"Allora? Stai meglio, Fede?" chiese Flor, quando il volto del giovane ebbe ripreso colore.
"Sì... sì, va meglio." rispose lui, timidamente. "Mi dispiace per te... voglio dire..."
"Vuoi smetterla di farti carico di tutto quello che succede? L'amore è anche questo: una volta cadi tu, un'altra cado io... è così." lo rimbeccò Flor, teneramente. "Ti chiedo solo un favore. Non voglio che quello che ha fatto la strega t'indurisca o ti spinga verso la vendetta... quella non potrà riportarci i nostri genitori, lo sai... ma tuo padre potrà vivere con te, DENTRO di te."
Lui sapeva che Flor aveva ragione.
Lo sapeva e, anche se il desiderio di vendetta gli bruciava dentro, si rese conto del fatto che il modo migliore per vendicarsi di quella strega era non fare niente per farle del male, a meno che non avesse cominciato lei.
"Flor... non dirlo a nessuno, ti prego... devo dirlo io ai ragazzi, ma non ne ho ancora la forza... io..."
"Non dirò niente, te lo prometto" lo rassicurò lei. "Tu stai tranquillo... lascia che il dolore diventi sopportabile, poi ti aiuterò a parlare con loro... mi fa male vederti così triste, ma so che non posso fare niente, se non restare accanto a te..."
"Fede! Flor!" Franco entrò nella stanza, di gran carriera, e li vide lì, abbracciati, con gli occhi rossi e gonfi. "Cos'è successo? State bene, ragazzi?"
"Sì, sì... stiamo bene, tranquillo" rispose Flor, schiarendosi la voce. "Ti serve qualcosa?"
"Vedi... stamattina Reina ha ricevuto una chiamata da quella sua amica, Camilla. Quella ragazza sicuramente non ci sta bene, in prigione... dovremmo far qualcosa per liberarla, non vi pare?"
"Sì... sì, hai ragione. Dovremmo farlo" rispose Flor.
"E poi... ecco, ho visto Emma. Ieri sera abbiamo parlato. Lei... era preoccupata per... per tutte quelle cose... insomma, Fede... tu ce l'hai ancora, il numero dello psicologo di Martin? Magari parlare con lui l'aiuterà."
Fede rimase lì, immobile. Faceva fatica ad ascoltare suo fratello... non perché non volesse, ma solo perché quelle parole cruciali gli rimbombavano in testa a ripetizione... lo tormentavano.
"Ehi! Fede, tutto bene?" chiese Franco.
"Sì, Franco... è colpa mia se è un po' stordito, poverino." disse Flor. "Mi è venuto un attacco di malinconia e lui è dovuto stare dietro a me e ai gemellini per tutta la notte."
"Ah, va bene... è dura fare il padre, eh, fratellino? Però dev'essere bello..." disse Franco, alquanto sognante. "E tu sei un ottimo padre..."
Padre... suo padre... suo padre è caduto dall'elicottero... non è un caso che suo padre sia caduto dall'elicottero... è stata la sua madrina a danneggiare il velivolo...
"Grazie, Franco... sì, certo che è bello essere padre... non è facile, ma fa lo stesso" rispose lui, "comunque, vedi, lì sulla scrivania c'è un blocchetto rosso... è la rubrica telefonica. Il numero dello psicologo è sotto la lettera R... però secondo me è meglio se ne parli con lei, prima... insomma: trovarsi a fare una seduta dallo psicologo, così, di punto in bianco, non è mica uno scherzo."
"Ci ho pensato, Fede... ma lei è molto riservata... ho paura che mi smonti, se le dico cosa voglio fare."
"Va bene, allora chiamalo" disse il giovane. "Ma sta' attento, ti prego... quella ragazza ha già sofferto molto."
"Sì... è proprio questo il punto. Io vorrei che con me si sentisse sicura. Lei ha paura che io la possa abbandonare e mi fa rabbia il fatto di non poterla confortare... mi capisci? E tu, Flor? Tu puoi capirmi, vero?"
"Sì che possiamo capirti, Franco! È bello quello che hai detto... allora prova a chiamarlo, lo psicologo... stai tranquillo. Vedrai che andrà bene." gli rispose Flor. "Anzi: lo chiamo io stessa, Rosembawen. Ha aiutato tanto un po' tutti, da quando lo conosco... magari... magari aiuta anche me, chi può dirlo?"
Franco rivolse un sorriso a suo fratello e a sua cognata, poi guadagnò la porta e si diresse verso la camera dei bambini. I Fritzenwalden non andavano a scuola da tanto, e, per non stare sempre con l'ansia della strega, avevano chiesto ad Emma, che ci sapeva fare, di aiutarli a studiare. La ragazza lo faceva un po' a modo suo, facendoli giocare, per quanto possibile, o facendo esempi strampalati per farsi comprendere.
"Robertina... l'infinito di "contesto"." propose la ragazza.
"Ehm... contestualizzare?" chiese lei.
"Oddio, che parolone! Non è mica così difficile!"
"Non mi ricordo il significato" sospirò lei.
"Di "contesto", come verbo?" chiese lei.
"Sì... quello."
"Hai presente quando alla vecchia scuola, alla mensa, ti davano da mangiare quella brodaglia orribile che sembrava essere fatta... con del ferro sciolto?"
"Te l'hanno fatta provare?" chiese Thomas.
"Ehm, sì... la conosco. Ecco: quando dici che quella roba non ti piace. O quando qualcuno vi punisce e non siete d'accordo."
"Ah... io contesto."
"Ecco. Togli solo la O finale e mettici queste..." E tirò fuori dalla tasca un foglietto che si era fatta scrivere da Nicolas.
"Are! Contestare!" esclamò Roberta.
"Perfetto! Scrivitelo, così non te lo dimentichi!" le propose la ragazza.
"Non li ho mai visti così felici di studiare!" disse Franco, entrando in quella classe improvvisata in soffitta. "Sai... c'era una ragazza che faceva finta di avere qualcosa in comune con te, prima...."
"Ah, certo, me l'hai raccontato" rispose la ragazza, leggermente rossa in viso.
"Ma i ragazzi con lei non si trovavano bene."
"Perché?"
"Perché non era te" rispose il biondino, facendola girare e facendo l'atto di stamparle un bacio.
"Ehm... Franco... davanti ai ragazzi no, ti prego, mi vergogno!" disse la piccola Emma, abbassando il volto ormai in fiamme.
"Hanno visto tante brutte cose... mostriamone loro una bella... alcuni devono iniziare ad imparare... come Ramiro che fa gli occhietti dolci ad Agostina... e lo sai che non ti resisto, quando diventi rossa..."
"Non mi mettere in mezzo, capito?" protestò Ramiro.
"Ehi, ehi, Ramiro, tranquillo. Franco stava solo scherzando" lo rassicurò la ragazza. "E poi, se anche fosse, non c'è niente di male."
"Bene. Andate a giocare, ragazzi, coraggio!" disse Franco, ridendo. I bambini sfilarono davanti ai due e uscirono dalla stanza, lasciandosi dietro l'eco delle loro risate.
"Cosa ti porta qui, Franco?" chiese Emma, mettendosi a sedere su un letto a caso.
"Niente... volevo parlarti di una cosa." le rispose il giovane, sedendosi accanto a lei e prendendole la mano.
La sua mano era fredda, ma al contempo morbida e liscia. Le sue dita erano piccole e fragili, ma stringevano così forte da sembrare enormi.
"Dimmi: di che cosa si tratta?"
"Ecco... non mi fraintendere, a me piace tanto ascoltarti... ma non so se posso fare molto per te... tu saresti disposta a parlare con uno psicologo? Guarda che gli psicologi non sono solo per i pazzi... è una leggenda metropolitana... mi capisci, vero?"
"Non ho mai pensato nulla di simile... non sono mio padre!"
Non lo disse con rabbia, ma quasi con rassegnazione.
Franco rimase lì, impalato, a fissarla. Quel viso candido segnato troppe volte, quella stretta salda, la voce che le tremava sempre, qualunque cosa la povera ragazza dicesse, erano le cose che più lo attiravano di lei... ma anche quelle che lo ferivano di più.
"Però... voglio provarci" disse lei. "Solo, ti prego... fa' in modo da restare con me... gli unici uomini con i quali sto da sola senza aver paura sono quelli che ho conosciuto qui."
"Vedrai, il dottor Rosenbawn lo permetterà... è un genio, lui!" la tranquillizzò Franco, accarezzandole il dorso della mano. La piccola, bianca in volto, abbassò la testa per alcuni secondi, sentendosi in colpa. Franco si alzò dal letto e, senza lasciarle la mano, con l'altra le alzò il mento. "Ehi, ho capito che tu allo specchio non ti puoi vedere e ne sei felice, ma io il tuo viso voglio vederlo... sei così bella, piccola mia... sei meravigliosa..."
Nel frattempo, Thomas aveva raggiunto Fede.
"Fratellino, guarda! Guarda che ho trovato!"
"Ehi, che succede, nanerottolo?" chiese Fede, ridendo. O meglio: sforzandosi di ridere... ma, da quando aveva smesso di sgridare i ragazzi, riusciva a fingere più facilmente che andasse tutto bene.
"Ho trovato una tua foto di quando eri più piccolo... stavi sull'elicottero, con papà! Era il tuo compleanno, vero?"
Thomas sfoderò la foto. Un piccolo Fede, di circa otto anni, stava seduto sul sedile posteriore di un elicottero. Il padre, seduto davanti, sorrideva all'obiettivo. Fede se la ricordava bene, quella foto. L'aveva scattata Maria, sua madre, proprio il giorno del suo compleanno. Era un rito, quello di viaggiare in elicottero, per il primogenito Fritzenwalden e suo padre. Fede non voleva regali di compleanno. Gli bastava un volo con quell'aggeggio, che, chissà come, il signor Fritzenwalden era riuscito a salvare dalla rovina in cui era sprofondata la famiglia. All'epoca non erano ricchi... quel piccolo velivolo era l'unica proprietà che avevano.
Quell'anno, in particolare, Derick aveva preso da parte il bambino. Stavano per nascere i gemelli e si doveva provvedere alle spese mediche per loro. In genere, un modo per fare anche una piccola festa per Fede e i compagni delle scuole elementari, l'avevano trovato... ma questa volta non si poteva. Derick l'aveva detto al figlio, stavolta mostrandosi meno duro del solito. Si aspettava di vederlo rattristarsi, o, nel peggiore dei casi, mettersi a gridare, come facevano altri bambini figli di ricchi caduti in disgrazia.
"Va bene, papà" aveva risposto, senza scomporsi, il ragazzino. "Possiamo fare solo un giro con l'elicottero? Anche per cinque minut... si può, vero, papà?"
Derick rise sommessamente. "Arriveremo a dieci minuti. Non ne meriti solo cinque, piccoletto."
Quant'era cresciuto, da allora, il povero Fede! E più che mai, vedere quella foto gli faceva malissimo... ma non poteva certo raccontarlo al fratellino? Non ancora, almeno.
"Fede... scusa, ti sei arrabbiato?" chiese Thomas.
"Oh... no, tesoro, certo che no! Ascolta una cosa: ti piacerebbe... tornare a giocare con l'altalena, come quando eri piccolo? Così potrò farti volare... so che gli elicotteri ti fanno paura."
"Sì, va bene. Ma tu ti senti bene, vero? Non ce l'hai più, quell'influenza?" chiese Thomas in tono preoccupato.
"No, gnomo, tranquillo." rispose il giovane. Flor, che era lì accanto, vide il suo viso contratto e dolente e intervenne: "Thomasino, tesoro, vieni. Andiamo a giocare, ti va? È meglio non sfinirlo, poverino, anche se sta meglio... vieni con me, eh?"
Flor corse via insieme al fratellino del suo principe e con lui raggiunse gli altri bambini. Li radunò tutti nella sala dei giochi e si misero a fare la lotta con i cuscini, poi Flor inserì il CD della band e i piccoli si misero a ballare. Persino sua figlia Agostina, timida com'era, si aggregò al ballo. Timida... come il suo Freezer, che in quel momento stava soffrendo tanto.
Fede rimase immobile, nello studio, con la foto in mano.
"Vi sorprenderete di sentirmi parlare con voi, fatine" disse tra sé, "ma ho veramente bisogno d'aiuto. Devo dirlo, ai miei ragazzi? Quello che sapete, intendo. Non voglio farli star male, ma ho paura che vengano a saperlo... in un altro modo, capite?"
Una figura imponente si parò di fronte a lui. Si stagliava quasi contro il soffitto, aveva il volto corrugato in un'espressione di disappunto.
"Cos'è questa novità che sei crollato così, ragazzo?" chiese la voce tonante di suo padre. Il giovane non sapeva se essere felice di vederlo o sperare di poterlo prendere a schiaffi.
"Papà... ma che cosa..."
"Devi rialzarti, e in fretta, ragazzo! I tuoi fratelli, i tuoi figli e la tua futura moglie hanno bisogno di te... smettila di fare la vittima, capito?"
"E vieni a dirmelo proprio tu, questo?" chiese il giovane, senza scomporsi. "Per quanto mi possa far male quello che ha detto la strega, tu la volevi raggiungere, la mamma... e hai chiuso la porta in faccia a tutti noi... anche a me, che volevo aiutarti! Quando mamma se n'è andata, mi hai lasciato da solo con i bambini e poi mi hai mandato a quel dannato master in Germania! Io neanche lo volevo fare, quel lavoro... l'ho fatto per te e i miei ragazzi! Quindi, padre o no, spirito o no, per quanto bene io ti voglia, non ti azzardare a farmi la morale, perché ti giuro che questa volta non l'accetto!"
Derick rimase di sasso. Lo sguardo del giovane era ferito, ma al contempo glaciale. E in fondo aveva ragione: la strega alla fine l'aveva riunito a sua moglie e, pur non dicendolo esplicitamente, era quello che voleva, il vecchio Derick.
Voleva aiutare suo figlio, ma, come sempre, sbagliava i modi. E poi anche se Fede ci soffriva faceva del suo meglio per essere presente per i ragazzi, e di certo non voleva andarsi a schiantare con un elicottero.
Qualcuno batté qualche colpo alla porta. Il giovane andò ad aprire e si trovò davanti suo fratello Nicolas.
"Parlavi con papà, vero?" chiese preoccupato.
"Sì... non hai sentito cos'ha detto, vero?"
"No" rispose Nico. "Noi non possiamo, lo sai... ma non ti ho preso per pazzo, credimi!"
Nico si sedette accanto al fratello, sorridendo.
"Se non vuoi parlarne va bene" disse Nico. Sapeva che se avesse chiesto a Fede cos'avesse lui avrebbe risposto: "Va tutto bene, tranquillo." "Sappi solo che se hai bisogno di qualcosa, io ci sono sempre."
"Sì, lo so" rispose sorridendo il giovane. "Grazie, Nico."
"Non c'è bisogno. Tu ti sei sempre preso cura di noi, nel bene e nel male... lascia che ci occupiamo un po' noi di te."
Anche Amélie era andata da Flor, che stava pensando sia ai ragazzi più grandi che ai gemellini.
"Flor, tranquilla" le disse. "Vedo che sei turbata. Resto io qui."
"Grazie... ma io..." balbettò lei, incerta.
"Va' da Fede."
Flor trasalì: Amélie sapeva qualcosa o aveva sentito qualcosa, per intervenire. Rimase lì, vicino alla porta della sala dei giochi e si mise a guardare il soffitto. Fece una muta richiesta alle sue fatine: "Vi prego, aiutatemi... come posso fare per aiutare il mio principe a stare meglio?"
Non ricevette una risposta verbale. Le sue gambe si mossero da sole, fino a raggiungere lo studio.
"Oh, ciao Flor" disse Nico, alzandosi. "Io... vado a dare una mano ad Amélie con i marmocchi... so che ora c'è lei, con loro."
"Sei un tesoro" disse Flor, sorridendo.
Quando Nico se ne fu andato, Flor tornò a sedersi accanto al suo principe.
"Non mi serve chiederti come stai... lo vedo dalla tua faccia che soffri... e lo sento dal modo in cui tremi."
"È una tortura, Flor... vorrei dire la verità ai ragazzi, per non sentire tutto questo peso, per evitare che lo scoprano da qualcun altro... ma se solo penso di dirglielo... mi sento mancare il respiro... alla fine mio padre ha ragione, sono un disastro, un idiota, un vigliacco."
"Lui è scappato da te e dai ragazzi e si è chiuso nel suo dolore... tu no. Tu hai schermato il tuo cuore, ma i ragazzi non li hai abbandonati. Ognuno fa quello che gli è possibile... puoi anche piangere, se vuoi... non ti dirò di smettere... so che ci stai male."
"Flor, io... non riesco a non pensarci."
"Ti ricordi cosa mi hai detto quando tutto sembrava perduto, signor Freezer?" chiese Flor. "Io volevo raggiungerti, poi sei tornato tu da me... e da dov'eri allora, potevi saperne molto più di me. Mi hai promesso che ci sarebbe stato un lieto fine, per la nostra storia... la mia, ma anche la tua... questo non è un dolore che passa, è vero... ma è normale portarne le cicatrici... tu... tu sei molto più forte di quello che credi, ma sei umano... mezzo fantasma, ma pur sempre umano. È giusto crollare, per trovare la forza di reagire... lascia che arrivi, questo momento di crollo... lascia che ti passi sopra... ed esci dall'altra parte, come da sotto una cascata... l'attraverseremo insieme, vuoi?"
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Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||
FanfictionA Fede viene concesso di tornare sulla Terra, ma dovrà superare alcune prove. La prima ad incontrarlo sarà Flor, attraverso una visione. Infatti l'incontro con Fede della prima serie non sarà l'ultimo. Dopo il ritorno, poiché le leggi della natura s...