Capitolo 67

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Per quando le bruciasse nell'orgoglio, Alice Longbottom doveva ammetterlo a sé stessa: non era mai riuscita ad andare veramente oltre a ciò che le aveva fatto Smith.
Certo, lui se la era passata male, e Neville le era stato accanto rassicurandola e dicendole che non era colpa sua; poi c'era stata Rose, che non l'aveva abbandonata un attimo; Roxanne, che lo aveva fatto uscire tanto nero quasi quanto la sua pelle; e Albus, che non aveva perso tempo a difenderla (involontariamente, il suo cuore fece una piccola capriola).  Aveva persino ripreso a fare il corso di Babbanologia, nonostante trovarsi davanti perennemente quel verme schifoso le faceva venire il volta stomaco. Era comunque un immenso traguardo che andava onorato. Se Alice pensava alle sue coetanee non le veniva in mente nessuna che, dopo ciò che aveva passato lei, avrebbe avuto la faccia di rifarsi vedere in giro.
Probabilmente le altre si sarebbero suicidate. Alice rabbrividì al pensiero.
Però, contando anche la sua forza e la maturità, non poteva certo dire di essere perfettamente a suo agio quanto c'era anche la sua presenza. Per quanto fosse dura ammetterlo, Alice doveva accettarlo: non era mai riuscita a perdonare veramente Smith (e dubitava c'è l'avrebbe mai fatta, ma poco importava: salvare il legame di amicizia non era una sua priorità, non dopo come lui si era rivelato) e di certo non sapeva andare avanti.
Non completamente, almeno.
Nonostante il suo carattere forte, che la caratterizzava fin da piccola, non si credeva ancora capace di affrontare la dura realtà, anche perché lo era. Non aveva raggiunto quella elevazione morale, quel pensiero intrimistico e sognate che la informava di non soffrire più per quella questione. Oh, lei invece soffriva eccome. Anche se non se ne rendeva conto. Era come un bruciore costante, troppo tenue per essere notato, al quale lei, ormai, si era abitata.
Rose una volta le aveva spiegato le ustioni. Nel mondo Babbano erano molto diffuse, e terribilmente famose per la loro gravità, ma in quello magico non venivano considerate più di tanto - Rose le aveva detto che bastava un veloce incantesimo per far rigenerare la pelle, ed era anche abbastanza facile; dai Babbani, al contrario, il percorso di guarigione era molto più lungo e doloroso. Comunque. Rose le aveva detto che esistevano le ustioni di tre gradi:
Primo grado, secondo grado e terzo grado.
Quella di primo grado era la più lieve, la meno grave, insomma, ma terribilmente dolorosa: Rose le aveva detto che si sentiva la pelle staccarsi dalla ossa. Quella di secondo grado era un po' una via di mezzo tra la prima e l'ultima, mentre quella di terzo grado - Alice riusciva ad arrivarci anche ad intuito - era la più grave.
Però non si sentiva niente. Ovvero: era grave proprio perché non ti accorgi che c'era fin che non era troppo tardi. Ti squagliava la pelle senza che tu sentissi niente, come se fossi anestetizzato o pietrificato...
E poi, quando sentivi freddo, ti decidevi a dare un occhiata al tuo corpo. Ma ora era tardi.
Quel freddo era l'abbraccio della morte che, gelida e crudele, lasciava il corpo disteso inerme a terra, la bruciatura evidente sulla pelle, mentre l'anima dello sfortunato era ancora piacevolmente e terribilmente confusa.
Alice sperava che la sua vita non le augurasse mai una fine del genere.
Morta per distrazione. Che destino atroce.
Però lei era così. Non si era resa conto di quanto fosse stata profonda la ferita nella fiducia che Smith le aveva inferto fin quando non era arrivata al punto di non ritorno.
Nel senso: ora si fidava solo di Rose, e appena dei suoi genitori. Nemmeno Frank aveva la prerogativa di potersi vantare di avere qualcosa di tanto raro: suo fratello, alle volte, le metteva una certa inquetudine. E poi il loro rapporto non era dei migliori: Alice aveva la angosciante paura e il comprensibile sospetto che lui, non appena lei avesse abbassato la guarda, l'avrebbe colpita con un fallo.
Forse non lo avrebbe fatto. Forse era troppo leale per abbassarsi a una slealtà del genere. Ma Alice non poteva dirlo: non conosceva abbastanza Frank per poter essere certa di come si sarebbe comportato difronte a una sua debolezza. In barba al loro legame di sangue, Alice si sentiva più propensa a credere che lui l'avrebbe tradita nel momento del bisogno, quando lei meno se lo sarebbe aspettata, che il contrario.
Era una cattiva sorella? Una persona che pensava sempre al peggio?
Probabile - anche se ad Alice non importava come appariva agli altri (preoccupazione che, invece, apparteneva a Rose). Ma era più plausibile che fosse stata tanto delusa dal comportamento umano dal decidere di abbandonare la strada del "ma si, cosa vuoi che sia. Lui non farà niente.".
Alice fece un sorriso triste, di rammarico. Se c'era qualcosa che aveva imparato l'anno prima, era che quando una persona dice che non lo farà mai, si può pur star certi del contrario.
Che invece sí lo farà. E ghignerà mentre osserva il risultato delle sue azioni. Mentre osserva la disperazione che a causato.
Ma, come già detto prima, Alice era - se non totalmente - almeno parzialmente riuscita ad andare avanti. Riconosceva i suoi errori; Non nutriva troppo rancore nei confronti di Smith, non certo abbastanza da pianificare una vendetta che avrebbe potuto farla espellere dalla scuola; aveva riconosciuto i suoi errori e aveva imparato da essi. In un certo senso era anche cresciuta internamente, maturato una conoscenza che le ragazze acquistano più in là più tardi. Effettivamente, avrebbe anche dovuto essere orgogliosa di questo: non era certo un privilegio riservato a tutti.
A lei lo era stato, e, se le sue amiche erano state abbastanza sveglie, lo era stato anche per loro: vedendo l'episodio svolgersi come spettatori, soggetti terzi, da fuori avevano imparato le conseguenze delle azioni.
O almeno Alice sperava così. Non augurava a nessuna di loro di vivere la sua stessa esperienza per acquisire quella nozione fondamentale.
Rose, Padma Finnigan, Sam Wood, Lily Potter, erano tutte ragazze troppo buone e innocenti per meritarsi qualcosa del genere.
Alice scoccò la lingua al palato quasi impercettibile. Non se ne accorse nemmeno. Un lieve fastidio le salii dallo stomaco, che però svanii quasi subito. Non prima che la ragazza ebbe il tempo di pensare che nessuno, vista la storia di Rose e il suo cognome, si sarebbe mai azzardato a torcere anche solo un capello alla sua migliore amica. O forse era per i tanti cugini. Alice non lo sapeva.
Scosse la testa, ritornando ai suoi pensieri.
Tuttavia, Alice doveva riconoscere che non fosse completamente uscita indenne come invece aveva creduto e sperava. Per quanto potesse essere sfrontata, strafottente e forte di carattere non era mai riuscita a lasciarsi alle spalle l'esperienza. Forse aveva bisogno solo di più tempo, ma erano già passati diversi mesi, e lei non aveva concluso niente.
Assolutamente. Non era ancora riuscita ad affrontare Smith.
Aveva continuato le lezioni di Babbanologia nonostante la sua presenza, ma, anche se Smith la ignorava bellatamente, come se non fosse successo assolutamente niente (come se lui non le avesse inferto un trauma) Alice non riusciva a guardarlo.
O meglio: frequentava le lezioni ma, ogni volta che lo vedeva, non riusciva a reprimere l'istinto di voltarsi e scappare a gambe levate. L'aveva anche fatto più volte e, quando riusciva a controllarsi, finiva sempre col nascondersi da qualche parte pur di non vedere la sua testa bionda.
Ma non era questo a preoccuparla.
Quell'istinto non avrebbe nemmeno dovuto esserci. Non avrebbe dovuto esistere.
Lei non avrebbe mai dovuto sapere cosa fosse la paura! Dopotutto era anche una Grifondoro, e non per caso.
Non accettava di credere al fatto che il cappello Parlante l'avesse messa lí solo per errore, o perché era figlia di un Grifondoro - e, su qu sto era abbastanza rassicurata: se fosse stato così, anche Frank avrebbe dovuto finire nella Casa rosso-oro, dei temerari, non quella canarino dei pazienti. E, nemmeno, le sarebbe mai andato giù il fatto che il cappello parlare l'avesse messa lí per le altre qualità della sua Casa - cavalleria? Lealtà? Se il cappello aveva valutato queste cose allora era giunto il momento per lui di andare in pensione.
Ammesso che un oggetto di stoffa privo di vita potesse andare in pensione. O almeno la percepisse.
Alice scosse la testa, osservando il campo da Quiddich davanti a lei. Si strinse di più nel cappottino azzurro che portava - nonostante fosse abituata a il clima rigido e freddo tipico dell'Inghilterra, aveva sempre preferito non sfidare troppo le temperature e non stressare inutilmente il suo corpo - e guardò in su. Nel cielo striato di indaco si agitavano le figure verdi di sette ragazzi, a cavallo delle loro scope che si muovevano fulminei nell'aria, fendendo il vento - che faceva già rabbrividire Alice, e la ragazza a stento immaginava come potesse essere a quelle altezze - e curando abilmente sul manico di legno.
Alice sorrise quando, per una frazione di secondo, i suoi occhi incontrarono quelli di Albus Potter, la prateria brillante che aveva al posto delle iridi.
Albus le restituii un cenno veloce, poi puntò la scopa verso l'alto, salendo nel cielo come una freccia scura, fino a confondere i suoi tratti definiti con il manto compatto e azzurro che lo sovrastava. Alice non si preoccupò: sapeva cosa avesse visto Albus.
Il Boccino d'Oro. Lei era la Cercatrice di Grifondoro, quindi, anche se non si considerava fra le migliori - ma questo non lo avrebbe mai detto a Albus - riusciva comunque a scorgere il luccichio d'oro che ammiccava nel cielo come una terra in vista nel mare. E, da tanto che giocava, lo cercava senza nemmeno rendersene conto.
Alice sentii un pizzichiò sulla guancia destra. Voltò piano gli occhi, e trovò le iridi azzurro-mare di Rose che la scrutavano in modo indecifrabile.
Alice inarcò un sopracciglio.
"Che c'è?"
"Niente" rispose Rose dopo un attimo che l'aveva scrutata attentamente. Le lanciò un ultimo sguardo, prima di riportare gli occhi al cielo cercando il fratello. Alice trattenne un sospiro.
Alle volte Rose era un po' troppo ossessiva nei confronti di Hugo. Si, era preoccupata ed era giusto fosse così, ma doveva anche lasciare al ragazzo la libertà di muoversi liberamente. E poi, se continuava ad addossarsi i pesi degli altri, non avrebbe fatto altro che stressarsi di più.
Molto di più. Probabilmente l'infermiera avrebbe avuto ragione: Rose sarebbe finita di nuovo in Infermeria entro la fine del primo trimestre.
Ma forse la pensava così perché lei non era mai stata preoccupata per Frank o viceversa. Erano sempre stati entrambi un po' felici quando all'altro capitava qualcosa di brutto. E Alice lo aveva capito sopprattutto qualche mese prima, quando lui non aveva fatto altro che rinfacciarle per come si era comportata con Smith. Come se la colpa fosse sua! Si, Alice riconosceva che, se fosse stata un po' più attenta, avrebbe potuto evitare tutto, ma ormai il danno era fatto. Era inutile perderci tempo a rimuginarci sopra - come se lei non lo avesse già fatto abbastanza - e, soprattutto, Frank non doveva permettersi di dirle niente.
Lui non era nella sua testa. Non aveva mai sentito quanto si sentisse sporca e in colpa per la sua ingenuità.
Beh, però nemmeno Hugo si era mai preoccupato per Rose. Sembrava che il legame fraterno e l'amore che alggiava fra i due fosse a senso unico.
E, ovviamente, era solo da Rose per Hugo.
Però lui é andato in infermeria quando lei stava male. La é andato a trovarla.
Alice scacciò il pensiero, che le aveva messo addosso un innaturale tristezza. Portò di nuovo lo sguardo al cielo.
L'allenamento era finito. La squadra di Serpeverde stava scendendo dalle scope. Planava verso terra con la grazia e la stanchezza di falene notturne e letali.
Rose trattenne il respiro e, senza pensare, andò verso di loro - sempre tenendo un profilo basso e cercando di passare inosservata, Alice lo vedeva da come si muoveva, dalla schiena curva della rossa e dal suo sguardo basso.
Aveva ancora paura di cosa gli altri pensassero di lei.
Alice alzò gli occhi al cielo. La sua migliore amica, alle volte, si preoccupava davvero troppo del giudizio altrui. Avrebbe dovuto vivere più serena, senza stare a pensare di andare a genio a tutte le persone della terra. Era qualcosa di matematica impossibile, perfino per loro maghi.
Di certo l'avrebbe stressata di meno.
Alice si incamminò al seguito di Rose, senza la grazia o la discrezione dell'amica. Alzò una mano e, a gran voce, esclamò:
"Ehy, Serpi! Vi allenate anche se sapete che il campionato é nostro? Onorevole, ma é un po' uno spreco di tempo"
Rose si voltò verso di lei con un espressione scandalizzata, mettendosi una mano sul petto. La guardava incredula.
Alice si strinse nelle spalle. "Non posso farci niente" si giustificò "dire la verità é più forte di me"
"Io non penso sia la verità!" Urlò una voce dall'alto.
Alice ebbe appena il tempo di fermarsi che Albus le atterrò di fronte, spavaldo per un Serpeverde, in un esplosione di terra e fango.
Rose urlò per la sorpresa, ma Alice si limitò a incrociare le braccia al petto e a squadrarlo con un sopracciglio inarcato, un aura di vaga superiorità che aleggiava intorno a lei.
Albus sorrise. "Sta attenta. Sai che credere troppo in qualcosa, alla fine, lo rende vano?"
"Penso sia il contrario" Alice sbuffò "se credo in qualcosa si avvererà.
E io sono fermamente sicura che Grifondoro vincerà il campionato, che ti piaccia o meno, Potter"
"Non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso" ribatté Albus e le fece un occhiolino. Alice prese un espressione confusa.
Non aveva mai sentito un detto del genere. Spalancò la bocca per chiedere spiegazioni, ma, in quel momento, un botto e un frusciare di terra la informò che lei e Albus non erano più soli. Beh, non che prima lo fossero, ovvio, ma comunque ora la loro non era più una discussione privata.
Alice alzò scocciata lo sguardo verso la figura alta e snelle che era planata bruscamente accanto a loro. Capelli biondi ordinati perfettamente nonostante avesse appena concluso un allenamento movimentato; occhi di un azzurro scuro e spento, cerulei, mischiati nel grigio e pelle incredibilmente pallida.
Scorpius Malfoy.
"Fossi in te" disse Scorpius con voce strascicata, rivolgendole quello che doveva essere un sorriso, ma sembrava solo una smorfia incolore "non andrei così in giro a vaneggiare una vostra vittoria. É un consiglio intelligente. Quando vi avremo stracciati dovrai sommare l'umiliazione della perdita all'imbarazzo delle bugie"
Alice incrociò più strette le braccia al petto. Lo fissò con il mento alto, fissandolo truce. L'anno prima sarebbe stato più gentile per dirle quelle cose.
"Su che cosa basi ciò, si può sapere?"
Scorpius stirò un ghigno - da vera Serpe - e mise il mento sopra le mani. "Dal fatto che voi siete dei coglioni"
Ecco. Se anche Alice aveva sparato anche solo per un secondo di riavere il ragazzo del quinto anno, si sbagliava: Malfoy aveva ritirato fuori quel tono scocciato e quelle parole offensive giusto per il gusto di ferire.
Albus tirò un pugno al braccio dell'amico, che però si limitò a sbuffare. Era come se non avesse sentito niente.
"Malfoy" disse Alice, sprezzante "vedo che pensi ancora più alla tua capigliatura che ad allenarti con serietà. I tuoi capelli sono impeccabili perfino dopo due ore di intenso allenamento. I miei complimenti.
Devo dedurre che non hai fatto niente?"
Malfoy sorrise ancora. I guanti da Cacciatore che portava erano più spessi alle dita, come se gli andassero stretti.
"Invidiosa?" Tentò con una sfumature indecifrabile negli occhi.
"Affatto" ribatté Alice, piccata e dura.
Rose, in tanto, li aveva raggiunti. Aveva uno sguardo vagamente preoccupato. Guardò Albus.
"Hai visto Hugo?" Chiese. Involontariamente, la sua domanda interruppe lo scambio cagnesco di sguardi che si stava consumando fra Alice e Malfoy. La prima fissò Rose preoccupata, il secondo le riservò solo uno sguardo scocciato.
Albus le sorrise con dolcezza.
"Era venuto agli allenamenti. Sarà nello spogliatoio." La rassicurò.
Rose si morse il labbro, poi annuii.
Albus le mise una mano sulla spalla.
"Non mi é sembrato giù" disse. La sincerità e l'altruismo nella sua voce era palese, e Alice sentii una vaga stretta allo stomaco "vedrai che starà bene."
Alice sentii di nuovo una morsa alla lancia, ma non avrebbe saputo dire il perché. Solo quando intercettò lo sguardo intimo e premuroso - preoccupato - che Albus riservò alla cugina, capii perché provasse tanto fastidio.
Fece una leggera smorfia. Nessuno, a lei, l'avrebbe mai guardata in quel modo. Nessuno si sarebbe mai preoccupata tanto per lei, né, tanto meno, l'avrebbe trattata con i guanti per paura di ferirla. Solo perché aveva un carattere forte e nessun dramma, gli altri credevano che potessero scherzare pesantemente con lei senza conseguenze. Solo perché non vedevano come reagiva alle battute - perché Alice non lo faceva vedere - credevano fosse tutto ok. Tutto normale.
No. Non era normale. Anche lei si scocciava per battute troppo personali o cattive.
A Rose, invece, tutti si fermavano prima di dire qualcosa di troppo. Prima di dire cose che avrebbero potuto urtarla. Perché sapevano che poteva rimanerci male. Ma allora, fra Rose e Alice, cosa cambiava? Erano entrambe ragazze con i sentimenti, ma una quasi tutta la scuola era a conoscenza dei suoi problemi, della seconda a stento si sapeva il nome che non fosse Figlia del Docente di Erbologia.
Alice guardò Rose e fece una smorfia. Alle volte la sua migliore amica la oscurava. Prendeva tutte le attenzioni quando non voleva. Per quanto Alice aveva sviluppato un carattere forte: per farsi notare accanto a quella ragazza che concentrava - involontariamente - tutte le attenzioni su di lei.
E Alice, proprio perché Rose non sfruttava la sua vita, non c'è l'aveva con la migliore amica. Se così fosse stato, dubitava sarebbero mai riuscire a mettere su una amicizia conosciuta e solida come era la loro. Rose annuii, poi scambiò un cenno di saluto e si allontanò. Scorpius fece lo stesso, ma Alice lo vide lanciarle una strana occhiata, quasi curiosa. Si domandò perché lei gli interessasse.
"Comunque" sussurrò Albus, a un centimetro dal suo orecchio. Alice si ritrovò a sobbalzare, non tanto per la sorpresa e la loro vicinanza, ma più per la leggera scia di brividi che era partita per tutto il suo corpo. "La vittoria, il primo, sarà nostra"
Alice si costrinse a mettere a tacere i brividi. Retrò in se, e si avvicinò con la bocca all'orecchio dell'altro.
"Potrà anche essere vero, Potter, ma é solo perché non giocate contro di noi"
"Ma contro i Corvonero. Sono avversari forti"
"Mai quanto noi Grifoni" ribatté Alice, sicura.
Non ne fu certa, ma ebbe coma la sensazione che Albus sorridesse. Sentii il sorriso sulla sua pelle, mentre il calore del ragazzo la scaldava, penetrando come una coperta un po' più affondo di quanto si sarebbe aspettato. Represse un brivido e, con un guizzo misto a stupore e sorpresa, si rese conto che i loro petti di sfioravanano. Quando respirava toccava lievemente con il seno la divisa sudata del ragazzo.
"Ne sembri convinta".
"É la verità. Se domani vincerete, sarà perché non siete contro noi Grifondoro"
Albus le poggiò, delicatamente, una mano sul fianco. Le terminazioni nervose di Alice esplosero, irradiandola come di una scossa. Si chiese se lui potesse sentirla.
"Allora, visto che siamo contro i Corvi, non avrai problema a tifare per noi" disse Albus.
Alice batté le palpebre perplessa. Non si era aspettata qualcosa del genere. Il profumo di Albus le riempiva le narici distraendola, e la sua vicinanza non faceva altro che aumentare la sua confusione. La stretta sui fianco, che si era in po' stretta, non aiutava.
"Cosa?" Boccheggiò Alice. Poi si maledisse mentalmente. Non doveva mostrare a Albus l'effetto che lui le faceva.
"Visto che sei tanto convinta di vincere il campionato" disse Albus senza più sussurarre, e si staccò da lei; Alice sentii la mancanza del suo corpo caldo "non avrai problemi a sperare che vinceremo noi"
La stava fissando negli occhi. C'era un intensità in quelle iridi smeraldo e nel sorriso mozzafiato che le toglieva il fiato. O forse era la stretta sul fianco.
Alice si ridestò all'improvviso.
"Ho un onore" disse, incrociando le braccia al petto; Albus non staccò la mano da lei "non mi abbasserò mai a questo livello"
"Oh" disse Albus. Il suo sorriso si trasformò in un ghigno giocoso e, prima che Alice avesse il tempo di chiedersi il perché, lui, con uno scatto veloce, si era tolto la sua sciarpa, e l'aveva legata al suo corpo attirandola verso di lui. Il viso di Alice era a meno di qualche millimetro da quello di Albus. Se si fosse sporta un po' sarebbe riuscita a baciarlo.
"Albus" Alice ora era seria. Non gli piaceva lo sguardo con il quale lui la guardava. Né, tanto meno, l'impossibilità di muoversi. E nemmeno il fatto che fosse più bassa!
Albus non fece niente, continuando a fissarla con quella espressione.
"Al!" Sbottò Alice. Ormai erano soli, nel campo, quindi poteva anche essere più brusca. "Al, toglimi quello schifo di sciarpa!"
"Gentile" commento lui, ridendo.
Alice sbuffò. Guardò Albus e, notando che non aveva intenzione di lasciarla andare, alzò gli occhi al cielo, decidendo di liberarsi da sola.
Poggiò le mani sul petto di lui, e, appena stava per tirarsi via spingendolo, Albus parlò.
"Non sei gentile con la nostra Casa"
Alice alzò lo sguardo. Il tono di Albus l'aveva spiazzata. Non era né giocoso, né offeso. Sembrava serio, ma non per il fatto ormai risaputo che lui fosse contro gli stereotipi sulle Case, cosa che le aveva anche rimproverato più volte.
No...era serio per altri motivi. I suoi occhi verdi avevano preso una sfumatura più che adulta.
Alice non riuscii a muoversi. Le sue mani rimasero attaccate al petto del ragazzo, come se vi fossero attratte.
Sentiva il cuore del ragazzo battere sotto i suoi palmi. Lei si rese conto solo vagamente di avere il respiro accelerato.
Albus le si avvicinò all'improvviso, respirando a poca aria da lei. Alice sentii il suo cuore impazzire, battere contro la gabbia toracica come se volesse uscirne. I suoi respiri si traducevano in nuvolette di fumo nell'aria, che restavano ad aleggiare fra di loro come un sipario incolore.
"Io credo che tiferai per noi, il primo" sussurrò Albus, lasciandola andare.
Alice lo fissò confusa, perfino quando il ragazzo si voltò, la scopa in spalla, e si diresse fischiettando verso gli spogliatoi lei continuò a guardarlo, incredula e attonita. Aveva ancora la sciarpa di Serpeverde legata al collo, che scendeva in ciuffi argentati sulle sue spalle.
Sembrava si fosse messa in prato addosso.
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I giorni successivi passavano lenti e monotoni, e Alice se ne accorse appena. Continuava ad avere come pensiero fisso ciò che era successo al campo da Quiddich con Albus. Il suo sguardo addosso, l'intimità con cui la guardava, la voce seria, le sue mani sul suo petto... Non pensava avesse mai potuto arrendersi così a un ragazzo. E non doveva farlo.
In men che non si dica, era arrivato il giorno della partita. Il primo ottobre. Tutta la scuola si stava dirigendo al campo da Quiddich, e Alice si sedette insieme alla sua squadra sugli spalti riservati ai Grifoni. Da loro venne anche un ragazzo, riccio dagli occhi verdi, che Rose le presentò come Yahn. Alice lo saluto appena. Era distratta dall'entrata in campo dei giocatori. Involontariamente, quando vide Albus, sorrise.
"Bene squadra" disse James, accennando a lei, Rose, Roxanne, Lily, Sam e Fred. Strinse le mani a pugno "é giunto il momento di sperare che Corvonero perda"
"Esatto!" Concordo Fred, mentre gli altri facevano cenni d'assenso.
Anche Alice lo fece. Voleva la perdita dei Corvonero con tutta se stessa.
Sorrise quando James la incitò a abbassare subito i Corvi con cori poco carini, mentre le squadre spiccavano i volo.
E Alice lo fece, ma non per ciò per cui credeva James.
Lei, contro ogni schema logico o strategico, tifava per i Serpeverde.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora