Ron prese la telecamera, e si immerse nel ricordo più doloroso di sua moglie.
L'ultimo.
Vide lui e Hermione che scherzavano al banco della cucina, Rose seduta sul seggiolone davanti a loro che li fissava confusa. La telecamera che riprendeva tutto dal bancone sotto la finestra della cucina, Grattastinchi che gli grattava la gamba, Hermione che diceva di star bene, e Ron che ripeteva e le domandava se fosse sicura di star bene. Hermione che aveva le contrazioni...
Il video si interrompeva dopo che Ron aveva evocato il suo Patronus, e lui e Hermione erano usciti dalla stanza della cucina, ma anche senza prove visive ricordare era stato doloroso.
La memoria, quella cosa che lo feriva ma dalla quale non riusciva a staccarsi, era bastato a fargli rivivere tutto, dettagliato e vivido come solo pochi erano dentro la mente di Ron.
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Ron sospirò, scrutando burbero fuori dalla sua finestra della camera matrimoniale. Erano passate un paio di settimane da quel giorno, quello dove aveva incontrato Pansy al cimitero e aveva deciso, per quale strana ragione, di rivangare il giorno più brutto della sua vita. Ora, marzo si affacciava fuori dalla sua casa, i venti gelido ma lievemente più caldi se confrontati con quelli di appena un mese prima, imperversavano contro le pareti facendole tremare.
Ron scosse la testa e si allontanò bruscamente dalla finestra. Non aveva più incontrato Pansy da quando si erano lasciati tanto bruscamente alle tombe di Blaise e Hermione e, sorprendentemente, Ron se ne dispiaceva. In qualche modo gli era sempre piaciuto incontrare Pansy, stare con lei e lanciarsi qualche frecciatina. Gli sembrava di tornare ai tempi di scuola, quando tutti stavano bene e non c'era niente di cui preoccuparsi, quando la cosa più grave erano gli insulti di Malfoy o perdere a una partita di Quiddich, e l'unica cosa che importava era guadagnare punti per la propria Casa e battere le altre. Era letteralmente passato un secolo da allora, e molte cose erano cambiate, quindi era sempre un po' piacevole ricordare o ricrearle, anche se non riguardavano proprio i migliori eventi successi all'epoca d'oro dell'adolescenza.
E in più era un ottimo modo per non pensare costantemente a ciò che aveva perso.
Ron sospirò, ancora. Lanciò un ultimo sguardo alla sua camera in disordine - per essere più precisi, il suo lato era in disordine, mentre quello di Hermione era rimasto intaccato e sgombro, candido come l'ultima volta che la donna vi si era seduta sopra - afferrò il suo giacchetto, un buco nero contro il verde della coperta, e uscii. Percorse il corridoio, passando anche davanti alla camera di sua figlia. Arrivato a quella altezza si fermò, lanciando una breve occhiata al suo interno.
Il letto era ancora spoglio, e la totale assenza del baule era come un buco nella stanza rosa della ragazza. Su qualsiasi cosa - pavimento, il comodino dei vestiti, l'armadio sul lato opposto del letto, gli scaffali sotto la finestra e perfino il vetro di questa - si estendeva un piccolo strato di polvere che colorava tutto di un tenue grigio. Ron aveva provato a toglierlo con qualche incantesimo, ma non era riuscito a mandarlo via. E poi, quando voleva riportare - come ora - non aveva tempo, e rimandava l'impresa al giorno dopo, sperando dentro di sé che non si ritrovasse a giugno a dover pulire la camera di sua figlia quando lei era già tornata. Lei aveva sempre fatto tutto da sola, pulire la sua camera e quella del fratello.
Per una volta, Ron voleva farle una sorpresa. Un favore che l'avrebbe aiutata.
Ma non voleva partite con questo pretesto e poi non realizzarlo, magari arrivando alla fine del mese e avendo rimandato quell'opera una trentina di volte.
Se se lo prefissava, lo avrebbe fatto.
Era stato uno degli insegnamenti di Hermione che gli era rimasto più in testa. Prefissare degli obbiettivi e fare qualsiasi cosa purché questi venissero realizzati. Determinazione gli aveva sempre detto Hermione, rispondendo alle domande implicite che lui le poneva con le occhiate apprensive quando lei tornava a casa esausta, eppure continuava il suo lavoro, perennemente, andando a dormire anche molto tardi.
Ron l'aspettava sveglio. Sempre.
Ma quel tempo ormai era passato. Non c'era più. Niente. Fine. Puf.
Hermione era morta, e niente l'avrebbe riportata indietro. La felicità poteva tornare, però, anche se senza Hermione era difficile...ma Ron dubitava che fosse impossibile.
Con un sospiro rassegnato scosse la testa, poi proseguii per il corridoio.
Quando arrivò al bagno lanciò un occhiata a l'estensione del corridoio, che continuava con la solita copertura rossa come una scia di fuoco fino a perdersi nel buio. Sapeva che lì, da qualche parte in quella oscurità, c'era la camera di Hugo.
L'aveva scelta Hermione qualche mese dopo aver scoperto fosse incorna. Ron aveva scelto quella di Rose, quindi era stato ben contento di lasciare a Hermione la possibilità di localizzare la camera del secondogenito.
Ron voltò le spalle al bagno e scese le scale. Avevano già riniziato a scrichiolare, ma meno delle volte precedenti. Il suo incantesimo di manutenzione era servito.
Si infilò il mantello-giacchetto e andò alla porta. Quel giorno era di servizio dagli Aurur, insieme a Harry, (come capo Harry) e dovevano pattugliare delle strade per lavoro.
In teoria doveva andare insieme al suo migliore amico al Ministero, ma, visto il non tanto sconvolgente ritardo con il quale si era preparato, dubitava che lui lo avesse aspettato. Lì era il capo, doveva essere lì prima di tutti.
Non poteva permettersi ritardi.
Invece, con somma sorpresa di Ron, quando questo aprii la porta di casa, Harry era sull'uscio, una espressione vagamente scocciata in volto. Non allena sentii lo scatto della serratura, alzò gli occhi e incontrò quello di Ron.
Ron lasciò cadere la mascella. "Credevo te ne fossi già andato"
Harry inarcò un soppracciglio con fare perplesso "no. Dovevano andare insieme e andremo insieme. E poi non sei così in ritardo"
"Quanto?"
Harry lanciò un occhiata all'orologio che aveva al polso. Era di uno zio di Ron, uno che lui non aveva mai conosciuto. "Siamo in perfetto orario" rispose Harry, ficcandosi la mano in tasca.
Ron, che ancora non ci credeva, lo guardò sgranando gli occhi. "Sul serio?"
"Già. Anche io mi chiedo come sia possibile"
"Spiritoso..."
"Neache tu ci credevi, Ron..." Obbiettò Harry, sorridendo. Ron alzò gli occhi al cielo, poi gli porse un braccio.
Sentii le dita del suo amico stringersi intorno al gomito e fare una leggere pressione, poi venne trascinato dall'interno. Inghiottì aria e, prima che potesse davvero rendersi conto del fatto che fosse come essere fatti passare in un tubo piccolo a posta, i suoi piedi cozzarono di nuovo con il pavimento.
Ron si rizzò dritto senza problemi. Ormai, dopo tutti quegli anni, era abituato a quegli atterraggi, e non cadeva nemmeno più.
Non si era neanche più spaccato.
"Bene" Harry, perfettamente a suo agio come lui, si raddrizzò la veste nera che portava. Ron si tolse la giacca, posandola nell'affollato atrio del Ministero.
I camini, allineati sulle pareti dell'entrata come biglie dorate, facevano sbucare sempre e a intervalli regolari nuovi maghi vestiti in abiti formale che si disperdevano nella grande piazza che si apriva davanti a loro. La statua al centro di essa non raffigurava più un mago e una strega che venivano guardati adoranti da un Elfo Domestico, un goblin e un centauro - merito dei cambiamenti di Hermione quando era in vita - ma erano semplicemente queste cinque figure, rappresentati di un po' tutti i membri della comunità magica, schierati uno accanto a l'altro con eguale importanza. In più, sempre per volontà di Hermione, dopo la seconda Guerra Magica era stata aggiunta un altra creatura magica, che per Ron aveva sempre avuto un non so che di famigliare.
Un licantropo, e la sua aria gentile e paziente gli ricordava incredibilmen-te il suo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure del terzo anno.
Remus Lupin.
"Gli somiglia tanto, vero?" Chiese Harry. Aveva seguito il suo sguardo, e anche lui puntava gli occhi sul licantropo "é davvero uguale"
"Troppo" si accordò Ron.
Harry gli rivolse un occhiata, poi sospirò e si mise a camminare velocemente. Ron impiegò un attimo di tempo per raggiungerlo, affiancandolo in poche lunghe falciate - un pregio di essere l'amico alto del gruppo.
"Hai già qualche direttiva o idea per il lavoro di oggi?" Gli chiese Ron, solo per interrompere quell'innaturale silenzio che si era creato fra loro. Ron sapeva cosa significava, e sapeva che lo faceva soffrire.
Era quando entrambi pensavano a Hermione.
"No" ripose Harry troppo frettolosamente, e ciò fu la prova più lampante che fosse cascato dalle nuvole. Ron lo aveva riportato bruscamente alla realtà, visto che probabilmente si era perso nei suoi pensieri su Hermione.
Di nuovo, Ron si chiese cosa avesse provato alla morte di Hermione. Loro due erano migliori amici, e Ron da ragazzo aveva sempre creduto ci fosse qualcosa di più...
La morte di lei non doveva essere stata facile da superare, sopprattutto dopo che Harry aveva visto morire davanti ai suoi occhi tutte le persone che amava di più.
Ma così era stato, e Ron non poteva farci assolutamente niente. Piangere e tenere il muso per qualcosa successa più di un decennio fa non era costruttivo, e nemmeno l'autocommiserazione.
Harry svoltò un angolo, e Ron lo seguì. Aprii una porta con un colpo ben assestato della mano e si ritrovarono dentro una Sala dal soffitto alto, tempestato di bacchette che prendevano come stalammiti. Era circolare, e sulle pareti erano appoggiate delle panche curvate, che seguivano esattamente la circonferenza del muro. Sopra di esse, contro quasi tutte le regole che disciplinavano quell'aria del Ministero, vi era già seduto in ragazzo, la schiena appoggiata al muro e le mani avvinghiate a un bloc notes sulle ginocchia. I capelli da topo, di un leggero biondo, e la statura esile nonostante avesse poco meno di Harry e Ron, lasciava pochi dubbi su chi potesse essere.
"Dennis!" Esclamò Harry, forse troppo sorpreso di vederlo là per essere realmente arrabbiato. E poi era difficile sgridare Dennis Canon, che, nonostante l'età avanzata, continuava a preservare quell'aura di dolcezza e bontà che lo aveva circondato da ragazzino.
Ron sospirò guardandolo, poi scosse la testa e chiuse la porta dietro di lui. Il tonfo rimbombò fra le mura chiuse, riproponendosi come un eco sospetto e inquetante.
"Capitano Harry" Dennis saltò sull'attenti con un unica mossa, quasi fosse passato dal stare seduto a l'essere in piedi in meno di un secondo.
Harry fece un cenno alla sua posizione rigida. Marciò verso di lui sbuffando "ti abbiamo già detto, più o meno da una ventina d'anni, che é severamente proibito entrare della camera Aurur se non c'è il responsabile o il capitano in carica.
E tu puntualmente sei qui. Ti devo licenziare per farti capire che, con me, questi scherzi non si fanno?"
"No signore" ripose lui mortificato, poi tornò a sedere, mogio.
Harry sbuffò, poi andò nella cattedra che spiccava sulla parete nord e vi si sedette dietro, la testa fra le mani per la disperazione e davanti degli appunti. Ron gli rivolse uno sguardo di supporto, poi si sedette accanto a Dennis.
Il ragazzo fece saettare immediatamente gli occhi verso di lui.
"Come mai lei invece viene con il capo?"
Ron lo fissò sorpreso, ammirando l'assenza di peli sulla lingua da parte del ragazzo. Normalmente, a chiunque gli rivolgesse la parola a quell'ora del mattino, poteva benissimo considerarsi morto, visto che Ron era solito montare di rabbia e rispondere con una qualche battuta sprezzate o qualcosa di acido. Non aveva voglia di parlare la mattina, special modo con nei novellini che credevano lui fosse raccomandando o accreditato.
Insomma, era solito rispondere tanto male a domande del genere che considerava un miracolo il fatto che nessuno lo avesse ancora affatturato.
Ma quel giorno non ne era in vena.
Alzò piano un angolo della bocca, poi guardò la figura di Harry ancora stesa su quelle scartoffie. Sembrava più basso del solito "perché siamo amici.
I migliori"
C'era qualcosa di tremendamente famigliare in quella situazione.
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Ron tornò in casa esausto. Si chiuse con un gemito la porta alle spalle, e, sbuffando, si strappò via il giacchetto nero e lo gettò con poco garbo sul pavimento. Poi fece due passi e si gettò sul divano.
La giornata intensiva di lavoro lo aveva davvero distrutto. Avevano passato tutto il tempo a girare a vuoto, bacchetta alla mano, pronti a lanciare contro qualsiasi essere vivente che facesse un movimento brusco o sospetto uno schiantesimo.
Avevano pattugliato tutta Diagon Allen, poi erano andati al Ghirigoro, ai pressi di Hogwarts e nella Londra Babbana. E il tutto senza pause.
Oltre che sfiancante, era stato anche noioso e inutile. Come si voleva dimostrare, non avevano trovato nessun cattivo appostato dentro i Bar, d nessun fedele a Voldemort aveva fatto capolino sulla loro strada.
Una noia mortale, insomma. E non era nemmeno servito a qualcosa!
L'unica cosa interessante era stato un incontro con Dean Tomas, un vecchio compagno di Casa di Harry e Ron, che aveva detto che suo figlio aveva conquistato la figlia di Seamus Finnigan.
Ron e Harry gli avevano fatto le congratulazioni, e l'altro se ne era uscito con un altro paio per Harry.
Harry lo aveva guardato confuso. "Perché le fai anche a me? Mi sono perso qualcosa?"
Un po' imbarazzato, Dean aveva risposto "oh beh, tuo figlio si é fidanzato con l'altra figlia di Seamus.
Mentre Lily si é accalappiata lo Scamander"
"Non usare quel verbo" aveva detto Ron facendo una smorfia.
Dean non aveva risposto. "E Sam Wood, la figlia di Lavanda - Ve la ricordate? La tua fidanzata a Hogwarts, Ron"
"Sí Dean" Ron fece un altra smorfia "c'è la ricordiamo"
"e Oliver si é fidanzata con visto nipote" completò Dean.
"Quale?"
"Fred II"
"Ah" commentò Ron, senza troppo entusiasmo "Angelina ne sarà contenta"
Dean e Harry erano rimasti a parlare un altro po', mentre Ron si perdeva nei suoi pensieri. Lui non sapeva niente di Rose e Hugo.
I due figli non gli scrivevano mai niente. Non che lui potesse biasimarli, certo, era stato Ron stesso ad allontanarli, ma gli dispiaceva non essere aggiornato sulle vicende dei suoi figli.
Dubitava che Rose e Hugo me avrebbero mai parlato con lui di loro spontanea volontà. Quindi, sebbene non fosse l'atmosfera o la situazione che Ron avrebbe voluto, preferiva che fosse Dean a dirgli gli sviluppi sulla vita dei suoi figli, piuttosto che rimanerne all'oscuro.
Così aveva chiesto a Dean se sapesse anche qualcosa su i piccoli Weasley.
Dean, leggermente a disagio, aveva scosso la testa, dicendo che suo figlio non era legato né con l'uno né con l'altro, e che quindi non sapeva gran che.
E Ron aveva sorriso, nonostante si era sentito morto dentro.
Così la discussione si era chiusa, e tutti e tre si erano divisi. Ron era tornato immediatamente a casa sua, non avevano niente di meglio da fare.
Certo, non c'era nessuno ad aspettarlo, ma la prospettiva di andare con la squadra a bere qualcosa gli aveva messo una nostalgia addosso, un certo di amaro, come quando dopo un buon boccone di torta c'è un retrogusto di cannella - che Ron, per inciso, odiava.
E infatti ora era a casa, sdraiato sul diventando cercando di recuperare le forze, con la mente che affollava di ricordi di Hermione. E ci sarebbe rimasto volentieri.
Era in procinto di addormentarsi, dolcemente cullato dalla voce di Hermione che narrava una qualche vittoria avuta durante una causa che Ron non ricordava bene, quando un insistente e continuo moto di colpi alla morta lo fece ridestare.
Ron, sbadigliando, scattò a sedere, facendosi anche male al collo per la velocità del gesto. Si mise composto, impegnando qualche secondo per collegare quel rumore a qualcuno che bussava alla sua porta.
Corrugò le soppracciglia, perplesso e si alzò. Avanzò piano verso la porta, mentre a ogni passo si risvegliava sempre di più, come se qualcuno lo rinvigorisse delle energie che il lavoro gli aveva prosciugato.
Ora, con i sensi all'erta e completamente sveglio, riusciva a capire più cose.
In primis, si domandò chi miseriaccia stesse bussando. Non era certo un segreto che dopo la morte di sua moglie si fosse chiuso in se stesso, esiliandosi dal resto. Di conseguenza, le visite erano diventate via via sempre più sporadiche, fino a limitarsi solo per il compleanno di Rose. Poi erano svanite completamente quando lei era andata a Hogwarts. E Ron ne era stato felice fino a qualche giorno prima, mentre ora sentiva la mancava di quei pomeriggi passati con gli amici.
Ma, ugualmente, ciò non spiegava chi stesse bussando con tale forza e sbadataggine alla sua porta.
Sì, le visite avevano iniziato a mandargli, ma non era stupido.
La cosa era molto sospetta.
In secondo luogo si rese conto che il bussare non era continuo e costante, come invece gli era parso a prima occhiata. No, era a intervalli sregolati, come se la persona dall'altra parte non riuscisse nemmeno a prendere un numero di battiti al secondo e a farlo rimanere costante.
Ron, circospetto, si poggiò al legno della porta. Lui non aveva uno spioncino, e quindi ogni volta che la porta si apriva avrebbe potuto benissimo saltargli alla gola un pazzo maniaco che non era stato identificato da un occhiata con ancora la lieve protezione fornita dalla porta chiusa in atto.
Beh, era una considerazione che faceva solo adesso, quando quel pericolo era più concreto che mai.
Miseriaccia. Ho fatto vivere i miei figli con questa possibilità tanto alta e che si può evitare facilmente per tutto questo tempo? Sono uno stupido.
Ron scosse la testa. Si spalmò ancora sulla porta in legno. "Chi é?" Domandò piano, cercando di non destare sospetti.
Da dietro, ricevette una risposta tanto biascicata da non riuscire a capirla.
Ron ebbe un attimo di perplessità, e ci mise qualche secondo per collegare tutto.
Poi capì. Conosceva troppo bene quel tipo di biascico per non riconoscerlo.
Lo aveva avuto lui stesso più volte.
Sospirò e aprii la porta, mettendosi dietro essa, attaccato al muro - poteva nessuno trattarsi di una finta. Meglio essere sempre preparati a tutto.
Come si aspettava, una figura nera si spalmò come una striscia scura davanti a lui, sul pavimento. Era snella, alta, e portava ai piedi due scarpe con il tacco.
Ron la guardò incredulo "Pansy? Ma che ci fai qui?"
La donna, ancora stesa a terra, mugonò qualcosa di incomprensibile.
"Eh?" Ron spinse la porta con un calcio e quella si chiuse. Osservò Pansy, abbattuta sul pavimento come un onda abbattuta sugli scogli. Che non stesse bene era abbastanza evidente, e Ron pensava che fosse proprio senza cuore - perfino per lui - cacciarla via così, di punto in bianco.
Doveva darle una mano. Sarebbe stato moralmente sbagliato il contrario.
E poi stranamente era in vena di favori, quel giorno. In special modo...
"Pansy?" Piano, Ron si chinò accanto a lei. Si mantenne a distanza, conscio di cosa una persona con enormi quantità di alcol in corpo potesse fare.
Lei non si mosse. Era tanto immobile che a Ron si gelò il sangue nelle vene pensando che probabilmente era morta.
"Mm...Bla-Heee-" Pansy mormorò qualcosa, che sembrava troppo confuso - troppo confuso - per essere davvero il frutto di un pensiero complesso. "Mmm" si girò, schiena a terra, e le luci un po' deboli della casa di Ron le illuminarono il viso, guizzando sulla sua pelle come carezze dorate. I suoi occhi neri incontrarono quelli di Ron.
Il contrasto fra quanto le iridi fossero scure e la pelle chiara lasciò un attimo Ron perplesso, come se si fosse trovato al cospetto di qualcosa di decisamente più bello rispetto a quello che era in realtà.
Rimase a fissarla a bocca aperta.
Pansy, d'altro canto, non sembrava troppo propensa a fare qualcosa che non fosse ricopiarlo. Lo guardava, i grandi occhi neri come due pozzi senza fondo, e le labbra che si arrivavano per articolare parole che non pronunciava. Alla fine scoccò le lingua al palato, e quel suono ridestò Ron.
Lui si tirò su all'improvviso, come se lei lo avesse scottato. E, come se se la fosse trascinata dietro in qualche modo, Pansy seguì il suo movimento, arrivando a mettersi in ginocchio.
Ron la guardò con tanto d'occhi.
"Stai scherzando, vero?"
"No" Pansy lo guardò male, facendo il broncio, e incrociò le braccia al petto.
Poi girò la testa di lato e, per qualche strana ragione, prese a ridere istericamente.
"Pansy!" Ron le sbatté una mano sulla spalla "Pansy!" La chiamò ancora, ma quella non smetteva di ridere.
Ron sbuffò. Si passò una mano fra i capelli, facendo girare lo sguardo per il salotto. C'era il camino, con poche foto e alcune anche molto distrutte, e niente che si rivelasse davvero utile a quella situazione. Ron la guardò di nuovo, ora che le risa si erano placate. Pansy si guardava attorno, curiosa come una bambina dentro una gelateria.
Ron sbuffò. Adesso iniziava seriamente a pentirsi di averla presa in casa.
Pansy, piano, iniziò a cercare di alzarsi. Mise le mani a terra, provando a restare in equilibrio sui trampoli neri. Ron, prevedendo con un flesh come sarebbe finito il tentativo, si chinò, afferrandola per le braccia. Fece per tirarla su, ma lei iniziò a urlare.
"Lasciami"
"Pansy!" Ron cercava di tenerla, ma lei sembrava una anguilla fra le sue braccia.
"Lasciami ho detto!" Ribadì Pansy con voce strascicata. Ron la prese per sotto le ascelle e, con uno sforzo non da poco, la rimise in piedi.
Erano attaccati, Pansy che si poggiava completamente a lui, il corpo perfettamente adagiato sul suo. Le gambe le tremavano e probabilmente se Ron avesse lasciato la prese avrebbero ceduto sotto il peso del corpo. Ron le passò le braccia dietro la schiena, poco sopra il sedere, e la strinse a sé per tenerla meglio.
Il contatto fece sussultare Pansy, probabilmente non avvezza a essere circondata con le braccia. Sobbalzò, e, come stordita, alzò il viso verso quello di Ron.
Per qualche strana ragione, incontrare quegli occhi scuri - così simili eppure così diverse da quelle di Hermione - lo fece perdere la concentrazione. Si sentii come sospeso dal vento, sopra il dirupo di un baratro. Barcollò preda delle vertigini e si sbilanciò, cadendo all'indietro. Piombò sul pavimento con un tonfo sordo, e Pansy sopra di lui.
Pansy sorrise alla faccia di Ron. Agitò le gambe, guardandosi attorno da sopra al suo petto, le mani ancorate poco sotto il collo. "Ohhh" fece. Alzò ancora le gambe, scalciando "bella questa casa"
"Pansy" Ron stava per soffocare in quella posizione. In più c'era qualcosa di sbagliato "Sei ubriaca?"
Lei rise "ma certo che no, sciocchino."
Ron la afferrò per le mani. "Sì" decretò "sei ubriaca". Si alzò su, costringendo Pansy a fare lo stesso. Poi, fra un tira e molla, Ron la trascinò su per le scale, mentre lei viaggiava a quasi un centimetro dal pavimento, visto che non riusciva a mettersi in piedi in modo decente. Ron la portò fra il corridoio del piano superiore, vicino al bagno. Si guardò intorno.
Di portarla nella camera di Hugo non se ne parlava nemmeno, Ron non sapeva cosa ci fosse dentro il cassetto di quel ragazzino - per quanto lo conosceva poteva essere presente qualsiasi cosa. Mentre in quella di Rosa mancava il copriletto e la coperta, in più era uno spazio personale della sua bambina. Spazio di Rose e nessun altro.
Lo sguardo gli cadde su un altra porta, l'ultima a destra.
La camera matrimoniale sua e di Hermione.
Ron si morse il labbro. Dalla morte di Hermione quella camera era rimasta quasi intoccata, nemmeno i bambini ci entravano se potevano evitarlo.
Col tempo era diventata un nido, un rifugio sicuro in cui nascondersi quando lui voleva perdersi nei ricordi e ferirsi. Una specie di santuario che aveva lasciato esattamente come lo aveva lasciato Hermione, come se non lasciandolo immutato potesse illudersi anche per pochi secondi che Hermione non se ne fosse mai andata, che fosse rimasta sempre lì con lui.
Quella stanza era un suo sacro ricordo.
Ma forse era passato troppo tempo.
Forse bisognava passare oltre quella visione, cambiarla.
Ron sospirò e, presa Pansy fra le braccia, la trasportò nella sua camera.
Aprii piano la porta, entrando di soppiatto. Era buio, la luce che filtrava dalla finestra era troppo debole per poter essere definita tale. I raggi lunari solcavano il davanzale, carezzando la coperta verde e tingendola di un argento chiaro.
Ron, con estrema cura, adagiò Pansy su quella coperta. Era strana, una sagoma nera contro il copriletto smeraldo, eppure ci stava benissimo.
Era poco più alta di Hermione.
Ron le si sedette accanto, già premeditando di prendersi un cuscino e andare a dormire in salotto.
Poi sentii qualcosa sfiorargli il braccio. Si voltò, e si trovò Pansy seduta, abbastanza dritta per essere sbronza, davanti a lui. La luce della luna le illuminava gli occhi dando loro una strana tonalità di marrone, vicina al piombo, poco più chiara del nero naturale. Sembrava che dentro quelle iridi impenetrabili brillasse la vita.
Ron degluttii. "Ti serve qualcosa, un bicchiere d'acqua?"
Lei non rispose. Allungò la mano verso di Ron.
Gli toccò la guancia "sei bello" disse. Si mise più vicina a lui "per certi versi mi ricordi Blaise"
Poi si sporse e fece incrociare le loro labbra.
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In The Name/ Scorose.
FanfictionTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...