Parte 98ª - E la terra si calmò

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Tempio di Zeus - 23.08.1999
Shiwa aprì gli occhi lentamente, un raggio di luce filtrava tra i rami degli abeti. Dei versi gentili giungevano al suo udito, tutto sembrava più luminoso e perfetto, i suoni erano in sottofondo e anche il cinguettare degli uccelli appariva lontano. Si sentiva in pace con se stessa!
"È dunque questo il nirvana." Sussurrò, come e quando era accaduto non lo sapeva. Ma aveva raggiunto la via del trapasso, la sua anima da viva era morta e si era innalzata all' immortalità. Non quella del Buddha per cui la vita finisce per andare oltre, bensì quella divina dove la vita sarebbe poi continuata in eterno.
"Pensi sia il nirvana?" Chiese una voce maschile.
Al che Shiwa riaprì di nuovo gli occhi trovandosi in quelli azzurri di Shaka, era dunque morta realmente ed aveva raggiunto il suo sposo. O peggio era subito passata dalla vita umana a quella divina ritrovando uno Shaka diverso da colui che aveva lasciato nove mesi prima, il santo di Athena che suo padre aveva risorto quattro mesi prima.
"Come è accaduto?" Chiese cercando di sollevarsi.
Shaka lasciò che si sedesse per poi sorreggerla mettendole una mano dietro la schiena. "Credo sia accaduto dopo che Vipásyn è venuto al mondo." Spiegò il Vergine mentre ella sollevava un sopracciglio in segno di incomprensione. "Hades! Dopo la sua nascita ho cercato un legame e tu eri lì con noi ma non c'eri, poi il tuo cosmo si è invigorito dicendoci che ci avresti aportato alle porte della morte." Spiegò lui.
"Io ricordo tutto, ero lì con voi, da prima che vi dicessi che vi avrei condotto alle porte." Disse la ragazza.
"No Elisabeth! Forse lo eri con l'anima perché solo quando io e Vipásyn abbiamo parlato, sei arrivata tu. Credo sia stato il lasso di tempo del tuo trapasso!" Spiegò calmo Shaka.
Shiwa scosse la testa, quindi non era stata tra di loro durante tutta la conversazione che avevano avuto i due? Eppure lei la ricordava, Vipásyn era il nome che Shaka aveva dato ad Hades. Si toccò la nuca ed avvertì la soffice morbidezza dei capelli sciolti, era convinta di averli tenuti legati in una crocchia.
"Sono cresciuti!" Disse Shaka e lei annuì, lo sapeva era accaduto a fine aprile durante la guerra sacra di Athena contro Hades. "Sono cresciuti adesso, molto più lunghi." Precisò la vergine.
Lis sospirò, odiava le mutazioni divine. "Cosa è accaduto dopo che vi ho portato alle porte della morte?" Chiese, doveva pensare ad altro.
"Le hai aperte e ci hai portato dove si ergeva il muro del pianto." Raccontò Shaka. "Una volta lì io e te abbiamo stabilito una connessione con Hades che ha ricostruito il muro e riformato il sigillo dell'esilio delle anime." Terminò.
"Noi due? Hades invece cosa ha fatto, è tornato ai campi Elisei?" Domandò timorosa di ciò.
Shaka scosse la testa. "I suoi pochi poteri sono stati consumati dalla chiusura del sigillo. Adesso lui è nel tempio medico accudito da Ilizia, dorme come un normale bambino di poche ore." Riferì il santo.
"E la bambina, lei è nata? Ce l'ha fatta?" Chiese, da quando era così smarrita e persa, impaurita addirittura? Non lo era mai stata per se stessa, aveva sempre trovato pace e mitezza nelle sue preghiere e della meditazione. Eppure questa volta era diverso, si parlava dei suoi figli! Poteva un sentimento del genere prevalere su tutto ciò in cui credeva?
"Stai serena Persefone, i tuoi figli stanno entrambi bene. La bambina è venuta al mondo prima di Vipásyn, è tranquilla ed ha dei bellissimi occhi azzurri che guardano al mondo."
"Spica!" Sussultò la dea.
"Spica?!" Chiese Shaka.
"Shaka di Virgo, tu hai chiamato mio figlio Vipásyn." Ci tenne a precisare lei facendosi forza per alzarsi.
La vergine subito le fu accanto e le prese una mano per aiutarla, lei non rifiutò quell'offerta di pace, anzi lo ignorava guardandosi intorno. "Voglio vederli, so che peccherò di cupidigia. Ma devo vedere i miei figli."
"Sono i tuoi figli, perché mai dovresti peccare Elisabeth." Disse lui stringendole la mano e guidandola verso il tempio. "Credo sia del tutto normale la tua reazione, sarebbe peccato se tu non dimostrassi tale desiderio e bramosia per i tuoi figli." Le spiegò ricordando i suoi amici che si apportavano ai figli, non era sbagliato ciò che Persefone voleva fare, era naturale e nessuno poteva toglierglielo o reputare fosse peccato.

Mar Egeo
La nave di Poseidone scorreva rapida tra le onde del mare.
Non si comprendeva se fosse la nave ad andare a quella velocità spropositata o se fosse il mare a portarli di buona lena verso la terra ferma.
Sicuramente Nettuno stava facendo la sua parte in tutto ciò, così come poco prima durante la loro battaglia contro i mostri marini. Il dio del mare sembrava non essere interessato ad alcuna conversazione nonostante fosse circondato da Hera, Aphrodite ed Hercules, dietro la dea dell'amore due ancelle Tulip e Hilda di Polaris fissavano l'orizzonte.
Milo comprendeva perché la regina di Asgard evitasse anche solo di guardare verso il dio dei mari, lui era stato l'uomo che l'aveva manipolata donandole l'anello del nibelugo così che aprisse una guerra contro Athena. Durante quella battaglia Hilda aveva perso i suoi soldati nonché qualche buono amico e nonostante un nemico in comune certe cose non si cancellavano.
Nettuno di suo invece dedicava la sua attenzione a lady Tahira che, con le mani in segno di preghiera, volgeva lo sguardo all'orizzonte.
Aveva intrapreso quel viaggio dall'Arabia alla Grecia ad un solo scopo, ritornare a casa. La divina Hera la comprendeva, tutti su quella nave erano legati da un unico e indissolubile destino, erano divinità Olimpiche cui era stata tolta la casa meno di cento anni prima ed ora tutti volevano tornare a casa.
La madre degli dei come Nettuno non forzava Tahira, o meglio Hestia, a parlare. Erano ancora troppo scossi dalla notizia, così come il fratello minore anche ella restava in silenzio ad osservare la divina sorella, qualche volta scambiava uno sguardo di intesa con Hercules o con il fratello, altre sospirava.
Lady Tahira sapeva chi loro fossero? C'era bisogno di dire loro che erano i suoi fratelli? In fondo era stata la divina Hestia a dire a tutti di fermare le ostilità poiché la pace era intervenuta in loro soccorso.
Così tacevano, tacevano ed attendevano l'arrivo sulle coste greche, quelle che si trovavano più vicine alla Macedonia, aveva detto Poseidone. Presto avrebbero toccato terra e lo stesso Milo pensava che non vedesse l'ora, il mare gli portava alla mente troppi ricordi: lui, Miho ed il loro primo incontro, le loro estati in barca ed il loro amore che piano piano cresceva, fino a diventare l'unica certezza dello scorpione.
Fu destato dai suoi pensieri malinconici quando avvertì una certa aura raggiungerlo, la conosceva ormai, dopo averla indossata l'avrebbe riconosciuta ovunque.
Si tolte quindi le effige di Lemuri consegnandole a Sorento poi volse lo sguardo verso l'orizzonte.
"Io mi fermo qui." Affermòm. "Zeus e Apollo già sanno, ho il loro permesso." Disse a Dohko che quando vide apparire lo scorpione celeste comprese che Milo doveva di nuovo andare via.
"Mi raccomando, sii prudente e non farti sopraffare dal cosmo, hai un corpo ancora fragile."
"Vi assicuro che questa volta mi riposo. Anzi prenderò un aereo per tornare a casa!" Disse il ragazzo correndo verso la poppa e lanciandosi in mare.
Non vi arrivò e non si tuffò, al contrario fece un salto che lo fece issare oltre il cielo e trasportato dall'armatura si allontanò verso est lasciando tutti sorpresi.
"Dove sta andando?" Chiese Aphrodite preoccupata per lui.
"È il custode della pace!" Intervenne la dolce voce di Hestia. "Non è questo il suo posto, ma dove Eireen lo chiama."
Rosa restò sbalordita poi dopo essersi scambiata uno sguardo con Saga pose a Lady Tahira la fatidica domanda.
"Lei sa chi siamo noi?" Chiese
La donna alzò lo sguardo e sorrise tutti. "Percepisco i vostri cosmi ed i vostri poteri, ne ho un'idea. Ma non sono sicura al cento per cento come con mio fratello Poseidone." Affermò allora volgendo uno sguardo benevolo a Julian.

Agápi gia ton Olýmpou (Saint Seiya)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora