Memory

76 2 0
                                    

La stanza era estremamente bianca, lucente e brillante; sembrava che in tutti quelli anni nemmeno un solo alone di polvere fosse riuscito a eludere la sorveglianza e la pulizia del disinfettante il cui odore impregnava le pareti come un profumo particolarmente pizzicante, e a posarsi su quelle linde pareti che le stavano dando alla testa.
Appena entrata aveva avuto la sensazione che l'accecasse, ed era stata costretta a strizzare gli occhi per riuscire a guardare dentro. Le era sembrato che brillasse di luce propria, quasi come a sbeffeggiarla - anche se per tutto l'angoscioso viaggio che l'aveva condotta li fra ansie e timori (e lacrime) aveva avuto la sensazione che il modo intero la prendesse in giro.
Solo dopo si era resa conto che era una luce riflessa, quella di una vita salvata.
La piccola stella che aveva rischiato di spegnersi per sempre, di lasciare che il buco nero del dolore prendesse il suo posto risucchiando la felicità di quella famiglia martoriata, si stava riaccendendo, dopo essersi presa la gelida acqua delle debolezza che aveva preso il sopravvento, offuscando i tenui raggi e abbassando la fiamma del fuoco che lo animava. Ma si era ripresa. Però quella stanza le dava comunque una certa angoscia, quasi come se gli avesse dovuto dire addio, come se quella piccola stella fosse davvero esplosa lasciando un cadavere freddo e vuoto a testimoniare il suo passaggio su quella terra.
Era tutto così pulito, normale.
Troppo. Non le andava bene.
Molly avanzò un po' incerta nella stanza, osservando il cielo blu chiaro e senza nuvole che si vedeva dalla piccola finestra accanto al letto - rigorosamente bianco - nel quale riconobbe la sua piccola stella.
Si spostò un ciuffo di un rosso stirato di grigio dal volto, che era sfuggito al suo shignon elegante, e prese una sedia li vicino. La posizionò accanto al letto e sospirò, sedendosi con un piccolo grugnito dovuto alle ossa stanche.
Fissò suo figlio.
Il rosso dei capelli creava un contrasto interessante con il bianco che lo circondava, stagliandosi sul cuscino in modo tanto chiaro da sembrare un cartone fuoco ritagliato; le piccole lentiggini che cospargevano la pelle chiara - che Molly aveva imparato a conoscere a memoria - erano sottolineate debolmente dalla luce forte dell'alto, che bastava ad accentuarle in modo tale da farle vedere di nuovo quel bambino, il piccolo Ron di quattro anni che giocava in giardino spensierato, sorridendo come ormai non faceva da tempo. Da quando la sua metà se ne era andata, per sempre.
La luce ignara che filtrava dalla finestra carezzava gentilmente il suo volto, evidenziando le occhiaie - Molly se la prese con sé stessa: era logico che Ron non stesse bene, se fosse stata una brava madre avrebbe capito ciò che lo turbava e avrebbe saputo prevenire l'incidente -; l'espressione era rilassata, come se avesse lasciato via la tensione dei muscoli, e tanto in pace da sembrare veramente morta; mentre le palpebre, calate sugli occhi blu, le impedivano di vedere quelle meravigliose iridi che aveva ereditato da suo marito, e che non facevano altro che ricordarglielo, anche quanto Ron era un bambino.
Al contrario dei capelli, la pelle quasi cerea del trentenne era in perfetto ped ant con l'arredamento pallido che lo circondava, e quasi si confondeva con il cuscino.
Molly sentii una fitta al cuore, ma si impose di ricacciare indietro le lacrime. Non poteva piangere: Ron avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro, e di certo non avrebbe gradito trovarsi lei, sua madre, che piangeva sul suo letto come se fosse morto. Come se l'avessero preso troppo tardi.
Deglutii, putnando di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra. Una nuvola, quasi invisibile e tanto piccola da risultare inesistente, si era stirata come un panno bianco nel cielo, disegnando una striscia chiara che interrompeva il continuo azzurro chiaro. Sembrava una linea di confine.
Punto di non ritorno.
Molly scosse la testa, carezzando distrattamente la mano del figlio; più che altro per respingere l'improvvisa incertezza che Ron avesse davvero superato il punto di non ritorno.
Quando sfiorò la pelle pallida del figlio le venne un brivido, quasi come se avesse preso la scossa; abbassò lo sguardo sulle nocche di Ron, e solo ora se ne accorse.
I polsi erano fasciate da pesanti bende bianche che salivano lungo tutto il braccio, probabilmente per impedirle di vedere l'enorme squarcio che Ron si era fatto, e che nemmeno con la magia sarebbe riuscita a mandare via.
Delle corde magiche correvano per tutto il suo bacino, legandolo al letto una una posizione comoda, ma che al tempo stesso gli impediva di fare movimento troppo bruschi.
Molly sentii un altra fitta al cuore; allora i Medimaghi temevano che Ron lo avrebbe rifatto.
Avrebbe cercato di nuovo di togliersi la vita.
Cercò di non concentrarsi su ciò, scosse la testa, diversi ciuffi rossi e grigi - che ricordavano ancora il fuoco che aveva governato sulla sua testa nella gioventù - le sfuggirono dallo shignon, ondeggiando davanti a lei come serpi maligne.
Delicatamente, senza respirare quasi, portò la sua mano paffutello dentro le dita snelle del figlio; strinse la presa, mentre si scaldava il cuore sentendo la pelle affusolata e calda che riempiva ogni poro di sensibilità nel suo palmo.
Era vivo, e ne aveva la prova.
Molly riportò le iridi scure e addolorate sul volto del figlio, ignorando quanto gli facessero male quegli occhi chiusi. Carezzò piano il dorso della sua mano.
"Perché lo hai fatto?"
Le parole le uscirono talmente normali e calme che si sorprese per qualche frazione di secondo; fu anche certa di ricevere una risposta dal figlio, ma l'unica cosa che sentii fu il suo respiro, tenue e regolare, che riempiva la stanza commando gli spazi delle sue lacrime.
Era stato incredibilmente veloce. Molly si sorprendeva ancora della sua maestria.
Prese un profondo respiro, puntando gli occhi dritti nelle palpebre chiuse di Ron, sperando che si alzassero e rivelassero l'azzurro delle sue iridi.
Non avvenne, ma Molly continuò.
"Perché volevo arrecarmi tanto dolore?" La sua voce si incrinò, e una lacrima affiorò sulle ciglia; Molly la scacciò velocemente "Mi basta già aver perso Fred, Ronnie, non voglio dover togliere un altra lancetta dal nostro orologio: c'è già un buco di troppo nella nostra famiglia, che non sarà mai riempito, e non c'è bisogno che la tua lapide riempia di silenzio doloroso il salotto della Tana.
Non credo di riuscire a sopportare di perderti. Non di nuovo."
Le parve, giusto per un attimo, che il volto di Ron ebbe uno spasmo, quasi come se la sentisse. Molly si sporse e poi, stringendo con più forza la mano del figlio, scosse la testa, rendendosi conto che era un illusione provocata dal suo più profondo desiderio.
Si rimise seduta, la mano di Ron ancora stretta fra le dita.
Era incredibile quanto fosse andata vicino a perderlo, e la velocità con la quale stava accedendo.
Ron lo aveva fatto a casa sua, con i piccoli Rose e Hugo - di quattro e due anni rispettivamente! - che dormivano tranquilli nelle stanza accanto, ignari del fatto che il padre stava per preferite la morte al vederli crescere.
Molly non sapeva cosa era volato nella testa di Ron, durante quegli attimi, e credeva - anzi, ne era fermamente sicura - di non volerlo sapere. Non lo avrebbe nemmeno chiesto quando il figlio si sarebbe svegliato.
Non era sicura di poter reggere la risposta.
Sapeva che si era messo nella vasca da bagno, una foto di Hermione stretta al petto, e poi...
Molly rabbrividì, scacciando via l'immagine dalla sua testa. Era troppo doloroso.
Per fortuna, Harry e Bill avevano deciso di andarlo a trovare, proprio per vedere come stesse - visto anche la Data - e, non appena Ron non aveva aperto si erano insospettiti.
Harry non aveva perso tempo, si era allontanato e smategliarizzato dentro la casa - che, vista l'assenza di due anni di Hermione stava già iniziando ad avere i primi cedimenti, ma era comunque solo una pallida ombra di ciò che sarebbe diventata con il tempo che logorava le sue mura intrise di dolore - pronto a cercare l'amico.
Forse lo aveva chiamato, aveva urlato il suo nome. Molly immaginava quella scena così, che l'aveva perseguitata per tutto il viaggio al San Mungo.
Non doveva averlo sentito, però, e mentre Bill cercava di aprire la porta, Harry doveva essere corso su per le scale, ansimando, con la consapevolezza mischiata alla paura che si faceva strada nei suoi occhi, la stessa che Molly aveva scorto qualche ora prima, quando i due avevano chiamato lei e Arthur per informare loro dell'accaduto.
La stessa che gli aveva visto in faccia alla notizia della morte di Hermione. La stessa che aveva avuto lei quando, ormai dodici anni prima, aveva visto il corpo di Fred privo di vita, steso a terra inerme, gli occhi chiusi e una pace reverenziale e definitiva che aleggiava sul suo viso come un impronta, il marchio della morte, e una leggera ombra di sorriso sul volto, come se fosse stato contento di morire.
Molly conosceva bene quell'espressione, vi era sempre riuscita a scorgere la paura ardente che durante gli anni della Guerra si era impossessata di lei; quella paura che valicava la razionalità e il cervello, superava l'intelligenza e sbucava come un presagio funesto nelle iridi delle persone, lasciando che uno sguardo da pazzo sconvolgesse gli altri, permettendo ai presagi senza lucidità di prendere il sopravvento.
Molly conosceva bene quella paura. Era la paura di perdere ciò che più al mondo si ama, che la morte facesse scivolare via dalle dita della speranza delle vite ancora troppo giovani, ancora con il desiderio di vivere la propria esistenza, e di fare sapere agli altri ciò che si era.
Come era stata quella di Fred. O di Hermione.
O quella di Tonks, una persona tanto sbadata quanto solare. O come quella di Remus, che voleva solo fare il padre.
E come quella di tante altre persone, che la guerra aveva tagliato via, estirpato con una facilità e incurita impressionante, tranciate come se fossero state delle stupide erbaccie.
Non lo erano. Erano persone, con sogni e paure, figli di qualcuno e genitori di bambini, che avevano pianto il loro mancato ritorno e pregato per un mondo migliore.
Molly era fra questi, e anche Ron.
Passò il polpastrello sulle nocche di suo figlio, sorridendo triste.
Non avrebbe chiesto niente a Ron.
Sapeva esattamente cosa gli era passato per la testa. Era successo a lei per prima.
Dopo la morte di Fred, il desiderio di farla finita, la domanda "a che serve continuare se lui non c'è?" L'aveva perseguitata per tanto tempo, e Molly si era chiesta perché dovesse continuare a vivere.
Che senso aveva portare avanti la sua esistenza, se aveva fallito come madre, lasciando che sui figlio, un ragazzo di appena venti anni, morisse, bruciato fra le cinquanta vittime della Battaglia di Hogwarts.
Almeno, visto che non era riuscito a salvarlo, avrebbe dovuto aiutarlo.
Fred aveva bisogno di lei, e da brava madre Molly si sarebbe uccisa pur di raggiungerlo.
Lui era morto, probabilmente provava paura, aveva bisogno di essere rassicurato, di essere stretto fra le braccia di sua madre e che lei gli sussurasse parole dolci per fargli passare tutti i demoni che aleggiavano nel suo cervello.
Era un posto nuovo, Fred non sapeva dove andare. Lei gli avrebbe mostrato la via.
Molly era stata vicina a farlo. Poi lo aveva visto.
Charlie, il suo secondogenito, inginocchiato accanto a George, aggrappato al fratello maggiore con la stessa stretta e forza di determinazione di un naufrago ad un salvagente, che gli faceva da scoglio, scudo e spalla dove piangere, lasciandolo sfogare per il suo dolore. Sembrava proteggierlo dal mondo, come quando erano piccoli.
Attorno a loro, la macerie di Hogwarts soppravvissuta alla battaglia stavano ancora fumando, un denso fumo nero si alzava come una tenda funeraria, attestando sia lo svolgimento della battaglia e della Guerra, sia le sue perdite, piangendo con i parenti. Provando un dolore empatico per chiunque avesse subito una perdita irreparabile in quella lotta per la libertà che, dopo la bellezza di più di trent'anni aveva trovato una conclusione, non così lieta, però.
Molly si era sentita malissimo. E in colpa. Non poteva andarsene.
Non poteva salire sulla Torre di Astronomia e buttarsi giù, attendendo le braccia della morte che la prendessero.
Come avrebbero fatto poi i suoi sei figli?
Anche loro avevano bisogno di lei.
Non poteva arrecare loro un dolore per un desiderio personale e egoistico.
E quindi Molly aveva fatto retrofront e, con le lacrime che le rigavano gli occhi, era corsa dai suoi figli, abbracciandoli.
Dal due maggio del 1998, Molly Weasley non aveva più pensato al suicidio.
I suoi figli, la ragione per cui vivere, l'avevano sempre fermata.
Anche per questo, lei era riuscita a perdonare Ron facilmente, e si era subito diretta al San Mungo per vedere le condizioni del figlio. Riteneva umano provare il desiderio di ricongiungersi a una persona che si é persa.
Arthur invece no, si era arrabbiato; aveva urlato, e detto che Ron era solo un egoista; aveva chiesto al vento come era possibile che suo figlio desiderasse la morte.
Poi, mentre Molly si chiudeva la porta alle spalle per andare dal figlio, Arthur era scoppiato a piangere fra le braccia di Bill, singhiozzando come un bambino.
Molly lo aveva sentito, ma la tentazione di tornare indietro e rassicurarlo l'aveva sfiorata solo distrattamente, di striscio.
Ron era più importante. I figli erano sempre più importanti.
Le avevano regalato le emozioni più intense della sua vita, momenti più belli che si stavano ripetendo solo con la nascita dei suoi nipoti. Aveva sperimentato gioie che ritenga quasi impossibili, felicità sconfinata che sorvolava tutte quelle che avrebbe mai potuto credere di raggiungere; sfidava ogni limite che credeva di aver imposto; superava tutti quelli che credeva la natura magica e umana avesse messo a protezione.
Avevano riempito il suo cuore di gioia con i loro abbracci e, quando erano cresciuti, era bastato semplicemente il ricordo del loro corpo tra le sue braccia per scaldarle il cuore durante i giorni più freddi, molto più utili di una coperta. E quando la nostalgia la prendeva, c'erano sempre le braccia di Arthur e le sue parole che narravano avvenimenti o episodi avuti con la famiglia in grande, che si andavano a sommare ai suoi per riempirle l'anima di pace.
L'avevano aiutata nei momenti bui, quando un abbraccio di Charlie e George le aveva fatto capire di dover rimanere in vita, facendole scartare per sempre l'idea di buttarsi giù dalla Torre di Astronomia.
A Ron non era successo.
Rose e Hugo, semplicemente con la loro presenza, non gli avevano impedito di volere il caldo abbraccio della morte.
Il pensiero di lasciare Rose e Hugo orfani non lo aveva sfiorato, mentre cercava di togliersi la vita. O forse non ci aveva pensato.
Fatto sta che, i suoi figli, ciò che un genitore a di più caro, non erano bastati a fermarlo.
Ron voleva Hermione. Doveva considerarlo uno spreco di tempo vivere se lei non era al suo fianco. Molly sospettava contasse con ansia i giorni della sua vecchiaia, quelli che lo separavano dal rivedere la moglie che tanto amava.
Solo ora Molly si rese conto di aver sottovalutato l'intensità dell'amore che li legava.
Aveva creduto che non sarebbero mai andati troppo lontani - anche con gli altri matrimoni (meno con quelli di Harry e Ginny) ma con Ron e Hermione ne era quasi sicura.
Certo, era stata felice del matrimonio, ma aveva sempre nutrito un forte dubbio - un incertezza paurosa tipica delle madri - che quei due si sarebbero lasciati per le troppo differenza.
Insomma, cosa avrebbero potuto fare nei pomeriggi vuoti? Quando si sarebbero trovati da soli, senza nulla da fare, con solo i loro sentimenti e la presenza dell'altro a farli compagnia? Cosa avrebbero fatto quando avrebbero dovuto fare il conto con le loro emozioni?
Insomma, Hermione era una perfettina, e Ron non era mai stato così preciso, neanche da bambino. Odiava curare le sue cose, e Hermione lo avrebbe costretto a farlo.
Erano troppo diversi. Troppo per creare su una relazione.
Cozzavano l'uno con l'altra.
Temeva che Hermione aprisse gli occhi e si rendesse conto che Ron non era abbastanza per lei; Molly aveva paura che lo piantasse in asso per qualcuno alla sua altezza, e lo avesse fatto soffrire.
E lei non voleva che Ron soffirisse. Avrebbe sofferto anche lei per il dolore del figlio.
Ora si era ricreduta, e pensò solo distrattamente - diciamo che un anticamera lontana del suo cervello maturò il pensiero, come un eco lontano, o un suggerimento non destinato a lei - che si era sbagliata di grosso su l'entità che legava Ron a Hermione e viceversa.
Era sempre stato più forte di ciò che credeva. Forse più forte di tutti quelli che legavano i coniugi Weasley messi insieme.
Forse poi forte di quello fra Molly e Arthur.
Alla fine, però, non si era poi errata più tanto, rifletté, mentre il sole si abbassava all'orizzonte.
Hermione, con la sua morte, aveva fatto soffrire Ron in modo atroce.
I raggi del sole si abbassarono di più,e una vaga oscurità avanzò sempre più intesa verso destra, marciando inesorabile per avvolgere la città del suo manto scuro; e solo i più lontani riuscirono a penetrare della stanza dell'ospedale, sfidando come lancie coraggiose le colline che sorgevano sull'orizzonte.
Molly portò lo sguardo alla finestra.
Il sole tramontava sul 21 agosto duemiladieci, lasciando accondiscendente il posto alla Luna, bianca e pallida nel cielo.
Quasi come Ron.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora