Capitolo 52

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Quando si svegliò, il calendario lo informò, tranquillo, fermo e irremovibile, che era appena iniziato il 17 settembre.
Hugo, con un lamento, si tirò a sedere sul letto, una mano sulla testa che aggiustava distrattamente il ciuffo di capelli rossi - tanto piatto e schiacciato che sembrava ci avesse messo il gel come Malfoy (cosa che lui non faceva, ovviamente, visto che non gli interessava tenere un aspetto accettabile a scuola - e uno sbuffo quasi impercettibile che lasciava le sue labbra in una piccola nuvoletta di fumo bianco. Hugo quasi non ci fece caso: ormai, dopo tre anni, era abituato al freddo penetrante della sua Sala Comune.
Hugo si scoprii con un gesto impaziente le coperte, gettandole da un lato in un mucchietto verde disordinato, e buttò le gambe giù dal letto in modo alquanto pesante. Aprii le tende verdi del suo baldacchino, che si levarono come un sipario lasciando intravedere la scena che si stava svolgendo oltre la distesa d'erba della stoffa: Nott, uno dei suoi compagni di stanza, stava tirando a destra e a manca dei cuscini colore argento, cercando - probabilmente, dedusse Hugo, osservando la traiettoria argentata che la stoffa imbottita stracciava - di colpire Bulustror, un altro studente del quarto anno, che contrattacca facendo volare per la stanza carte - vuote, ovviamente - di Cioccorane che si libravano nello stretto Dormitorio come ali di farfalle.
Every, un ragazzo terribilmente noioso e privo di qualsiasi emozione, grugniva qualche frase poco lusinghiera, palesando il suo fastidio in modo tanto eloquente che Hugo ebbe lo strano - ma neanche tanto - istinto di tirargli un incantesimo per farlo tacere. Dovette trattenersi con non poca forza di volontà per impedirsi di affatturarlo seduta stante.
Si alzò dal letto, decidendo di non intervenire in un qualsiasi litigio che coinvolgesse Nott e Bulustror, e si diresse verso il bagno, il passo un po' cadente per il sonno che non era riuscito a mandare via, e entrò nella stanza, chiudendosi con un sospiro di sollievo la porta alle spalle.
La lieve luce del primo mattino filtrava attraverso le acque scure del Lago Nero rendendo di una colorazione verdognola l'intera stanza, e conferendo una sfumatura non poco inquetante e maligna ai diversi lavelli allineati in fila sul muro.
Hugo si avvicinò a un rubinetto, fissandosi intensamente allo specchio.
Forse era solo lui a vederlo così. Nel senso: una semplice luce che entrava nella stanza non poteva determinare la bontà o la cattiveria di questa, giusto? E non poteva determinare se le persone che vi si trovassero all'interno erano buone o cattive, no?
Hugo sbuffò, aprendo l'acqua.
Era diventanto ancora più pallido del giorno prima, e le profonde occhiaie sotto gli occhi si erano marcate, sottolineando la sua stanchezza. Il labbro inferiore era ormai quasi completamente spaccato, mentre quello superiore tanto secco che avrebbe potuto staccarsi le pellicole con la semplice forza del pensiero.
Si fa per dire, ovviamente.
Ultimamente specchiarsi gli dava fastidio. Non faceva altro che rendersi conto di non riuscire a nascondere le sue ricerche, di rendere evidente che la notte non dormisse, ma stesse in piedi e la usasse per un passa tempo decisamente discutibile e che di certo non era quello giusto; la sua immagine riflessa non faceva altro che gridare al mondo quanto si sentisse spento dentro, quanto fosse distrutto da ciò che i libri lo stavano informando. Non faceva altro che dire all'intera scuola che lui, Hugo Weasley, si stava lentamente rendendo conto di ciò che aveva causato, di ciò che era responsabile e aveva fatto.
E la cosa lo stava smantellando dall'interno, buttando giù ogni singola certezza che aveva avuto per tutti quegli anni, disintegrando le cellule e facendo cedere, uno dopo l'altro, tutti i suoi organi, fin quando non sarebbe rimasto solo un guscio vuoto, morto dentro, sventrato dalla conoscenza e dalla consapevolezza.     
E la cosa peggiore, era che temeva che gli altri si accorgessero delle sue condizioni. Era come se avesse una scritta in fronte, a caratteri cubitali, che recitava: 'Ragazzino non dorme, decide di spendere le ore notturne per cose di cui non sono proprio fatte, e scopre la verità che tutti sappiano su di lui'. Aveva il terrore cieco che gli altri potessero leggere la verità nei suoi occhi, stampata e impressa nella sua pelle come un marchio.
