Capitolo 102

53 1 0
                                    

Alice se ne andò a testa alta. Non si accorse né dello sguardo orgoglioso di Albus puntato sulla sua schiena, né di Rose e Scorpius che la guardavano co-me fosse un alieno.
Non se ne rese conto, perché esprime-re la soddisfazione che provava per essere finalmente riuscita ad affrontare Smith, e quindi essere venuta a capo di una sua questione personale - che l'avvicinava sempre di più a chiarirsi con Albus - era quasi impossibile.
Nemmeno lei, se qualcuno le avesse chiesto cosa provasse in quel momento, sarebbe riuscita a spiccica-re due parole per formare una frase di senso compiuto.
Ma non le importava. Le bastava solo sapere di aver rimesso a posto quel pallone gonfiato di Smith e averlo fatto da sola. Senza l'intervento dei suoi amici! Questa si che era una svolta degna di nota.
E sapeva, senza quasi rendersene conto, che Rose, Albus e Roxanne erano fieri di lei. Era una consapevo-lezza data dagli anni di conoscenza, dal fatto di essere cresciuti tanto insieme da essere quasi entrati in simbiosi, aver inglobato le sensazioni e i pensieri degli altri e arrivare quasi a prevederli, prima che qualcuno lo dicesse ad alta voce o avesse il tempo di farlo.
E Alice non poteva essere più felice di così.
Adesso le rimaneva solo una questio-ne, da risolvere. Anche più complica-ta.
Provare a risanare il rapporto con Frank.
Senza accorgersene, Alice storse la bocca al pensiero.
Ecco. Quello le faceva paura.
Non aveva ancora pensato a cosa dirgli per iniziare il discorso. Né a come continuarlo, o a come sarebbe andato a finire.
Non sapeva nemmeno se mai ci sarebbe riuscita.
Però, c'è la doveva fare. Si era promessa di riuscire a risolvere la questione.
E poi suo padre aveva ragione.
Erano fratelli. Non dovevano odiarsi per un non nulla. Dovevano avere un bel rapporto e, se fosse servito, Alice era anche pronta a lavorarci. A perde-re tempo, per provare a risanare le ultime briciole di ciò che li legava.
Provare a costruire quel legame forte che aveva sempre invidiato ai tre fratelli Potter, anche se non se ne era mai resa conto.
Ma Alice lo voleva. E non solo perché aveva detto a suo padre che ci avrebbe provato, con Frank, a cercare di evitare che, una volta cresciuti, i loro scambi di parole sarebbero diventanti così rari da rasentare e alla fine raggiungere il livello di sconosciuto.
Ma lo voleva per lei. Sapeva fosse una cosa giusta.
Grifondoro: coraggiosi, leali, cavallere-schi.
Ecco. Queste erano le doti di Grifon-doro. Coraggio. Lealtà. E cavalleria.
Lealtà.
Se Alice non era leale con i suoi parenti, con l'unica persona che avesse un effettivo legame di sangue con lei, come poteva esserlo con gli amici?
E poi, la lealtà non era prettamente di Grifondoro. Era anche di Tassofrasso.
Questa, credeva Alice, era l'unica cosa che lei e suo fratello avevano in comune.
Entrambi siamo stati Smistati in Case dove la Lealtà fa da fondamento.
Ma nessuno dei due aveva rispettato quella caratteristica.
---------------------------------------------------------
"Allora?" Chiese Albus baldanzoso, andando verso Rose e Scorpius "come vi va la vita?"
Nessuno dei due gli rispose. Albus sbuffò, ma nemmeno l'essere ignorato poteva scalfire la sua euforia che al momento lo aveva colto.
Alice lo aveva affrontato. Davanti a tutta la scuola, per giunta! (in realtà erano appena quindici gli studenti che avevano assistito alla cosa, quindi neanche lontanamente vicini al numero di studenti della scuola, ma Albus credeva che fosse stata una scena tanto epica che, nel giro di appena un ora, tutte le Case ne sarebbero state al corrente. In pratica, a cena, si sarebbe parlato solo e esclusivamente di come Alice Longbottom avesse spaccato in due quello stronzo dello Smith).
Albus scosse la testa, tornando coi  piedi per terra. Né Rose, né Scorpius sembravano essersi ridestati dalla trance che gli aveva colti.
Tipico pensò Albus e sbuffò. Sono sempre stato io il più svelto a riprendermi dalle sorprese.
Poi socchiuse gli occhi, studiandoli meglio. Avevano entrambi una espressione incredula sul volto, e sembrava che non si fossero ancora completamente capacitati di ciò che era appena successo.
