.
"Allora?" Lo spronò sbuffando, stanca di aspettare "devo ricordarsi che ho anche da fare altro?"
"Mi dispiace" sputò Hugo velocemente.
Ora Medelain era sorpresa a livello massimi. Sgranò gli occhi, la saliva che le andava di traverso, e lo fissò incredula.
"Cosa?"
Hugo si ficcò le mani in tasca. Abbassò il capo, il ciuffo rosso che cadeva come una lastra scarlatta sopra il suo viso "Hai sentito" disse. "non lo ripeterò"
"Oh, si invece" ribatté Medelain. Balzò in piedi, a una velocità tale da farlo spaventare. Hugo arretrò, pronto a un attacco, fino a cozzare con la scrivania alle sue spalle. Fece una leggera smorfia, ma niente altro suggeri un qualche dolore per quell'impianto.
Medelain storse la bocca. Non voleva colpirlo, ma le faceva piacere che lui si facesse male. Anche accidentalmente.
Però non era nelle intenzioni di Hugo mostrarlo.
Medelain gli si avvicinò piano. Lui non si mosse, restando perfettamente immobile, la schiena contro la scrivania verde chiaro e la testa che sfiorava il muro. Ormai aveva capito che lui non le avrebbe dato la soddisfazione di sentirlo dire due volte, che non avrebbe ripetute le parole che gli erano costate tanto sforzo, così, in due secondi, escogitò un altro modo per farla pagare.
"Cosa ti dispiace?" Chiese, stringendo la mano contro il fianco. Un occhio scuro di Hugo saettò in quella direzione, ma niente mostrò la sua preoccupazione "Il fatto che mi hai detto che sono spazzatura, sono un mostro e dovrei morire solo perché sono lesbica?"
Hugo la guardò, sgranando gli occhi. Con sorpresa e piacere, Medelain si rese conto che lui non si aspettava che gli rinfacciasse ciò che aveva fatto, nonostante lui le porgesse le scuse anche per quello. Medelain sentii gli angoli della sua bocca alzarsi, un sorriso che le imbrattava il viso nel perfetto ghigno di una Serpe.
Poi il volto di Hugo si colorò di rosso, rosso intenso, che superò la tonalità carota dei suoi capelli. Abbassò lo sguardo, e quando Medelain capii fosse imbarazzo ciò che provava scoppiò in una risata fragorosa.
Voleva umiliarlo? Forse.
Era giusto? Certo che no. Ma lei non avrebbe dimenticato facilmente i mesi passati dopo aver sentito quelle parole, per di più da un bambino di undici anni che le dava dello scherzo, che le diceva fosse una creatura meglio da morta che da viva.
Tutti i mesi passati a interrogarsi, tutti i mesi di inferno attraversati.
Né, tanto meno, era pronta a perdonalrlo facilmente. Forse col tempo, forse col fatto che lui le aveva appena chiesto scusa, ma di certo non sarebbe stato facile non provare la rabbia che invece la coglieva quando lo guardava.
Nella testa risentiva sempre quelle parole, le parole di Hugo Wealsey che le diceva fosse contro natura, che la faceva stare male e le faceva mettere in dubbio se lei fosse davvero sana.
Non avrebbe dimenticato quel calvario. E avrebbe voluto ci passasse anche Hugo.
Solo così, quando lui avrebbe saputo cosa le aveva fatto provare, sarebbe stata certa di riuscire a perdonalrlo.
Riuscire a mettere una pietra sopra.
"Ero un bambino" la voce di Hugo, sottile, che cercava di giustificarsi, la fece tornare alla realtà. Medelain puntò gli occhi verso di lui "non capivo cosa significava. Non sapevo..."
"Eri stupido" tagliò corto lei, giusto per offenderlo.
Hugo si strinse nelle spalle "anche".
"Sai che questo comportamento é sopprattutto incline nei gay repressi" aggiunse Medelain sogghignando. Sì, ancora non riusciva a perdonarlo facilmente.
Hugo sobbalzò. Parve colto alla sprovvista quando rispose "non sono gay"
"Quindi dici che tutte le parole indirizzate a me per via di ciò che sono erano mosse solo da una stupidità invadente in te nonostante l'età da vecchio e non da una possibile attrazione per il sesso maschile?" Chiese tutto di un fiato Medelain.
Hugo alzò lo sguardo su di lei, e la guardò come se non avesse capito niente. Medelain non poteva biasimarlo: si rendeva conto di aver parlato a macchinetta, non con una velocità che consentisse a chi ascoltava di intercettare le sue parole.
"Io... si" ripose incerto Hugo, più in tono interrogativo che altro.
Medelain si raddrizzò. "Bene" disse. "Sei un coglione"
"Già lo sapevo"
"Ma un coglione che impara dai suoi errori" continuò lei, e percepii lo sguardo sorpreso di Hugo "quindi, anche se non riesco a vederti come una brava persona e dubito che persino in un futuro lontano saremo qualsiasi di più di 'semplici conoscenti', diciamo che" prese un profondo respiro "non c'è la ho più con te"
"Davvero?"
"Ma rimani sempre un coglione" si affrettò a specificare Medelain. Lo sguardo di Hugo, che brillava di una felicità tanto inaspettata e sconosciuta da metterla a disagio, non si scalfii.
In quel momento sembrava davvero n semplice ragazzo di quattordici anni, non il musone che si aggirava per i corridoi di Hogwarts dando l'impressione di voler affatturare chiunque incontrasse il suo sguardo.
Poi Medelain si ricordò di una cosa improvvisa. Si voltò di scatto verso Hugo, tanto velocemente da farlo sobbalzare. "Hai preso il libro?"
Lui sbatté le palle perplesso "Cosa?"
"Il libro" Medelain fece un verso frustrato quando incontrò lo sguardo confuso di Hugo. Sbatté un piede per terra. "Cime Tempestose" disse "il libro che ti ho messo nel baule prima delle vacanze di Natale"
"Sei stata tu?" Esclamò lui, offeso. "Ma...leggerlo é stato-"
"Struggente" suggerì Medelain "si, quello era l'obbiettivo."
"Mi ha fatto stare malissimo"
"Anche tu a me. Per anni." Rispose lei. Si strinse nelle spalle "e poi nessuno ti aveva detto di leggerlo."
"Mi ha ricordato la mia storia" confessò Hugo, dopo un attimo di silenzio. Medelain lo guardò senza dire niente. "Il padre che perde la moglie uccisa dal suo stesso figlio per averlo partorito. Allora é una cosa comune"
Medelain lo fissò perplessa "tu non hai ucciso nessuno. E nemmeno Catherine"
"Non mi sto riferendo a Catherine" mormorò lui.
Medelain inarcò un soppracciglio "nemmeno Hereton ha ucciso sua madre. É stato solo..."
"Un incidente. Sì, ma ha portato alla morte di una persona"
Seria, Medelain mise le mani suoi fianchi. Lo fissò, socchiudendo gli occhi per studiarlo.
"A chi ti senti più simile?" Chiese. Hugo la guardò perplesso, e lei si affrettò a specificare "chi ti ricorda di più la tua storia? I Linton o gli Earnshaw?"
Lo sguardo di Hugo di rabbuiò "So che lo credi anche tu, se no non mi avessi dato il libro. Penso di essere..."
"Hugo." Lo interruppe Medelain, come colta dal panico "Tu puoi scegliere"
---------------------------------------------------------
In ritardo per una lezione di cui Albus si era anche dimenticato, il ragazzo correva a per di fiato per i corridoi.
Non sapeva se sarebbe mai riuscito ad arrivare in orario, o se avrebbe fatto perdere per l'ennesima volta i punti alla loro Casa - non che ormai facesse troppo a differenza: Scorpius era odiato per il suo comportamento da bullo, e Albus veniva odiato di riflesso perché gli stava affianco. Ma lui non si sarebbe mai staccato dal suo migliore amico: gli altri erano superficiali, non vedevano cosa si nascondeva sotto quell'aria di offese che Scorpius rifilava a tutti.
Albus, invece, sapeva ci fosse qualcosa che lui stesse nascondendo. Che stava nascondendo perfino a lui, a Albus, la persona con la quale Scorpius si era sempre confidata dagli undici anni in poi.
E, se si ostinava a dire che stava bene, allora c'era qualche problema. Qualche problema grave.
Albus ricordava ancora le carte che aveva trovato, la scritta nera e seria, che cantava di una catastrofe incombente. Non aveva avuto modo di approfondire la cosa, non aveva avuto modo per tornare in quel cassetto e leggere ciò che c'era scritto.
Era troppo impegnato a non pensarci quando era nel raggio di azione dei poteri di Scorpius. Non voleva immaginare cosa sarebbe successo, se il suo migliore amico lo avesse beccato a pensare a quelle scartoffie, una muta prova della mal fiducia di Albus verso di lui e di essersi impicciato nei suoi affari.
Forse non sarebbe nemmeno soppravvussita la loro amicizia, dopo un torto del genere. E Albus era consapevole che, in tal caso, sarebbe stata colpa sua, sua e di nessun altro.
Quindi, nonostante la voglia di andare lì e leggere quella cattive notizie - sì, perché Albus era sicuro si trattasse di questo - fosse aumentata col tempo, e la curiosità quasi diventata smaniosa, Albus si conteneva. Non credeva e, anche se spesso il Dormitorio era vuoto per via delle lezioni di Scorpius date da Rose, lui non era mai andato a leggere meglio. Aveva il costante presentimento che Scorpius sarebbe tornato in Dormitorio da un momento all'altro, e lo avrebbe sorpreso con le mani nel sacco. In tutti i sensi.
E poi temeva che avrebbe scoperto qualcosa che non poteva allontanare dalla mente, di cui non poteva fare a meno di pensare. Che si sarebbe stanziato dentro la sua testa come un chiudo fisso, e Albus non avrebbe saputo smettere di pensarci.
E ciò lo avrebbe portato a confessare tutto indirettamente al suo migliore amico. E Merlino solo sapeva quanto Scorpius se la sarebbe presa, una volta capito di essere stato fregato.
Ma queste erano scuse. Albus era terrorizzato da quelle carte.
Per la prima volta, aveva una seria e cieca paura di ciò che poteva essere scritto in quelle carte.
"Albus!" Una voce dietro di lui, tanto conosciuta e inaspettata che lo fece quasi cadere, lo chiamò.
Albus scivolò sul pavimento in pietra del castello, roteando come una trottola. I suoi occhi, che erano stati troppo assorti nei propri pensieri per notare qualcosa non fosse le sue preoccupazioni, catturarono l'immagine di colori, tanti colori, come se qualcuno vi avesse gettato della vernice.
Quando Albus si fermò, si rese conto di trovarsi nel corridoio pieno di quadri. Quello tanto tappezzato di dipinti che non lasciava spazio nemmeno a una mattonella di muro.
Ah pensò Albus interessante. Non mi ero nemmeno reso conto di essere arrivato qui.
In più la direzione era sbagliata.
"Albus!" La ragazza correva verso di lui, affannandosi. Aveva una voglia di vederlo negli occhi che Al di non le vedeva da tempo. Tanto tempo ormai.
Ma Albus non aveva bisogno di guardarla per sapere chi fosse.
Le bastava sentire i suoi passi leggeri, percepire l'aura di divertimento che lei emanava, la solarità che la sua sola presenza gli metteva addosso, come se lo vestisse di allegria.
E poi il suo odore. Sole e prato fresco, di primavera.
Il suo cuore aumentò i battiti.
Alice.
E la vide, splendida come sempre. I capelli castani non erano legati nella coda alta alla quale Albus era abituato; no, erano lasciati sciolti sulle spalle in ciocche disordinate, come se per la corsa la coda che portava si fosse deteriorata, infranta dalla passione del sentimento.
Non li aveva lunghi, le sfioravano solo un po' oltre le spalle. Ma Albus l'adorava lo stesso.
"Alice" disse, quando lei si fermò, a un passo di distanza da lui. Albus non sapeva se avrebbe dovuto muoversi o meno, ma era come incollato sul posto.
Quindi anche volendo poco importava.
Alice sembrava nella sua stessa indecisione. Apriva e chiudeva la bocca senza riuscire a proferire verbo, indecisa. Albus non l'aveva mai vista indecisa.
Alice era sempre stata una ragazza sicura di sé, forte, che se voleva qualcosa lo prendeva.
Era strano vederla così, indifesa, vulnerabile all'esterno. Si passava ripetutamente una mano fra i capelli castani, cercando le parole.
Albus immaginò fosse così che la sua coda si era disfatta.
"Ehy" disse.
Alice sorrise. Aveva uno sguardo smarrito, gli occhi azzurro-cielo una distesa chiara di celeste confuso.
Albus aprii la bocca per parlare - chissà come, aveva intuito il perché lei si trovasse lì, davanti a lui, e avesse quella faccia. Non ci voleva un genio: non si parlavano dal Natale, e se ora Alice era tornata da lui c'era un solo motivo - ma lei gli parlò sopra.
"Oh, 'fanculo" disse Alice, poi si lanciò in avanti, facendo fissare le sue labbra con quelle di Albus.
Lui allargò le braccia, e la accolse, stringendole la vita. Sentiva il corpo caldo di lei aderire perfettamente al suo, il petto schiacciato contro il suo.
Albus le passò una mano fra i capelli, sciogliendo qualsiasi cosa fosse ancora legato. Sentii le mani di lei corrergli sulle spalle, esaminare curiose la veste che portava addosso.
Si staccarono quando non ebbero più fiato. Albus guardò Alice.
Aveva le labbra gonfie e rosse, gli occhi liquidi e scegli, arzilli, come lui era abituato a vederla; le guancie erano due chiazze scarlatte, che spiccavano contro la pelle pallida del resto del viso e facevano risaltare gli occhi come Cristalli dentro una fossa.
Alice gli restituii lo sguardo e sorrise.
Poi scoppiò a ridere, seguita immediatamente da Albus.
Dopo poco le risate scemarono, come l'ultima goccia di acqua che cade dalla bottiglia, e Albus e Alice rimasero in silenzio.
Poi, lentamente, Albus si sporse in avanti, catturando di nuovo le labbra di Alice. Questa volta non era un bacio mancato, un bacio desiderato.
Era più lento, passionale, tranquillo: avevano tutto il tempo del mondo, non c'era bisogno di correre. Potevano godersi e assaporare ogni attimo. Potevano vivere di quelle labbra, delle loro lingue che guizzavano nelle bocche opposte.
Niente li avrebbe più separati.
E, finalmente, Albus rincontrava le labbra di cui si era innamorato.
STAI LEGGENDO
In The Name/ Scorose.
FanficTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...