Hugo alzò lo sguardo, incrociando gli occhi scuri del suo riflesso.
Stava cercando di convincersi che forse, gli altri, non avrebbero notato niente; provava a vivere nell'illusione di riuscire a tenere nascosto ciò che stava facendo, di riuscire a ingannare il resto del Castello facendo credere loro di star bene, che quello era il suo viso al naturale.
Hugo sospirò chiudendo il rubinetto.
Non ci credeva nemmeno lui. La sua pelle, ogni singola particella nel suo corpo, gridava quanto cattiva fosse la sua persona in realtà. Rendeva palese agli altri l'ignobile delitto di cui si era macchiato in tenera età. Lo mostrava con eclatante e squallida soddisfazione, sottolineandolo alla presenza dei suoi compagni.
Lui era una catastrofe.
E non c'entrava niente l'aspetto fisico; poco importava che non bisognasse giudicare un libro dalla copertina.
Stava guardando il riflesso di un mostro, e non aveva rilevanza che il suo volto non ne fosse la prova schiacciate, la certezza lampante che lo catalogava come tale.
La cravatta che ogni giorno portava legata al collo era una conferma più che sufficiente.
"Hugo" qualcuno batté alla porta "muoviti, non voglio arrivare tardi di domenica solo perché tu non ti muovi"
Hugo chiuse gli occhi, chinando la testa in avanti.
Every. Quale altra persona con così poco tatto poteva mettersi a strepitare con la sua voce lagnosa di prima mattina e pretendere di essere anche ascoltato? Nessuno, solo la persona con meno personalità di Hogwarts, che stava ancora torturando la porta martellandola di colpi.
Quel ragazzino era snervante.
Faceva venire l'esaurimento nervoso.
"Hugo-"
"Ho fatto!" Hugo urlò, staccandosi dal lavello e dirigendosi alla spessa porta in legno. L'aprii, trovandosi davanti il faccione scocciato e irritante del suo compagno di casa, già terribilmente fastidioso di prima mattina.
Eppure, Every appariva neutrale come sempre. La cravatta di Serpeverde era annodata al collo con una precisione meticolosa quasi ammirevole, e la divisa era infilata  tanto diligentemente e ordinata, senza un minuscolo filo che non fosse al posto giusto, da neutralizzare sul nascere qualsiasi caratteristica fuori dal comune.
Era in ragazzo come gli altri, senza particolare spicco o demerito a renderlo diverso dal mare di studenti che popolava Hogwarts da secoli.
Se fosse passato in un corridoio, probabilmente, nessuno si sarebbe accorto del suo passo, distratti dal camminare dei migliaia di studenti identici a lui.
Era completamente privo di caratterizzazione. E Hugo avrebbe dato qualsiasi cosa per poter dire lo stesso di sé.
Every inarcò un soppracciglio.
"Finalmente" esclamò liberatorio, alzando gli occhi al cielo e sorpassando Hugo per entrare nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle con in tonfo, come se volesse fare sentire a tutti quanto fosse nervoso a quell'ora.
Hugo fece una smorfia. Era sempre più sicuro del fatto che quel ragazzino gli stesse terribilmente antipatico.
O sulle palle. Ancora non aveva deciso quale fosse la definizione più giusta.
"Oh no" gemette Nott a un tratto, interrompendo l'assedio di cuscini verso Bolustrun e guardando la porta con aria allucinata "si é chiuso di nuovo dentro?"
"Si"
"Oh Merlino" Nott si buttò a braccia spalancate sul suo letto, cadendo sul materasso e rimbalzandovi pesantemente "e adesso chi lo vede più il bagno?!?"
Bulustror lanciò un occhiata alla porta chiusa, lasciando cadere le sue munizioni. Sospirò "quel ragazzo é pesante. Perfino più lento di una ragazza."
"Guardate che vi sento!" Urlò Every, la voce attutita dalla porta in legno.
Hugo sogghignò, preparandosi con degli abiti Babbani ma comodi. Sebbene a casa di suo padre facesse di tutto per infastidirlo con la sua Casa di appartenenza, quando era lontano da lui, ogni volta che poteva, evitava di mettersi gli abiti che lo rendevano partecipe della Casa dei maghi Oscuri.
"Bene" Nott sbuffò, lanciando il suo ultimo cuscino contro la parete "tanto vale andare a fare colazione. Se aspettiamo che esca facciamo notte e sarà lunedì prima che c'è ne accorgiamo"
"Sono d'accordo" Bulustror lanciò un altra occhiata alla porta chiusa, dietro la quale si sentiva lo sciaborrio elegante e possente dell'acqua e una voce non troppo bene identificata "ecco perché doveva andarci subito.
La principessina doveva prepararsi"
"Ehy!"
Hugo cacciò una mezza risata, infilandosi la maglia.
Nott e Bulustror si alzarono dai rispettivi letti, avviandosi verso la porta del Dormitorio. Erano entrambi vestiti con abiti normali, senza la divisa della scuola che li indentificasse come Serpeverde.
Hugo si chiese fosse per il suo stesso motivo, ma ne dubitova altamente. Se gli altri Serpeverde erano come li definiva Albus, allora, Hugo era l'unico a farsi tutti quei complessi mentali.
"Emh" tossí qualcuno.
Hugo alzò lo sguardo, lasciando perdere l'operazione di infilarsi le scarpe.
Nott era in piedi sull'uscio della porta, e lo fissava un po' interdetto, incerto o forse non sicuro di proseguire.
Bulustror, davanti a lui e già uscito dal Dormitorio, alzò gli occhi al cielo, avviandosi verso le scale e scomparendo oltre queste.
Non voleva aspettare, pensò Hugo.
"Vieni con noi?" Gli propose Nott, ostentando quella che sembrava indifferenza, ma Hugo lesse comunque un certo nervosismo nei suoi movimenti "non abbiamo niente da fare, e dubito che tu voglia stare ad aspettare Every per andare...oh beh, se tu vuoi non sarebbe comunqu-"
"Non voglio fare colazione, grazie"
Nott lo fissò sorpreso, probabilmente non aspettandosi una risposta del genere.
Doveva essersi aspettato una frase affermativa, non una di liquido.
Ma Hugo sapeva che quella che aveva dato era la risposta che Nott sperava di ricevere. La sua era stata solo una domanda di educata cortesia, dettata dalla formalità della situazione. Non era un reale interesse.
E Hugo non imponeva la sua presenza a chi non la voleva.
"Oh" Nott lasciò trapelare un po' troppa sorpresa per conservare l'aria educata. "Oh, beh, allora ciao.
Ci vediamo dopo"
"Ciao"
Dopo non si sarebbero rivisti.
Hugo lo sapeva.
Nott tentennò un altro attimo, forse nella vana speranza che Hugo si rimangiasse le sue parole, poi si voltò, scendendo le scale e seguendo la scia di Bulustror, e scomparve oltre di esse.
Hugo si chinò di nuovo e si infilò completamente le scarpe. Si tirò in piedi e, completamente vestito con una semplice maglia bianca e dei jeans, lanciò un occhiata irritata alla porta.
Every ne avrebbe avuto ancora per molto.
Più che convinto a non voler sperare altro tempo prezioso con la compagnia irritare di quell'individuo, Hugo si voltò, prese una scatola da sotto il letto, e si avviò lungo le scale.
Scese velocemente in Sala Comune, dove evitò accuratamente di guardare nella direzione dove Medelain Heartquache si stava preparando, con la sua cricchia di amiche discutibili che la circondava come se dovesse osannarla; schivò Albus che tentava di dargli il buon giorno, o semplicemente gli voleva ripetere ciò che doveva ogni santo giorno, e si ritrovò fuori dalla Sala Comune, oltrepassata la porta con la maniglia di serpente quasi invisibile nel muro.
Hugo le lanciò un occhiata, mentre si allontanava scelto verso in luogo appartato di Hogwarts - ammesso che riuscisse a trovare una ubicazione lontana da occhi indiscreti - il fatto che si mimitizzasse così bene costituiva una ulteriore protezione da chiunque volesse entrare nella loro Sala, oltre, ovviamente, alla parola d'ordine.
Hugo camminò velocemente per i corridoi di Hogwarts, svoltando a destra più volte e ritrovandosi velocemente nell'aria fredda del primo mattino che soffiava sul giardino del castello. Si diresse verso il Platano Picchiatore, il libro che stava leggendo stretto al petto e il regalo che Rose gli aveva fatto - rigorosamente ancora incartate - nell'altra mano, strizzato debolmente fra le sue deboli dita già infreddolite dal clima.
Hugo si allontanò dalla scuola, dirigendosi ad ampi passi dall'albero più pericoloso di Hogwarts. Si sedette sull'erba vicino a esso, lasciando che qualche ramo fendesse l'aria per provare ad afferrarlo, e si fermasse a pochi centimetri da lui, troppo distante per poter essere toccato.
Hugo ghignò soddisfatto, mentre si apriva il libro sulle gambe. Quello era un escamotage davvero ingegnoso.
Il vento soffiava tra i suoi capelli lasciandogli leggeri brividi a fiuor di pelle, sulla nuca, e lasciandogli una sensazione quasi piacevole.
Prese la pagina in cui si era interrotto il giorno prima, cercando di riprendere il segno da dove si fosse fermato prima di collassare addormentato nel suo letto. Si sorprendeva di essere riuscito ad andare così avanti, fino addirittura alle tre di notte, normalmente aveva il sonno facile. Ma ciò che aveva scoperto quell'estate lo spingeva a ritardare il sonno, quasi lo costringeva, a rimanere alzato fino a tardi e a scoprire la verità, macinata sotto anni di bugie e omissioni.
La curiosità mischiata alla paura gli dava una carica stratosferica, che ha volte lo terrorizzava.
Se non riusciva a fermarsi, come avrebbe capito che era il tempo di non andare oltre? Che sarebbe stato meglio per lui se avesse lasciato perdere la questione?
Come poteva anche solo prendere in considerazione l'idea di buttare ciò che aveva scoperto e dimenticare, se quando questo pensiero si affacciava alla sua mente di sentiva terribilmente in colpa e aveva lo strano istinto di obbligarsi ad andare avanti con più foga di prima, senza fermarsi?
Hugo chiuse un attimo gli occhi, abbandonandosi di spalle contro il vento che gli soffiava nei capelli.
Le pagine del suo libro venivano sfogliate quasi da sole, e lui ne sentiva lo sfrusciare delicato simile alla leggera caduta delle foglie in autunno, che sarebbe iniziata a breve per altro.
Hugo aprii gli occhi, rimettendosi a studiare. Il suo sguardo ghiuzzò, in un lampo di distrazione, verso la carta verde che brillava tiepida e tranquilla sotto i raggi del primo sole, luccicando come se fosse la distesa calma e placida come una tavola del mare.
Sentii una strana voglia di aprirlo, che lo colse in modo tanto improvviso da fargli chiedere se tutte quelle notti passate in bianco non gli dessero alla testa. Probabilmente si, ma a Hugo non importava.
Doveva distrarsi dal pensiero che aveva fatto appena capolino nel suo cervello, e che stava oscurando tutto il resto con la malinconia e il rimorso di ciò che era.
Hugo prese il regalo in mano, iniziando a scartarlo con mani tremanti.
Ogni anno, la scuola, dedicava la giornata del diciannove settembre a ricordare con un breve omaggio la Salvatrice del Mondo Magico che era morta tanto giovane.
Hugo gettò la carta nell'erba, che si confuse con il verde dei rigoglioso fili che la circondava.
Aveva sempre trovato stupida la cosa della scuola. Quasi invadente.
Hugo si rigirò il regalo tra le mani, un po' sorpreso.
Non gli piaceva. Non gli era mai piaciuto.
Era in legno pregiato, con delle venature poco profonde, che non era brutte, anzi, ne indicavano la saggezza e la preziosità con un indice più preciso di qualsiasi strumento inventato.
Soffriva tanto. Non facevano altro che fargli rendere conto di quanto fosse colpa sua.
Era una scacchiera, che brillava tiepida sotto i raggi del sole, quasi come se, visto che era stata appena liberata dalla carta che l'aveva avvolta per settimane, volesse dare sfoggia di sé in tutta la sua bellezza.
I rimorsi, quel giorni, tornavano più forti del solito.
Hugo fece un timido sorriso. Era un campione negli scacchi.
Il diciannove settembre era un giorno più terribile perfino del ventuno agosto. Tutti si rendevano conto di quanto lui portasse sfortuna, di quanto fosse una catastrofe accertata.
Hugo si accorse che la scacchiera ed fredda nelle sue mani. I colori verde e rosso, uno in un estremo e l'altro nella' altro, si mischiavano, scontrandosi in un ammasso indistinto, in una specie di lotta estrema guidata dalle linee d'oro e d'argento che percorrevano il legno come fiumi di vita.
Odiava il diciannove settembre.
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Rose era immersa nei preparativi.
Il suo letto scarlatto, dove era seduta a gambe incrociate con una piuma bianca nella mano destra e l'inchiostro nella sinistra, era ingombro di carte e cartine, alcune accartocciate altre, miracolosamente, fuggite al destino sfortunato delle loro compagne, occupavano le lenzuola stese con ordine, ancora con le pergamene integre e senza uno stropiccio. Interropevano con il loro colore giallo-sporco il continuo tutto unito rosso che colorava le calde coperte.
Il cielo, oltre la finestra, era solo un pezzo nuvoloso di grigio spento, ma Rose non se ne sorprendeva più di tanto. A settembre il clima londinese era questo. Beh, tutti i giorni dell'anno il clima londinese sembrava depresso, in realtà.
Ma ugualmente la ragazza aveva altro da fare.
Il giorno dopo sarebbe arrivato il ragazzo nuovo, e Rose si sarebbe occupata di introdurlo nel Magico Mondo di Hogwarts. Era abbastanza facile, dopotutto, ma lei voleva essere preparata: aveva fatto una mappatura del percorso da prendere, segnandosi sul polso le informazioni più succulente e più importanti da dire al nuovo arrivato, e si era anche assicurata - con una collaborazione da parte del Barone Sanguinario - di tenere Peevees lontano da loro, quel giorno, in modo da non accogliere il nuovo studente con un palloncino di pipì in testa.
Sempre se fosse stato possibile, visto che anche James e Fred avevano iniziato a fare quello scherzi, e Rose non aveva la più pallida idea di come fare a impedire ai due cugini di gettare merda sulla loro scuola.
Inizialmente le era venuto in mente di parlare con i due e chiedergli civilmente se avessero potuto evitare di fare uno dei loro solito giochetti di cattivo gusto per un giorno, ma aveva scartato subito l'idea dandosi della stupida.
In primis non poteva dire agli altri cosa fare - che figura ci avrebbe fatto? Lei non poteva certo elevarsi a un piano superiore degli altri e dettare regole; E, in secondis, proibire ai due ragazzi di fare qualcosa equivaleva al firmare una condanna per assicurarsi che l'avrebbero fatto.
Perciò non aveva la più pallida idea di come fare, se non provare a escogitare tutti i loro piani e partorire, di conseguenza, dei contrattacchi per evitarli. Doveva coglieri alla sprovvista. E ci stava provando, ma temeva che i due l'avrebbero fregata con una sua dimenticanza della quale lei non si sarebbe accorta se non troppo tardi.
James e Fred erano fatti così.
Tanto acuti da fare paura, alle volte.
Rose si passò una mano nei capelli, cercando tra le carte intorno a lei la risposta che cercava.
C'era di tutto, ma non qualcosa di realmente utile per aiutarla a prevedere le mosse dei cugini.
Rose sbuffò, muovendo le diverse carte che le ingombravano il letto.
Sentii distrattamente la porta del Dormitorio aprirsi, ma non alzò lo sguardo, nemmeno quando sentii la voce della sua migliore amica dirle:"hai almeno fatto colazione o aspetti un calo di zuccheri?"
Rose le lanciò una veloce occhiata, per poi tornare a concentrarsi sulle carte.
"Mangio più tardi. Ora ho da fare"
"Lo vedo" Rose sentii Alice poggiarsi al muro, e immaginò incorciasse le braccia al petto "ma la colazione é il pasto più importante della giornata"
"Recupero al pranzo" mormorò Rose.
"Non pensi di starti stressando troppo?"
"Non pensi che mi sia fatta la stessa domanda?" Ribatté Rose "é la risposta é una: no"
"Non penso sia quella giusta" Alice sembrava seriamente preoccupata.
Rose si strinse nelle spalle.
"Io sì. Ed é quello che conta"
"Rose..."
"Cosa?!?"
Alice non diede cenno di sorpresa che il tono brusco che aveva usato, e che Rose si stava già pentendo di aver adoperato. Le si avvicinò piano, scostando dei fogli - Rose sbiancò, immaginando si trattasse di qualcosa di importante - e si sedette sul letto.
Rose la guardò negli occhi. Alice le sorrise.
"Non devi essere perfetta, nessuno si aspetta questo da te. Quante volte te lo devo dire?"
Rose aprii la bocca per replicare.
"Ma..."
"Puoi staccare, Rose"
Rose rimase un attimo a fissarla, poi si gettò indietro sul letto, spiegazzando i fogli sotto di lei.
Tentò di rilassarsi in quel materasso pungente.
Chiuse gli occhi, staccando per la prima volta da quella mattina lo sguardo dal fogli e portandolo fuori dalla finestra.
Sorrise, cercando di ripetersi che sarebbe andato tutto secondo i piani.
Non doveva preoccuparsi.
Solo qualche ora dopo, avrebbe saputo che doveva preoccuparsi e anche più di quanto stava facendo.
La sua paura si sarebbe avverata.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora