PREMESSA: Poiché spesso trovavo incoerente che personaggi di 13 anni avessero comunque delle responsabilità di persone maggiorenni ho fatto un salto di età a tutti i personaggi che è di +3 per tutti quindi la guerra galattica inizierà il 1989 anziché il 1986. Terrò invece tutti gli eventi in ordine cronologico, quindi la storia si completerà nell'arco di aprirle 1990, 24/25 ('87 nel manga) contando anche il tenkai hen e l'inizio next dimension. La FF nonostante sia un What if? Cerca di collegarsi a tutti gli eventi accaduti in manga, anime e spin off per questo qui verranno raccontati i buchi mancanti. PS in riferimento a Saintia Sho prendo solo situazioni coerenti con il manga/Anime Originale
ATTENZIONE: © delle Fanart prese in giro per il Web se le riconoscete come vostre basta che me lo facciate sapere e provvedo a inserire i credits
COPYRIGHT: Storia basata sulla saga del maestro © Masami Kuramada ©Saint Seiya; Tutti i diritti della serie sono del sensei, della Toei e della casa editrice Shueisha; Per le immagini © Michi Himeno © Shingo Araki;
————————————————————————"I deboli possono morire tranquillamente se questo serve alla Giustizia."
24 giugno 1963 a venire - Catania
Rita era una tipica donna siciliana, devota a Dio e al marito Salvatore. Ogni giorno Rita passava le giornate nei campi con i suoceri, i cognati ed il marito. A ora di pranzo rientrava per rassettare casa, preparare la cena, cucire e stirare, cose che tutte le donne facevano, a sera in fine ella si dedicava al suo amato marito. La coppia prese con gioia la notizia dell'arrivo in famiglia di un bambino, il loro primo figlio, tanto che avevano preso in considerazione l'idea di lasciare la casa che dividevano con i genitori di lui e prenderne una loro.
"Aspettiamo la nascita del picciriddu. Se avessimo bisogno di aiuto?" Aveva chiesto Rita al marito che era carabiniere. Ma lui l'aveva rincuorata, Rita però sapeva come fare e alla fine lo convinse. E così avevano fatto, la coppia era rimasta lì a casa dei genitori di lui, ancora a occuparsi dei campi, a seminare e raccogliere i limoni o le arance lei. Vivevano di questo e ne erano felici.
Quando giunse il mese di giugno però Salvatore ordinò alla moglie di non andare più ai campi, doveva nascere il picciriddu e non poteva stancarsi.
"Poi avrai modo di lavorare una volta nato il picciriddu." Diceva la suocera. Ella non ci credeva e anche se non poteva andare nei campi Rita si metteva a lavorare in casa, a ricamare il corredo per il suo bambino, o bambina, e preparare cena per tutti. Ogni sera quando la famiglia rientrava trovava sempre ad accoglierli una casa pulita e il profumo del pane appena fatto. Poi a San Giovanni ecco che a Rita vennero le contrazioni.
Tutta la famiglia si fermò, Salvatore corse a chiamare la levatrice. La madre preparò dell'acqua calda e Rita urlava dal dolore. Il picciriddu aveva fretta di venire al mondo tanto che spingeva.
Quando Salvatore arrivò con la levatrice questa esplose in una fragorosa risata. "Tene fretta 'o picciriddu! La testa già metà fuori sta." Aveva detto allegra.
E si erano messe a lavorare lei e Rita per farlo uscire del tutto. Questo nacque di lì a poco, con strilla che chiunque poteva dire si sentissero fino al monte Etna, tanto erano forti. Splendeva il bambino tra le braccia della madre che subito lo amò appena glielo misero tra le braccia. Bello come suo padre era, la pelle olivastra e i capelli scuri.
"Masculo è Salvatore." Disse fiera al marito.
Lui le fu vicina e le accarezzò il viso.
"Masculo..." ripeté orgoglioso. "Il nome gli dobbiamo trovare." Disse indicando il padre.
"Oggi è San Giovanni Salvatore." Disse però l'uomo al figlio.
Vero che era il primo nipote, la punta! Ci voleva la continuità, ci voleva il suo nome ma l'anziano Nino guardava il bambino era voluto dal cielo e non voleva avesse il suo nome ma la benedizione di San Giovanni. "Chiamatelo Giovanni."
"Giovanni?" Chiese Rita. Non Gaetano come lui?
L'anziano scosse la testa "Oggi è San Giovanni. Il bambino è sano e sta bene, dobbiamo ringraziare lui." E fu così che in famiglia accolsero con gioia il piccolo Giovanni.
Egli era un bambino vispo. Piangeva sempre e tanto quando doveva mangiare. Si faceva sentire nei dintorni. A una settimana dalla nascita i genitori lo battezzarono, lo zio Luigi era il suo padrino. Il ricamato velo bianco sul capo, Rita era commossa suo figlio era anche figlio di Dio adesso.
Crebbe Giovanni, crebbe tra i campi di pomodori e di zucchine. Correndo a piedi scalzi nel terreno e aggrappandosi sugli alberi di arance. Aveva solo tre anni ma era vivace, la gioia, la mamma adesso aspettava anche un altro picciriddu, e lui Giovanni si sarebbe preso cura del fratello.
Non vedeva e non sentiva le minacce intorno a se Giovanni, era piccolo e non poteva capire. Non sentiva le voci che giravano e le liti tra i genitori.
"Don Mimí dice cose su di te!" Erano le accuse di suo padre, accuse di cui Giovanni non conosceva il motivo.
"Ma ti pare Salvatore che io guardo un uomo che non sei tu. Un picciriddu aspettiamo e io mai ho sollevato lo sguardo da terra in chiesa." Diceva Rita.
Ma chi era questo Don Mimí e cosa voleva dalla sua mamma. Sempre casa, chiesa e campi era stata Rita, mai una volta aveva alzato lo sguardo su altra gente, se non per chiamare Giovanni a se quando in chiesa si metteva a correre a salutare il parroco. Ma mai aveva osato fare ciò che non era consentito.
"Quello ti vuole. E tu non devi dare modo di parlare."
"Aspetto o tuo picciriddu Salvatore, ma ti pare che faccio parlare la gente io!" Diceva lei sfiorando il ventre gonfio "Diffidasti di mia! La tua sposa che da quando eravamo picciriddu accussí t'é fedele?" Diceva lei gesticolando.
Salvatore sollevò un pugno e poi scosse la testa. Da quando era un ragazzetto di nove anni conosceva Rita, occhi azzurri e capelli castani lei subito si era affezionata a lui. E quando a diciotto anni era andato dai suoi genitori a chiedere di poterla sposare, di poter stare con lei i genitori gliel'avevano consegnata. Mai era successo niente, mai fino a quando non era arrivato Don Mimí. Non era fiducia o meno, lei era sua moglie, la donna più bella di Catania e non potevano vederla. "Tu da oggi solo con me esci." Disse lui
Lei annuì, così era sempre stato. Mai era uscita sola, o con Salvatore o con sua mamma. Gli stava quindi bene "E cambiamo chiesa. Non ti deve guardare quel porco."
Quanto era bello il suo Salvatore. Pensò Rita abbracciandosi a lui. "Qualsiasi cosa tu vuoi Salvatore, io solo a te voglio."
I tempi andavano avanti e maturavano. Nacque Lucia anche se la minaccia di Don Mimí era sempre presente nella famiglia. Salvatore sapeva che, con la nascita di Lucia, Rita era diventata ancora più bella, la gelosia lo rodeva dentro e non voleva altri la guardassero. "È il momento di trasferirsi. Mi hanno fatto sergente, ci trasferiamo ai piedi dell'Etna." Disse alla moglie. Quel posto era lontano da Catania, dal Don e dai suoi occhi anche troppi lunghi. A Salvatore non importava che si andasse in una piccola provincia, voleva stare al sicuro con la famiglia.
Si trasferirono a Nicolosi subito dopo il quarto compleanno di Giovanni, il bambino era colpito dal padre che da figlio di contadini si era trasformato in un forte uomo in divisa. Serviva la pace suo padre, era un carabiniere e come diceva sempre la mamma, lui era un uomo di legge. Era visto con benevolenza da tutti Salvatore, quando al primo giorno di asilo accompagnò Giovanni a scuola tutti lo guardavano ammirati. E Giovanni ne era stato fiero, orgoglioso di avere un padre eroe. Aveva la famiglia più bella del mondo e adesso la mamma aspettava un altro picciriddu e lui? Lui Giovanni era il fratello maggiore e doveva essere l'esempio.
Poi una sera bussarono alla porta di casa. Giovanni seguì la mamma alla porta, era il commissario Antonio, il capo del papà.
"Buonasera commissario. Salvatore ancora non è arrivato. Non posso aprire!" Disse Rita dietro la porta
"Donna Rita aprite! Dobbiamo darle notizie importanti e Salvatore per stasera non rientra." Disse grave il commissario
Rita guardò il figlio e tenendosi stretto il ventre aprí la porta senza staccare la catenella. "Ditemi commissario."
L'uomo dal volto segnato dal dolore sospirò. "Questa mattina c'è stato un agguato Donna Rita e Salvatore era tra i carabinieri coinvolti.... mi dispiace non torna questa sera."
Rita sussultò "È stato ferito? Dove devo andare? In ospedale?" Disse lei prendendo il velo che mise in testa. Il suo Salvatore era ferito e lei non gli era accanto.
Il commissario scosse la testa "Mi dispiace Donna Rita. Non penso che sia il caso... lui è venuto a mancare."
"Come a mancare?" Sussultò lei. La mano appoggiata al bordo della porta si sentì le gambe mancare.
"Se volete venire a vederlo è alla camera mortuaria. Qualsiasi cosa Donna Rita siamo a vostra disposizione!"
"A mia disposizione? Mio marito è morto... mio marito è morto!"disse lei crollando al di là della porta. Le gambe non la sorreggevano e le lacrime presero a scendere vorticose. Prese Giovanni e se lo strinse a se baciandogli il viso così simile a quello del padre. Aveva perso il suo amore.
...
Erano tornati a casa a Catania, a vivere con i nonni. Giovanni era rimasto in un angolino tutto suo, per la prima volte infelice. Suo padre, il suo eroe era morto. I nonni e gli zii gli erano vicini ma la mamma sembrava smarrita e chi era lui per dirgli che sarebbe andato tutto bene? Il papà era morto.
Fecero la funzione a Salvatore nella chiesa dove sia Giovanni che Lucia erano stati battezzati. I bambini non avevano assistito, non era giusto far vedere ai bambini questi tragici momenti, eppure Giovanni percepiva che suo padre era ancora lì tra loro. Potette vedere il padre solo una volta che era stata sotterrato, al cimitero e fu in quell'occasione che Giovanni percepì ancora più forte la sua presenza, la loro presenza. Intorno a se c'erano tanti fuochi, flebili, fatui, onirici. Una volta alla tomba del padre, Giovanni poté avvertire che lui era lì e che non lo aveva abbandonato, lui non era solo; aveva con se tanti amici.
"Papà sta bene." Disse stringendo la mano a Rita. Sua madre non capì ma gli sorrise con gli occhi umidi.
"Si, sta bene." Al contrario era lei a non stare bene. Di lì a qualche settimana infatti Rita si sentì male ed ebbe un'aborto spontaneo perdendo così l'ultimo figlio di Salvatore.
Rita arrivò a smagrire entrando in depressione, nessuno sapeva cosa fare per lei, fin quando alla porta bussò Don Mimí.
Don Mimí parló con i genitori di Salvatore, la vedova aveva due figli e loro non potevano pensare anche a lei e ai bambini. Bastava che gliela lasciavano in moglie e sarebbero stati liberi dal mantenere anche lei. "Mi prenderò cura di lei e della picciridda... il picciotto invece no? Lo dovete tenere voi." Somigliava troppo a quello strafottente del padre e lui non lo voleva a casa sua.
Quando la madre se ne andò Giovanni piangeva. Tutti e due piangevano, madre e figlio. Lei se lo stringeva così forte, non voleva lasciarlo andare, lo stringeva e lo baciava e Giovanni rispondeva a tutti i suoi baci. Poi don Mimí fece segno a uno dei suoi uomini e li separarono. "Fai il bravo, ascolta i nonni, non farli preoccupare..." tutte le raccomandazioni della madre volavano al vento.
"Voglio venire anche io!" Disse sfidando don Mimí.
"Non voglio il figlio di Salvatore con me, sotto la tomba con lui dovevi andare. Resti qui se ci tieni a tua madre." Lo minacciò e così dicendo l'uomo se ne andò, la nonna Lucia lo ritrasse a se e gli baciò la guancia.
"Niente possiamo con lui Giovanni. Iddu non è una persona brava." Sussurrò alle sue orecchie.
Non era una brava persona! Gli avevano portato via la mamma e la sorella, certo che non era una brava persona.
Scappò via Giovanni, lasciò la nonna e il nonno e corse spedito per le strade di Catania fino a quando non arrivò al cimitero. Seguì i fuochi fatui lo portarono fino alla tomba di Salvatore e lì in preda alla rabbia prese a dare pugni alla lapide in marmo lasciando andare tutta la sua rabbia. Ce l'aveva con suo padre che era morto per difendere i deboli, ce l'aveva con sua madre che era andata via perché qualcuno di potente e cattivo li aveva pagati. E lui adesso era solo. Solo senza più nessuno, pianse e distrusse la lapide con un pugno forte e l'energia che lasciava uscire dal suo corpo. Urlò e lanciò un altro pugno ma fu fermato da una forte energia. D'improvviso una bara apparve alta sulla tomba del padre e si aprì, non aveva paura Giovanni, era abituato a vedere i fuochi fatui e non temeva un cadavere.
Dalla bara uscì un uomo con le spalle curve, il viso anziano e i capelli bianchi, la pelle era coperta da una corazza d'oro. Lo sguardo sbieco si spostò subito su di lui e un ghigno apparve sulle labbra sottili dell'uomo.
"Non dovresti prendertela con i morti ragazzino."
"I morti sono miei amici.. capiscono." Disse Giovanni "Chi sei?"
"Io?..." disse l'uomo con quel suo solito sorriso. "Death Thol di cancer e stavo cercando il mio successore. Credo proprio di averti trovato." Disse lui indicando le anime che li circondavano.
Giovanni alzò il mento con sfida. Ma cosa voleva quel tipo e come diamine si chiamava "Successore di cosa?"
"Del Cloth di cancer ragazzo. Sei nato sotto la protezione di Athena ed è tuo dovere proteggere la dea e l'umanità."
"La nonna non vuole..." disse Lui indietreggiando. Quell'uomo era folle.
"Parlerò io con tua nonna. E ti addestrerò qui nel tuo paese!" Gli disse Death thol
"La nonna non è qui." Disse ancora lui
"Tranquillo, adesso che ti ho trovato saprò come cercarti. Conosco il tuo cosmo."
Cosmo?
Giovanni non capiva: cosmo! Cos'era?
Stava di fatto che Death thol mantenne la promessa, lo trovò dalla nonna e iniziò ad allenarlo. Ad iniziarlo all'uso del cosmo e a spiegargli come funzionavano i fuochi fatui e di cosa erano capaci loro, Saint del cancro.
Lo portò anche in Grecia dove conobbe i suoi simili, in quell'occasione Giovanni pensò ad un nome che lo distinguesse dagli altri. Ma quale? Pensò al suo maestro e l'unico nome che gli veniva in mente per il momento era Death. Da quello iniziò: chiamatemi Death.
Da allora la scalata a diventare saint di Athena iniziò. Divideva la vita tra il santuario e Catania dove si addestrava, a sette anni era già gold saint. Affrontava Don Mimí ogni qual volta voleva vedere sua madre e quando questi una volta fece per picchialo Giovanni reagì.
"Io non ho paura ad ucciderti!" Lo minacciò Don Mimí e Giovanni lo sfidò con lo sguardo "Nemmeno io a voi. Siete un uomo cattivo!" Lo accusò con disprezzo.
"Non sono cattivo. Sono potente e per amore di pace e di giustizia spesso mi capita di farci capitare di mezzo degli innocenti. Ma tua madre... lei con me è al sicuro." Gli disse allora lui "ma tu no!"
Giovanni lo guardò con disprezzo. "Staremo a vedere. Staremo a vedere." Gli disse allora.
E più Don Mimí si rifiutava di fargli vedere la sua famiglia più l'odio verso di lui e verso l'umanità che non faceva nulla cresceva. Tutti in paese sapevano ciò che faceva Don Mimí: il parroco, la polizia e i carabinieri. Ma nessuno lo contrastava e intanto gente innocente moriva. Aveva ragione però, quando sei potente capita di lasciarci andare di mezzo degli innocenti. È il prezzo per la giustizia e quella notte dopo che Shura aveva ucciso Aiolos al grande tempio anche lui fece la sua scelta. Andò dal marito di sua madre e senza esitare lo uccise.
"Capitemi don Mimí. I deboli possono morire tranquillamente se questo serve alla Giustizia. E io sono qui per pulire questo posto dall'immondizia. La vostra immondizia."
Lo lasciò così a morire nell'ade, mentre sulla terra il suo corpo riversava ormai morto sul tappeto di casa, si avvicinò a lui e gli afferrò la faccia. "Il vostro viso don Mimí sarà il trofeo per la mia casa in Grecia."
Poco alla volta mandò all'altro mondo anche i suoi uomini, poi i suoi avversari. Infine decise di fare piazza pulita di qualsiasi mafioso o assassino ci fosse lì in Italia o nel mondo. A volte ci andavano di mezzo gli innocenti, ma non c'era nulla di più vero delle parole di don Mimí. Era necessario sacrificare vite innocenti per una causa più grande. E intanto la casa di cancer si riempiva dei visi delle sue vittime, non era più Death. Era diventato death mask e ne andava fiero.
La sua crociata terminò per poco tempo quando il sommo sacerdote aveva indetto il Crysos Sinagein. C'era da affrontare dei titani ed ora si iniziava a giocare sul serio. La lotta contro il male era iniziata e a lui non importava di quanto il sommo stesse o meno dalla parte di Athena. A lui importava stare dalla parte del più forte, ed era Saga di gemini il più forte.
E lo pensava ancora adesso, a distanza di anni di fronte al dragone, spoglio delle vestigia di cancer che lo avevano abbandonato.
La pace e il bene dell'umanità avevano bisogno di gente come lui. Gente che non aveva timore a uccidere per difendere il prossimo.
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Agápi gia ton Olýmpou (Saint Seiya)
FanfictionPrologo di Saint Seiya dopo i fatti di Hades. © M. Kurumada © Michi Himeno © Shingo Hiraki © Toei L.T.d Storia basata sulla saga del maestro Kuramada Saint Seiya. Vietato copiare i diritti di copyright