Capitolo 108

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Hugo aveva gli occhi umidicci. Si passò bruscamente una mano sul volto, sperando che Scarlen non se ne accorgesse - probabilmente lo aveva intuito, dato l'espressione triste dei suoi occhi marroni, ma non diede alcun cenno per evidenziare il fatto.
In silenzio, seduto davanti alla donna nel suo ufficio, separato dall'infermiera solo per il sottile banco bianco, aveva ascoltato tutta la storia.
Tutta la storia della morte di sua madre.
La corsa all'ospedale di Ron e Hermione, gli sguardi sospetti, il presagio trasformato in realtà, la certezza che si confermava, le mani intrecciate dei suoi genitori...
Scarlen aveva finito di parlare da una mezz'ora buona. Non aveva fatto nessun cenno di conforto, non aveva detto niente, forse attendendo che fosse Hugo il primo a parlare. Forse voleva rispondere alle eventuali domande.
Ma a Hugo non era venuto in mente niente. Erano rimasti in silenzio da quel momento.
Normalmente si sarebbe aspettato di provare una sorta di inquetudine, una tristezza insaziabile che lo mangiava dall'interno, eppure, lì, da solo con quella donna, non sentiva altro che un enorme vuoto.
Un vuoto incolmabile.
"Questo é tutto" concluse Scarlen in quel momento. Hugo alzò lo sguardo sulla donna. L'aveva guardata per tutta la durata del suo racconto, senza mai staccarle gli occhi di dosso - e Scarlen aveva mantenuto le sue iridi in quelle di Hugo. Lo fece anche adesso, seria, e l'intensità del suo sguardo fece correre un brivido lungo la schiena di Hugo  "la morte di tua madre mi segnò particolarmente, e in quel momento capii che la vita di ospedale non era per me.
Troppi morti. Troppe tragedie." Aspettò un attimo, fissando Hugo. Poi scosse la testa "Lasciai l'ospedale, e la MecGrannit mi offri un tirocinio alla scuola, e ora insegno qui"
"Insegni?" Hugo la guardò scettico.
"Non sono solo un infermiera" rivelò Scarlen sorridendo lievemente "mi occupo anche di addestrare i ragazzi che vogliono intraprendere la carriera da MediMago."
"Addestrare mi sembra un termine un po' esagerato"
"Tu non sai cosa fanno i ragazzi qui" ribatté lei. Si alzò, puntando gli occhi fuori dalla finestra che inondava di luce la stanza. Il cielo da cobalto era diventanto ancora più scuro, le ore che passavano velocemente.
Hugo si prese un attimo per sorprendersi. Non avrebbe mai detto che il racconto fosse durato tanto.
Una decina di minuti, venti al massimo.
Invece sembravano essere passate ore, ma forse era solo una sua sensazione. O forse aveva perso la cognizione del tempo.
La seconda ipotesi poteva essere più probabile.
Scarlen sospirò. "Mi dispiace" disse "mi dispiace per la tua perdita, mi dispiace per tua sorella. É davvero ingiusto che siate cresciuti senza madre. Hermione era una donna fantastica"
"Anche a me" borbottò Hugo a mezza voce.
Scarlen si voltò a guardarlo, un ombra di rabbia sul volto altrimenti gentile e severo "non dire così. Tu non sai, non puoi sapere quanto due persone siano legate." Socchiuse gli occhi, e Hugo si deve più indietro sulla sedia "Né puoi dedurre il livello di sofferenza dal grado di parentela che si ha con una persona morta.
Certe cose vanno oltre gli anni di conoscenza e i legami di sangue"
"Ma non sei stata tu a perdere la madre quando avrebbe potuto salvarsi..." Hugo si morse il labbro, sentendo ancora gli occhi pungere.
"No" lo interruppe Scarlen. "Ma ciò non vuol dire che non mi dispiaccia"
Hugo sbuffò. "Ma tu non c'entri niente"
"Sono stata io a dire a Hermione che la seconda gravidanza, se non interrotta, l'avrebbe portata alla morte"
"E?" Hugo faticava a trovare un qualche nesso fra quella frase e ciò che stavano dicendo. L'informazione, però, lo colpii un secondo dopo con la sua forza. Sgranò gli occhi, la terra che svaniva da sotto i suoi piedi, e fissò Scarlen con sguardo stralunato.
Scarlen annuii. "Già. Ero con lei, con l'ostetrica e un altra medica. Ci aveva chiamato da lavoro una sua collega, una che si occupava con lei del C.R.E.P.A., dicendo che aveva avuto un mancamento. Le avevano chiesto se poteva venire e lei aveva detto di sì.
Un paio di lastre sono bastate per mostrare una rara forma di disturbo alla placenta...ma tu non conosci certe cose" aggiunse, come ricordandosi all'improvviso che non stava parlando con uno dei suoi studenti ma con Hugo, un totale ignorante in materia.
"Non siano riusciti a convincerla ad abortire" concluse, secca e amareggiata.
"Avete fallito" disse Hugo.
Scarlen si voltò verso di lui, perplessa. "Cosa?"
"Il vostro compito é quello di salvare vite!" Sibilò lui, alzandosi dalla sedia; Scarlen lo guardava smarrita, eppure c'era un fondo di rabbia in quelle iridi colore cioccolato. Hugo continuò imperterrito "di garantire salute. di far tornare a casa sane le persone che vengono a chiedere aiuto da voi"  fece un passo indietro "E voi l'avete lasciata morire!"
"É stato un po' più complicato di così"
"Aveva una vita!" Hugo era un fiume in piena. Non poteva fermarsi. Voleva dire a quella donna che non era stata capace di tenere in vita sua madre quanto fosse merda ai suoi occhi "Una figlia, un marito, una famiglia che le voleva bene!
E voi non avete fatto il vostro compito di preservare l'esistenza di una persona che ne aveva già passate tante!"
"Hugo, anche la tua é una vita. Un esistenza." Scarlen lo guardava sconvolta, inorridita, come se non si capacitasse del perché lui non capisse "anche tu vali.
Non potevamo salvarvi entrambi. Perché uno vivesse, l'altro doveva morire"
Hugo scosse la testa "Rose meritava una madre"
"Hugo." Scarlen lo trafisse con lo sguardo "Hermione ha scelto di morire per darti la vita. Lei ha sacrificato la sua esistenza per la tua.
Il minimo che potresti fare é mostrarle un po' di gratitudine."
"Ma io le mostro gratitudine!"
"Davvero?" Dalla sua voce trasudò puro veleno, e Hugo ne fu tanto sorpreso che trasalì "Sei mai stato alla sua tomba?" Chiese sibilando, e per Hugo fu come ricevere un pugno nello stomaco.
"Questo..." Ansimò. La voce della donna gli aveva fatto salire un senso di colpa che gli ribolliva nelle vene, ammucchiandosi sul cuore in un macigno difficilmente ignorabile. Pensò a sua madre, morta senza poter crescere sua figlia. Pensò a suo padre, che aveva visto uno dei giorni più belli della sua vita trasformarsi in un incubo.
Forse Scarlen aveva ragione. Forse a Hermione avrebbe fatto piacere se lui fosse andato alla sua tomba.
Eppure... continuava a credere di non meritarselo. Lei aveva dato la vita per lui "Questo non c'entra"
"No." Dedusse lei "Come pensavo"
"Non lo ho mai detto"
"E solo perché tu lo sappia" continuò lei, come se non lo avesse sentito "Non sempre le persone si salvano.
Alle volte non c'è il lieto fine."
"Credimi." Disse Hugo amareggiato "Io lo so"
Passarono diversi attimi di silenzio. Scarlen si risedette, lo shignon nero perfettamente fatto sulla testa, le due ciocche scure che ancora le incorniciavano il viso. Hugo esitò, poi la imitò.
Scarlen intuí ci fosse altro. Alzò lo sguardo su di lui, e Hugo lo prese come un implicito invito a continuare.
"Perché non mi hai detto queste cose prima?" Chiese cauto. Non era arrabbiato, e di certo non voleva accendere una altra lite.
Aveva paura di perdere la sua unica fonte di informazioni, se ciò fosse successo.
Scarlen si strinse nelle spalle "non volevo parlarti. Se tuo padre non ti aveva detto delle cose, evidentemente, era una sua decisione, e va rispettata. Non posso venire io e infrangere ciò che ha fatto lui"
"Mi hai appena raccontato come é morta mia madre" obiettò Hugo, pacato.
"Perché ne ero costretta. Altrimenti mi sarei tenuta tutto per me, credimi"
"Quindi é per questo che...?"
"Ti ho cacciati dopo il diciannove settembre?" Lo anticipò lei. Stava sorridendo lievemente "Appena ho capito chi fossi ti ho allontanato. E per inciso, fingersi un ragazzo interessato alla MediMagia per estorcermi informazioni personali va contro le regole scolastiche e morali"
Hugo arrossì. Aveva ragione.
"Volevo sapere" tentò di giustificarsi, ma perfino alle sue stesse orecchie la sua scusa suonò debole.
Con sua sorpresa, però, Scarlen annuii. "Lo capisco. La verità é una delle esce più invitanti e tentatrici.
E il desiderio morboso, coltivato nel tempo, di certo non aiuta a stemperare la determinazione nel scoprirla, nel sfamarsi"
Rimasero in silenzio per un altro paio di minuti. Hugo le lanciava occhiate insistenti, cercando capire quale fosse il momento più propizio per chiederle altro, e per informare Scarlen che no, non aveva avuto le risposte a tutte le sue domande.
Dopo cinque minuti in cui c'era stato solo puro silenzio, fatta eccezione per qualche uccello che cantava nel parco di Hogwarts, Scarlen sbuffò. "Dimmi, Hugo, che altro c'è?"
"Ecco..." Hugo esitò. Era possibile che lei lo sapesse? Dopotutto andava oltre a parecchie convinzioni e conoscenze, ed era abbastanza difficile trovare una risposta. E poi Scarlen era giovane. Aveva una trentina d'anni.
Tentare non costa niente "quando qualcuno mi parla di mia madre" disse piano, e vide gli occhi di lei farsi più concentrati, cupi, come se volesse azzardare le prossime parole "io...non lo so. Sento una specie di freddo avvolgente. Qualcosa che mi paralizza" era vero, lo aveva sentito per tutto il corso della storia, ma lo aveva ignorato. "Mi chiedevo se tu sapessi..."
"Il perché" Scarlen parlò con voce rotta. Hugo, sorpreso, alzò lo sguardo su di lei, e incrociò le iridi marrone chiaro della donna velate da un manto trasparente. Lacrime. "Io, oddio, avrei dovuto saperlo. É per questo che sei venuto in Infermeria, il compleanno di tua madre."parlava velocemente, tesa "é stata la prima volta che qualcuno ti abbia parlato realmente di lei, e ti sei sentito male.
Io..." Si morse il labbro, passandosi una mano sulla faccia. Hugo la sentì singhiozzare,ma non aveva la più pallida idea di cosa fare per farla sentire a suo agio. Avrebbe voluto batterle una pacca sulla spalla, ma non sapeva se fosse l'idea migliore.
Con quella domanda sembrava essere stata distrutta.
"É colpa mia" sussurrò infine, colpevole. "Tutta colpa mia"
Hugo inarcò un soppracciglio. Erano colpa di Scarlen diverse cose - non aver convinto sua madre ad abortire, ad esempio - ma di certo niente a che fare con le sue sensazioni sbagliate per le parole che riguardavano Hermione. "Non penso che tu centri qualcosa. Ma se sai..."
Scarlen lo guardò. Qualche lacrima era sfuggita al suo controllo, e le rigava le guancie in curiosi rivoli bagnati, come una ragnatela sulla pelle olivastra.
Era a pezzi.
"Sono una desemparies" disse infine. "É per questo che sono sono stata presa all'ospedale quando ero ancora giovane, appena ventenne. Il mio talento é richiesto in qualsiasi zona ci siano malati da controllare"
"E il tuo talento consiste nel...?"
Scarlen prese un respiro tremante "riesco a passare le mie emozioni agli altri. Posso calmare le persone. Farli dormire. Provare a fare diminuire il dolore durante un parto. Tutto ciò con un tocco, o anche con la mia presenza.
Quando ero arrivata all'ospedale ero ancora abbastanza inesperta sul mio potere, non lo controllavo bene..."
"Non capisco cosa c'entri."
Scarlen strinse le labbra per non piangere "Ti hanno affidato a me. Ti ho avuto nelle braccia, mentre guardavo tua madre morire.
Ho sentito un senso di vuoto, una freddezza totalizzante e...te la ho trasmessa. Mi dispiace, Hugo, io non volevo ..."
Ah. Almeno ora aveva una spiegazione logica per ciò che sentiva.
Non c'è niente di sbagliato, in te.
Hugo scacciò quel pensiero. Aveva comunque ucciso sua madre.
Non era una brava persona.
Meglio non farsi delle illusioni inutili.
"C'è ancora un altra cosa" disse alzandosi.
Scarlen posò lo sguardo su di lui, un po' ripresa.
Hugo la fissò. "io volevo parlare di mia madre, no? Ma, ogni volta che ci provo con mio padre e con mia sorella, loro non mi dicono niente"
Lei si addolcii "Hugo, é comprensibile. Il ricordo fa male, provare a non pensarci é sempre la migliore delle cose."
"É questo lo capisco" ribatté Hugo, impaziente "quello che non capisco é perché nessuno dei due mi guardi negli occhi mentre dice quelle poche cose che mi rivelano"
Scarlen esitò. Sembrava stranamente combattuta "Non é una cosa di mia competenza." Disse infine. "Non dovresti chiederla a me."
E a chi? Venne spontaneo da chiedere a Hugo, ma si trattenne.
Aveva come la netta sensazione che se ci avesse provato avrebbe ricevuto solo il silenzio come risposta.
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Frank fissava sua sorella come se fosse pazza, e, come stava già maturando da un po', forse lo era davvero.
Alice, appoggiata spalla alla porta del suo Dormitorio di Tassofrasso, lo fissava decisa. Aveva sempre la solita coda alta che le legava ordinatamente i capelli castani sopra il viso, gli occhi azzurro-cielo di Hannah - che Frank non aveva ereditato - e la cravatta di Grifondoro legata sbadatamente intorno al collo. La divisa della scuola era mal concia, la gonna stirata di macchie con diverse pieghe, e era un po' storta contro la maglia.
Evidentemente sua sorella aveva corso per raggiungerlo.
E lui non ne sapeva il perché.
Frank strinse i denti. Sul suo letto, strinse le dita contro il materasso "Come hai fatto a entrare?" Sbottò.
"Conosco la parola d'ordine" rispose lei. Non si mosse di un millimetro, ma lui fu certo che inarcò un soppracciglio.
Frank sbuffò. Ecco, gli mancavano solo le fisse incomplete e incomprensibili di sua sorella. Giustamente, non bastava mica che non sapesse quali razza di sentimenti provasse per Lorcan, no...doveva anche sorbirsi gli isterismi di Alice.
Fantastico.
Si alzò sbuffando. Andò all'armadio e ci rovistò dentro, l'unica scusa che gli era venuta in mente per non guardare sua sorella "Perché sei qui?" chiese senza reale interesse.
La sentii muoversi. Probabilmente fece un passo avanti, forse due.
Non di più.
"La stessa cosa per la quale sono venuta durante le vacanze, Frank." Gli rispose la voce di Alice, una nota insolitamente adulta che spiccava su quel tono da ragazzina viziata. "Dobbiamo parlare del perché mi odi"
Frank si congelò sul posto. In mano aveva una delle divise dei Tassofrasso, gialla canarino che spiccava contro i suoi capelli biondi. Strinse il tessuto fra le dita.
Non voleva affrontare quell'argomen-to con sua sorella.
Né ora, né mai.
Così optò per la cosa che sapeva lei avrebbe voluto sentirsi dire "Non ti odio" ripose.
"Non mentire" ribatté lei.
"Non sto mettendo"
Alice cacciò una risata scettica. Sembrava un po' tesa, visto anche l'isteria di quel suono "si, certo. E i nostri battibecchi?"
Frank, piano, ripose la maglia in un cassetto. Non l'aveva piegata e gli dispiaceva, ma confidava che il suo compagno di stanza non facesse domande e capisse con uno sguardo che era successo qualcosa di grave.
"Sono reciprochi." Disse infine "Siamo fratelli" le parole gli uscirono a fatica, graffiando la sua gola come se avesse appena ingoiato dei coltelli. Deglutii "é normale"
"No" Alice socchiuse pericolosamente gli occhi "James e Albus sono fratelli e litigano. Dominique e Louis sono fratelli e litigano. Si dicono che cosine, si offendono poco e nel giro di due minuti hanno già dimenticato tutto" Frank la sentii ancora avvicinarsi, ma lui restò perfettamente immobile, senza voltarsi. "I nostri non sono i soliti battibecchi che ci si aspetta da due fratelli."continuò Alice "I nostri sono puro scambio di odio e insulti.
E io voglio sapere il perché"
"Non mi pare che durante le nostre liti tu faccia tanto la santarellina, eh" disse Frank.
Quasi percepii sua sorella irrigidirsi "Cosa intendi?"
"Ho già detto che é reciproco" Frank mi strinse nelle spalle "anche tu mi offendi. Anche tu mi odi. Potrei farti la stessa domanda, e, come con te, non ne verremmo mai a capo"
Passò un attimo di silenzio.
"Io non ti odio."
"Bene." Frank si alzò. Dava ancora le spalle a Alice, ma sentiva la sua presenza incredibilmente vicino rispetto a dove aveva immaginato che fosse "Ti sei data la riposta da sola"
"Non mentire." Lo aggredì Alice, con tale veemenza che spinse Frank a volersi a guardarla. Era tesa, i pugni stretti lungo i fianchi e il volto rosso. Gli occhi sembravano due cristalli infossati in un mare di sangue "Per-cepisco il tuo odio. La tua distanza, i tuoi modi scortesi lasciano ben poco all'immaginazione.
Tu mi odi. Mi detesti. Preferiresti che io non ci fossi.
E penso di avere almeno il diritto di sapere il perché di tutto questo odio"
"Da quando ti importa del nostro rapporto? Da quando ti interessa se ti odio o meno?" Chiese Frank. Alice non gli aveva mai chiesto niente, mai, mai accennato al fatto che volesse ripristinare il loro rapporto.
Perché, perché lo faceva solo ora? Perché era così stupida? E perché si era svegliata solo a diciassette anni suonati?
"Indovina? Mi sono scocciata di avere un trattamento che non merito, di ricevere il suo odio anche se non ho fatto niente. O ci facciamo un rapporto fratello e sorella accettabile, come le persone si aspettano da noi, o almeno mi degni di dirmi perché ti faccio tanto schifo da arrivare a qualcosa di tremendo come l'odio!"
"Sei stata tu a dire che ti odio. Hai fatto tutto da sola."
"Frank!" Alice quasi urlò, un esaurimento nervoso in corso come un gatto pronto a saltare "smettila di fingere.
Smettila di negare, o di mentire.
Io lo so bene quanto te. Mi odi.
E io voglio sapere perché pensi che mi meriti qualcosa del genere, quando é lampante che non é vero"
"Alla maggiore età?" Frank sbuffò divertito "alla maggiore età ti svegli e decidi di riparare i danni che per anni mi hai fatto? Solo adesso Alice ti svegli?" Lei aprii la bocca pronta a negare, ma lui alzò una mano per interromperla. La fulminò con gli occhi, e lei ne rimase sorpresa "E cosa ti fa credere che tu non lo meriti?"
