Capitolo 51

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Ron aprii gli occhi di scatto, ritrovandosi dal famigliare e accogliente buio della stanza. Aveva il respiro affannoso, e i capelli gli si erano appiccicati sulla fronte in fastidiose strisce rosse, che quasi gli coprivano gli occhi, attaccati alla pelle dal freddo sudore che percorreva tutto il suo corpo.
Ron grugnì qualcosa, tirandosi su a sedere. Si guardò intorno, e per un attimo si spaventò non riconoscendo la stanza: non ricordava di essere mai andato in un ambiente simile.
Poi gli venne in mente che era a casa di Bill. Nel letto che era stato di sua nipote, Victoire.
Ron si ritrovò a spirare un sospiro di sollievo. Tirò giù faticosamente le gambe dal letto, piombando in modo molto pesante e rumoroso - sperò vivamente di non aver svegliato Fleur, non osando immaginare i rimproveri che la moglie di suo marito gli avrebbe inflitto se lui l'avesse svegliata a un ora così presta del mattino - sul pavimento, e tirandosi in piedi barcollando.
Si avviò lentamente, sempre oscillando in modo svistoso ai lati del suo baricentro, verso la porta della sua camera. Sembrava ubriaco. Beh, forse un po' lo era, ricordava di essere andato ai Tre Manici di Scopa prima di tornare a Casa del fratello, ma aveva comunque bevuto poco.
Giusto uno o due bichchierini. Magari quattro. Al massimo cinque.
Ron si stropicciò gli occhi, armeggiando più del dovuto per aprire la porta. Voleva prendere un po' d'aria. Si sentiva soffocare.
Quella stanza gli metteva ansia, così piccola, le pareti addossate l'una all'altra che sembravano inclinarsi in avanti, pendere e sommortare su di lui come se lo volessero schiacciare.
Ron strattonò più forte la maniglia. Voleva andare.
Forse avrebbe dovuto fermarsi al secondo bicchiere.
Tirando e spingendo un po' a casaccio, Ron - finalmente - riuscii a sbloccare la porta, spalancandola con più rumore del dovuto. Sorrise stanco, triste, con gli occhi vuoti, e si avviò fuori dall'uscio, la sua andatura ancora instabile che lo faceva ondeggiare avanti e indietro. A destra e a sinistra.
Percorse il corridoio, dirigendosi verso le scale del piano inferiore. Voleva bere. Aveva un alto bisogno di alcol. Bill teneva qualcosa sotto il mobile della cucina, nascosto, probabilmente per il tempo di ospitarlo e per non fargli vedere l'oro liquido che lui aveva - non era servito a niente, visto che Ron aveva notato fin da subito la bottiglia dalla quale suo fratello non voleva separarsi, e si era appuntato mentalmente il posto. Bill lo aveva fatto senza cattive intenzioni, anche se Ron, al momento, lo odiava per aver messo così tanto distacco fra lui e quella piccola gioia. Ma non poteva certo dare la colpa solo a suo fratello. Tutti gli dicevano di non bere. Evidentemente Bill voleva solo assicurarsi che Ron non si intossicasse oltre. O forse l'aveva nasosta perché Fleur non voleva bevande alcoliche in casa.
O forse lei le voleva. Ron non riusciva a ricordarlo.
Si passò una mano sui capelli, appoggiandosi al muro in prossimità delle scale. Vedeva i gradini sotto di lui spingersi verso il basso e scomparire nel bel mezzo di una coltre di tenebre invalicabili, come se fossero sospesi nel vuoto.
Ron lo guardò terrorrizato. Gli era venuta paura del buio.
Per un attimo maturò l'opzione di lasciar perdere le bevande e di tornare indietro, l'infilarsi nel letto e far finta che non fosse successo niente, tornare fra le calde coperte a sperare in un sonno che non sarebbe venuto; poi l'immagine di ciò che aveva sognato gli balenò, chiara e dolorosa nella mente, ondeggiando sogghiggnando dietro le sue palpebre.
Ron sentii il cuore stringersi al petto, e mancare qualche battuto per la paura. Chiuse gli occhi.
Il ricordo faceva più male.
Scuotendo la testa a scatti scoordinati, Ron si staccò dal muro, sbandando notevolmente verso destra, e imboccando le scale immerse nell'oscurità. Il vago pensiero di lanciare un Muffilato per nascondere i suoi movimenti e non insospettire suo fratello gli attraversò la mente di sfuggita, ma Ron quasi non se ne accorse.
Tanto Bill avrebbe scoperto comunque la sua sgarrata. Perché sforzarsi di nasconderla?
Tanto valeva che facesse tranquillo e con calma, visto che suo fratello lo avrebbe beccato comunque. Non c'era bisogno di precauzioni.
Ron si aggrappò al corrimano, sentendo all'improvviso la testa girare. Si chiese se l'effetto di ciò che aveva bevuto prima e dopo cena fosse svanito, se il suo corpo avesse smaltito la quantità industriale di alcol incandescente che bruciava nelle sue vene; oppure se lo avesse ancora in circolo, come se fosse un veleno che viaggiava sotto pelle, facendo morire, lentamente, ciò con cui entrava in contatto.
Dagli organi più superflui come l'appendice, salendo via via più su, fino a quello vitali, percorrendo l'intestino, il fegato, lo stomaco, i polmoni dai quali non usciva più uno sbuffo di aria pulita da tanto tempo; fino ad arrivare, inarrestabile e inesorabile, al cuore, uccidendo quei pochi battiti che non avevano voluto fermarsi con quelli della sua metà.
Ron, ora alla fine delle scale, si fermò a riflettere, un attimo interdetto.
L'alcol poteva ucciderlo. Sentiva che lo stava contaminando dall'intento, facendo collassare gli organi più importanti. Lo avrebbe lentamente stritolato nella sua morsa di dipendenza e illusione di felicità.
Ma stava bene quando beveva. Lo faceva sentire libero, felice, finalmente completo. Alle volte, in casi molto rari, riusciva anche a estraniarlo dalla realtà, facendolo fluttuare in un limbo di fatti ipotetici, mezze azioni e frasi non dette, pensieri non completato. Alle volte pensava che Hermione fosse con lui, che quella miracolosa bevanda la riportasse indietro.
Ed era così. Hermione era sempre al suo fianco quando perdeva conoscenza sotto troppi shottini.
Ron camminò più velocemente, adesso più desideroso che mai a raggiungere la sua meta.
Non aveva niente da preoccuparsi. L'alcol non poteva ucciderlo. Non sarebbe stato certo la causa della sua morte.
Lui aveva già del veleno nelle vene, e non era certo dovuto all'alcol. Il rimorso, il dolore, il pentimento, la rabbia, la furia, l'ira che lo accompagnavano da oltre quattordici anni lo stavano già facendo ammalare, lentamente, pregustandosi il momento in cui lui sarebbe collassato e avrebbe lasciato che il freddo abbraccio della morte lo avvolgesse, facendolo soccombere e tirandolo via dalle folti e ormai poco curate radici della vita.
L'alcol non poteva ucciderlo. Lui era già morto.
Ron sbandò di lato, urtando violentemente contro il piano della cucina. Il colpo gli mozzò il fiato, e Ron fece una smorfia.  Si piegò sul lucido marmo della cucina di Fleur, che lo avrebbe ammazzato se lo avesse visto in quello stato. Rimase fermo, aspettando che il dolore allo stomaco passasse. Poi si rese conto che quel dolore, quello che premeva, infilzava, bruciava e ardeva dentro di lui, non era certo dovuto alla botta.
Ron si tirò in piedi, mugugnando qualcosa privo di senso. Si avviò a passo cadente verso il lavandino, cercando il cassetto dove c'era la bottiglia.
Non riusciva ad aprire niente. Le mani scivolavano dalle maniglie come se fossero fatte di burro. Ron sbuffò, scuotendo rumorosamente il pezzo di legno che lo separava dalla bevanda.
Non era giusto. Bill non doveva intromettersi così nelle sue libertà.
Non avrebbe mai dovuto accettare di stare con lui per quei giorni. Poteva benissimo caversela anche da solo, la ricorrenza del compleanno di Hermione.
Ron scosse più violentemente la maniglia.
Certo, stava facendo un favore a Bill, venendo. Lui non me aveva bisogno.
Qualcosa, nel cassetto, scattò, spaccandosi in due e rompendosi.
Ron sorrise. Poteva benissimo caversela da solo.
Tirò piano ciò che rimaneva del legno, e i suoi occhi divennero liquidi di desiderio e attesa non appena scorse il blando e ingannevole luccichio di un vetro. Allungò una mano e, attento che non ci fosse niente di tagliente e di avere una presa salda, strinse le dita intorno alla fredda bottiglia.
Ron la tirò con attenzione su, davanti a sé, rimirandola e rigirandola fra le mani, beandosi della targhetta che indicava esattamente ciò che lui cercava, e che lanciava qualche bagliore maligni sotto i raggi della Luna. La scritta in oro brillava in modo ambiguo, desideroso, come se lo invitasse a trarre un sorso dal suo tesoro.
Ron non se lo fece ripetere ancora. Sorrise e, estratta la bacchetta, la puntò con un lieve tremito contro la bocca della bottiglia.
Il tappo saltò velocemente, lasciando che l'odore tanto atteso gli inondasse le narici come piccoli spilli pungenti.
Ron si inumidí le labbra. Il suo cuore saltava di eccitazione come non aveva più fatto da quando Hermione aveva partorito per la seconda volta.
Quei brevi attimi erano stati intensi, in violento contrasto con ciò che era successo subito dopo. Ed erano molto simili all'emozione e all'adrenalina che lo percorrevano adesso, viaggiando nel suo sangue sulle zattere del vizio che, in anni di bevute, Ron aveva autocostruito, come un condannato costretto a legare il cappio con il quale essere impiccato.
Ron, velocemente, portò la bottiglia alla bocca, assaporando il caldo sapore di proibito che la bevanda aveva assunto.
Lo sentii scendere tranquillo, colare dentro la sua gola scaldandolo, con un calore che si mischiava al piacere. Gli parve che gli desse nuova vita, che, in qualche modo, lo riaccendesse, ridandogli la carica che da tempo gli mancava.
A fine bottiglia aveva la sensazione di essere invincibile. Di poter fare qualsiasi cosa e non essere toccato, non subirne le conseguenze, come se avesse comandato qualcuno a suo volere, che avrebbe risposto al posto suo ai danni che Ron lo avrebbe costretto a causare.
Non sapeva di star vedendo se stesso atraverso una lente. Non sapeva che era un suo spirito animale e irrazionale che avrebbe guidato il suo corpo carnoso a svolgere azioni di cui poi si sarebbe pentito.
Ron posò la bottiglia ormai vuota sul lavello, pulendosi la bocca. Il lieve tintinnio che fece il vetro contro il piano lo lasciò piacevolmente interdetto, mentre, intorno a lui, tutto iniziava a sfumare, facendosi sempre più grazioso, allegro e colorato.
Fra le palpebre e il mondo velato di stordimento dei sensi, intravide una figura piccola esile e abbastanza bassa, con un cespuglio marrone a sommortare la parte superiore.
Era scura, stagliata contro l'oscurità in modo apprensivo.
Ron stiracchiò un sorriso, avvezzo a cosa si trattasse.
"Ciao amore" biascicò nella direzione della donna, le parole impastate dalla stanchezza.
Hermione, i capelli raccolti in uno schignon disordinato sulla testa, gli sorrisese teneramente. Quel sorriso che lui amava.
"Come va?" Continuò Ron.
"Ti voglio più vicino" sussurrò lei, maliziosa. I suoi occhi castani si assottigiiarono e un vago divertimento indegno e sporco si fece spazio nel suo volto.
Ron annuii, in una specie di stato di trance. Sua moglie era troppo bella per poterle dire di no.
Hermione congiunse le mani al petto.
"Vieni" disse lasciva, sorridendo rassicurante.
E Ron, incapace di trattenersi, le si avvicinò con foga.
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Bill lo aveva beccato qualche ora dopo, quasi subito, steso sul pavimento della cucina privo di sensi.
Lo aveva rimproverato, dicendogli che in casa sua non erano ammessi comportamenti del genere, con Fleur, dietro di lui, che annuiva grave e concorde.
Gli aveva detto che se avesse continuato, si sarebbe trasferito in casa sua seduta stante, per assicurarsi che non facesse cazzate. Aveva anche detto che poteva scordarsi del suo aiuto se scene del genere si fossero ripresentare.
Ron era rimasto in silenzio a fissarlo, annuendo solo distrattamente. Non credeva che il fratello avrebbe mai imposto quelle punizioni che tanto spergiurava tra gli strili. Non ne sarebbe stato capace. Sapeva che Bill non era realmente arrabbiato.
Scorgeva un certo sollievo nelle sue iridi azzurre, identiche a quelle di suo padre e sua figlia
Certo, forse era arrabbiato, ma non tanto come dava a credere a una piena occhiata.
Quella più arrabbiata sembrava Fleur. Non gli aveva rivolto che uno sguardo di fuoco, la mattina, continuando a guardarlo in cagnesco per tutta la colazione.
Bill non le aveva detto niente, ma nemmeno l'aveva appoggiata.
Stufo dell'aria tesa che imperversava nella Tana, Ron si era alzato dal tavolo, sbuffando e aveva preso il suo giacchetto.
Le orecchie di Bill si erano tese.
"Dove vai?" Aveva domandato infatti, sospettoso.
"A prendere un po' d'aria" Ron gli aveva lanciato occhiata da sopra la spalla, non troppo gentile "torno tra poco"
"No..."
"No, Bill, non berrò niente. Contento?"
"No". Bill si era tirato in piedi.
"Cosa?"
"Non sono sicuro che farai ciò che dici"
"Non ti bastano le mie parole?" Aveva chiesto Ron, deluso. Odiava la mancanza di fiducia nei suoi confronti.
"No."
"Viva la fiducia" il commento ironico aveva fatto solo più arrabbiare Bill.
"non dopo quello che hai fatto oggi. Voglio venire con te."
Ron, lo aveva guardato duro.
"Scordatelo"
"Ron..."
"Bill, o ti accontenti o ti accontenti.
Voglio stare da solo. E per farlo ho bisogno che non ci sia una balia che mi impedisce di fare ciò che voglio.
E questo include escluderti da tutto"
Bill aveva spalancato la bocca, probabilmente sul punto di dire qualcosa, ma Fleur gli aveva messo una mano sul braccio, trattenendolo.
Bill si era voltato verso si lei con fare incredulo, e Ron ne aveva approfittato.
Era uscito di casa, chiudendosi piano la porta alle spalle, ed era roteato su te stesso, smaterializzandosi in fretta.
Aveva fatto in tempo a scorgere Bill uscire dalla porta di casa, guardarlo in modo triste e rassegnato.
Poi era stato avvolto dal turbine di indistinte confusione, mentre il suo ombelico veniva tirato indietro, e sbalzato da tutt'altro luogo.
Ed era per questo che Ron, adesso, percorreva il cimitero con aria tetra.
Aveva passato l'aria rigogliosa, e ora si inoltrava nei piccoli sassolini che scricchiolavano sotto le sue suole, urlando come formiche schiacciate.
I salici piangenti lo circondavano, accogliendolo nell'abbraccio freddo e comprensivo dello schermo.
Ron non se ne curava più. Era venuto così tante volte da aver imparato il posto a memoria.
Ovviamente da solo, era andato sempre a trovare la moglie. Non aveva mai sopportato che i figli lo vedessero nello stato pietoso che lo rendeva ogni volta che faceva visita alla tomba di Hermione.
Odiava quel posto, soprattutto perché aveva la forza di renderlo inerme difronte alla sentenza irremovibile e crudele della morte.
Ron si fermò, arrivato ormai davanti alla tomba della moglie. Il sole tiepido del pomeriggio brillava oltre la corte di nuvole che sporcava la sua superficie sfumandolo e rendendolo solo un cerchio giallo indistinto nel cielo grigio. Marcava le lettere d'oro incise sulla pietra dandogli ancora di più l'aria di una sentenza decisiva.
Decisiva come il fatto che Ron non avrebbe mai più rivisto la moglie.
Non l'avvrebbe più stretta fra le braccia, ascoltando i loro cuori battere a ritmo e scaldandosi con il calore di vita nei loro corpi. Nessun più bacio, battuta, pensiero condiviso, litigio, discorso...
Niente. Solo i ricordi gli erano rimasti come unica compagnia di ciò che aveva perso.
Ma faceva male. Il desiderio di dimenticare era forte eppure, ma ogni volta che lo sfiorava, Ron sentiva che stava mancando di rispetto all'unica donna che avesse mai amato - e che avrebbe mai amato. E così lo scacciava, immergendosi in quel mare incandescente che faceva bruciare le sue ferite come il succo di limone.
Lasciava che la tiepida acqua del ricordo lo trafiggesse con la potenza di un Crucio ben fatto.
Lui meritava di soffrire.
Sua moglie gli sorrideva dalla foto, ondeggiando la mano per salutarlo e muovendo sinuosamente i lunghi capelli castani dietro di lei, come se fossero stati una bitorzoluta coda marrone.
Ron sentii che qualche rimasuglio di alcol della notte appena trascorsa era rimasto dietro di lui e, con un aria da condannato, si sedette sul prato, incrociando le mani sul grembo.
La foto di Hermione lo guardò con un sorriso, muovendosi nella sua direzione. Il sole la faceva brillare dell'antica bellezza di cui Ron si era innamorato.
"Tesoro..." Disse Hermione, l'espressione dolce mentre si spostava di più verso di lui; assunse un vago cipiglio sospetto "che cosa hai combinato?"
Ron stiracchiò un sorriso.
"Un casino"
"Sempre il solito" Hermione alzò gli occhi al cielo "di nuovo nella trappola dell'alcol?"
Lui abbassò lo sguardo, colpevole.
Si guardò le mani, osservando le responsabili di ciò che aveva fatto solo poche ore prima.
"Mi dispiace"
"Non mi hai delusa. Può capitare"
Ron alzò lo sguardo. Hermione era comprensiva.
Gli sorrideva dolcemente.
"Davvero..?" La voce di Ron si incrinò "io, credevo che..."
"Te la stai cavando benissimo senza di me" Hermione si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, facendo incrociare i loro sguardi "potresti fare meglio, certo, ma non ho mai preteso che tu fossi perfetto. Nemmeno io lo ero"
"Come posso migliorare?"
Ron si rese conto della nota di supplica nel suo tono.
Hermione sorrise.
"Quando porterai i nostri figli qui, quando mi farete visita insieme? Vedervi davanti a me, salutarmi come se foste davvero la famiglia che speravo di avere..." Hermione inclinò la testa "mi renderebbe davvero felice, Ron. E orgogliosa"
"Non é facile" sussurrò lui.
"Lo so. Ma credo che tu possa farcela"
Ron la fissò incredulo, le mani giunte sopra di lui. Aprii la bocca, e le parole gli uscirono senza che quasi se ne accorgesse.
"Non penso di potercela fare. Non sono così forte come credi."
"Ron, non dire cavolate, miseriaccia!" Esclamò lei, alterata.
"Non sono all'altezza" Ron abbassò lo sguardo "mi dispiace. Non ci riuscirò mai. Non sono ciò che-"
"Ron, tu sei all'altezza. Lo sei sempre stato. Alla mia, a quella di Harry, e a crescere i nostri figli.
Devi solo credere in te stesso.". Hermione tentò di allungare una mano verso di lui, poi si ricordò di non poterlo toccare, e la ritirò, rattristata "Credi e c'è la farai. C'è la farai anche a rifarti una vita"
Ron scattò sull'attenti.
"Hermione. Non voglio dimenticarti.
Non lo farò mai. Sei stata il mio primo grande amore. E l'unico"
Hermione sorrise, triste.
"Non si tratta di dimenticarmi" disse dolce "si tratta di voltare pagina. Ron, io voglio vederti felice, e se un altro può darti questa possibilità, allora che ben venga. Devi cogliere le tue occasioni"
"Sei stata l'unica donna della mia vita. E sempre lo rimarrai. Non mi innamorerò di nuovo, non con la stessa intensità"
"Voglio che tu sia felice." Ribatté Hermione, toccando la cornice della fotografia "E poi" aggiunse divertita, alzando lo sguardo e beando Ron di uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto "sai che io ti am-"
Un rumore di risuchiò fece voltare Ron, i sensi all'erta. Balzò in piedi velocemente, scrutando dietro di sé come se si aspettasse di trovare chissà chi.
Non vide nessuno e, più tranquillo, tornò a voltarsi verso Hermione.
La lapide era silenziosa, le parole incise brillavano innocue sulla pietra, bruciando d'acido gli occhi di Ron.
La foto era di nuovo immobile, e l'immagine di sua moglie faceva li stessi movimenti.
Salutava. Cosa che non avrebbe fatto mai più.
Ron calciò la terra, arrabbiato.
"Miseriaccia!" Esclamò sbuffando. Diversi sassolini si mossero come un mare spinti dal suo piede, sbattendo l'uno contro l'altro come monetine "non é possibile"
Voleva sapere altro. Quel momento di semi-lucidita erano gli unici in cui poteva ancora scambiare delle parole con sua moglie. O almeno una vaga illusione dovuta all'alcol.
Ron sbuffò di nuovo, scoccando un ultima occhiata nella direzione della lapide - che continuò a rimanere silenziosa e immobile come il resto - e poi si voltò, avviandosi verso l'uscita del cimitero.
Si sentiva svuotato. Quasi libero.
Tranquillo.
E poi lo sentii di nuovo. Il risucchio.
Ron si voltò di nuovo, adesso abbastanza vicino da capire che si trattasse di un singhiozzo, pure mal trattenuto. Inarcò un soppracciglio, mentre si avvicinava alla fonte del rumore.
Era sicuro di essere solo. E poi, in quel prato, non era sepolto chissà chi, e nemmeno tante persone.
Era semplice, modesto. Come Hermione avrebbe voluto.
Ron si avvicinò cautamente verso il pianto, che diventava via via sempre più disperato. Entrò fra due alberi che facevano da una specie di porta, e si inoltrò in una parte del giardino che non aveva mai visto.
Non ne rimase sorpreso. Giocare a fare l'esploratore non gli era mai piaciuto.
Ron si avvicinò piano, mentre la vegetazione si faceva sempre più fitta, impedendogli parte della visuale.
E poi, come una striscia bianca interrompe un autostrada, Ron vide una macchia nera intervallare il verde delle piante, incastrata fra le fronde degli alberi come fosse un orecchino mal messo.
Era una donna, che Ron riconobbe all'istante.
Il vestito nero si piegava sotto di lei, mentre i tacchi a punta affondavano nel terreno quasi pigramente. Era inginocchiata accanto a una lapide, il caschetto scuro piegato in avanti come in preghiera. Le mani erano raccolte sul volto come una coppa, e sembravano raccogliere le lacrime per qualche parete a Ron ignoto. Forse era sua madre. Ma a Ron non interessava.
Scosse la testa, voltandosi e tornando indietro. Uscii dagli alberi diretto verso l'entrata del cimitero.
La sentii tirare forte su col naso, e poi chiedere qualcosa che non riuscii ad afferrare.
Si fermò, poggiando una mano su un albero lì vicino. Voltò il viso verso la radura.
Per un attimo si chiede cosa potesse fare. Poi si strinse nelle braccia.
Ron le lanciò uno sguardo, poi le voltò le spalle. Un ghigno soddisfatto e di cupa felicità gli balenò sul volto, tingendo di una nota cinica i suoi occhi azzurri.
Non voleva essere l'unico a soffrire. Pansy Parkiston meritava di stare in quelle condizioni. Lo rendeva stranamente appagato vederla così.
E non avrebbe mosso un dito per tirarla fuori dal turbine delle voragini di vuoto e del dolore che l'avvolgevano, che stringevano anche lui nella loro morsa di fredda consapevolezza e rimpianto. Lui la  conosceva molto bene.
Ma, a differenza di Pansy, lui non meritava di averle.
Lei sí.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora