Capitolo 85

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Quando Albus lesse la lettera sbarrò gli occhi. Dire che fosse preoccupato era un eufemismo.
Lui era terrorizzato. E le lieve righe di inchiostro nero che riempivano il foglio non facevano altro che rimbombargli nella testa con un eco assai inquetante.
Per Salazar. Si era cacciato in un casino poi grande di lui.
Ci mise un po' a riprendersi. Quando la sua mano smise di tremare incontrollabilmente, Albus pensò che, dopotutto, poteva anche rivelarsi una buona idea. Un occasione da cogliere, insomma.
Qualcosa di cui approfittare. Non era poi tanto male, no?
Albus storse la bocca, leggendo di nuovo le quattro parole della lettera.
Il cuore gli balzò in gola.
No, non c'era niente di positivo.
Niente che potesse sfruttare a suo vantaggio.
"Accidenti" borbottò. Sbuffò scuotendo la testa, i ciuffi neri che si agitavano da una parte all'altra come dei serpenti scuri.
Si alzò dal letto, maledicendo sua sorella e le sue idee del cavolo. Diamine. Possibile fosse una ragazzina tanto convinta delle sue opinioni da arrivare a manipolare la realtà? Albus la conosceva da sempre, ma mai si sarebbe aspettato una cosa del genere.
Nessuno, perfino James, mai gli aveva tirato un tiro mancino tanto potente.
Nessuno. E lui era il Potter Serpeverde.
Questo la diceva lunga sulla sfilza di scherzi che si era dovuto subire per via del suo cognome e della strana accoppiata che faceva con lo stemma della sua Casa. Era più o meno per questo che non aveva mai sopportato tutti i pregiudizi e gli stereotipi che o colori a scuola portavano.
Fortunatamente, quando lui veniva preso di mira, Scorpius lo aveva difeso. Sempre. Non lo aveva mai lasciato solo, e, a dir la verità, non lo stava facendo nemmeno adesso, solo che, se prima Albus credeva di essere una sorta di paladino della giustizia con il migliore amico, ora aveva paura che non fosse più tanto così. Che in realtà fosse lui il bullo della situazione.
Pensava che continuare a frequentare Scorpius come amici avrebbe potuto fare passare quel messaggio. E, dopo tutto quello che Albus aveva fatto per riscattare la sua posizione, non se la sentiva di cadere così infondo solo per stare con il suo migliore amico.
Aveva privato a parlargli, ma niente.
Scorpius continuava a perseverare nel suo comportamento orribile, prendeva in giro i primini e rispondeva male ai professori, e non sembrava voler accennare a cambiare.
Anzi, Albus aveva anche la sensazione che presto avrebbe iniziato a offendere anche lui. E Scorpius, se avesse voluto ferirlo, aveva un arsenale pieno di armi che poteva adoperare contro di lui.
Ed era stato Albus a fornigliere, fidandosi di lui. Rendendolo partecipe della sua vita.
Però, ormai Albus lo aveva già deciso, non si sarebbe allontanato da Scorpius. Anche se questo avrebbe distrutto la tanto sudata reputazione che si era fatto, lui non sarebbe andato via dall'unica persona - a parte Rose - che lo aveva accettato immediatamente come Serpeverde.
Non era così stupido. E aveva anche la sensazione che se lui si fosse allontanato, Scorpius sarebbe stato soddisfatto. Gli sembrava che lo scopo del suo migliore amico fosse appunto quello di rimanere solo.
Isolato da tutti.
E Albus non se ne capiva del perché. C'era sicuramente qualcosa che non gli aveva detto, ma non riusciva a capacitarsi di cosa avrebbe mai potuto trattarsi.
Però sapeva che, prima o poi, se lui fosse rimasto a fianco del suo migliore amico, Scorpius lo avrebbe detto.
Si sarebbe aperto con lui. E Albus attendeva solo quel momento.
Per questo non faceva il suo gioco, per questo non gli aveva già votato le spalle, come invece avevano fatto il resto dei Serpeverde.
Albus sapeva ci fosse qualcosa di più serio, dentro, ed era intenzionato a capire cosa.
E non per soddisfare la sua curiosità. Voleva aiutare il suo migliore amico.
Ma ora, aveva problemi un po' più imminenti. Ad esempio, quella dannata lettera che stringeva ancora fra le dita.
"Lily!" Urlò furibondo, precipitandosi fuori dalla sua stanza. Quando la porta scattò in avanti, ci fu un piccolo urto, e per poco Albus non venne rispedito indietro. Cadde a terra, la carta che gli sfuggiva dalla mano.
Trattenne un imprecazione. Si alzò, allungandosi per riprendere la fottutissima lettera di Frank.
La guardò e fece una smorfia. Fantastico. Frank Longbottom gli aveva ufficialmente rovinato la vita.
"Ehy, Serpe, ci sei?" Suo fratello James gli rivolse un occhiata eloquente, la mano ancora appoggiata alla porta della sua camera.
Albus alzò lo sguardo su di lui. "Ovvio" sbuffò "non mi vedi?"
"Sfortunatamente io sono dotato di vista e tu non sei una proiezione della mia mente" replicò l'altro, aprendo completamente la porta e appoggiandosi all'uscio. Inclinò la testa in avanti "dove corri così di fretta?"
E Albus si ricordò di una cosa fondamentale, sotto lo sguardo a metà fra il divertito e lo sgomento di James.
"LILY LUNA POTTER" Urlò sorpassando suo fratello.
Si era ricordato di dover uccidere sua sorella.
Albus piombò in cucina come una furia. Stringeva ancora la lettera fra le dita, e sentiva il volto rosso.
Probabilmente i suoi occhi dardeggiavano. Beh, poteva essere plausibile, visto quanto fosse arrabbiato con sua sorella.
Suo padre alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo. Inarcò un sopracciglio.
"Albus. Cosa é quella faccia?" Chiese con la solita voce calma.
Albus lo guardò brevemente. "Tua figlia" disse, puntando un dito accusatore verso la ragazza, seduta al tavolo con un sorriso beffardo sul volto "ha appena fatto una cosa che se fosse stata fatta da me mi sarei già beccato una sgridata e tre mesi di punizione"
"Albus" disse sua madre, lanciando un occhiata a Lily, che le sorrise in modo angelico "non fare il bambino. Noi non facciamo preferenze."
Da dietro Albus esplose una risata ironica.
"Certo" commentò James sarcastico, entrando in cucina un attimo dopo. Prese gli occhiali, pulendoseli sulla camicia rossa che portava. Harry lo fulmonò con lo sguardo "e io sono Mago Merlino."
"No. Ma sarai in punizione se continui con certi atteggiamenti" replicò Ginny.
James la guardò a occhi sgranati.
"Ma mamma!"
"Non é questo il punto" li interruppe Albus, volenteroso di finire il discorso. Lanciò un occhiataccia a Lily, che sembrava sempre più soddisfatta di sé, e poi guardò suo padre. "Lily ha appena scritto ai Longbottom che - dove devi andare, scusa?" Cambiò il resto della frase all'improvviso, vedendo che suo padre non era vestito con la solita divisa Aurur ma, bensì, in borghese. Albus fece una smorfia. Ormai non era più abituato a vederlo con addosso abiti normali, a meno che non fossero in una zona affollata di babbani. E ciò, quindi, era strano.
L'ultima volta che era stato vestito in borghese a casa era tornato dicendo che Ron aveva tentato il suicidio. Un messaggio abbastanza macabro per un bambino di due anni.
"Mm?" Harry parve sorpreso. Abbassò lo sguardo, come se nemmeno lui si fosse reso conto di non essere in tenuta da lavoro "oh, sì" disse "ho dato la giornata libera a Ron. Ci incontriamo a casa sua" guardò l'orologio al polso e si alzò "precisamente...adesso" sorrise "devo andare"
"Salutamelo" disse Ginny, guardandolo con i grandi occhi castani da sopra la tazza di caffè fumante che occupava tutto il suo volto "e salutami anche Hermione II e Hugo. Alla stazione non mi sono sembrati troppo contenti delle vacanze" aggiunse un po' più sotto voce.
Harry le sorrise. Si chinò, lasciandole un bacio a fior di labbra. "Non ti preoccupare, tesoro. Vedrai che stanno bene"
"Si sì" Lily agitò una mano verso di loro con fare sbrigativo. Aveva uno sguardo a metà fra lo shockato e lo schifato sul volto "adesso va, papà, o temo che rigetterò la mia colazione"
James corrugò le sopracciglia.
"Da quando ti fanno schifo le loro effusioni?" Chiese confuso a Lily, e Albus sorrise vedendo lo sguardo sbarrato della sorella "sei sempre stata una romanticona! Eri perfino tu a chiedere loro cose intime" e accompagnò l'ultima parola con un occhiata molto eloquente.
Lily arrossì fuoriosamente.
"Fatti gli affaracci tuoi" borbottò, tornando alla sua colazione.
James sorrise. "Ohhh, non dirmi che sei cambiata-"
"James. Un altra parola, e ti vieto di fare il capitano della squadra"
"Non puoi farlo, mamma!" Protestò il ragazzo, guardando Ginny, che alzò gli occhi al cielo "Grifondoro ha bisogno di me se no non vinceranno mai!".
"Ehy! Ti ricordi che sono qui" disse Lily guardandolo male.
"E io ti ricordo che saresti una schiappetta se il sottoscritto qui presente non ti avesse allenato personalmente"
"E io ti ricordo, James" disse Harry, alzandosi e dirigendosi verso il camino della cucina "che sono stato io a insegnarti tutto quello che sai sul Quiddich. Fai meno lo spaccone e vedi di ascoltare tua madre"
"Ma non ho fatto niente" ribatté James. Guardò Ginny, prima di continuare "visto? Voi fate favoritismi.
E non c'è bisogno di dire altro"
"Dì addio alla spilla di Capitano" affermò Ginny. Poggiò la tazza di caffè sul tavolo, sotto lo sguardo shocckato di James. "E non dire un altra parola"
"Posso parlare?" Chiese disperato Albus, sentendo che doveva dire cosa avesse fatto Lily prima che suo padre uscisse, in modo che lui potesse sgridarla per bene.
Harry, già dentro il camino, lo fissò invitandolo a continuare. Gli fece un cenno col capo.
"Vai, veloce. Cosa ha fatto Lily?"
"Niente di anormale!" Esclamò la ragazza, offesa.
"Ci crediamo tutti, Lily." Commentò James, roteando gli occhi.
Albus gli ignorò. Guardò suo padre, facendo un passo avanti.
"Ha invitato i Longbottom qui.
E Alice mi odia per qualche motivo oscuro.
Non posso stare con lei"
Ginny prese un sospiro. "Sul serio? Mi hai fatto prendere un colpo per questo?"
"Mamma..."
"Albus Potter. Sei in punizione" sentenziò sua madre.
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La porta della camera matrimoniale si aprii cigolando. L'interno l'accolse come aveva fatto anche la volta precedente, una familiarità emanata da tutti quei mobili rimasti immutati nel giro di quattordici anni tanto palese da metterle i brividi.
Rose cercò di non sussultare, poi si chiuse la porta alle spalle. Il lieve click della serratura la fece sobbalzare nel silenzio immobile della casa, e poi si diede della stupida.
Dannazione. Era una Grifondoro, perché era così fifona? Non avrebbe dovuto provare tutta quella paura solo perché era dentro una stanza.
La sua Casa di appartenenza non lo permetteva. La codardaggine non era uno dei suoi valori.
Il nobile Godric Grifondoro, se l'avesse vista, probabilmente si sarebbe vergognato di averla nella sua Casa. Di averla ricoperta con i colori rosso e oro.
Rose scosse la testa. Da quando prestava tanta attenzione a rispecchiare interamente la sua Casa? Un conto era preoccuparsi di cosa pensasse la gente di lei, e fare delle congetture sul suo comportamento per evitare che potesse suggerire nella testa delle persone cosa sbagliate su di lei, un altro era preoccuparsi di dimostrarsi sempre coraggiosa perché Godric Grifondoro sarebbe stato orgoglioso di lei.
Era solo un modo per perdere tempo.
Entrò nella stanza in modo un po' esitante. Quelle mura le conferivano ancora una strana sensazione, un aura completamente sbagliata che la circondava togliendole il fiato.
Probabilmente era perché sentiva la completa assenza di Hermione. Ma non era solo questo...sembrava proprio che ci fosse un pezzo mancante in quella stanza.
Quel letto sembrava troppo vuoto. Rose si immaginò suo padre dormirci sopra, la figura supina avvolta nelle coperte e la testa rossa che spiccava sulle coperte. Poi spostò gli occhi sulla altra parte, quella che era sempre stata destinata a Hermione. Lo sapeva per dei piccolissimi ricordi dei suoi incubi da bambina, dove andava lí e trovava sempre delle braccia rassicuranti pronta ad avvolgerla - cosa che, però, non avveniva più da tempo.
Quel letto era troppo grande per accogliere solo una persona. Ron doveva sentirsi incredibilmente vuoto e solo quando dormiva - ammesso riuscisse a dormire.
Rose, con un certo sforzo di volontà, distolse gli occhi dal letto. Aveva ancora una vaga paura che suo padre tornasse all'improvviso e la beccasse lì, a ficcare in naso nelle faccende private (che però la riguardavano per diritto di sangue, anche se Ron non aveva mai condiviso niente con lei) e si rendeva conto appena di tenere un orecchio teso e pronto a captare qualsiasi movimento sospetto al piano di sotto, giusto per accorgersi in tempo di un eventuale rincasamento di suo padre e avere un margine di tempo sufficente per voltarsi e scappare via, in fuga verso la sua stanza.
Fra tutte le cose che avrebbero potuto succedere, Rose non avrebbe mai voluto che suo padre la vedesse guardare nella sua stanza, l'unica dove né lei né Hugo avevano mai messo piede più di quanto fosse necessario da quando era morta Hermione. Quella stanza sembrava un  rifugio personale di Ron.
Sarebbe stata come una dichiarazione di inficia nei suoi confronti - anche se Rose ne avrebbe avuti tutti i motivi, non voleva ferire il padre a tal punto.
Nessuno, per quando meschino, si sarebbe meritato di essere ferito a tal punto.
Rose, piano, a passi felpati e tenendo sempre sotto controllo il piano inferiore, si avvicinò al suo comodino.
Nero così sembrava risplendere la luce che filtrava dalla finestra rotta, e lo colpiva come una lancia luminosa che tagliava a metà l'aria.
Sembrava la distesa placida e tranquilla di un fiume che brilla sotto i tenui raggi di un sole pomeridiano...solo che quella continuità nera e liscia non nascondeva dei magnifici abissi punteggiati di bellissime conchiglie, ma bensì un segreto indissolubile, mantenuto tale per troppo tempo.
Rose vi si chinò davanti, poi tirò a sé un cassetto. Quello infondo.
Non dovette rovistare troppo per spostare un paio di carte e far emergere, sotto quelle scartoffie ammuffite dal tempo, la scatola marrone. Sembrava ammiccarle e spronarla a prenderla.
Rose allungò due mani tremanti verso di essa e, piano, la tirò fuori.
Rimase a fissarla senza fare niente, quasi trattenendo il fiato. Improvvisamente aveva l'innaturale e irrazionale di romperla. Le sembrava un oggetto troppo prezioso per essere managgiato da mani inesperte come le sue. E poi non stava troppo bene tra le sue mani, era come un fiocco giallo sopra un vestito verde. Orribile.
Oh che ti prende? Pensò Rose chiudendo gli occhi apri. Guarda cosa c'è dentro e poi va via. Dimenticati di questa cosa.
Quasi spronata dalle sue stesse parole, Rose annuii a sé stessa. Ancora con dita tremanti, girò la videocamera Babbana verso di lei, faticando a riconoscere da dove si accendesse. Fece scorrere le dita sull'apparecchio, aspettando una illuminazione non ben identificata.
Ci mise davvero troppo. Se Alice o Roxanne, entrambe che frequentavano il corso di Babbanologia,  l'avessero vista sarebbero rimaste deluse da lei. Loro lo avrebbero fatto in meno di due secondi.
Ma tanto non ci sono pensò Rose, una sfumatura di astio.
Scosse la testa. Le sue dita incontrarono un laccio di stoffa e lo strapparono tranquillamente.
Eccolo.
Una piccola visiera, un quadrato nero che spiccava sul metallo. C'era un po' di polvere. Rose vi passo sopra la manica della camicia e lo pulii.
Lo schermo nero le rifletteva la sua immagine riflesse, e Rose si concentrò per un paio di secondi a guardarsi. Fece scivolare i suoi occhi azzurri da una parte all'altra del vetro scuro, già conscia del fatto che non avrebbe avuto risultati positivi.
Dopo due minuti, smise di cercare.
Sospirò. Non lo avrebbe mai trovato.
Concentrati. Si disse. Adesso, non aveva più distrazioni.
Fissò i tasti di controllo della videocamera e, di nuovo, ci mise più tempo del dovuto a capire quale premere.
Miseriaccia pensò dove é finita l'intelligenza di cui tanti parlano?
É la pressione si disse poi, cercando di non demoralizzarsi, dato che si sentiva davvero stupida a non capire qualcosa di tanto elemenrare. Un attimo dopo trovò il tasto giusto. Play. Verde, al centro di tutto il resto...come aveva fatto a non trovarlo prima?
Chiuse gli occhi. Prese un profondo respiro e carezzò con gentilezza la superficie morbida del tasto. Non era proprio sicurissima di premerlo, ma una certa eccitazione si agitava in lei, mischiandosi all'adrenalina che correva nelle vene quasi esaltandola.
Oltre alla pressione, all'ansia e a una sottile paura che facevano battere all'impazzata e sregolarmemte il suo cuore, c'era anche la curiosità trattenuta per sedici anni che l'attesa rendeva come un tormento. Rose si sentiva come se qualcosa la mangiasse dall'interno, lo stomaco che si accartocciava su se stesso per la tensione e il resto delle emozioni, lasciandole solo uno strano senso di vuoto come di un buco al posto della pancia.
Come se avesse ricevuto un pugno.
Aprii gli occhi, incastrandoli sul tasto. La scritta nera brillava sotto il sole mattutino.
Rose prese un respiro. Poi, trattenendo il fiato, poggiò il dito sul tasto verde.
In quel momento, al piano di sotto ci fu un casino. Qualcosa cadde con un brusco tonfo al terreno, e Rose sobbalzò lanciando un piccolo strillo.
Si voltò, allontanando bruscamente la mano dal tasto. Per poco la telecamera non le cadde dalle mani.
Oh no. Suo padre era tornato. E poteva essere anche molto arrabbiato. Era plausibile, dopotutto, durante le sue uscite da solo succedeva di tutto e di più...
Ma allora perché Rose non si muoveva? Perché non si era già sollevata, rimettendo tutto a posto e dandosela a gambe levate per non essere beccata in flagranze dal padre?
Perché il terrore l'aveva congelata. Le aveva impedito i movimenti. Ecco perché.
Poi, però, non sentii più niente. Erano passati dieci minuti buoni e, se Ron fosse davvero tornato, ormai sarebbe già arrivato nella sua camera. L'avrebbe già beccata. O almeno si sarebbe mosso, non come ora che io silenzio era tornato a regnare sovrano sull'abitazione.
Rose corrugò le soppracciglia. Che se lo fosse immaginato? Beh, dopotutto l'ansia le faceva brutti scherzi.
Tese l'orecchio. Nessun suono veniva dal piano inferiore, o dal resto della casa.
Rose sospirò di sollievo. Se lo era immaginato, allora.
Poi puntò di nuovo gli occhi sulla telecamera. Il tasto verde la chiamava, pulsando sotto la luce del mattino.
Sembrava sfidarla. E Rose, da brava grifona, accettò la sfida.
Pigiò il tasto Play.
Per un istante non successe niente, poi lo schermo nero fu invaso da centinaia di colori, come se qualcuno vi riversasse sopra una tavoletta di un pittore, e Rose se ne trovò accecata.
Anche la musica partii, e ruppe il silenzio continuo della casa. Rose, temendo di essere sentita, cercò di abbassare il volume, ovunque fosse il controllo. Il rumore l'avvolse travolgendola come uno spavento.
Le ci vollero un paio di minuti a capire che non era musica. Beh, la musica c'era, si, ma in sottofondo, non era il solo rumore che riempiva la stanza.
C'erano delle parole, in primo piano.
E anche delle persone.
Rose strizzò le palpebre, sorpresa.
Un uomo dai capelli rossi, alto, e una donna dai capelli castani e ricci, vestita da sposa, sorridente sorrideva alla telecamera.
Per un momento Rose pensò fossero i suoi genitori, e il cuore le balzò in gola. Poi guardò meglio. L'uomo era più basso di suo padre, e gli occhi marroni erano cerchiati da occhiali quadrati. L'espressione era allegra, si, ma conservava comunque una c'era severità. Non era Ron.
Era Percy. E la donna accanto a lui non era sua madre, ma Audrey, i capelli resi ricci dalla sua capigliatura elaborata.
Uno strano senso di sconforto le naque spontaneo, dall'interno. Era la delusione.
Lei era andata lì, aveva rischiato tanto, si era presa tantissimi infarti per provare a vedere sua madre, soddisfare la curiosità che suo padre non aveva mai avuto l'intenzione di sfamare, e invece si trovava i suoi due zii. Quelli che le stavano meno simpatici, per di più.
Miseriaccia. Questa era sfiga.
"Va bene, va bene va bene" disse la voce di George, fuori campo. Rose si concentrò di nuovo sulle immagini che le scorrevano davanti. "É tutto molto bello, fratello, ma sai che i tuoi discorsi ci annoiano. E ti ricordo che, anche se Audrey ti ha sposata - per motivi che a me continuano a essere ignoti - può sempre chiedere il divorzio. Non é mica tua per sempre solo perché vi siete giurati amore eterno"
Delle risate partirono dall'apparecchio, mentre George entrava nel raggio della videocamera. Aveva una ragazza al suo fianco, che le stava attaccata come...con un tuffo al cuore, Rose si rese conto si trattasse di sua zia Angelina. Era bellissima.
"Spiritoso George" commentò Percy, voltandosi verso di lui, mentre Audrey tratteneva a stento le risate "ma almeno, io mi sono sposato"
"Questa é una frecciatina a Ron, per caso?"
"Ehy!" Rose spalancò la bocca, il cuore che batteva all'impazzata, mentre sentiva - riconosceva - la voce di suo padre, offesa "non mettere ansia, George. E penso potesse benissimo riferirsi anche a te"
"Ron, tu non sei certo esonerato" ribadì la voce di Ginny.
Il cuore di Rose galoppava nel suo petto. Gli occhi scrutavano l'apparecchio voraci, cercando di trattenere il fiato. La sua mente lavorava velocemente.
Se era un matrimonio, e c'era Ron allora voleva dire che...
"Siamo giovani per sposarci!" Esclamò una voce oltraggiata, femminile.
Rose fissò l'apparecchio a bocca aperta. Sotto i suoi occhi shockati, sullo schermo apparve una giovane donna, un abito lilla a circondarle l'esile busto e la bassa statura; una cascata di capelli ricci e castani che le ricoprivano la testa come una palla di gomitolo. Aveva le braccia incrociate al petto, una borsa - che Rose riconobbe all'istante - sonno braccio, e una espressione a metà fra il divertito e l'esasperato sul volto.
Era dietro i due sposi, e li guardava con un sorriso dall'interno del salotto della Tana.
Rose trattenne il fiato.
"Oh" disse Ginny, sbucando dietro di lei e mettendole le mani sulle spalle "guarda che non bisogna mai aspettare, le cose potrebbero cambiare Hermione"
Il cuore di Rose, che fino a ora era stato una scheggia impazzita nel petto come la palla trascinata da una corrente marina, si bloccò all'improvviso, bloccato da una mano invisibile.
Sentii la gola secca, mentre guardava Hermione voltarsi verso Ginny e farle uno strano gesto. Una specie di sorriso e uno sbuffo.
La mandibola le cadde.
Se si concentrava, riusciva a vedere il suo volto riflesso nel vetro sopra quello di sua madre.
"Ginny." Disse Hermione, sorridendo "pensa al tuo matrimonio"
"Oh ma se é per questo ho già l'anelo al dito" cantinellò entusiasta Ginny.
Hermione le sorrise, poi alzò gli occhi al cielo.
Rose la guardò intensamente. Voleva imprimersi ogni dettaglio del suo volto nella mente. Vederlo così, allegro, in una situazione felice e lieta come quella di un matrimonio...era una emozione impagabile.
Per niente paragonabile a ciò che provava prendendo quella dannata fotografia e piangendosi sopra per ciò che aveva perso.
Rose sentii qualcosa di strano agli occhi. Una specie di patina che li ricopriva, facendole vedere tutto sfumato.
Si toccò una palpebra. Lacrime.
"Più che altro potrebbero cambiare per Ron. Sul serio, Herm, ti accontenti di nostro fratello?" Disse George, e di nuovo tutti scoppiarono a ridere.
Sotto, nella realtà, Rose sentii qualcosa spostarsi. Un mobile strisciare sul pavimento.
Non si voltò. Non le interessava se suo padre la beccava in quel momento. Era troppo concentrata su sua madre, osservare i suoi movimenti, arrossire...voleva vedere se aveva preso qualcosa da lei. Sembrava di no, ma vederla era ugualmente bello.
"Taci George" disse Hermione "Ron é Fantastico"
"Tho. Il nostro fratellino allora ci sa fare a soddisfare le donne"
Il volto di Hermione divenne una macchia rossa. Qualcuno rise, mentre Angelina, invece, diede uno scappellotto dietro la testa di George.
"Idiota" sibilò, prima che il filmato si interrompesse.
Rose, colta alla sprovvista, rimase a fissare lo schermo nero, chiedendo che proietasse altre immagini. Tastò un paio di tasti a caso, sentendo ancora distrattamente un vago rumore al piano di sotto.
Il video si riaccense. Illuminò il suo volto di mille colori, e Rose lo guardò a occhi sgranati. Le immagini si riflettevano nelle sue iridi azzurre come pensieri in un pensatoio.
La musica non c'era più. Solo qualche rumore di sottofondo, e la telecamera inquadrava l'interno di un auto. Rose ci mise qualche secondo a capire si trattasse quella di suo padre.
Una Ford Angelina azzurra.
Sentii un sospiro, poi il sedile davanti fu occupato dalla chioma marrone di sua madre. Un attimo dopo, un capo rosso sbucò al suo fianco, nel posto del guidatore.
"Bene" disse la voce di Hermione, inquadrata solo a metà "é stato divertente, no? Tuo fratello ha-"
"Ragione" la voce di Ron era cupa.
Hermione stette in silenzio per diversi attimi, poi si voltò verso di lui. Aveva un espressione confusa in volto.
"A che ti riferisci?" Chiese.
"A quello che ha detto George.
Tu sei troppo per me. Potresti avere chiunque"
"Ma io amo te" ribatté Hermione dolce.
Il cuore di Rose sprofondò. Se sua madre fosse stata viva, avrebbe potuto assistere a quel genere di cose tutti i giorni, quei bei episodi di vita famigliare, più serena di quella che era ora.
"Ma io non sono abbastanza" Ron sospirò "Hermione, davvero. Se non mi ritieni alla tua altezza sei libera di andartene. Preferisco vederti felice ma con un altro, che infelice al mio fianco.
Non devi stare con me solo perché ti faccio pena-"
L'immagine di Hermione si sporse verso quella di Ron. Afferrò la sua nuca, da dietro, e fece combaciare le loro labbra in un bacio delicato.
Il cuore di Rose accelerò. Non aveva mai visto suo padre baciare una donna che non fosse sua zia Ginny.
E vedere il primo bacio fra i suoi genitori era inaspettatamente soddisfacente. Si era aspettata di provare disgusto, mentre invece desiderava solo di vedere quella scena ancora, più e più volte, magari dal vivo. E tutti i giorni.
Chiuse gli occhi. Non poteva.
Li riaprii quando sua madre riprese a parlare.
"L'intelligenza accademica non é un indice da superare, per l'amore.
E non solo per me. Per nessuno.
Esistono valori più importanti, Ron.
Amore. Amicizia. Coraggio. Lealtà.
E tu li hai tutti, e me li dimostri ogni giorno. Ogni giorno di più.
Mi ricordi perché ti amo. Non é che non sei alla mia altezza perché non avevi la stessa media a scuola. E di certo per amare non bisogna essere l'uno all'altezza dell'altro.
L'importante é che l'amore che si prova sia solido, e possa sostenerci, alzarci, per farci arrivare testa contro testa mentre ci baciamo o facciamo l'amore.
Non é vero che non mi meriti perché a scuola andavi male. E non é vero nemmeno che a scuola andavi male.
Sei diventato Prefetto, come me. Non dimenticarlo.
Fra tutti, sei la persona che più mi merita a questo mondo."
A un tratto, quella scena divenne troppo. Divenne stucchevole. Rose sentiva una spada nel petto, conficcarsi sempre di più, sempre più affondo. Sentiva che non avrebbe retto un secondo di più. Premette un tasto violentemente, come se me valesse la sua vita, e l'immagine cambiò.
I suoi genitori in cucina. Era la stessa casa, ma Rose faticò a riconoscerla per via della mancanza degli strati di polvere che alloggiavano sul lavello, e che invece, adesso, sembravano quasi stazionari.
La telecamera doveva essere poggiata sul tavolo, perché era all'altezza vita.
Hermione stava lavando i piatti nel lavello, mentre Ron canticchiava, accanto a lei.
Sembravano più adulti. Non i due ragazzini che Rose aveva visto al matrimonio di Percy e Audrey.
Ma Rose non capii perché di questa sensazione, fin quando suo padre non si allungò con la mano verso un panno, e la luce che filtrava dalla finestra illuminò il suo dito con un bagliore dorato.
Portava una fede. Si erano sposati.
"Allora, Hermione, come va con il lavoro?"
"Ron" Lei rise. "Lo sai. Il Ministero non vuole ancora accettare la mia proposta sugli Elfi Domestici. Vuole continuare a sfruttarli!" Sospirò "e questo é ingiusto. Dopo tutto quello che mi sono impegnata..."
"Non nel modo giusto" commentò Ron.
Rose lo guardò confusa - o meglio, fissò la sua immagine registrata.
Anche l'Hermione della registrazione si voltò verso di lui con aria furibonda.
"Cosa?" Sibilò, gli occhi socchiusi "vorresti dire che..."
"Niente del genere" fece Ron allarmato "solo che..."
"Solo che cosa?"
Ron poggiò le mani sul lavello. La guardò. Quella espressione seria era la cosa più simile a cui Rose era abituata.
"Quando é stata l'ultima volta che hai fatto una campagna in piazza? Che hai spiegato alle persone comuni i tuoi principi, le tue idee e i tuoi ideali?"
Hermione parve sorpresa "cosa c'entra, adesso?"
Ron si strinse nelle spalle.
"Dico solo che, prima di intervenire a livello legale e sulle leggi, devi cambiare la sensibilità delle persone.
Come pretendi di poter essere ascoltata dal ministro della magia, se l'intero Mondo Magico é pronto a rifiutare qualsiasi cosa limiti il loro potere perché credono di essere migliori?"
"Si tappano le orecchie come dei bambini, quando parlo' borbottò Hermione, ma sembrava concentrata.
Era come se le parole di Ron l'avessero turbata e, al tempo stesso, fatta ragionare su qualcosa di vitale importanza.
Ma non voleva ammettere che lui aveva ragione. Rose fece un mezzo sorriso. Quel comportamento lo aveva anche Hugo.
Il pensiero la rattristò. Rose pigiò un altro tasto, e l'immagine cambiò ancora.
Le risate invasero la stanza con violenza. Rose quasi sobbalzò, spingendosi indietro e sbattendo violentemente contro il letto di suo padre. Trattenne un gemito, poi si diede della stupida pensando che nessuno potesse farle male.
Da sotto venne un suono, ma Rose non sapeva si trattasse della telecamera o della realtà.
Ron e Hermione erano stesi nella loro camera, sul letto matrimoniale. Rose si sentii un brivido correrle lungo la schiena, riconoscendo immediatamente la stanza dove si trovava. Si voltò indietro, quasi credendo di poter vedere davvero i suoi genitori.
Non c'era nessuno. Non si sorprese, ma la delusione si faceva sentire comunque.
"Come stai?" Chiese Ron a Hermione, una voce stranamente dolce e preoccupata "passato il giramento di testa?"
"Si, Ron" Hermione alzò gli occhi al cielo, sorridendo "smettila di preoccuparti così! Guarda che una gravidanza posso reggerla"
Rose strabuzzò gli occhi. Doveva essere andata molto avanti nel tempo.
I suoi genitori avevano almeno oltre i venticinque anni. Erano maturati.
E sua madre era incinta. Forse era una degli ultimi video, se il bambino che portava in grembo era Hugo...
"Ehy, mi sto preocupando per il nostro primo figlio" ribatté Ron, baciandole la fronte. La guardò intensamente "ovvio che so che sai reggere una gravidanza. E anche alla perfezione, per come la vedo io"
Rose sorrise. Allora stavano parlando di lei. Era lei la bambina che Hermione portava in grembo.
Il cuore le si riempii di gioia, ma Rose non avrebbe saputo bene spiegare il perché.
Hermione rise, sistemandosi meglio contro il corpo di Ron. Lo abbracciò, mentre lui, quasi steso su di lei, si reggeva sui gomiti. Chiuse gli occhi.
"Sarà bellissimo quando nascerà" disse, sempre a occhi chiusi "i miei sono entusiasti. E anche i tuoi, nonostante non sia il loro primo nipote"
Ron scosse la testa "per loro tutti i nipoti sono importanti. La nostra piccola Rose non fuggirà al terribile destino dei maglioni di nonna Molly"
Hermione sorrise, sempre le palpebre abbassate.
"Non vedo l'ora di raccontarle la nostra storia. Tutte le leggende Babbane con le quali sono cresciuta, il come io e te ci siamo innamorati"
"Quella é più una barzelletta" ribatté Ron, e fece un sorriso di scuse a Hermione quando lei si voltò verso di lui con aria cagnesca.
"Miseriaccia, Hermione ma ci pensi?" Fece Ron, dopo diversi attimi di silenzio "diventeremo genitori. Wow.
Io e te."
"E tu che credevi me ne sarei andata" disse lei, scuotendo la testa.
Ron si strinse nelle spalle "ne avevo tutte le ragioni. Ma non é questo il punto. Un figlio porta tante responsabilità, sacrifici, tornanti, notti in bianco...e...se non ne sono capace?"
"Sai che anche io sono inesperta, vero?" Disse Hermione "chiederlo a me é come chiederlo a un muro. Dovresti provare con Ginny. O con gli altri tuoi fratelli. Loro sanno come é avere un figlio."
"Si, ma tu sei più intelligente di me..."
"C'è la faremo. Se l'affronteremo insieme, tutto é possibile." Ribatté Hermione.
Ron sorrise. Poi si chinò sulla pancia della moglie, scatenando le risate di Hermione.
"Ehy, piccola Rose, mi senti? Sai che mamma e papà ti vogliono tanto bene. Spero tu stia bene, nella pancia della mamma. Ma sappi che poi la rivoglio per me, eh!"
"Ron!" Esclamò Hermione, ridendo.
Ron la guardò. Si allungò, le poggiò le labbra sulle sue e poi tornò a rivolgersi alla sua pancia con parole che Rose non riusciva a sentire. Però Ron era gioioso, gli occhi esprimevano una letizia incredibile, che la lasciano sconcertata. Lei non era abituata a vederlo così...entusiasta.
Ron sorrideva. Con una felicità che Rose non gli aveva mai visto in volto.
Rose scosse la testa. Premette più volte il tasto, e l'immagini si susseguirono rapidamente.
C'è ne erano anche altre. Rose le passò tutte in rassegna, come sfogliasse le pagine di un libro. Sua madre con lo stato di gravidanza sempre più avanzato, suo padre che preparava la cena - pasti molto complessi, che Rose non ricordava avergli mai visto fare.
Cene con gli amici. Più volte comparvero anche Harry e Ginny, accompagnati da un piccolo James scalmanato. Una volta vide sua madre con in mano un fagotto, intenta ad allattarlo. Rose avrebbe voluto soffermarsi, ma alla fine non c'è la fece. Passò oltre.
Alla fine arrivò a un video. C'era la cucina della loro casa, e un pianto di un bambino in sottofondo. Anche senza averne la conferma, Rose seppe che suo padre non c'era. Hermione era sola in casa.
La figura di Hermione si posizionò al centro dell'obbiettivo, e Rose sussultò.
Sua madre sembrava distrutta. Aveva profonde occhiaie sotto gli occhi, e questo erano gonfi e rossi, come se avesse appena finito di piangere.
Non diceva niente, fissava solo la telecamera, impassibile. Sembrava trattenersi dallo scoppiare di nuovo in lacrime. Alle volte alzava lo sguardo al soffitto, verso il pianto del bambino, e sembrava addolorarsi solo di più.
Era in netto contrasto con tutto ciò che Rose aveva visto fino a ora.
Hermione, dopo diversi minuti, prese un profondo respiro. Si schiarii la voce, guardando fisso la telecamera.
Un fracasso infernale soffocò le sue parole. Per un attimo Rose pensò fosse del video, poi vide che sua madre non faceva niente. Non si alzava nemmeno per andare a controllare.
Solo allora capì fosse successo per davvero. Al suo piano di sotto.
Rose trasalì. Voleva continuare a guardare la videocamera, ma si rese conto di provare un incredibile paura verso ciò che stava succedendo la piano di sotto. Non poteva ignorare così tanto ciò che stava succedendo.
Non aveva mai potuto.
Lanciò un occhiata al video. Sua madre era ancora immobile, e fissava l'obbiettivo con sguardo addolorato ma fermo, sofferente ma deciso.
Ma non faceva niente.
Rose si alzò. Poggiò la telecamera sul comodino di suo padre, e stava per voltarsi verso la porta e scendere, quando sua madre prese a parlare.
"Io sono Hermione Granger." Disse Hermione, seria, la voce dura come il marmo "nata il 19 settembre 1979. Frequento Hogwarts dal primo settembre 1991, sono amica di Harry Potter e sposata con Ron Weasley, il mio migliore amico ai tempi di scuola.
Poi i nostri rapporti si sono evoluti." Si fermò un attimo. Poi riprese, la voce fredda "Sono stata presente alla seconda Guerra Magica, ho dato la caccia agli Horcrux. Ho distrutto quello della coppa di Tosca Tassofrasso."
Rose era confusa. Si riavvicinò al comodino, guardandolo con la testa inclinata di lato. Perché sua madre diceva quelle cosa? A una telecamera, poi. Sembrava...
Il sangue le si gelò nelle vene, mentre capiva che Hermione stava facendo proprio ciò che lei immaginava.
"Ho già detto. Sono sposata con Ron Weasley da otto anni, madrina di James Sirius Potter, mio nipote.
La mia migliore amica è Ginny Potter.
Sono anche madre di una bambina" alzò lo sguardo, e solo ora Rosa capii che il pianto che sentiva era il suo. Di quando era piccola, certo, ma sempre il suo. Rose si avvicinò verso il comodino, inginocchiandosi. Il suo fiore batteva all'impazzata: sia aleggiava il peggio.
Hermione fece una smorfia, e abbassò gli occhi sotto il tavolo, verso qualcosa nascosto alla telecamera "di..due bambini. A dire la verità.
Rose Weasley e...suo fratello. O sorella.
Ancora non lo so." Gli occhi di Hermione si tinsero di una sfumatura triste. lei scosse la testa, si passò una mano sulle palpebre e, di nuovo con il pieno controllo di sé, guardò la telecamera.
"Sono una delle salvatrici del mondo magico. Ordine di Merlino. Prima classe. Sono la figurina numero 707 delle cioccorane e" la sua voce si incrinò, e Hermione chiuse gli occhi.
Sembrava aver fatica a continuare.
Alla fine aprii gli occhi, traccie di lacrime che sgorgavano dall'iride castana. Però aveva uno sguardo forte.
"E questo é il mio testamento"
Rose strabuzzò gli occhi.

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