Alice vacillò. Frank sapeva che con le sue parole l'aveva messa in difficoltà.
Bene. É esattamente ciò che voglio.
"Beh io..." Alice era confusa.
Frank torno subito all'attacco "E solo adesso te ne importa?"
"Beh, anche se fosse?" Rispose lei, chiaramente irritata dal fatto di non essere presa sul serio.
"Tu ti aspetti che ti dia una risposta, dopo questo?" Chiese Frank a bocca aperta.
"Si!"
Frank scosse la testa. Rise piano, cercando di convincersi che ciò che lei stava dicendo era tutta una bugia
Una menzogna. A lei non importava. Se lo fosse stato, avrebbero risolto già prima, avrebbe evitato tutti quei comportamenti che la rendevano la favorita "Tu eri la meravigliosa Alice Longbottom" disse "la cocca di papà. Quella che era nel giusto anche quando palesemente annegava nel torto. Quella che ha avuto papà al fianco anche quando aveva fatto sesso con uno che lo era andato a raccontare in giro. Sei migliore anche quando otteniamo gli stessi risultati, a te le congratulazioni a me solo uno sguardo. Quella che ha avuto una festa quando é entrata in squadra, ma a che non é toccata a me." Scosse ancora la testa, lo sguardo di sua sorella sempre più confuso "non ti é mai interessato in tutti questi anni come mi sentissi io.
Quindi non venire qui a dire che, all'improvviso, ti senti buona, capisci di aver sbagliato e vuoi recuperare i rapporti. Perché, indovina?" Le mostro una smorfia, un ghigno, e lei fece diversi passi indietro "le cose non si aggiustano come nelle favole. Nella realtà, se sbagli una volta, difficilmente hai il perdono"
"Io non ho sbagliato"
"Vedi? É questo il problema con te.
Non vedi l'evidenza"
"Disse quello che fino a un attimo fa ripeteva di non odiarmi" sbuffò lei.
Frank si girò di scatto. No, sua sorella non poteva dargli dell'incoerente.
Poteva permettersi di tutto, ma ora aveva passato il limite.
"Vuoi sapere perché ti odio? Bene!" Frank non c'è la faceva più. Alice lo stava stressando troppo, lo stava pressando troppo, pigiava, pigiava dentro di lui, e Frank non c'è la faceva più a controllarsi. Era una ragazzina immatura e irritante.
E la pressione aveva fatto cedere le barriere. Quelle barriere erette per controllarsi, per non lasciarsi andare, per non dire qualcosa di troppo, qualcosa che poteva rivelare troppo di lui, qualcosa di cui poi poteva pentirsi.
Era arrivato il momento dell'esplosione. Alice avrebbe avuto ciò che meritava, come, d'altro canto, lo aveva stuzzicato e spronato fino a quel momento.
Vuole che lo dica? Ottimo! Le vomiterò addosso quanti schifo mi fa!
Frank puntò i suoi occhi dentro quelli azzurri di Alice. Doveva avere un aria assassina, visto che la vide trasalire "hanno sempre dato più attenzioni a te che a me!" Disse "Io ero il terzo incomodo, quello che veniva dopo di te. Sempre, considerato solo se c'era tempo." Chiuse gli occhi. La rabbia gli ribolliva nelle vene come un veleno.
"Ah ok c'è tempo, calcoliamo anche Frank. Non c'è? E va bè pace." Si passò una mano fra i capelli biondi, scuotendo la testa "E tu non te ne sei mai accorta" continuò amareggiato "Sei sempre stata quella più calcolata, dei due. Quella che ogni volta che faceva qualcosa veniva lodata, osannata, complimentata...la più brava in tutto. Anche quando sbagli sei sempre migliore di me. Tu cadi e hai trentamila mani che si tendono ad aiutarti ad alzarti, quando cado io no, lo faccio da solo, senza l'aiuto di nessuno."
"Io sono forte" ribatté Alice, stordita "non ho bisogno di aiuto per alzarmi"
Frank chiuse gli occhi. Possibile non capisse? "Ma, in caso, avresti le mani a cui affidarti." Sospirò "io no. Sono un Tassofrasso, un debole, qualcuno che non é importante. Nessuno mi calcola. Nessuno crede in me, nessuno pensa che possa diventare qualcosa, nessuno ha delle aspettative su di me..." La fissò, stringendo le labbra in una linea sottile "tu si. Tutti. Sempre.
I tuoi amici, mamma, papà, Albus..." Sentii la rabbia montarlo di nuovo, e l'odio gli si riaccese nella voce "qualsiasi cosa tu faccia é giusta." Sibilò contro di lei, che sembrava sempre più confusa "Qualsiasi cosa tu faccia sei brava.
Qualsiasi cosa tu faccia sei migliore di me. Mamma e papà ti fanno sempre i complimenti.
Quando però lo faccio io è naturale, qualcosa di passaggio. Non mi viene data la stessa considerazione che invece viene data a te-"
"Frank é stupido!" Lo interruppe lei, urlando "non sono motivi buoni per odiarmi!"
Frank fissò gli occhi su di lei. Alice lo guardava sconvolta, come se non si aspettasse di ricevere quelle parole, quella dichiarazione d'odio tanto marcata e palese. Beh, cosa si era immaginata? Che le avrei dato dei fiori e ci saremmo riappacificati?"E..." Frank sputò. Sentiva il volto in fiamme. "Sono gay"
Ci mise un secondo a rendersi conto di cosa aveva detto. E quando ciò avvenne, il mondo gli cadde addosso.
Oh Merlino. Aveva appena rivelato i suoi sospetti a qualcuno. Li aveva resi reali con quelle semplici due parole, aveva accettato la remota possibilità che, forse, non era normale come i suoi amici. Aveva messo in mano a qualcuno che non era lui i suoi pensieri più stretti e privati.
Aveva dato a Alice l'ennesimo pretesto per batterlo.
No, non era vero. Frank scosse la testa. Ovvio non fosse vero. Lui non era gay.
Provava davvero di convincersi della cosa.
Non poteva essere gay. Lui non...
Avrebbe deluso ancora di più suo padre. Alice sarebbe stato migliore di lui un ennesima volta. E Frank non poteva permetterlo.
Non poteva letteralmente sopportarlo.
"Frank..." Lo chiamò Alice. Lui la fissò.
Vide i suoi occhi prima un alone confuso, poi la comprensione si fece spazio nelle sue iridi come un raggio di sole che fende un cielo nuvoloso, disegnando una striscia gialla nel manto tappezzato di grigio. Li sgranò, mentre pensava a cosa il significato di quelle parole appena dette da lui implicasse.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Frank la anticipò
"Fa finta che non abbia detto niente" disse. Era stato uno stupido, un tremendo coglione. Aveva detto una cazzata di quelle proporzioni a qualcuno! A Alice, per di più, che con alte probabilità non avrebbe fatto altro che prenderlo in giro, e dimostrare ancora di essere più brava e meritevole di lui.
Doveva rimediare al suo errore.
E poi ora stava dicendo la verità! "Non é vero. Me lo sono appena inventato" disse. Sì, era così. Lui non era gay.
"Frank!" Alice non sembrava convinta. Lo guardò con insistenza, impaziente, e fece per aggiungere altro.
Frank seppe che le parole prossime non gli avrebbero fatto piacere. Non le voleva sentire.
"Non é vero." Disse "Non ho detto niente."
"Ma lo hai fatto" obiettò Alice.
Lui scosse la testa con forza "Fa finta che non abbia detto niente"
"Frank..."
"É meglio così. Era una bugia"
"Ma se é quello che sei-"
"Alice" il tono di Frank era glaciale, non ammeteva repliche. La fissò dritto negli occhi "Fallo"
Poi si voltò e uscii dal Dormitorio, lasciandosi un Alice perplessa e silenziosa come non era mai stata in diciassette anni di vita.

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