Alice si alzò sospirando. Il cielo terso di Hogwarts si stagliava oltre le inferriate come un presagio grigio, triste, e rendeva ancora più buio il corridoio in cui si trovava. Solo la luce delle candele, sospese a qualche centimetro dal muro, gettavano lievi bagliori di chiarezza in pozze gialle in torno a lei, e illuminavano le fredde mattonelle con sprazzi a tratti inquetanti: quelle poche zone in cui riusciva a vedere, sottolineavano ansiosamente il buio che non riusciva a scalfire con gli occhi.
Alice si lanciò un altra occhiata intorno poi, rinfoderata la bacchetta, si allontanò, cammiandando lungo il corridoio senza una meta precisa.
Molly era stata chiara. Aveva detto a lei e Rose, quella mattina, che, con alte probabilità, il ragazzo nuovo non sarebbe arrivato il giorno dopo ma, bensì, il diciannove.
Quando lo aveva capito, Rose aveva perso tutto il suo colore. Ad Alice per un momento era sembrato che fosse sul punto di svenire: la sua espressione si era tinta di un bianco pallido, come una tela vuota, e sembrava che qualsiasi cosa la stesse animando, o almeno la tenesse in piedi, avesse ceduto, smettendo di sorreggerla e lasciando che cadesse in un baratro buio che aveva preoccupati Alice.
Preoccupazione che si era svuotata qualche minuto dopo, nel momento stesso in cui Rose le aveva gridato in faccia - con sorprendente foga - ciò che pensava di lei. Ciò che pensava su tutta la situazione con Smith.
All'inizio aveva detto di tenerci a lei, le aveva dato dei consigli per andare avanti...a agosto le aveva pure detto che la preoccupava il fatto che continuasse a frequentare Babbanologia nonostante ci fosse ancora lui! E adesso...
Solo adesso Alice capiva che era tutto falso. Una preoccupazione da ipocrita, forse fatta solo per reggere il gioco della brava ragazza. Gioco che le aveva scocciato non poco.
Alice era stufa di fidarsi delle persone, credere alle loro parole, e poi venire tradita, ancora e ancora, proprio quando il suo cuore credeva che non sarebbe successo ancora. Era stufa di ritrovarsi circondata da ipocrite che prima dicevano una cosa e poi l'esatto opposto, o che le rinfacciavano ciò che era successo. Sí, aveva sbagliato, ma non si era mai lamentata più di tanto! Lo sapeva, ne era consapevole, e ora non le sarebbe più successo. Aveva accettato le conseguenze delle sue azioni tempo prima, eppure nessuno sembrava essersene accorto.
Non facevano altro che ripeterle che era stata colpa sua. Che doveva essere lei a non fidarsi. Esattamente cosa credevano, che non se ne fosse accorta anche da sola? Credevano che fosse tanto stupida da non riuscire ad imparare dalle sue esperienze - soprattutto una esplicita e lampante come era stata quella? Pensavano che lei non se ne pentisse? Che, se avesse potuto, non sarebbe tornata indietro per non commettere quell'errore?
Almeno avevano la vaga idea di come ci si sentisse? Di quanto l'imbarazzo l'aveva mangiata dentro?
No, ma si sentivano ugualmente in posizione di giudicare. Solo perché, ha sbagliare, era stata Alice, e non una di loro. Solo perché grazie a ciò che le era successo tutte si erano messe in guardia sui ragazzi. Solo grazie al suo dolore altre non avrebbero sofferto.
E, qual volta provasse a fare uscire il suo rammarico, le veniva sempre ripetuto che se la era cercata.
Che avrebbe dovuto aspettarsi quelle conseguenze, e che piangersi addosso non le avrebbe certo fatte sparire.
Possibile che nessuno valutasse Smith come colpevole? Come persona da accusare?
Perché tutte le davano la colpa per la sua fiducia mal riposta, ma nessuno pensava al fatto che Smith avesse violato il loro patto di rispettosa riservatezza portando gli altri studenti a conoscenza di informazioni personali? Perché veniva punita lei, per essersi fidata, e non lui, che aveva reso visibili delle faccende private?
La colpa era sul serio solo di Alice?
A quanto pare sí. Secondo quello che gli altri pensavano, che persino la sua migliore amica le aveva urlato in faccia, era stata tutta colpa della sua ingenuità, e non del fatto che Smith non avesse dovuto permettersi di fare ciò che aveva fatto.
Dovevi aspettartelo.
Questo. Questo le aveva detto Frank, subito dopo ciò che era successo l'anno prima. Il suo tono quasi gongolante era ancora impresso nelle sue orecchie come un canto delle sirene, e la sensazione che il fratello non fosse dispiaciuto per lei era convinta e forte dentro al suo petto. Il sorriso con il quale le aveva detto quelle parole, come se gli andesse bene che lei, sua sorella, soffrisse così tanto, l'avevano ferita più di quanto si sarebbe mai immaginata. Più di quanto avesse calcolato.
Avevano fatto sentire Alice come se si fosse meritata qualcosa del genere. Le avevano fatto credere che fosse colpa sua, sul serio.
Devi accettare le conseguenze delle tue azioni.
Sí, anche questa era una perla di Frank. Accettare le conseguenze. E lei lo aveva fatto senza fiatare, muta come un pesce, per paura che gli altri le avrebbero rinfacciato ancora ciò che era successo.
Per questo Alice aveva stretto i denti e non si era mai lamentata, e non aveva emesso suono quando aveva scoperto che a Babbanologia ci sarebbe stato anche Smith. Sarebbe stato come dargliela vinta.
Voleva dimostrare che c'è la faceva. Che ormai la faccenda non la toccava più. Non era vero, ma se lo sapeva solo lei era meglio.
Non avresti dovuto, poteva succedere.
Sí, Frank, se lei avesse saputo che poteva succedere, di certo non si sarebbe fidata. Non si sarebbe gettata tanto ciecamente verso le braccia del diavolo. Ma, visto che la sorte l'aveva resa una schiappa in Divinazione, e il destino aveva deciso che la Vista non faceva per lei, Alice non poteva sapere come sarebbero andate a finire le cose. Suo fratello credeva davvero che se le avessero detto il finale della loro relazione lei avrebbe continuato facendo finta di nulla? Che sarebbe stata felice di venire tradita con tanta ferocia? Di certo, Alice non l'avrebbe mai fatto. Dubitava che chiunque potesse essere in disaccordo con lei.
Se le avessero detto la verità, avrebbe interrotto la storia velocemente, stroncandola prima che fosse troppo tardi e in modo abbastanza indolore. Ma non lo aveva saputo. Nessuno le aveva detto che, non tutti la fuori, hanno buone intenzioni. Nessuno aveva pensato fosse utile informarla che nemmeno Hogwarts é priva di cattiverie.
A parte suo padre. Questo Alice doveva ammetterlo. Neville le aveva sempre detto di non credere a tutto ciò che le dicevano, di guardarsi bene prima di stringere amicizie. E Alice lo aveva fatto, fin quando un ragazzo dai capelli biondi come il sole e gli occhi scuri come le tenebre non l'avevano accecata rendendola inerme al suo lato razionale.
E poi, Neville era stato l'unico che, dopo ciò che era successo, le era stato vicino, senza rimproverarla dicendole che era stata colpa sua. Le era stata affianco senza fiatare, offrendo solo la sua spalla come vano supporto per sfogarsi.
Ecco, solo con Neville - e Rose, a dire la verità, ma ora come ora Alice era troppo arrabbiata per farci caso - lei si era aperta, e aveva dato il via libera a tutte le sue lacrime e ai sensi di colpa.
E lui l'aveva fatta sentire meglio. Non era stato a riprenderla come invece aveva fatto suo fratello.
Le aveva anche dato più attenzioni! Durante il primo periodo dell'estate - quello in cui Alice si vergognava troppo perfino per mettere il piede fuori di casa - Neville era sempre rimasto con lei, e avevano giocato a scacchi, o a altri giochi magici stipati dentro casa che avevano da sempre preso la polvere, troppo poco usati per via delle occupazioni dei genitori per poter essere mantenuti puliti.
Le aveva anche preso una scopa nuova, forse solo per consolarla.
Alice ne era stata felice, anche se non era la migliore né quella che desiderava. Era comunque stato un bel gesto.
L'unica cosa era che Frank si era un po' - un po' molto a dire la verità - ingelosito, e aveva iniziato a trattarla peggio del solito. Frecciatine ovunque. Alice non ci aveva fatto caso, troppo presa dai suoi tormenti personali per dare peso a ciò che uno stupido come suo fratello diceva, fin quando le sue offese non avevano toccato l'episodio appena successo.
Quelle l'avevano ferita molto, e non era riuscita a ignorarle. Alice sapeva che, se Neville avesse sentito anche solo un decimo di ciò che suo figlio le diceva, Frank se la sarebbe vista brutta, molto brutta - peggio perfino della sorte che era toccata a Smith, e questa comprendeva diversi calci da parte di Roxanne e Albus, difficilmente invidiabile.
Ma Frank era subdolo, intelligente e astuto e razionale, e faceva in modo che il padre non sentisse. Le sue erano mezze battute, freccia scoccate a metà - ma non per questo meno dolorose - archi presi un po' si e un po' no. Non era certo stupido: non si sarebbe fatto beccare tanto facilmente.
E Alice non aveva trovato il modo di riuscire a mettere a conoscenza il padre del suo comportamento. E, per tutta l'estate, non c'era riuscita.
Se lo rimproverava tanto.
Ma quelle di Frank erano frasi dolci, cattiverie dette solo per il gusto di godere, camuffate sotto un travestimento di comportamento da fratello protettivo nei suoi confronti.
Come quando erano piccoli e la loro mamma decideva di nascondere, in modo ben invisibile ai loro occhi infantili, sotto uno strato di rosbif le verdure che dovevano mangiare.
Erano come una caramella con un retrogusto amaro: deliziosa a primo impatto, ma, a lungo andare e se ci si soffermava sul reale significato di quelle parole, terribilmente sgradevoli.
Era stato più o meno in questo momento che Frank se ne era uscito con i suoi discorsi, le sue perle su quanto lei fosse stata stupida e i suoi consigli - come se lei non sapesse di già cosa fare - e si era elevato a qualche piano superiore al suo - che, di certo, non meritava solo perché lei aveva fatto un errore che poteva capitare a chiunque - e si era autoproclamato "il ragazzo che le avrebbe fatto la morale per fare in modo che non sbagliasse più."
Alle volte Alice era rimasta davvero sorpresa e sbigottita dalla stupidità di Frank. Davvero credeva che con tutto quello che aveva sofferto aveva bisogno che lui, un ragazzo mediocre senza spicco ma solo demeriti, le dicesse di non fidarsi delle persone? Davvero era arrivato a un livello di coglionzaggine così alto?
Se davvero lo pensava, allora Alice gli consigliava di farsi una bella visita al San Mungo per controllare il suo cervello. Almeno avrebbero detto con esattezza quanta intelligenza a Frank mancava.
Si chiedeva anche se fosse ipocrita di proposito o, povero, non se ne rendesse conto. Alice era ancora convinta che in briciolo di QI fosse soppravissuto all'interno dei neuroni bruciati di suo fratello, e quindi pensava che lo facesse apposta, forse per recarle più fastidio. Perché non era razionalmente possibile raggiungere livelli tali di stupidità - per fino per uno come Frank!
Le aveva detto di non piangere sul latte versato, ma accettare le sue azioni. - come se lei non lo facesse già, per altro.
Ma Frank era sempre stato il primo a fare le cose e poi pentirsene, lamentarsene per giorni fino a far scoppiare le orecchie. A piangere perché salendo su un albero si era fatto male, e a esigere che il dolore passasse. Nonostante sia Alice, che Hannah che Neville avessero ripetuto più volte che se si saliva su un albero, il rischio di farsi male c'era, e anche piuttosto elevato.
Frank li aveva ascoltati? No. Allora che sopportasse il suo dolore come erano mesi che Alice stava facendo con il proprio!
Almeno una cosa buona l'aveva fatta suo fratello: evitare che si fidasse di persone poco sicure.
Adesso, prima di dare confidenza a qualcuno, ci impiegava settimane, se non mesi, e comunque non rivelava mai troppo di sé stessa. Una volta si era esposta, e il fuoco del tradimento le aveva scottato la pelle lasciando ferite indelebili.
Non era sempre stata così, però. Il suo essere poco timida e con un carattere forte le avevano sempre fatto fare amicizia velocemente. Ora non più.
Smith aveva sterminato la sua fiducia nella specie umana. Alice adesso si teneva stretta le poche amiche che aveva: Rose e Roxanne.
Alice si fermò di botto nel corridoio, quasi come se l'avessero tirata a forza indietro. Il colpo le mozzò il respiro come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Si appoggiò al muro di mattoni.
A cosa era servito? Aveva limitato le entrate ad altre persone, precludendosi l'avvento di nuove amicizie, per non essere ferita, e due dei suoi legami più vecchi e profondi avevano inferto le ferite più dolorose.
Roxanne c'è l'aveva ancora con lei, mentre Rose... Lei le aveva detto chiaro e tondo ciò che pensava.
L'avevano entrambe scottata, tradita la fiducia e lasciando una bruciatura pure peggiore di quella di Smith...avevano usato una semplice scusa e ora lei era sola...sola in quel corridoio così buio di cui non vedeva nemmeno la fine.
Alice fissò il fondo del corridoio, dove la parete di Hogwarts si perdeva in nero denso come inchiostro e scuro come il vuoto, che si addensava di ombre sempre più maligne pronte a celare qualsiasi nemico le si trovasse difronte, che sembravano quasi lottare l'una con l'altra nell'infinita battaglia della gerarchia delle tenebre. Degluttii, sentendosi incredibilmente e improvvisamente a disagio.
Aveva la sensazione di essere osservata.
"Alice!" Un ragazzo sbucò da quell'ombra, in modo tanto inaspettato che Alice trasalii violentemente portandosi una mano al petto "si può sapere che ci fai qui? Credevo fossi a pranzo!"
"Albus..." Sussurrò Alice, il cuore che martellava furiosamente nel petto, quasi come volesse liberarsi dalla gabbia toracica e uscirle fuori "mi hai spaventata a morte"
"Lo vedo. Tu però non eri una di quelle ragazze toste, che non si prendono infarti per uno stupido scherzo?" Albus ghignò mentre faceva scivolare il suo sguardo fiero su tutta la sua figura.
Alice lo guardò male, riaquistando il suo auto controllo a l'espressione sfrontata. Gli tirò un leggero pugno.
"Smettila. Perfino alle persone più coraggiose chi viene all'improvviso rappresenta un pericolo"
"É una frecciatina sulla nostra Casa, per caso?" Chiese lui, appoggiandosi mollemente alla parete, un ghigno sempre stampato in faccia e l'aria divertita. Il volto era lievemente illuminato dalla pallida luce delle candele, che si rifletteva in bagliori rossastri sul suo volto, accennando i denti bianchi e l'espressione di chi sa ciò che fa, mentre nelle iridi verdi, riflesse all'inverso e stampare come se si specchiassero in una superficie d'acqua, si agitavano le mille fiamme intorno a loro, conferendo una sfumatura quasi arrabbiata al suo sguardo.
Alice incrociò le braccia la petto, guardandolo ambigua.
"Dipende da come lo vuoi prendere"
"O da come me lo hai posto" ribatté Albus, sempre sorridendo. Alice lo guardò interrogativa, e lui agitò una mano in aria come a dire che era una faccenda complicata.
Alice strinse le labbra. "Bene" disse, lievemente infastidita "ora, se non hai altro da dirmi, Potter, posso andare a pranzare? Sai, avrei una certa fame"
Albus ghignò ancora, spostandosi di lato.
"Prego" allungò cavallerizzo una mano verso le tenebre, e Alice lo sorpassò "ma ricordati che non ti ho mai costretto a restare: potevi andartene quando volevi"
Alice si voltò verso di lui come una furia, gli occhi lampeggianti e la cosa che ballonzolava oltre la sua testa come la corda castana di una campana. Lo fulminò con lo sguardo.
"Ascolta" disse perentoria, marciando decisa verso il ragazzo, che però non parve troppo sorpreso "io non ho ancora niente..."
"Oh sí" Albus agitò ancora una mano in aria, indietreggiando lievemente. Alice rimase immobile, a fulminarlo con lo sguardo. Mise le mani suoi fianchi.
"Senti bello, io non-" aveva ancora la bocca spalancata in una smorfia di offesa, quando la risata priva di malizia di Albus la interruppe.
Lei sgranò gli occhi, mentre lui piano si accasciava a terra in un eccesso di ilarità che rimbombava nelle pareti intorno a loro creando un eco terribilmente amplificato.
Alice cercò di rimanere seria, ma non riusciva a essere arrabbiata: pian piano un sorriso si formò sul suo volto, curvando le labbra verso l'alto e spazzando via l'espressione arcigna che aveva messo su poco prima, mentre anche lei si lasciava andare a una risata liberatoria per rilasciare la tensione.
Piombò a terra vicino a Albus, incredibilmente leggera.
Forse - pensò - non era vero che era sola. Albus c'era ancora per lei.
E, improvvisamente, in un flesh affatto calcolato, una scena le si presentò nella mente, un ricordo che si palesava dal nulla creantosi come dai fumi densi di una fabbrica.
Lei e Roxanne, la prima sera del primo settembre, che parlavano tranquille. E lei che, qualche attimo dopo, rivelava un nuovo segreto.
Alice smise di ridere di botto.
Oh no...
Roxanne poteva rivelare tutto, tradirla ancora. Alice si maledí mentalmente: l'esperienza con Smith non le aveva insegnato niente.
Aveva dato a una persona una bacchetta con il potenziale di ucciderla, sulla base di solo della fiducia che era facile da fingere.
Ancora.
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In The Name/ Scorose.
FanfictionTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...