Capitolo 55

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Rose chiuse pesantemente la porta del Dormitorio delle Grifondoro del sesto anno alle sue spalle, sospirando.
La stanza si apriva vuota e silenziosa oltre di lei, quasi con una tranquillità elettrica e inqueta che aleggiava fra i letti solitari e perfettamente in ordine che erano così perfetti da lasciarla un attimo sconcertata e in tensione.
Poi prese un profondo respiro, rendendosi conto che stava proiettando il suo stato d'animo in quell'aria tanto immobile e debolmente illuminata dal cielo coperto da un manto di nuvole scuro e talmente nella norma da apparirle estranea.
Rose lasciò la porta, facendo cadere poco graziatamente la mano lungo il suo fianco, e si avviò verso il centro della stanza, puntando il suo letto - rifatto con tanta perfezione e esattamente simile agli altri quattro che Rose ci mise un secondo di tempo in più per capire che fosse il suo.
Vi si sedette calma sopra, con una leggerezza sottile simile a quella di una piuma che si posa adagio al terreno, e rimase ad accarezzare distrattamente, la testa persa nei pensieri più confluittevoli, la coperta scarlatta che le ricordava incredibilmente il colore del sangue.
Il sangue che suo fratello aveva perso quell'estate, appena un mese prima, ferendosi la gamba in un modo in cui non la voleva informare. O il sangue che viaggiava veloce nelle sue vene, accelerato da suo battito cardiaco fuori controllo - che sembrava ancora sconvolto e non completamente tornato in se per ciò che era successo - e che le arrossava le guancie sotto gli occhi, trasformando gli zigomi in due chiazze rosse non definite e indistinte.
Oppure il rosso dei suoi capelli, tanto acceso che le impediva di passare in osservata in un ambiente popolato da studenti di tutte le età e tutte le Case; e che permetteva di essere riconosciuta e denominata come un altra Weasley quando andava nei luoghi magici più affollati dell'Inghilterra.
Erano un segno distintivo, che catturava l'attenzione non appena metteva piede in una stanza, e la rendeva riconoscibile ad occhi pronti a criticarla.
E lei lo odiava. Odiava non poter camminare per i corridoi di Hogwarts, le strade di Diagon Allen o perfino al cimitero, senza sentirsi costretta a mostrarsi felice e forte, fingere un sorriso che di più falso era difficile da trovare e stamparsi un espressione allegra in faccia che schiacciava in fondo le sue emozioni, nascondeva gli urli delle sue sensazioni sotto una prigione illusoria e invisibile, appena intravedibile nell'unica finestra di verità che non era mai riuscita a soffocare: i suoi occhi.
Ma non poteva fare altro; non poteva permettersi di mostrarsi fragile e indifesa agli occhi altrui.
Cosa avrebbero pensato le persone se fossero riusciti a scavare i meandri della sua anima, se fossero andati a fondo in quel mare infinito dei suoi occhi fino a toccare il fondale, della sabbia depositata arida e fredda, costantemente mossa dallo stress e dall'ansia di non riuscire a essere felice - o almeno dimostrarsi tale?
Pena. Ecco cosa avrebbero pensato di lei, le frasi che le loro menti poco acute avrebbero argomentato sul suo conto e sulla sia vita personale, di cui, in teoria nessuno avrebbe mai potuto e dovuto mettere il naso, ma di cui ugualmente, Rose, non riusciva a tracciare un confine netto fra questa e gli altri.
Ma aveva imparato a fingere molto bene, fin quasi a diventare un attrice degna di un Oscar. Era sempre stata al centro delle attenzioni, e aveva imparato a gestirle: di sua nonna, quando andavano a i pranzi e alle cene della Tana, che le chiedeva come andasse, come stesse, e faceva sempre in modo di farle avere nel piatto un po' più di cibo rispetto ai cugini; le sue zii (sopprattutto Ginny e Fleur) si erano sempre preoccupare molto per lei, e avevano sempre offerto tutto l'auto possibile per rendergli la vita più facile (anche se spesso lo davano senza che Ron o Rose lo avessero espressamente richiesto - probabilmente immaginavano che doveva costare loro un certo imbarazzo, e Rose non poteva dare alle due donne solo che ragione); aveva sempre notato le premure e le gentilezze di suo zio George, che le permetteva - a lei e a Hugo - di avere i primissimi prodotti del negozio, prima addirittura di Fred II e Roxanne, e prima ancora che fossero messi in vendita, e le ripeteva sempre che, qualsiasi cosa le mancasse, bastava chiedere: lui le avrebbe dato tutto ciò che desiderava; sempre stata al centro dei pensieri di suo zio Harry, che veniva spesso a trovarli, e faceva in modo di rendere quella catapecchia che cadeva a pezzi un po' più accettabile di quando era arrivato (cosa abbastanza inutile - pensava Rose - visto che dopo, tanto, tornava tutto esattamente come prima).
Era abituata ad essere la pagina principale dei giornali di gossip, che non aspettavano altro di vederli crollare; Sapeva dei giornalisti che si appostavano alla finestra giusto per avere uno scoop su una delle più importanti famiglie del mondo magico che era stata toccata dalla mano fatale della morte, e che l'aveva distrutta in un solo secondo, spazzando via ogni singola briciola di felicità conquistata con anni di fatica e delusioni, come l'inverno fa con le fronde degli alberi.
Lascia morire tutto, come se portasse con sé il canto gelido della morte, derubando delle verdi decorazioni i rami ora vuoti e freddi di legno, un tempo casa di migliaia di gemme che puntigliavano la loro superficie con piccoli luccichi sottolineati dal sole dell'estate; che erano cresciute, creando in magnifico riparo per l'ombra per chiunque avesse saputo apprezzare un posto fra l'erba, e che ora, per colpa del gelo che costringeva gli alberi a potare, tagliare, esportare parte di loro per soppravvivere, non c'era più; e adesso posavano sull'erba, morte e inermi, a tappezzare come un manto multi colore i giardini delle abitazioni.
Ma gli alberi rinascono, le foglie ricrescono.
Per quanto le facesse male ammetterlo, Rose sapeva che la sua famiglia non sarebbe tornata quella di prima, quella felice e spensierata che, dalla morte di Hermione, si era dissolta nel vuoto, lasciando solo un vago ricordo nostalgico che albergava come un macigno perenne nei loro cuori.
Non sarebbe mai ricresciuta, rinata.
Le ferite lasciate dall'anima dipartita non avrebbero mai reso il terreno più fertile, puro, favorendo una nuova coltivazione di verde, come invece facevano le gemme ormai fredde di un albero al quale avevano strappato ingiustamente il suo orgoglio rigoglioso; quelle ferite sarebbero rimaste solo a rimarcare, sottolineare e a rendere evidente, quanto dolore provassero Ron e Rose ogni giorno della loro vita; e rimanevano come implicita promessa che nessuno avrebbe riportato la loro famiglia alla normalità.
Ma Rose non voleva farlo vedere agli altri. Non voleva dare loro la possibilità di giudicarla, di entrare dirpompeti nella sua vita e lasciare che vedessero tutto questo, tutto il suo dolore. Per questo al mattino si calava una maschera di finta felicità sul volto, faceva si di risultare dolce e adorabile, e metteva uno schermo fra lei e gli altri (l'unico scudo che le fosse mai venuto in mente per riuscire a tracciare un confine di protezione della sua vita privata dagli occhi dei curiosi) in modo che non vedessero la marea scomposta che si agitava dietro quelle iridi che specchiavano, vuote finte, e inespressive, le azioni che le si svolgevano attorno, senza provare il ben che minimo interesse per ciò che succedeva oltre di lei.
E per questo doveva avere la certezza sicura di non aver nemici, che nessuno trovasse fastidioso il suo comportamento. Di comportarsi in modo adeguato: era stata abituata a essere giudicata fin da piccola, che le persone si preoccupavano per lei, e aveva imparato a nascondere le sue sensazioni per fare in modo che ciò non accadesse.
Col tempo, purtroppo, il pensiero che le persone di facevano di lei era diventato un ossessione, una paura che cresceva come erbaccia nella sua teste e le infilzava un infimo dubbio di non aver fatto tutto correttamente, di aver sbagliato qualcosa e di aver lasciato scoperto il suo punto debole.
A volte desiderava di essere una Legilimets. Poter leggere nella testa degli altri e vedere cosa passava per il loro cervello quando le parlavano, le si rivolgevano in qualunque modo, in modo da essere sicura di non aver offeso o fatto soffrire nessuno per errore.
Di certo era più affidabile di ipotizzare ciò che pensavano e farsi mille paranoie.
Aveva il terrore di sbagliare. Ma, soprattutto, quello che gli altri potessero leggerle dentro.
Non far soffrire nessuno con il mio comportamento.
Rose ripensò alla sua litigata con Alice, alle sue parole e al volto ferito e deluso che aveva quando lei le aveva rinfacciato tutte quelle cose, quelle cattiverie gratuite che l'avevano fatta sentire bene. A costo di far star male lei, Alice, la sua migliore amica, che c'era sempre stata nel momento del bisogno quando Rose doveva essere consolata, o rassicurata, o semplicemente era giù.
Rose sentii il rimorso montarle nel petto, mischiato al senso di colpa, come un vento pesante soffia su una collina e la scala avvalendosi del supporto dei migliaia di fili d'erba che la compongono, pur di arrivare in alto; che piega le grosse fronde degli alberi per il semplice fatto che si diverte a vederle faticare per tornare  su ammaccate.
Rose si portò una mano al petto con una smorfia. Strinse la stoffa fra le dita, come se potesse toccare il cuore e punirsi per il suo comportamento.
Non era certo io modo giusto di ringraziare una persona che c'era sempre stata per lei. Non era il modo giusto di ringraziare nessuno.
Rose sospirò, avvertendo gli occhi pizzicare: fece una smorfia e trattenne il respiro, mentre si gettava a braccia spalancate sul suo letto, rimbalzando comodamente sul materasso morbido, che l'accolse come se le desse un caldo abbraccio.
Rimase a fissare il soffitto del suo Baldacchino per tanto tempo, gli occhi persi in quella seta colore del sangue e della passione governata dai centinaia di piccoli fili scarlatti che guidavano la massa rossa come se fosse una marea, e si scontravano con i suoi occhi, anche essi in tempesta, di un azzurro mare.
Si rese conto che il tempo era passato solo quando vide la luce scemare, e la stanza piombare in un nero tetro che lasciava ben poco alla visibilità. Non doveva essere troppo tardi - non ancora, almeno - ma d'inverno le giornate sono corte. Rose si tirò su a sedere, la testa che le girava leggermente e la strana sensazione di essersi addormentata.
Un po' distante da lei, oltre la spessa porta del Dormitorio, sentiva due voci litigare, un ragazzo e una ragazza, che si urlavano addosso con una ferocia incredibile. Rose si alzò piano, chiedendosi solo distrattamente come un ragazzo avesse potuto fare a eludere il sistema della scala, e si avviò verso la porta, per vedere cosa accadeva.
Voleva evitare che qualcuno si facesse un bel viaggetto nell'infermeria, se avesse potuto.
Aveva già la mano sulla maniglia, le dita serrate sul freddo metallo, ma, prima che potesse spalancate la porte, quella si aprii verso di lei, facendola sobbalzare e mancare di poco.
Rose cacciò un leggero strillo, mentre liberava la maniglia dalla sua presa e scattava all'indietro, inciampando sul tappeto e cadendo pesantemente a terra con un tonfo.
Le sfuggì un verso di disappunto.
"Scusami!" Esclamò una voce dispiaciuta sulle porta, e Rose si sorprese di riconoscerla "Hermione, ti sei fatta male?"
Rose sbatté le palpebre, guardando confusa la ragazzina che stava entrando nel loro Dormitorio, chiudendosi con fare furtivo la porta alle spalle. Si voltò verso di lei con un espressione apprensiva in volto, e Rose si rese conto che doveva rispondere.
"Si" disse. Si alzò "si, sto bene Lily, non ti preoccupare"
La minore delle sue cugine sorrise, il caschetto rosso vagamente disordinato, e fece un espressione sollevata.
Poi sorpassò Rose, senza spingerla, e si buttò sul suo letto scarlatto, non chiedendo nemmeno il permesso.
Rose inarcò un soppracciglio.
"Lily?"
"Si, Hermione?"
"Perché sei qui?"
Lily si tirò su sui gomiti, lasciando che la testa le ricadesse in modo inquetante indietro.
"Oh beh, sai, volevo passare un po' di tempo con te...é da tanto che non lo facciamo, e io sono stata davvero sgarbata ieri..."
"Lily" la bloccò Rose, non troppo propensa a farsi prendere in giro; Lily la guardò con una sfumatura interrogativa negli occhi marroni "stai vaneggiando"
"Che cosa? Ma non é affatto ve-"
"Va al punto" disse secca Rose. Sospirò, appoggiandosi a braccia incrociate lungo la porta di legno "non sono del giusto umore per parlare"
Lily sbuffò. Si tirò su a sedere poggiando i gomiti sulle ginocchia e scrutandola dalla cornice che le sue piccole mani facevano al suo giro.
Assottigliò lo sguardo, prendendo un espressione tanto seria e da adulta che Rose sobbalzò per la repentinita con la quale era cambiata.
"So che hai litigato con Alice"
Rose scivolò lungo la porta.
"Vengo a fare sostegno morale" continuò Lily, un attimo confusa, ma non troppo preoccupata da ciò che le sue parole avevano provocato.
Rose tossí, rendendosi conto che le era andata la saliva di traverso. Fantastico pensò ironica veramente fantastico. Quale momento migliore per soffocare davanti alla propria cugina?
"Herm?" Lily si alzò dal letto, un po' in certa "ti tiri su da sola o ti devo aiutare?"
"Da sola" Rose le lanciò una veloce occhiata, prima di issarsi in piedi. Si massaggiò velocemente la parte lesa, poi fissò la cugina senza dire niente.
Lily resse il suo sguardo senza difficoltà.
"Allora?" Chiese in fine, un po' impaziente "che é successo?"
"Dove?"
Lily alzò gli occhi al cielo.
"Con Alice, genia! Dove se no?"
"Oh." Rose non sapeva cosa dire; non era in vena di parlare di quell'argomento, in special modo con una persona con così poco tatto come poteva essere sua cugina. Certo, le voleva bene, ma non tanto da fidarsi così ciecamente.
Gli occhi di Lily la fissavano ancora, feroci, e pretendendo di sapere. Stavano due magneti: calamite roventi.
Bellissimi e pericolosi.
Rose deglutii. Non sapeva che fare.
Un violento colpo alla porta le evitò di rispondere, facendola trasalire, e interruppe lo scambio di sguardi con la cugina.
Lily spostò pigramente lo sguardo sulla porta, sbuffando.
"Oh, e va bene! Se non vuoi parlarmene possiamo anche andare oltre" disse scocciata, facendo roteare le iridi cioccolato e ruotando su se stessa, tornando a letto. Batté una mano sul materasso di fianco a lei in direzione di Rose, che la fissava stordita. "Possiamo anche parlare di altro"
Rose credette sul serio di non aver capito bene. Solo quando Lily ripeté il gesto più volte si rese conto che era seria, che non la stava prendendo in giro e che, di certo, non si era immaginata niente.
Si mosse incerta verso la cugina, barcollando leggermente, per poi cadere pesantemente sul materasso.
Sospirò.
"Chi sono i due che litigato, qua fuori?" Chiese passandosi una mano sulla fronte "stanno facendo un casino atroce"
"Oh" Lily guardò annoiata la porta di legno, dietro la quale si sentivano ancora gli urli attutiti dei due litiganti "sono Marck Tomas e Laila Finnigan, credo che si stiano azzuffando perché lui era in ritardo durante una ronda o qualcosa del genere"
"Fantastico" commentò sarcastica Rose.
Rimasero in silenzio per tanto tempo, fin quando non fu di nuovo la maggiore a prendere la parola.
"Allora..." Buttò li tranquilla, fingendosi interessata a un filo che usciva dalla coperta del suo lenzuolo "ti ho visto al tavolo dei Corvonero con Lysander. C'è qualcosa che devi dirmi?"
Lily la colpii gentilmente con una mano, arrossendo lieve sulle guancie.
"Niente di che, solo cose fra amici"
"Oh" Rose fece un verso volutamente non convinto, e le lanciò un occhiata in sottecchi "però che ti ha detto? É da tanto che...di che parlavate?"
Gli occhi scuri di Lily si illuminarono.
"Oh" la ragazzina aveva come lo sguardo perso tra i ricordi "Ti ricordi venerdì? Quando per passare per la Sala Grande un Corvonero mi é venuto addosso e io lo ho picchiato?" Rose annuii, costatando che Lily non sembrava pentita di ciò che aveva fatto; anzi, sembrava quasi orgogliosa "Lysander mi ha fermato, e mi ha detto che mi avrebbe fatto i compiti se la smettevo di picchiare il suo compagno. Ho accettato senza ribadire: sono davvero difficili quest'anno!" Rose ride piano, ricordando che anche per lei quell'anno era stato particolarmente tosto - mai quanto quello attuale, comunque "poi mi ha calmato e, una cosa tira l'altra, mi ha fatto pure mangiare al loro tavolo!" Lily le rivolse un sorriso ingenuo e radioso, i grandi occhi scuri brillanti per la felicità "non pensi sia Fantastico?"
"Davvero tanto"
Rose nascose un sorriso sotto i baffi. Lily era troppo piccola per capire ciò che Lysander provava per lei. E sopprattutto l'intensità dei suoi sentimenti.
"Ho anche conosciuto un altra ragazza, al tavolo" continuò Lily, quasi come se non si accorgesse di Rose "Cristian Bott, del tuo anno.
Mi é sembrata carina" si strinse nelle spalle "se hai bisogno di qualcuno con cui consolarti lei sembra proprio fare al caso tuo"
Rose si sforzò di sorridere.
"Grazie Lily, ma non ho bisogno di parlare"
"Fa come vuoi" disse lei, senza cattiveria nella voce "ma parlare fa bene ed aiuta. Non lo dici anche tu?
Potrebbe farti sentire meglio"
Rose si sforzò di non risponderle male. Dopotutto sua cugina voleva solo aiutarla.
"Già" disse inesprssiva "potrebbe" o potrebbe fare peggio.
Lily le lanciò uno sguardo, forse rendendosi conto di starai spingendo troppo oltre. Si spostò più indietro.
"Su via, Hermione!" Disse solare, battendo le mani "e si un po' più felice, non muore mica nessuno!
Pensa che ho anche incontrato James, che si pavoneggiava con la sorella di Laila, Padma" e qui continuò facendo una fedele e grottesca imitazione a sfondo comico di suo fratello che ci provava con una ragazza, che fece scoppiare a ridere Rose, finalmente leggera.
Senso che svanii subito, mentre la sua risata scemava vittima della consapevolezza e di uno stato d'ansia.
Non riusciva ugualmente a scacciare il pensiero che aveva portato a tutta quella discussione.
Molly le aveva detto che c'era stato un ritardo con il ragazzo nuovo.
Probabilmente non sarebbe arrivato il diciotto, ma il diciannove.
E Rose non pensava di poter riuscire a gestire il suo dolore per la data ricorrente e farlo entrare in simbiosi con i suoi obblighi da Prefetto.
Anzi, era abbastanza certa che non ci sarebbe riuscita.
E aveva una paura tremenda.
Paura di fallire. Cosa avrebbero pensato gli altri di lei?

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