Beh, questo Albus se lo aspettava da Rose, che non si sarebbe mai immaginata della furia che poteva tirare fuori Alice; ma di certo la reazione di Scorpius lo spiazzava.
Esattamente, al suo migliore amico, cosa fregava di Alice? Perché Albus vedeva che l'angolo destro della sua bocca era alzato tenuemente, in quel sorriso che Albus aveva imparato a riconoscere come sì, di divertimento, ma con un fondo decisamente più profondo?
E, più che altro, perché accidenti continuava a fissarle la schiena? Si era incantato o cosa?
Albus sperava di sì. Perché se Scorpius avesse guardato tutto volutamente...
"Ma che é successo?" La voce sottile di Rose interruppe il flusso dei suoi pensieri. Lui la guardò e, sorridendo -non riusciva ancora a nascondere quanto la scena di Alice lo avesse sorpreso e colpito (ma aveva sempre saputo che Alice sarebbe stata abbastanza forte da affrontarlo. Era solo questione di tempo) - e le rispose.
"Non hai visto? Alice ne ha date di Santa ragione a Smith"
Rose scosse la testa "sì, ma...perché..."
"Forza Weasley, una frase che non sia a monosillabi, c'è la puoi fare" fece Scorpius scocciato, riprendendosi dallo shock iniziale. Albus gli lanciò un occhiataccia, che il suo amico si premurò di ignorare volutamente.
Evidentemente, l'incredulità stava lentamente svanendo, lasciandolo lucido.
E disinteressato si disse Albus, pro-vando a convincersi che fosse così.
Eppure aveva una strana sensazione.
Scorpius continuava a curare nell'ala direzione dove Alice era scomparse, con uno sguardo che non gli piaceva per niente.
"Io..." Rose lo fissò. Sembrava incerta, indecisa come Albus l'aveva sempre vista. Poi lo sguardo azzurro di lei si posò sulla figura di Scorpius, e qual-cosa cambiò nel suo volto, come se qualcuno avesse cancellato la ruga gentile che le occupava sempre la fronte; gli occhi le si indurirono, forse in un vano tentativo di fulminarlo con lo sguardo. "Io devo andare da Alice" disse. Sorrise a Albus, rivolse una specie di smorfia a Scorpius, poi si tirò la borsa sulla spalla e svanii, imboccando il corridoio dove venti minuti prima Alice era sparita.
Albus la seguì con uno sguardo perplessa, fino a quando la chioma rosso fuoco di lei non svoltò l'angolo.
Guardò Scorpius, le soppracciglia corrugate. "Si più sapere cosa le hai fatto?"
"Perché dovrebbe essere colpa mia?" Ribatté lui, gli occhi un po' sgranati e l'aria vagamente offesa. "Potrebbe anche avere i cazzi suoi"
"O, visto che é stata con te per tutto questo tempo, potresti benissimo essere stato tu a sparare una delle tue solite cazzate e averla offesa" disse calmo Albus. Era un accusa? No, ma alle orecchie di Scorpius dovette suonare come tale.
Il biondo socchiuse appena gli occhi. Un cambiamento impercettibile, quasi invisibile agli occhi di tutti. Ma non per Albus.
Se ne accorse, ma face finta di niente.
Meglio non aggiungere altra legna al fuoco.
"Potrebbe essere lei a essere ipersensibile e a non reggere delle parole che non hanno niente, niente, di offensivo" disse Scorpius, duro.
"Dato e considerato che si sforza tutti i giorni di non essere una cattiva persona, e non far arrabbiare la gente con lei..." Scorpius sbuffò, e Albus seppe di aver perso la sua attenzione.
Alzò gli occhi al cielo, ma non conti-nuò la frase.
Visto che era come parlare al muro, era meglio stare zitto. Almeno rispar-miava fiato.
"Andiamo?" Chiese Scorpius, dopo due minuti buoni di silenzio.
Albus inarcò un soppracciglio.
"In Sala Comune" spiegò l'altro. "Sai..."
Gli lanciò un occhiata eloquente, girandosi in modo esplicito verso la Biblioteca, deserta, alle sue spalle. "Ho la netta impressione che la lezione supplementare di Trasformazione sia finita"
"Oh, wow, che genio. Non lo avrei mai detto, sai?"
"Lo so. Per questo ci sono io a illuminarti su certe faccende" Scorpius gli sorrise, battendogli una mano guantata di grigio sulla spalla "se no, da solo, non ci arriveresti"
Albus gli colpii il braccio. "Abbassa il sarcasmo, non sono in vena"
"Davvero? Nemmeno con la scenata di Alice? Nemmeno ora che la vostra enorme storia di amore si fa più reale e più vicina?"
Albus sbiancò. Gli rivolse uno sguardo sgomentanto, sgranando gli occhi incredulo alle sue orecchie.
Come accidenti faceva Scorpius a saperlo? Lui non aveva detto niente.
Si era guardato bene dal lasciarsi sfuggire qualsiasi cosa. Non perché volesse tenere un segreto con Scorpius, al contrario, semplicemente credeva che fosse meglio tenerlo per sé, e poi Scorpius aveva i cazzi suoi per la testa.
Ma Scorpius lo sapeva. Aveva inteso, intuito dal suo comportamento (che doveva, a questo punto, assolutamen-te cambiare) qualcosa, aveva capito, e Albus si stava arrovvellando il cervello su come ci fosse riuscito. Si era dato dello stupido un paio di volte, un deficente che non riesce nemmeno a non lasciare intendere da come si atteggia...
Poi capì.
Guardò Scorpius, e gli mollò uno scappellotto dietro la nuca.
Scorpius sorpreso, si fece fuggire un verso di dolore, afferrandosi il punto offeso con due mani, e rifilando a Albus uno sguardo più che perplesso.
E incredulo. Albus sorrise vittorioso nel capire di averlo colto alla sprov-vista.
"Non leggermi nel pensiero" affermò Albus, prima di voltarsi e dirigersi a grandi passi verso i sotterranei.
Andare nella Sala Comune, al momen-to, gli sembrava la cosa più giusta da fare.
Un paio di secondi dopo, sentii i passi di Scorpius raggiungerlo.
"Albus?" Lo chiamò a un tratto Scorpius.
"Si?"
"Per caso prima eri impazzito?"
"Probabile"
Scorpius scosse la testa. "Allora i geni pazzi della tua famiglia si stanno facendo strada anche in te e stanno sbucando da ogni dove senza che io me ne renda conto.
Dannazione. Credevo di essermi guadagnato l'unico Wealsey-Potter sano"
"Dubito c'è ne siano" esclamò invece Albus. "Tu...diciamo che hai preso il meno peggio"
"Confortante" borbottò Scorpius. Erano ormai arrivati davanti alla porta della loro Sala Comune, una pietra liscia incastrata nel muro ancora più scuro con la maniglia di serpente che brillava ammiccando sotto le luci delle candele - lì era buio, per illuminare i sotterranei venivano accese verso le cinque nei mesi primaverili, e poco dopo le tre in quelli più freddi.
"Severus Piton" disse Scorpius, e la porta scattò in avanti come se qualcuno l'avesse spinta da dietro.
Albus guardò un attimo il suo migliore amico, poi entrò nella Sala che si apriva davanti a lui come un immensa distesa verde rischiarata dalle tenue luci delle candele sospese per aria.
Vide distrattamente Medelain, la chioma bionda rilasciata morbida sulle spalle sulle quali danzavano le fiamme delle candele; gli occhi verdi, più scuri e meno brillanti di quelli che aveva Albus, erano puntati fuori dalla finestra,persi in chissà quali riflessio-ni dentro le agitate acque del Lago Nero.
Albus corrugò le soppracciglia, guardadola. Se lei era là, allora, probabilmente Hugo non c'era.
Fece girare lo sguardo per tutta la Sala e, a meno che suo cugino non si fosse rintanato nei Dormitori, era uscito dalla Sala Comune.
Scorpius, al suo fianco, non degnò nessuno di uno sguardo. Camminò spedito verso la Sala e si buttò senza garbo su uno dei divanetti smeraldi, spaparanzato come pochissime volte Albus lo aveva visto. Anzi, quasi mai.
Scorpius era sempre stato troppo galante e aristocratico per permettersi di atteggiarsi come un ragazzo di stra-da.
Albus sospirò, chiedendosi per l'enne-sima volta cosa gli fosse successo e perché non ne parlava con lui.
Dal fondo della memoria, come un galleggiante che emerge nel mare, gli tornarono alle mente le immagini di ciò che aveva visto nel suo cassetto.
I fogli bianchi, le scritte piccole e indecifrabili, la sensazione che ci fosse qualcosa di terribilmente sba-gliato in quelle pagine...
Albus scosse la testa. Si sforzò con tutte le forse di rispedire indietro quelle immagini. Scorpius aveva già dato prova di essere un perfetto Legilimets, e Albus non aveva la più piccola intenzione di metterlo al corrente del fatto che lui aveva ficcanasato nelle sue cose. Avrebbe reagito male - esattamente come avrebbe fatto Albus, se la cosa fosse capitata a lui.
Una volta, Scirpius gli aveva spiegato una cosa. Gli aveva detto che leggeva tranquillamente i pensieri attuali, quelli che le persone stavano facendo in quel momento, ma che, se voleva, poteva anche mettersi a scavare nella mente delle persone e ricercare le informazioni che più desiderava.
Ad Albus corse un brivido lungo la schiena. Sperò che Scorpius non lo notasse, mentre si dirigeva tranquillo verso di lui.
Cercava di convincersi che Scorpius non gli avrebbe mai letto nel pensiero in modo approfondito. Sperava che gli anni di amicizia passati insieme gli avessero conferito una fiducia tale che Scorpius non avrebbe mai pensato Albus potesse nascondergli qualcosa e, di conseguenza, non si sarebbe messo a smanettare nella sua testa per trovare delle rispose.
Poi si rese conto che questo era un pensiero attuale, una cosa che lui mai avrebbe dovuto avere su quello argo-mento. Deglutii rumorosamente, cac-ciando indietro i ricordi e concentran-dosi sulla chioma bionda e folta di Medelain Heartquake.
Sperò vivamente che Scorpius non avesse fatto un tempo a leggere quei pochi secondi in cui si era lasciato andare in congetture.
O sarebbe stato tutto molto grave.
---------------------------------------------------------
Il sole, all'alba, era bellissimo. Una palla gialla che sbucava da sopra le fronde degli alberi della Foresta Proibita, faceva capolino timidamente come un grande orsacchiotto con sfumature arancioni, e non era abbastanza acceso da accecare chiunque lo guardasse. Si poteva osservare il sole in tutta la sua magnificenza senza avere danni alla vista, insomma.
Poi tingeva il cielo di colori fantastici, rosso, viola - a ricordo della notte appena passata - giallo, arancio, una specie di mini aurora pronta a occupare il cielo per tanto tempo, e poi lasciarlo andare, svanire come se quei colori fossero stati risucchiati, e permettere all'azzurro intenso di rischiarare il giardino di Hogwarts.
E, se questo spettacolo si osservava dalla Torre di Astronomia, era sempli-cemente fantastico.
E Hugo lo sapeva bene. Era anche per questo che adorava la Torre di Astronomia.
Era mattina presto, domenica, più o meno una settimana dopo che Alice Longbottom aveva preso Smith per il colletto e lo aveva sgridato davanti alla Biblioteca - Hugo lo sapeva perché a cena, come aveva predetto Albus, non si era parlato d'altro.
In qualsiasi altra circostanza, Hugo me sarebbe stato ammirato. Sarebbe stato quasi felice, avrebbe detto la sua conservando però sempre la sua espressione dura.
Ma ora non ne era in vena. Ora non era in vena di fare un bel niente, ed era così dal Natale.
Si sentiva costantemente in colpa per Rose. Lui le aveva tolto una madre. La madre! Nascendo, aveva ucciso l'unica donna che Rose avrebbe mai amato.
Aveva ucciso la sua figura femminile alla quale si sarebbe ispirata, e le aveva tolto ogni possibilità di una vita tranquilla e felice, con un padre che non preferiva uscire a caccia di cattivi e rischiare di non tornare più se non in una bara a stare in famiglia tranquillo e sereno. Perché sì, se Hermione non fosse morta Ron sarebbe rimasto la persona che era prima, solare e divertente.
E Hugo lo sapeva bene. Lui aveva disintegrato quella più piccola possibilità di dare a Rose una vita bella, che avrebbe avuto se non fosse stato per lui.
Era stata colpa sua se sua sorella, la ragazza più gentile che lui conosceva, non aveva ciò che meritava. Ciò che più di qualunque altra persona al mondo meritava.
Continuava a pensare che lei avrebbe dovuto odiarlo per averle portato via la madre, credeva sempre che sua sorella avesse dovuto prenderlo in giro per farlo soffrire, avercela con lui per ciò che aveva fatto quando era ancora in fasce.
Ma non era così. E il fatto che lei fosse sempre gentile con lui, che non lo avesse mai rimproverato, rendeva solo le cose più difficili.
Se Rose lo avesse odiato, sarebbe stato tutto più semplice. Almeno Hugo avrebbe allievato le sue colpe. Se lei se la prendeva con lui, Rose avrebbe scaricato la sua frustrazione su Hugo, e lui sarebbe servito a qualcosa, almeno a farla stare meglio.
Ma non era così. Rose era gentilissima con lui, e Hugo sentiva una fitta al cuore per ogni sorriso o parola dolce che lei gli rivolgeva.
Gli rendeva le cose più dolorose e difficili. Lei doveva odiarlo, e invece era abbastanza matura da non dargli la colpa per ciò che era successo alla loro madre.
Hugo no. Hugo non era abbastanza sveglio per capire che non era colpa sua.
Ci aveva provato, a volte, a ripetersi che era stata una scelta di Hermione quella di continuare con la gravidanza. Quella di morire dandolo alla luce. Ma se ci pensava, se provava a convincersi che non fosse colpa sua...
Si sentiva solo un ingrato. Lui non meritava di vivere la sua vita, non meritava di essere felice, non meritava di avere una sorella come Rose.
E invece aveva tutte e tre le cose. E ciò lo faceva sentire sempre più in colpa.
E poi...recondita, remota e lontana, nutriva una rabbia cieca nei confronti di suo padre. Ron era colpevole quanto lui.
Se Ron...se solo avesse provato a convincerla ad abortire, se solo si fosse impegnato a...
Era anche colpa sua se Rose non aveva ciò che meritava. Almeno, dopo la morte di Hermione, avrebbe potuto conservarsi come era prima, solare e divertente, così Rose avrebbe avuto un briciolo di felicità in più che si meritava, e invece...
Ron era diventato strano. Non si sforzava nemmeno di mettere da parte il suo dolore e cercare di alleviare quello dei figli. Sembrava non gli importasse nemmeno di Rose e Hugo.
Voi avete rovinato tutto.
Pensava solo a se. Come un egoista. Come Hugo.
Hugo scosse la testa, e si sedette sul davanzale della finestra. Dondolò le gambe nel vuoto, mentre la luce si spingeva dentro la torre, facendo brillare i telescopi come come una distesa limpida e azzurra di acqua.
Buttò un occhio di sotto. Il suolo era ancora molto in basso.
Se si fosse buttato sarebbe morto.
Hugo guardò ancora il verde sotto di lui. Strinse le labbra. Morire era l'unico modo per ripagare ai suoi danni.
Hugo sospirò, poi poggiò le mani sul davanzale. Strinse le dita contro il cemento freddo, pensando vagamente a come poteva reagire un Primino alla vista del suo corpo spiaccicato al suolo. La visione gli diede la nausea, e si impose di non pensarci.
Poi prese un profondo respiro, e tirò il bacino avanti. Nel vuoto.
Una luce brillò nelle oltre le sue palpebre. Hugo lanciò una specie di strillo, poi afferrò quanto poteva il cemento con le dita; le mani scivolavano contro il cornicione della finestra, perdendo il loro appoggio; il corpo era in bilico, più nel vuoto che sulla torre, e le braccia stavano gridando di dolore per riuscire a reggerlo; scivolò in avanti, una sardina magra che esce dalla scatoletta e precipita nel piatto, morta; pur di reggersi, puntò i piedi sul muro, mentre la gravità lo spingeva giù e, non seppe nemmeno lui bene come, si tirò su, appoggiando il sedere al davanzale. Ebbe appena il tempo di prendere un sospiro di sollievo, poi si sbilanciò e cadde all'indietro, sbattendo violentemente la schiena contro il pavimento della torre.
A Hugo uscii un gemito strozzato.
Non poteva farlo. Si era quasi dimenticato di quel volto!
I capelli neri, lunghi, raccolti sempre in una crocchia ordinata, gli occhi di un marrone chiaro...
Si era completamente scordato di Scarlen. Lei, quella che gli aveva detto le cose maggiori, quella che lo aveva aiutato, inconsciamente, con le sue indagini per tutta la prima parte dell'anno, che gli aveva spiegato tanto...era stata lei a spiegargli che Hermione sapeva sarebbe morta di parto.
Lei, la persona di cui pensava che si poteva fidare, che invece gli aveva nascosto una cosa. Una cosa critica.
Di vitale importanza.
Quando era andato in Infermeria, il giorno che aveva incontrato Rose, prima delle vacanze di Natale, lo voleva domandare. Voleva chiederle perché avesse omesso un particolare che aveva fatto impazzire Hugo e che, Hugo lo sapeva, se lo sentiva dentro come un presagio oscuro, era importantissimo. Hugo sapeva che quel piccolo dettaglio nascondeva qualcosa di più profondo, più importante.
Ma non sapeva cosa.
Doveva prima capire. Prima di fare un gesto tanto stupido, doveva accertarsi di sapere tutta la verità. C'erano altre domande che non gli tornarono. Altri buchi strani, nella storia, che Hugo faticava a comprendere.
Voleva fare altre domande, chiarire meglio con le risposte che avrebbe ricevuto le dinamiche di cosa fosse successo.
E Scarlen Julep era l'unica ad avere quelle risposte.

In The Name/ Scorose.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora