Capitolo 81

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Il treno sferragliava sulle rotaie violentemente. Il paesaggio sfilava dietro al finestrino in una pallida ombra di macchie verdi, confondendosi con la velocità di avanzamento. Rose però non lo stava guardando con interesse.
Seduta sul comodo sedile dell'Hogwarts Express, la testa appoggiata alla mano e la fronte contro il vetro freddo, studiava invece il suo riflesso,che si vedeva in primo piano, e dietro al quale sembrava muoversi la Natura rigogliosa.
Erano già diverse ore che stavano viaggiando, e gli immensi campi della Scozia erano svaniti da tempo. Ora il treno tagliava a metà pianure verdi, tappezzate qua e là di qualche albero e, in lontananza, si potevano vedere i numerosi edifici della civiltà, segno che non mancavano più di un paio d'ore all'arrivo. Si stagliavano contro il sole morente all'orizzonte, che li contornava di un rosso sangue, accesso, e sfumava il tutto come se fosse uno specchio liquido.
Rose sospirò. Nemmeno il cielo stirato di lilla catturava la sua attenzione.
No, il suo volto era l'oggetto di tutta quella concentrazione. I suoi occhi, appena socchiusi, scivolavano sul vetro sommortando con attenta analisi qualsiasi parte del suo volto, soffermandosi sulle lentiggini, la pelle chiara, le piccole occhiaie che, se si sforzava, riusciva a intravedere sotto gli occhi come borse scure; la forma delle labbra, sottili e screpolate, che, socchiuse, lasciavano uscire un piccolo alito di fiato che si tramuta a un una nuvoletta bianca e si stampava sul vetro in cerchi indefiniti; il naso, piccolo come avrebbe potuto trovarsi con un insetto, troppo piccolo per quel volto spropositatamente grande.
Affilava lo sguardo curiosa, e anche con una lieve speranza. Ma niente.
Non aveva ancora trovato ciò che cercava da ormai non ricordava neanche più quanto tempo.
Rose sospirò, e il suo fiato si disegnò con precisione sul vetro. Chiuse gli occhi, poggiando la testa sul finestrino e sentendo il freddo pungente di fuori che le penetrava nella pelle. Rabbrividì, facendo un leggero sorriso. Quella sensazione, per quando gelida, era piacevole.
La porta del suo scompartimento si aprii all'improvviso. Rose si girò di scatto.
"Hermione" commentò Roxanne, solare "ecco dove eri. Credevo di averti persa"
Rose sorrise. "Sono sempre stata qui. A disposizione"
"Ottimo" Roxanne saltellò dentro lo scompartimento, chiudendosi la porta alle spalle. Rose la guardò avvicinarsi a lei e poi sedersi sulla panca difronte, adagiandosi come su un materasso.
Non sembrava rendersi conto degli occhi di Rose, troppo impegnata come era a frugare dentro una confezione di Api Frizzole per riuscire a fare saltare fuori qualsiasi dolcetto fosse sfuggito al suo primo raund di mangiate. Era a metà fra il tenero e il divertente. Rose sorrise piano, riportando lo sguardo sul riflesso del suo volto.
Da quando Roxanne e Alice avevano fatto pace tutto era tornato normale, più o meno. Andavano alle lezioni insieme, scherzavano, e si divertivano come all'inizio della scuola.
Eppure Rose percepiva qualcosa. Una specie di ombra su di loro che oscurava i loro momenti insieme, impedendole di godersi a pieno qualsiasi fatto divertente. Aveva la perenne sensazione che Roxanne e Alice le nascondessero qualcosa.
Però entrambe si comportavano normalmente, anche se a volte Rose le coglieva scambiarsi degli sguardi eloquenti. Per quanto si sforzasse, non aveva mai capito a cosa si riferissero. O perché.
Però da quando le sue amiche si erano riappacificate, aveva come visto un acqua calmarsi nella sua vita.
E, visto che tutte le sue azioni erano in costante movimento come una marea, Rose era felice di essere riuscita a controllare almeno ciò che era in suo potere fermare. Le doleva dirlo ma, per il resto, non avrebbe potuto fare niente per fare in modo che la sua vita diventasse calma e placida come il mare quando é una tavola. Per quanto si sforzasse, non ci sarebbe mai riuscita.
Però aveva altro di cui preoccuparsi. Suo fratello, ad esempio. Non le parlava dalla loro discussione in Infermeria, e stava diventando sempre più strano. Rose aveva più volte cercato di estorcergli il significato delle parole che aveva detto, ma quello era sempre sfuggito agli interrogatori con qualche scusa stupida. E Rose si era ritrovata con tantissimi interrogativi in testa.
Il primo? Proprio questo: che miseriaccia significato hanno quelle parole? E, sopprattutto, lo hanno?
Ormai erano settimane che le frasi che suo fratello le aveva detto le giravano per la mente, martellando nel cervello per costringerla a rimuginare e a trovare un significato che non le sconvolgesse troppo la vita, sbucando anche nei momenti più inopportuni. Alle lezioni di storia della Magia, ad esempio. O la notte, quando si stava per addormentare e poi le parole di Hugo le tornavano in mente, colpendole il viso come uno schiaffo: senza che nemmeno avesse io tempo di accorgersene si ritrova a elaborare congetture su cosa le intendesse dire Hugo, fissando con sguardo vuoto il tessuto scarlatto sopra il suo Baldacchino.
Il risultato? Notti in bianco e ancora più domande. Davvero irritante.
"Ah Hermione" disse Roxanne, voltando la testa verso di lei; Rose inarcò un soppracciglio "la partita tra Corvonero e Tassofrasso è dopo le vacanze di Natale, giusto?"
"Si certo." Rose annuii "perché?"
"Niente" mormorò Roxanne, assente. Riportò gli occhi sulla porta dello scompartimento, ma era come se non la vedesse sul serio. Sembrava persa nei suoi pensieri. "Niente..."
Rose aprii la bocca per dire qualcosa, ma lo scorrere della porta scorrevole che si spalancava soffocò la sua più flebile sillaba. Roxanne per poco non sobbalzò mentre Rose si apriva in un sorriso mentre vedeva la figura ergersi sulla soglia.
"Ehilà" fece solare Alice, ma prima che potesse aggiungere altro Roxanne la aggredì.
"Dove eri?" Sbottò, buttando violentemente le gambe a terra, e il contraccolpo metallico riempii la piccola stanza come un eco spettrale" ti ho cercata per tutto il treno! Pensavo fossi con Hermione!"
Forse fu solo un impressione di Rose, ma le parve sul serio che le guancie di Alice si tingessero di un colorato rosso tenue. O forse la preoccupazione di Roxanne era così sincera e l'aveva lasciata tanto spiazzata che non sapeva più distinguere un colore carne da uno scarlatto.
Alice le fece un sorriso di scuse, spingendo la porta e chiudendola con uno scatto. Le fece un sorriso di scuse "si, beh, ero un attimo impegnata"
Rose fece scattare la testa verso di lei.
"Con chi, scusa? Non ti ho visto con nessuno, e Padma e Sam sono dall'altra parte del treno"
"Si beh" commentò Alice, secca, spazzolandosi i jeans già perfetti "non ho solo voi quattro per amiche. Ne ho anche altre, sai?"
Il soppracciglio di Rose sfiorò la sua attaccatura di capelli. "Ah" fece neutra.
Roxanne invece le rifilò uno strano sguardo, quasi calcolatore.
"Adesso sono qui, però, no?" Fece Alice sorridendo. Si sedette accanto a Rose sulla panca, guardando fuori dal finestrino. "Possiamo parlare..."
"Come se non lo avessimo fatto per tutto il tempo ad attesa del treno alla stazione" commentò Roxanne, alzando gli occhi al soffitto.
Alice agitò una mano in aria. "É stata la prima cosa che mi é venuta in mente. E poi mi sono divertita tanto!"
"A parlare?" Domandò scettica Roxanne.
Alice le rivolse un occhiataccia, e la mulatta alzò le mani in segno di resa.
"Oppure" continuò Alice voltandosi verso Rose, probabilmente sperando in un suo supporto. "Possiamo giocare a..."
"Come se fossimo ancora al terzo anno?" Roxanne la guardò scandalizzata, orripilata dalla proposta.
"Si" Alice la guardò male mentre si sistemava la cosa "si può sapere cosa ti schifa tanto dei giochi in comunità?"
Rox fece una smorfia. "Io non ci tengo. Fine"
"Non penso si dica in comunità" ragionò Rose ad alta voce, senza quasi accorgerse e senza punto senso logico.
Alice si voltò verso di lei, la coda castana che fendeva l'aria. Gli occhi erano ridotti in due fessure, come uno spiraglio di cielo che scandisce le nuvole che lo ricoprono per intero "non mi interessa" disse, e Rose arrossì lievemente facendole un sorriso di scuse "non é questo il punto"
"Giusto." Roxanne annuii con foga "Il punto é che sembra tu sia rimasta al tredici anni in un corpo da quasi diciassette"
"Oh ma dai! Non é colpa mia se non ho voglia di crescere"
"Sindrome di Peter Pan?" Tentò Rose, voltandosi verso di lei con un sopracciglio inarcato.
Alice sbuffò. "Divertente" fece sarcastica. Rose sorrise.
Roxanne, invece, aveva un aria confusa. "La che..." Inclinò la testa di lato, guardando Rose con occhi vacui "che cosa avrebbe Alice?"
Rose scosse la testa. "Un racconto babbano"
"Indovina? Ancora non mi hai illuminato"
"É la storia di un ragazzo immortale che non crescerà mai." Spiegò Alice. Si alzò, guardando fuori dal finestrino "ora si usa dire sindrome di Peter Pan quando una persona vuole restare bambino e non diventare adulto"
Roxanne fischiò colpita. "Però. Bello.
Non mi dispiaccierebbe rimanere a sedici anni per sempre. Si possono fare un sacco di cose." Si voltò verso Rose "conosci un incantesimo per farmi rimanere bloccata a questa età?"
"Rinunceresti a diventare adulta?" Domandò Rose, stupefatta "ti perderesti una delle gioie migliori della vita..."
Roxanne scosse le spalle. "Diventare grandi é una scocciatura. Hai lavoro, stress, responsabilità. Devi preoccuparti per tutto" lanciò una fugace occhiata a Alice, ancora di spalle "da ragazzino invece sei libero.
Libero di sbagliare. Vivere. Stare senza fare niente tutto il giorno e non avere il pensiero di come comportarsi al mattino dopo. É tutto più semplice"
"Poi diventerebbe noioso" affermò Rose, sicura "vivresti all'infinito facendo sempre le stesse cose che, alla fine, vorresti solo non essere costretta a stare in vita congelata a una età immatura. Vorresti crescere"
"E diventare una stagista musona che non sa divertirsi?" Roxanne sgranò gli occhi, spaventata al solo pensiero "Mai!"
"Non c'è solo quello" ribatté calma Rose.
"Penso manchi poco" commentò Alice, voltandosi di nuovo verso di loro. Aveva una aria un po' stranita.
Rose affilò lo sguardo. C'era qualcosa che non le tornava.
"Dovremmo iniziare a..."
Lo sferagliare del metallo soffocò le parole di Alice e, simultaneamente, tutte e tre si voltarono verso la porta dello scompartimento, aperta sul corridoio.
Albus sorrideva, appoggiato all'uscio.
"Ma salve signorine-"
"Che vuoi, Al?" Fece Roxanne scocciata, buttandosi sul sedile.
Albus la guardò male. "Non ho sempre un tornaconto personale, sai? Sono gentile anche perché voglio"
"Ma sei Serpeverde" ribatté Alice, la voce tagliente, tanto che Rose si voltò sorpresa verso di lei "é una caratteristica della vostra Casa, no? Essere freddi manipolatori"
"Quello", replicò Albus facendo una smorfia "é più una caratteristica di Corvonero"
Alice scattò in piedi, le mani strette lungo o fianchi. "Fuori di qui!" Abbaiò.
Rose la guardò confusa.
Albus, invece, non batté ciglio.
"Volevo solo avvisarvi che tra un quarto d'ora siamo arrivati"
"E noi ti abbiamo detto di andartene" disse gelida Roxanne. "Non pensi dovresti ascoltarci?"
Albus la guardò. Roxanne lo fulminò con lo sguardo. Alice sembrava tanto arrabbiata che avrebbe potuto colpirlo da un momento all'altro.
Rose non capiva niente. Spostava gli occhi da tutti e tre, sempre più confusa. Miseriaccia. Quando, esattamente, i loro rapporti si erano tesi tanto?
"Bene" commentò secco Albus, dopo un tempo che a Rose parve un eternità "vi lascio alle vostre altre occupazioni" e spostò in modo eloquente gli occhi su Alice.
Rose sentii Alice irrigidirsi. Si sorprese, poi girò lo sguardo sulla sua amica. Socchiuse gli occhi, fissandola in sottecchi. Roxanne si girò verso di lei.
"É un idiota" affermò.
"Certo" le diede man forte Alice.
Rose rimase un attimo zitta. "Cosa é successo?"
"Niente" risposero in coro Alice e Roxanne, e Rose ebbe la conferma che stavano mentendo quando le vide scambiarsi uno sguardo complice.
Sprofondò sul sedile, lo sguardo basso.
Si sentiva esclusa.
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Quando il treno si fermò, Hugo venne violentemente scagliato in avanti.
Sbatté con forza le ginocchia sul pavimento metallico, mentre un pugno allo sterno gli toglieva il fiato. Sentii un bruciore sulla fronte e chiuse gli occhi. Rimase immobile, attendendo paziente che il treno stoppasse definitivamente. Poi, quando fu fermo per qualche secondo, con un lieve sospiro, Hugo si staccò dal sedile dove era caduto. Si alzò, guardandosi intorno con aria confusa.
Miseriaccia. Doveva essersi addormentato.
La fronte pulsò all'improvviso come un battito cardiaco. Hugo gemette portandosi una mano al punto leso.
Quando guardò le dita sbiancò. Sangue. Si era tagliato. Quella maledetta caduta lo aveva ferito.
Hugo fece una smorfia, poi, cercando di non guardarci troppo, strofinò le dita sul jeans babbano che portava. Forse si sarebbero colorate di rosso, ma tanto nessuno lo avrebbe notato.
Era una nuova moda, no? Rendere il proprio outfit costellato di colori come arlecchino. Nessuno avrebbe notato niente.
Forse solo Rose. Ma poteva evitarla con una semplice scappatoia.
Si girò verso il finestrino per controllare come apparisse il suo volto. Fece una smorfia di disgusto. La fronte bianca era attraversata da un lungo filo rosso scuro, che quasi si confondeva con i capelli, ma spiccava comunque sulla pelle lattea.
Hugo distolse lo sguardo. Suo malgrado, gli faceva impressione. Molta impressione. Ancora non riusciva a capire come sua sorella fosse riuscita a voler conservare immutato il desiderio di aiutare le persone curandole. A lui faceva effetto solo il pensiero. Lancio di nuovo un occhiata al suo riflesso. La lunga striscia di sangue attraversava ancora il suo volto, come un fiume che solca una pianura verde. Solo che era stirato in modo scarlatto, e il verde della pianura sembrava la distesa congelata dei ghiacciai. Hugo si studiò un attimo, attento. Non era sicuro di cosa fare. Si strinse nelle spalle e poi si toccò il ciuffo rosso e lo schiacciò sulla fronte più di quando già non fosse. Bene. Ora i capelli furvi gli coprivano il volto quasi come un panno, nascondendo anche la sua ferita. Hugo si concesse un sorriso di compiacimento, un modo di orgoglio che gli montò nel petto, che però svanii subito quando i pensieri di ciò che aveva fatto lo colpirono come una secchiata d'acqua gelida. Il suo sorriso morii sulle labbra come un fiore appassito.
Lui non si meritava neanche quel piccolo compiacimento. Sbuffò. Mise su l'espressione scazzata di sempre e si controllò al finestrino per l'ultima volta. I suoi occhi scuri erano infossati dentro il volto, e lo bucavano come due tunnel neri spiccando sulla pelle chiara. Aveva un espressione neutra.
Ottimo. Ora poteva uscire.
Hugo si abbassò, prese il suo baule e lo trascinò fuori. Il corridoio del treno era gremito di persone, ma Hugo a stento ci fece caso. Si spinse verso una delle uscite, già consapevole che avrebbe visto da lontano la macchia arancione dei suoi famigliari. Sempre allegri, si, una massa di persone col perenne sorriso sul volto. E poi lui si sarebbe staccato da loro, dirigendosi verso Ron, in un angolo della stazione nascosto dall'oscurità, che era difficile da battere in campo di musoni. O beh, per Hugo era semplice: lui ci metteva poco e niente a diventare da triste a disperato, e a palesarlo agli altri.
Caratteristiche tipica dei Serpeverde. Quasi tutti nella loro casa si distinguevano per quella caratteristica, che sembrava veramente'ABC di un vero Serpeverde.
E dei cattivi. Non dimentichiamoci dei cattivi manipolatori.
Non si curò di ferire qualcuno o dare qualche gomitata. Dopotutto, tutti facevano così. E lui era capace di sbagliare e basta, no? Di distruggere e portare tristezza.
Quello che faceva era in perfetta linea con il suo stile di vita. Fantastico, insomma.
"Ahy!" Una ragazza del suo anno, Corvonero, con dei lunghi capelli biondi e lisci lo guardò male. Hugo inarcò un soppracciglio. "Mi hai spinto" disse lei, saccente e oltraggiata, alzando il mento.
Hugo sbuffò. "Oh, che grande perdita"
Poi continuò a camminare, usando il suo baule per allontanare le persone.
La Corvonero gli urlò dietro qualcosa, ma Hugo nemmeno la sentii. Una volta arrivato alle ampie porte del treno, anche esse gremite di alunni che si avviavano verso i propri genitori - felici di riabbracciarli. Hugo li fissò con una certa nostalgia e tristezza. Lui non avrebbe mai saputo cosa si provasse a sapere che qualcuno attendeva il tuo ritorno con ansia. Aveva sempre pensato che Ron fosse felice di mandarlo a Hogwarts. Di sbarazzarsi di lui per un po'.
Toglierselo dai piedi senza avere la costante causa della morte di Hermione che gli girava per casa come uno scarafaggio da ammazzare.
Beh papà pensò Hugo iroso, mentre saltava giù dal treno con il baule appresso. Guardò la massa di persone che si spingeva intorno a lui come un telo multicolore siamo della stessa opinione.
Eccoli. La macchia arancione e chiassosa che spiccava infondo alla stazione. Non avevano mai avuto bisogno di mettersi vicino al binario, per richiamare la loro attenzione: sapevano che le loro chiome rosse inconfondibili si stagliavano contro il muro della stazione e indicavano il punto dove andare, come una stella che guida dei viaggiatori.
La stella Polare. Era stata sempre usata per orientarsi durante la notte. Ed era un ottima guida, Hugo aveva letto tanto in proposito. Quella stella non aveva mai deluso le aspettative di nessuno.
Hugo guardò ancora i suoi parenti e, senza che potesse controllarsi - punirsi, quindi - sorrise. Gli piaceva la compagnia dei suoi zii e dei suoi nonni, anche se sapeva di non meritarsela.
Era mille volte meglio di quella che offriva Ron. Questo era poco ma sicuro.
Ma la compagnia di Ron era quello che si meritava. Hugo smise di sorridere. Guardò la massa dei suoi parenti, e poi spostò lo sguardo altrove, in un angolo dove, ormai, era diventato avvezzo a guardare.
Ron era in piedi, poggiato contro il muro della stazione. Aveva le braccia incrociate al petto, la testa piegata in avanti. In quel momento alzò il capo, quasi come avesse percepito gli occhi di Hugo - i padri erano solito, farlo, no?.
I loro sguardi di incrociarono. Hugo ebbe l'impulso di fare un cenno, ma poi lo ignorò. Suo padre sembrava deluso del fatto che non avesse ancora lasciato le penne a Hogwarts. Lui aveva rischiato così tante volte.
Hugo sbuffò.
Magari gli sarebbe bastato guardare il cielo per sapere cosa fare.
Si avviò piano verso il padre. Quando arrivò dai suoi zii, Ginny fu la prima a voltarsi verso di lui. "Tesoro!" Disse, prima di corrergli incontro e placcarlo in un abbraccio spacca costole. Hugo trattenne il fiato.
Si era quasi dimenticato di aggiungere Ginny alla lista delle persone che gli avevano mai dato un abbraccio, o un contatto più prolungato di una stretta di mano.
Bene. Ora la lista si allungava a due.
Rose e Ginny. Era un buon traguardo, no?
Ginny si staccò da lui, poggiandogli le mani sulle spalle. Gli sorrise, scrutando il suo volto.
Gli occhi marroni di sua zia ebbero una specie di guizzo quando si mischiarono alle sue, dell'ennesimo colore.
"Allora?" Domandò "come é andato questa prima parte dell'anno a Hogwarts"
Oh bene pensò Hugo ironico o solo scoperto ciò che mio padre vuole nasconderci da sempre. So la verità e non dormo, ma penso molto al suicidio, se questo più interessarti "normale" rispose. Ginny gli sorrise, scompigliandogli i capelli. Hugo trattenne il fiato.
"Mi fa piacere" disse Ginny. Notò il disagio di Hugo, e ritrasse la mano dalla sua testa "ci racconterai tutto alla Tana, um?"
"Em.." Hugo seguii con ansia la mano di sua zia "si, certo."
Ginny sorrise, felice. Fece per aggiungere altro, ma i suoi occhi caddero sulla mano che aveva infilato fra i capelli di Hugo. Sbiancò, perdendo ogni traccia di spensieratezza. Scattò con lo sguardo su Hugo come se lui l'avesse ferita.
Aprii la bocca.
"Ginny" disse una voce alle sue spalle "penso sia arrivato il momento di andare. Se vedi Rose dille di attraversare la barriera"
Ginny lanciò un ultimo sguardo a Hugo, poi nascose la mano macchiata di sangue dentro il cappotto. "Si, Ron" disse voltandosi verso il padre di Hugo, che si era avvicinato silenzioso come uno spetro - cosa che Hugo credeva fosse diventato - verso di loro. "Ma voglio almeno salutare mio nipote. Me lo permetti?"
"Lo hai fatto" replicò Ron. Guardò Hugo, e nei suoi occhi non c'era affetto "ma dobbiamo andare. Ho lasciato la cena sui fornelli"
"D'accordo papà" disse Hugo. Ginny lo fumino con gli occhi "andiamo"
"Ma-" tentò di protestare sua zia e, per fortuna di Hugo, in quel momento l'arrivo di Lily la distrasse.
"Tigre!" Esclamò Harry, illuminandosi non appena la vide.
Lily gli corse incontro e gli saltò addosso, avvolgendogli le gambe al busto. Harry la tirò su come se non pesasse niente, sotto lo sguardo intenerito di Ginny.
Hugo li guardava e si stava concentrando sul rimanere il più neutrale possibile. Voleva evitare che le emozioni, come invidia, ad esempio, lo travolgessero. Doveva imparare a conviverci: lui non meritava niente del genere.
Lanciò uno sguardo a Ron. Anche lui guardava i Potter. Poi abbassò all'improvviso lo sguardo, troppo velocemente perché Hugo avesse il tempo di distogliere gli occhi.
Si guardarono per un secondo.
"Andiamo" gli disse Ron facendo un cenno del capo. Perfino guardare Hugo sembrava recargli un certo dolore. E chi può biasimarlo pensò Hugo mentre lo seguiva gli ho portato via l'unica cosa a cui lui tenesse veramente.
Hugo si fermò, sentendo la voce di Rose che si avvicinava. Quando lei lo raggiunse, notò subito il taglio sulla sua fronte. Dannazione. Ginny doveva averlo reso visibile.
"Hugo, che cosa...?" Fece lei preoccupata.
"Niente" tagliò corto il ragazzino. Spinse il baule lontano prima che Rose potesse aprire bocca. Riuscii a sviare l'ennesimo tentativo di conversione di sua sorella, esattamente come aveva fatto per le ultime settimane di scuola.
Doveva farsi i complimenti, per questo. Non era certo cosa da tutti.
Rose lo affiancò, ma non disse niente.
Hugo le era grato. Non se la sentiva di parlare. Di niente, con nessuno.
"Ahy mamma!" Sentirono James chiamare Ginny. Si voltarono entrambi. Ginny stava stringendo il primogenito in un abbraccio caloroso, come solo una madre sa fare.
Hugo distolse lo sguardo sentendo quasi un dolore fisico. La figura di Ron, alta e dinoccolata che si allontanava, riempii il suo campo visivo.
Lui non lo aveva abbracciato.
E non aveva abbracciato nemmeno Rose. Sua sorella non aveva mai ricevuto un abbraccio come quelli che si sarebbe meritati. Niente poteva sostituire l'amore di una madre.
Rose non avrebbe mai saputo cosa di prova. A differenza di James, Albus e Lily, e tutti i loro cugini.
E questo solo per colpa di Hugo.
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"Mamma, lasciami!" Si lagnò James.
"Sembri un bambino piccolo, quando fai così" commentò Lily, ridendo.
"Io?" James si voltò verso di lei con gli occhi infuriati "senti chi parla! Quella che é aggrappata a papà come un koala come quando aveva tre anni!"
"Vorresti essere al mio posto, non é vero?"
Albus sbuffò. Non sopportava i suoi fratelli quando si stuzzicavano a vicenda. Anzi, non li sopportava quando anche solo esistevano in un momento per lui cruciale.
Ad esempio quello, dove stava cercando di capire cosa fosse successo con Alice. Lei c'è l'aveva a morte con lui, ormai da un paio di mesi, e Albus non me capiva perché.
Aveva pensato di chiederlo a Rose in quelle vacanze, ma, a giudicare dalla espressione confusa che aveva rifilato loro durante quella scenetta nello scompartimento non doveva saperne più di lui. Sbuffò di nuovo.
Non aveva idea di cosa avesse mai potuto farle. Dopotutto lui era rimasto neutrale fino all'ultimo.
Non aveva cambiato niente.
Non mi hai detto che ti vedevi con lei.
Albus sobbalzò. Dannate parole di Scorpius. Accidenti alla sua legimazia.
Però forse gli aveva dato un aiuto.
E se...?
No Albus scosse la testa Alice non é interessata a me, in quel senso...
E poi, anche se fosse stato - cosa che non era, e in più lui non 'ricambiava' - lui non aveva fatto niente di male.
Si era solo prestato per aiutare Sam.
Non poteva essere condannato per la sua gentilezza, giusto?
Gentilezza. E pensare che dalla tua cravatta non lo avrei mai detto.
Sam, ripeti con me: la cravatta é solo un etichetta. Un nome che posso togliere quando più mi pare e piace.
Spiritoso. Ma comunque ti sbagli
Scusa?
La cravatta dice chi sei. É un identità, anche se ammetto generica.
Che vorresti dire?
E un tuo modo di essere.
Albus scosse la testa al ricordo di quelle conversazione. Lui non aveva fatto niente.
Alzò lo sguardo e, dall'altra parte della stazione incontrò gli occhi di Scorpius, vicino ai suoi genitori che parlavano fitto fitto e sembravano preoccupati. Scorpius inarcò un soppracciglio.
Albus seppe quasi istantaneamente che aveva letto i suoi pensieri.
Ho ragione?
Scorpius rimase immobile. Scosse la testa, e si voltò verso i suoi genitori, senza lasciare intendere in qualche cenno la risposta alla domanda del suo migliore amico.
Albus sbuffò, voltandosi verso la sua famiglia e uscendo insieme a loro dal Binario.
Non era possibile che quando voleva essere gentile combinava un casino e niente altro. Non poteva aver creato un caos tanto grande per così poco.
Che diamine.
Aveva solo aiutato un amica, Porco Merlino!

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora