I rapporti fra Hugo e suo padre non erano mai stati troppo buoni. Anzi, erano praticamente inesistenti. Ron non lo aveva mai abbracciato, tanto per iniziare, né gli aveva fatto gli auguri per il compleanno (ma questo era abbastanza comprensibile: perfino Hugo, il giorno del suo compleanno passava il tempo nella sua camera, da solo, a rompere ciò che gli capita a tiro) né Hugo ricordava avesse mai visto suo padre guardarlo senza quel velo cupo e odioso negli occhi.
Hugo era sulla Torre di Astronomia, seduto sul cornicione di una finestra, il vento della sera in faccia e le gambe pensoloni nell'immenso vuoto sotto di lui. Pensava a questo mentre contemplava passivo il sole morente all'orizzonte, i raggi che si irradiavano come mille strisce dorate nel cielo che si tingeva di indaco; le fronde alte della Foresta Proibita solleticate da quel bagliore giallo e fioco.
Pensava al suo rapporto con Ron. All'odio che vedeva negli occhi azzurri del padre ogni volta che lo guardava. Ma lo comprendeva: anche lui quando si guardava allo specchio provava una nota di puro disgusto.
E le ricerche che stava facendo e che lo stavano consumando certo non aiutavano il suo volto, che sembrava sempre più pallido e spento giorno dopo giorno. Però non voleva - poteva - fermarsi. Voleva sapere la verità, anche se probabilmente non era quella che voleva sentire. Forse gli avrebbe fatto pure più male di quanto già non fosse la sua vita. Di certo bene non poteva aggiugerglielo.
Hugo sospirò, abbassando lo sguardo al terreno, fra le sue gambe. Così vedeva un cioffo di capelli rossi, il torace, le braccia, i piedi e il terreno verde che si apriva sotto di lui come un immensa distesa buia e morta.
Hugo aveva pensato di lanciarsi di sotto. Aveva ripensato a ciò che gli aveva detto Scorpius, ed era giunto a una conclusione.
Scorpius aveva ragione. Tanta.
Hugo aveva ucciso Hermione Granger. Sua madre. Aveva privato Ron dell'amore. Aveva privato Rose, una ragazza buona, gentile, altruista, intelligente, assolutamente meritevole di essere alla vita di una madre.
Le aveva tolto la possibilità di essere cresciuta da una figura femminile. Le aveva tolto la possibilità di vivere in una famiglia normale, dove Ron non odiava tutto ciò che vedeva, dove Ron non teneva il muso.
Dove Ron non era costretto a fingere di interessarsi al figlio quando avrebbe voluto urlargli in faccia il male che lui gli aveva fatto.
Ron odiava Hugo, e questa era una verità che Hugo aveva imparato ad accettare. Hugo alzò lo sguardo verso il cielo. Il sole stava tramontando oltre la foresta Proibita.
Le tenebre avvanzavano nel parco sempre più velocemente. Tristi e inesorabili come una camminata propagatrice di una sentenza decisiva.
Il ragazzo si chiese come sarebbe stato raggiungere. Raggiungere quel nero infinito e tributo e non sentire più niente. Solo il freddo che avvolgeva il piccolo corpo ormai privo di luce.
Sí, Hugo aveva pensato di buttarsi di sotto. Almeno avrebbe ripagato al torto fatto. Poi aveva guardato il giardino di Hogwarts, che si estendeva sotto di lui come una distesa verde e infinita.
Gli era venuto un improvviso senso di vertigine e si era ritratto. L'imprvvisa visione del suo corpo sfracassato a terra in una macchia di sangue che si allungava rossa e densa sull'erba gli aveva fatto venire la nausea. Gli aveva fatto tanto schifo che per poco non aveva sfogato il disgusto in un conto di vomito. Sia per se che per la visione orripilante che gli si era parata oltre le palpebre.
Poi si era dato del codardo.
Non aveva nemmeno il coraggio di fare un saltino. Questo era il motivo per il quale era Serpeverde: completamente privo di coraggio.
E poi, perché era cattivo. Hugo pensava spesso alla cosa: gran parte dei Maghi Oscuri più cattivo di tutti i tempi erano stati Serpeverde, e avevano fatto cose orribili.
Erano cattivi.
Lui aveva ucciso suo madre quando era appena nato. Il vero e proprio fatto di nascere aveva portato Hermione alla morte. Era un record.
Era normale fosse Serpeverde. Solo chi ha un incredibile concentrato di cattiveria e sbagliatezza dentro di sé capitava in quella Casa.
Tutti lo erano. E Hugo non faceva eccezione.
Hugo scosse piano la testa. Se Albus avesse sentito i suoi pensieri probabilmente gli avrebbe urlato contro. Gli avrebbe ripetuto che lo stemma che portavano sulla divisa non faceva la persona, che il nome con il quale venivano identificati era, appunto, solo questo: un etichetta data per riconoscere una persona.
Poi Al avrebbe iniziato a parlare della storia della loro Casa. Di come ci fossero stati, nel tempo, Serpeverde che erano buoni. Che avevano voltato le spalle a Voldemort e avevano anche perso la vita. Avrebbe citato sicuramente Saverius Piton. Forse anche Regulus Black (storia che, per inciso, Hugo preferiva mille volte di più a quella del professore: suo zio George gli aveva raccontato dei favoritismi che faceva per i suoi alunni)
Ma, tutti i Serpeverde buoni erano l'eccezione, non la regola. Nessuna affermazione vale per tutto ciò per cui é espressa (morte a parte) era naturale di fossero uno o due studenti che non riantrassero propriamente tra i cattivi. Ma ciò non rendeva buona la Casa di Serpeverde: quelli studenti erano solo l'eccezione che conferma la regola, non la prova che la regola fosse errata.
Sì, probabilmente se Al avesse sentito ciò che gli passava per la testa gli avrebbe raccontato delle imprese fatte dai Serpeverde. Magari avrebbe citato anche Merlino.
E Hugo avrebbe solo annuito, facendo finta di trovarsi d'accordo con il cugino. Non avrebbe sprecato fiato per dire come la pensava: se Albus non si reputava una catastrofe per i colori di cui andava tanto orgoglioso, Hugo non voleva rovinargli la festa.
Non era nessuno per farlo.
E poi aveva già rovinato la felicità della sua famiglia nascendo: se poteva evitare di arrecare altre sofferenza al resto dei suoi cugini avrebbe accolto con gioia la prospettiva.
Prospettiva che diceva di stare in silenzio. Non dire ciò che lui pensava.
Ma era giusto così: i pensieri di una persona sbagliata rimangono a lei, legati con una fune indissolubile.
Non erano certo fatti per essere sbandierati su quattro venti. Avrebbe solo rovinato il resto della giornata agli altri.
Hugo sbuffò, poi si alzò in piedi. Tenne per un secondo la mano sul cornicione, le punte delle scarpe che sciovolavano oltre il bordo, il vento in faccia e l'inaspettata voglia di lasciarsi andare di peso, cadere in avanti come un sacco inerme e piombare al terreno in uno schianto di rosso e urla.
Poi Hugo scosse la testa. Gli venne di nuovo la nausea. Si voltò e, trattenendo il conato, saltò giù atterrando sul pavimento sporco della torre di Astronomia. Il lieve tonfo delle sue scarpe contro il legno provocò un rumore secco, e diversa polvere si alzò da sotto le sue suole in sbuffi di nuvole. Hugo si guardò intorno.
La classe era piena di Telescopi, che la tappezzavano in tutta la sua interezza, intervallando i diversi podi dove riposavano delle mappe stellari, i disegni delle stelle che brillavano come fiammiferi ardenti sotto la luce delle candele. Le tenebre si allungano sul pavimento come lunghe strisce nere, nascondendo nell'ombra gran parte degli aceri e della polvere che impregnavano l'aria. Vicino alle alte finestre - che erano tanti spesse che perfino Hugo era riuscito a starci seduto sopra tranquillamente - nel terreno immediatamente sottostante, si stagliavano funi argentate, piccoi fili d'argento dovute alle inferiate calate su almeno la metà delle aperture della stanza. Tutto il lato destro era stato chioso. Del pulviscolo gli girava intorno, come tanti piccoli insetti fastidiosi.
Hugo si mise le mani nelle tasche e, abbassando lo sguardo, attraversò in silenzio la stanza. L'unico rumore erano i tonfi lievi dei suoi passi.
Rose era passata di li, forse appena un ora prima. Lo stava cercando, e aveva una smorfia preoccupata che sfigurava il suo viso bellissimo. Era pallida, Hugo l'aveva vista bene illuminata dalla luce della banchetta che teneva in mano.
Hugo aveva sentito un vago senso di colpa. Poi, decidendo che non sarebbe mai riuscito ad affrontarla, si era nascosto in un angolo, dietro a un telescopio.
Fortunatamente Rose non lo aveva visto. Hugo l'aveva sentita esalare uno sbuffo, poi i suoi passi si erano allontanati lungo le scale e la sua presenza era svanita, lasciandolo di nuovo nella totale solitudine. Hugo aveva tirato un sospiro di sollievo.
Ora si chiedeva se fosse stata tanto una fortuna. Probabilmente sí, voleva stare senza nessuno, eppure non gli darebbe dispiaciuto avere Rose accanto, magari scambiare qualche parola con lei...l'idea che lei potesse essere lí a rassicurarlo gli dava un senso di conforto e nostalgia mai provato prima. Un mix esplosivo e congelante al tempo stesso.
Hugo scosse appena la testa, mentre scendeva le scale. Lui non se lo meritava. Non meritava la bontà di sua sorella, la gentilezza che lei gli riservava sempre. In tutti quegli anni, da quando ne aveva memoria, Rose non aveva mai urlato contro di lui.
Sì, alle volte lo aveva sgridato pesantemente, ma non aveva mai alzato la voce. Non lo faceva con nessuno. Era troppo educata per imporsi in un modo tanto brusco.
E, da quando ne aveva memoria, Rose gli aveva sempre fatto un regalo di compleanno. Si preoccupava di festeggiarlo nonostante in quella data sua madre fosse morta. Era molto nobile da parte sua, e altruista. Non a caso era una Grifondoro.
Hugo si fermò sulle scale. Il silenzio lo avvolgeva come un manto soffocante.
Poi sospirò, e riprese a scendere mestamente le scale. Uno strano senso di tristezza lo aveva travolto, e lui sapeva perché.
Era anche per questo che buttava via i regali di Rose. Che faticava davvero tanto ad accettarli, oppure ci metteva mesi per decidersi di aprire quel dannato pacchetto.
Lui non se lo meritava. Non meritava né il regalo, né di festeggiare quando aveva distrutto una famiglia. La sua famiglia, che non aveva fatto niente di male. Al contrario, aveva anche liberato il Mondo Magico. Se c'era qualcuno che si meritava la felicità di sicuro quello era Ron. E Hermione. E Rose.
Hugo no. Non dopo ciò che aveva fatto nascendo. Il dolore che vedeva riflesso negli occhi del padre tutte le volte che lui lo guardava era come una pugnalata al cuore.
Nonostante Hugo fosse sempre stato abituato a donare alla pattumiera i regali che Rose gli faceva - non aveva mai pensato che facendo così potesse ferirla: credeva che ormai la conoscenza che lui non meritasse quella gentilezza fosse così radicata che perfino la sorella dovesse accorgersene - quell'anno, lo aveva tenuto. La scacchiera rossa e verde gli piaceva in modo particolare, ed era stato troppo egoista perfino da gettarla via (altra caratteristica che faceva di lui uno sporco Serpeverde e non un altruista Grifondoro. Altra diffidenza che distingueva Rose da Hugo) e, sentendosi sempre più un mostro, l'aveva tenuto contro ogni valore morale o principio di penitenza che si era imposto.
E poi, non ci aveva messo mesi per aprirla. Giusto un paio di settimane. Forse tre. Comunque era stato un record. Ma lo aveva fatto solo per distrazione: quello che stava scoprendo lo stava lentamente demolodendo dentro, e Hugo non riusciva a digerire tutto lo schifo che si faceva che scopriva altro che non faceva altro che gettare altro ribrezzo sulla sua persona. Ancora si sorprendeva se pensava che suo padre non lo aveva ucciso quando era in fasce: con quale auto controllo si era trattenuto? Hugo si sarebbe fatto fuori senza nemmeno pensarci, se fosse stato nei panni del padre.
A conoscenza di tutti quei dettagli che gli aveva nascosto, sperando che il tempo li seplelisse sotto un manto impenetrabile. Beh, si sbagliava: Hugo stava scavando nella terra della storia, e aveva già trovato tesori oscuri con cui punirsi.
Ma era anche vero che era più di un mese che cercava. Precisamente da quando si era ferito alla gamba, e Rose gli aveva messo i punti.
Il dolore era stato tanto forte da farlo accecare per diversi attimi. Hugo aveva impegnato tanto tempo per tornare a vedere, e un incredibile forza di volontà per non lasciarsi strappare nemmeno un grido.
E poi era arrivata Rose. Come al solito che, senza preoccuparsi di ciò che lui le aveva tolto, lo aveva curato, facendolo sentire meglio. Aveva addirittura acconsentito a non dire niente a Ron! Ron, che avrebbe potuto benissimo mettere in punizione per il resto delle estate. Invece no, Rose era stata muta e non lo aveva fatto pagare per ciò che aveva fatto.
Forse era per questo che che Rose non aveva detto niente: voleva evitare quella discussione e i drammi inutili.
E sua sorella era stata gentile con lui, ancora.
Lui, che non si meritava la gentilezza.
Alle volte si chiedeva come mai Rose non lo odiasse. Sarebbe stato comprensibile, dopotutto: Hugo aveva fatto morire Hermione, Rose avrebbe benissimo potuto prendersela con lui.
Ma invece no. Lei si dimostrava ancora troppo matura per certi gesti infantili. E troppo buona.
Hugo non era sicuro che, se le cose fossero state invertite, se fosse stata la nascita di Rose a fare morire Hermione (cosa impossibile, vista la purezza della ragazza) e non quella di Hugo, lui non se la sarebbe presa con la sorella. Temeva che il suo pessimo carattere lo avrebbe portato, lentamente ad odiarla. Non credeva che sarebbe riuscito ad andare oltre, cosa che invece faceva Rose con lui.
Sempre.
Hugo era arrivato alla fine delle scale. Si voltò un paio di volte, a destra e a sinistra. Il buio rendeva il castello un unica macchia irriconoscibile di nero.
Si strinse nelle spalle e prese una direzione a caso, continado a camminare senza meta.
Alle volte Hugo si chiedeva se sua sorella non fosse stata proprio pensata per essere il suo opposto. Un angelo tanto buono che avrebbe controbilanciato la parte cattiva in lui.
Si, forse era così. Tanto bene e tanto male insieme creavano una situazione di equilibrio.
Precario, sí, ma sempre meglio di niente.
Però, di questo Hugo ed certo, era lui a essere il male. Il nero che avrebbe pian piano invaso tutta la casa con la sua pessima influenza, se non fosse stato per la luce che Rose emanava continuamente. Quella ragazza, agli occhi di Hugo, brillava di luce propria.
O forse era perché lui era un buco nero, e tutto, perfino suo padre, gli sembrava luminoso per contrasto con la sua oscurità. Forse. O forse erano entrambe le cose.
Certo c'era questo: lui era il male.
E non lo pensava solo perché sua madre era morta per darlo alla luce, e nemmeno per le recenti scoperte fatte in quelle settimane. No, lo pensava per quello che era successo il diciannove settembre di quell'anno.
Hugo aveva sentito per la prima volta parlare in modo oggettivo di sua madre, ed era svenuto. La sua curiosità lo aveva spinto in quella direzione, e, per la prima volta, aveva sentito qualcuno parlare di Hermione Granger senza che la bocca appartenesse a un suo parente.
Rose gli aveva detto che non doveva più andarci, che gli altri ne parlavano in un modo di cui lui non era abituato a sentire...Hugo aveva trovato una vaga spiegazione alle sue parole.
Ma non era questo il punto: un uomo - un professore - gli aveva parlato di sua madre e lui, contro ogni logica, era svenuto. Aveva sentito il freddo, una sensazione opprimente che lo avvolgeva, e poi aveva visto tutto buio, lo stesso buio in cui aveva fatto precipitare suo padre con la sua nascita.
Nessun ragazzino sviene e si vorrebbe tappare le orecchie quando sente parlare della propria madre. Magari sbuffa, si scoccia, alza gli occhi al cielo e prega l'altro di smetterla...
Ma non sviene. No se non c'è niente di sbagliato in lui.
Questo era la prova più lampante che ci fosse qualcosa che non andava in Hugo.
Qualcosa di profondo e corrotto che inquinava la sua anima, come i testi che aveva trovato dicevano abbastanza esplicitamente.
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La Weasley se ne era andata da tempo ormai. Per fortuna, aggiungeva Scorpius mentalmente.
La festa nella Sala Comune di Serpeverde era finita da un pezzo, e tutta la squadra era rimasta a pulire il caos che i loro compagni avevano lasciato.
Tutti tranne Hugo Wealsey.
Da dopo la partita Scorpius non lo aveva più visto, e un vago senso di preoccupazione saliva in lui.
Che le sue parole fossero state troppo forti? Aveva visto la faccia di Hugo, sentito ciò che aveva provato, e il pensiero assillante che avesse esagerato non lo lasciava più da un paio d'ore, ormai.
E, come se non bastasse, era arrivata la Wealsey a fargli salire il senso di colpa. Come se già da solo non gli bastasse!
In più non aveva nemmeno il coraggio di dire ad Albus cosa avesse detto - urlato - contro il cugino che il suo migliore amico reputava quasi come un fratello minore...
Aveva il terrore che Hugo parlasse e dicesse ciò che lui gli aveva detto.
O che facesse qualche cavolata. Come dargli ascolto, ad esempio.
"Scorpius?" Albus richiamò la sua attenzione con una mano in aria "Scorpius, ma ci sei?"
Scorpius sobbalzò, e alzò di scatto gli occhi su di lui. Sbatté le palpebre.
"Che? Oh sì certo" borbottò.
Medelain, che stringeva una scopa per spazzare esattamente come Scorpius, alzò elegantemente un soppracciglio biondo, trafiggendolo con i suoi occhi verdi.
Scorpius le rivolse una smorfia, prima di voltare le spalle e tornare a pulire.
In compenso, quel momento di stacco gli era servito. Aveva pensato a cosa avesse visto nella testa di Hugo, e si era scervellato su cosa potesse significare.
Un ricordo della sua famiglia? Ma, in tal caso, chi era quella donna insieme a quello che - sempre seguendo la stramba teoria - era Ron? Perché, se Hugo aveva pensato a un momento passato, Hermione era già morta.
O forse non era proprimente la famiglia di Hugo. Forse era un altra.
Ma allora perché cavolo Hugo li aveva visti? Perché Scorpius aveva visto tutto sotto un velo di nostalgia?
Trattenne uno sbuffo, continuando a spazzare con più veemenza.
Odiava non capire. Guardare nei pensieri delle persone era la cosa che gli veniva meglio - più facile e naturale - perché cavolo, ora ci metteva così tanto a comprendere un semplice pensiero?
E perché stava sprecando tutte quelle energie? Perché non se ne fregava come stava facendo con il resto da quando lo aveva scoperto?
Scorpius sospirò. Per quando avrebbe voluto rispondersi che ci pensava perché era preoccupato per il ragazzino, sapeva non fosse la verità. Sapeva di star mentendo a se stesso.
La verità era che non aveva mai visto niente del genere. La mente del rosso era curiosa e rara, e lui la trovava molto interessante.
Anche quella della sorella lo era. Quando era venuta nella Sala Comune, sebbene Scorpius fosse distratto da tutto, la testa della rossa l'aveva colpito, anche di più di quello che aveva trovato dentro Hugo.
Aveva percepito ansia, preoccupazione e centinaia di congetture, tutte fatte tanto velocemente che lo lasciavano interdetto. Nessuno riusciva a pensare così velocemente e a nascondere le sue emozioni con tale maestria.
"Scorpius!" Una lattina lo raggiunse alle spalle "Scorpius mi stai ascoltando?"
Scorpius chiuse gli occhi, passandosi una mano sulla fronte. Medelain sapeva essere davvero irritante.
Girati idiota.
Scorpius si trattenne dal rispondere al suo pensiero. Si girò piano, alzando gli occhi al cielo.
"Si?"
Lei gli porse calma una busta nera "buttala"
"Hai tentato il mio omicidio solo per farmi buttare una busta della spazzatura?"
"Sei così delicato?" Lei inarcò elegantemente le sopracciglia "la prossima volta farò più attenzione, allora. Ti tratterò con i guanti"
"E se tu non mi trattasse e basta?"
"E se tu buttassi la spazzatura?"
"E se voi due la smettesse di bisticciate come bambini dell'asilo?" Intervenne Albus, sbuffando, mentre agitava la bacchetta di qua e di là e al suo passaggio la Sala diventava di nuovo linea.
Scorpius alzò gli occhi al cielo.
"Buttala tu" disse voltandosi di nuovo e continuando a spazzare.
Attraverso i pensieri di lei, sentii tutta la sua indignazione.
"Cosa?" Soffiò infatti Medelain, incredula.
"Ho detto" Scorpius la guardò da sopra la spalla "buttala tu"
"Ma te lo chiesto!" Protestò lei.
"E anche tu sei in piedi." Ribatté Scorpius "puoi benissimo fare due fottutissimi passi in più a toglierti dai piedi"
Medelain lo fissò in silenzio per un attimo. Poi abbassò il braccio.
"L'anno scorso non avresti fatto così" disse neutra, l'espressione vuota.
Scorpius la osservò sorpassarlo in silenzio. Tutti si lamentavano del fatto che fosse cambiato senza sapere niente. Era abbastanza certo che, nelle sue condizioni, chiunque non sarebbe rimasto più lo stesso. Si sarebbe inacidito.
Chi attraversa il fuoco della sofferenza può uscire in due modi. O puro come l'oro, o acido come l'aceto.
Scorpius scosse la testa, scacciando le parole di sua madre, che continuavano a fare capolino nei suoi pensieri come una suocera impicciona. Non voleva sentire.
Non voleva darle ragione.
La porta della Sala Comune di aprii dietro di lui con uno scatto, e Scorpius sobbalzò.
Ancora prima di voltarsi sapeva chi aspettarsi di vedere.
Hugo Wealsey era in piedi sul l'uscio della Sala Comune, le mani affondare nelle tasche e lo sguardo basso, il ciuffo rosso schiacciato con tale forza sulla fronte da sembrare una coperta stretta. Non guardò nessuno prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Scorpius sentiva i suoi pensieri. Non erano lieti. Il pensiero fisso era la sorella, che stava lodando con sproporzionato senso di colpa.
Scorpius trattenne una smorfia. Per come la definiva Hugo lei sembrava una specie di angelo sceso in terra. Ma non era così - non poteva essere così: nessuno é tanto buono.
É di parte si spiegò Scorpius, tornando a pulire.
"Ti sei perso la festa della vittoria" disse Albus al cugino. Non era arrabbiato, ma era abbastanza neutro. Di faccia, si intende.
Scorpius sentiva i suoi pensieri anche a metri di distanza, lui da un lato della Sala e Albus dall'altro, ed era come se gli urlasse nella testa la sua preoccupazione. Fece una smorfia: avrebbe tanto voluto dire a Albus di non essere così esplicito.
Hugo si strinse nelle spalle. "Può capitare"
Non lo merito.
Scorpius fu tanto sorpreso da alzare lo sguardo verso il ragazzino. Gli dava le spalle, voltato verso Albus. Medelain, lí di fianco, sbuffò. Gettò la scopa a terra e si allontanò, fulminando Hugo con lo sguardo.
Si era mossa troppo in fretta perché Scorpius riuscisse a leggerle i pensieri.
"E passata Rose" raccontò Albus, muovendo ancora la bacchetta "ti cercava"
"Lo so. La ho vista"
Albus fece scattare la testa verso di lui. "Fantastico". Disse. Non gli credeva. I suoi pensieri erano troppo increduli.
Scorpius non disse niente e, quando Albus riprese a pulire senza parlare, seppe che la discussione era finita.
Si voltò e continuona spazzare.
Poi lo sentii. Uno spostamento d'aria tanto lieve quasi insensibile. Non era il movimento di un corpo.
Ma di un pensiero.
Scorpius alzò lo sguardo. Trafisse la schiena di Hugo Wealsey con gli occhi grigi, leggendogli dentro. Arrivò all'improvviso.
Dietro le sue palpebre esplose di nuovo la luce gialla, intensa come quella del sole. Scorpius, preparato, non sbatté ciglio, aspettando che le immagini si formassero.
Alte figure dorate si stagliarono nello sfondo accesso, disegnando i loro contorni con una luce intensa.
Fu un secondo, poi lo sfondo fu risucchiato, chiamato all'interno come l'acqua di uno scarico, e all'orizzonte si formò la palla pallida e morente del sole.
Gli ultimi raggi stirati di rosso si allungavano sull'erba mossa dal vento dandole una colorazione scarlatta, quasi di sangue, che si rifletteva sulla testa die due bambini che giocavano.
L'adulto sembrava a suo agio, mentre sollevava un figlio e lo metteva in alto, sulle spalle, e la donna dai capelli lisci e castani rideva, due iridi chiare che brillavano contro il cielo che si spengneva.
Uno dei due bambini rimase a terra, la testa rossa che rifletteva come uno specchio la luce rossastra del sole. Sembrava una boa gettata nell'erba. Poi la donna lo prese e lo sollevò per aria, facendo liberare una risata cristallina che poteva appartenere solo a una bambina.
Poi un senso di nostalgia lo perverse, quasi come se lo provasse lui stesso.
Chiuse gli occhi. Poco dopo, tutto svanii.
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In The Name/ Scorose.
FanfictionTutti concordano sul fatto che Rose Weasley é una delle persone più buone al mondo: sempre gentile e altruista con tutti ( e con tutti, ovviamente, comprendo anche gli animali, dai più piccoli e innocui ai più grandi e pericolosi) pensa prima alle n...