Era la Vigilia di Natale. Per le strade di Buenos Aires si respirava un'atmosfera di gioia, di festa.
Quell'atmosfera, però, s'interrompeva al numero 17 di una strada: una villa con il cognome "Fritzenwalden" sul campanello.
Se qualcuno avesse varcato quella porta in quell'occasione, sarebbe stato travolto da un'ondata di gelo. Sembrava che soltanto lì il tempo fosse ostile, che soltanto lì gli alberi si seccassero lentamente, in agonia, che solo lì non bastassero tutte le decorazioni del caso a dare un po' di luce a quelle mura.
L'albero di Flor era più secco che mai. Vivo, ma in sofferenza anche lui, proprio come Flor.
Lei, che sperava di trascorrere il suo primo Natale con l'uomo che amava, ora si ritrovava a dormire nel letto che prima occupava lui, sperando di potersi svegliare il giorno dopo con lui che la stringeva tra le braccia, ma questo non accadeva mai, e ogni giorno lei doveva alzarsi dal letto e barcamenarsi tra il dolore dei suoi bambini e gli intrighi di sua sorella, che ne era divenuta la tutrice in mancanza del vero tutore.
La casa fu decorata, perché le streghe lo desideravano, anzi: lo pretendevano, e, con un peso sul cuore, i ragazzi si stavano dando da fare per non finire tra le mura di un orfanotrofio.
"Mi sento solo, Flor" confidò Thomas.
"Lo so, tesoro mio." disse piano Flor, impegnata ad appendere una decorazione.
"Mi manca tanto mio fratello" sospirò il ragazzino, sedendosi sul pavimento.
E l'interessato, dal Paradiso, non poteva far altro che restare a guardare.
"A tutti manca" disse Franco. "Era un vero uomo, un uomo coraggioso. Ha rinunciato a se stesso per noi. Ha rinunciato alla sua vita per un idiota."
"La vita è sempre preziosa" lo rimbeccò dolcemente Flor. "Il nostro Fede ha fatto quello che riteneva giusto: si è comportato dall'eroe che è. Non che era. Che è. Perché lui c'è. Lui è qui con noi, ma non può comunicare con noi come faceva prima... e noi dobbiamo fare in modo che non si preoccupi, perché lo sapete che il nostro benessere per lui è la cosa più importante. Lui ci guarda sempre e vi assicuro... che sta facendo tutto quello che può per aiutarci. Non può star bene dov'è, se ci vede tristi."
Maya se ne stava in un angolo, senza osare proferire una parola, con una foto del suo compleanno stretta tra le mani.
Quanto le mancava, il suo fratellino! Chissà cos'avrebbe pensato di lei, vedendo che ora studiava giorno e notte, come una pazza, per continuare il suo percorso, poiché la strega non voleva di certo permetterle gli studi a Londra!
E lui la guardava ed era fiero di lei. Il suo diavoletto, la sua sorellina fragile, che si nascondeva dietro la sua maschera da dura, ora non parlava quasi più e quelle rare volte che parlava, si rivolgeva solo a lui, di nascosto, o a Flor, quando aveva bisogno di sfogarsi.
Al tempo stesso, però, nel suo silenzio Maya era diventata una degna "piccola Freezer": stava sempre china sui libri, perché voleva mandare avanti la famiglia appena possibile sapendo che le streghe avrebbero sperperato tutti i sacrifici di suo fratello e un giorno tutti loro sarebbero finiti per strada, e quando uno qualunque dei suoi fratelli stava male, che fosse uno dei gemelli, Martin o il nanetto, come diceva lei, correva a consolarlo, con un abbraccio o ascoltando le sue pene. L'unica persona che sapeva cosa Maya covasse dentro era Flor. Fede era fiero di come sua sorella si stava ponendo, di quanto stava combattendo per loro. Non gli faceva piacere che stesse sempre zitta, lui c'era passato e gli si era congelato il cuore, cosa che non voleva per lei, ma era contento che lei non si fosse arresa, che lo facesse per lui, per il ricordo di tutto quello che lui stesso aveva patito per tutta la vita. Era lei l'unica ad avere contatti con Matias, che non poteva più entrare in casa a causa della strega e seguiva il processo dei ragazzi da lontano. Lo amava ancora, ma si era costretta ad accantonare i sentimenti per un po' e solo allora capiva suo fratello. Capiva perché si fosse irrigidito così tanto e capiva perché si arrabbiasse quando i ragazzi si comportavano in un certo modo.
Gli altri erano crollati. L'unico che faceva ancora qualcosa era Franco, ma era impulsivo, collerico, e molte volte si era scontrato con le streghe e con quel decerebrato di Bonilla che si era lasciato abbagliare dal fascino del dio Denaro.
Fede non ce l'aveva con loro per questo e capiva che fosse dura, ma ne soffriva da perderci l'anima, che era la sola cosa di sé che gli era ancora rimasta.
"Lo psicologo le sta provando tutte." aggiunse Martin. "Sa che ormai nessuno pagherà più le mie terapie: ha capito com'è la strega, allora parla con me in confidenza, come un amico... ma io non ce la faccio. Io rivoglio mio fratello, lo voglio qui, non come ricordo, ecco!"
E, come volevasi dimostrare, la piccola Fritzenwalden si alzò dal suo posto e si diresse verso di lui. Senza dire una parola gli cinse le spalle con un braccio e gli stampò un bacio sulla guancia, come per rassicurarlo, ma in quel momento nessuno poteva rassicurare nessuno. Tutti avevano una spina conficcata nel petto da quando Fede era scomparso.
"Ragazzi, per favore!" esclamò Flor. "Avete ragione! Vi capisco, ve lo giuro! Anch'io ci sto male! Le sto provando tutte, ma non ce la faccio! Il mio principe mi manca ogni giorno di più! In ogni uomo che passa per la strada io vedo lui, solo lui, persino in quel conte da quattro soldi, quando ci viene a trovare! Ma so che lui non può tornare indietro, perché le fatine hanno bisogno di un angelo che è stato sulla Terra e ha vissuto tra gli uomini, per poterci proteggere da lassù..."
"Ma non è giusto! Non abbiamo già perso troppe persone?" saltò su Thomas.
Flor lo guardò: aveva ragione. Si stava occupando di Martin, che aveva incubi ogni maledetta notte, ma non poteva nascondere quello che provava. Era un bambino cresciuto troppo presto.
Avrebbe dovuto giocare a calcio, mascherarsi da supereroe, combinare marachelle a scuola... ma nemmeno di fare quelle, aveva più la forza. La direttrice diceva che Thomas in classe era praticamente catatonico, che fissava il vuoto tutto il tempo e a volte aveva attacchi di panico, specie durante le gite, se un'auto per caso gli passava ad una distanza troppo ravvicinata, e prendeva a urlare: "NO, FEDE NO!", come se questo potesse cambiare le cose in qualche modo. E sapete cosa faceva il Trio degli Orrori... pardon, delle Meraviglie, in quel caso? Lo minacciava, chiudendolo in soffitta, da solo, a pane e acqua per tutta la giornata! Thomas non aveva più la forza di protestare, e Fede sentiva la rabbia bruciargli nel petto etereo ogni volta che lo vedeva lì, con gli occhi gonfi e rossi di lacrime. E questo lo spingeva ad urlare, a insistere con il Capo Supremo, ma senza risultato.
"Se Fede fosse qui, adesso" sussurrò Thomas, "mi prenderebbe in braccio e mi farebbe mettere la stella di Natale in cima all'albero." E giù a piangere!
Flor gli si avvicinò, intenerita più che mai e con gli occhi lucidi anche lei e, chinandosi, lo prese in braccio.
"Signor Freezer, dammi la forza di parlare come te, anche se non sono te!" supplicò Flor, e, sollevando Thomas, sentì un piacevole calore invadere il suo corpo e quando Tommy, capendo, ebbe messo in posizione la stella di Natale in cima all'albero, gli disse: "Che ne dici, marmocchio pestifero? Va bene?"
"Lui mi chiamava così!" esclamò Thomas accennando un sorriso, mentre Flor gli dava un bacio sulla testa sussurrando: "Va tutto bene, piccolo. Va tutto bene."
Una volta fatto questo, i ragazzi, Greta ed Oscar si misero a tavola, in cucina. L'aveva deciso Flor, per tenere i bambini lontani dalle streghe.
"Ascoltate, facciamo un gioco" disse Flor. "Si chiama: "I Sogni Son Desideri", e funziona così: ognuno di noi dovrà esprimere un desiderio, magari chiedendolo come regalo di Natale, e poi dovrà dire, o cantare, a sua scelta, quello che diceva Cenerentola. Così ci sfogheremo un po' tutti. Va bene?"
Flor era sicura che ai ragazzi servisse questo, e serviva molto anche a lei.
"Robertina, inizia tu" propose.
"Vorrei... vorrei che l'uomo che un giorno sarà il mio papà fosse buono come Fede... così, chiudendo gli occhi, potrei abbracciarlo e ricordare lui. I sogni son desideri chiusi in fondo al cuor..."
Lui, che guardava tutto, (e Flor lo sapeva), sperò che Roberta sentisse il bacio che le stava dando sulla guancia in quel momento. Quella cara bambina, che lottava con le streghe anche per Thomas e Martin che non ne avevano più la forza, spesso gli parlava quando era sola, sforzandosi di fare un sorriso per renderlo felice, ma poi, sfinita, anche lei piangeva, e quando vedeva Flor, le correva incontro per abbracciarla e cercare rifugio in lei. Per quanto avessero litigato spesso, per Robertina Fede era come un padre: il padre che non aveva mai potuto avere.
"Benissimo... Greta?" continuò Flor. "Ti va di esprimere un desiderio?"
La donna, colta di sorpresa, prese un respiro profondo. Il suo desiderio era irrealizzabile, ma la perseguitava. Lei cercava di parare i colpi delle streghe con i bambini, di non stare a guardare, di consolarli, se poteva... ma era forse una delle più fragili, là in mezzo, perché il suo "piccolo grande uomo" era un pensiero fisso. Non poteva credere che la natura fosse così crudele con una famiglia che aveva patito le pene dell'inferno fin dal primo momento. Prima la signora Maria, poi il signor Derick, e ora il primogenito... era come se qualcuno avesse lanciato un incantesimo su quella casa.
"Me desiderare miei piccioncini qva, felici, no con occhi tristi per colpa di streghe velenose... anche il più grande se lo meritare... ma lui non potere più essere felice lontano da pampini e da sua Floricienta... perdonare, me non potere!" singhiozzava la governante. "Me mancare molto Her Fede... Fede... ri-co!"
E le mancava eccome, il piccolo grande Fritzenwalden, che ogni volta le ripeteva come si pronunciava il suo nome per farglielo dire correttamente... ma, in quel momento, lui si sentì straziare il cuore al pensiero che la sua Greta si fosse sforzata di ricordare com'era la pronuncia del suo nome... e quella fu l'unica volta che lo pronunciò correttamente senza che lui le dicesse nulla in proposito, cosa che, se possibile, lo faceva sentire ancora più in colpa per aver anteposto la vita di un'altra persona alla sua.
"E io pagherei oro per ripeterti ancora come si dice il mio nome!" sospirò lui, tristemente. "Non è vero che sto bene... non sto più bene, perché non ho i miei fratelli, la mia Floricienta, la mia Greta... il mio migliore amico! Non ce la faccio!"
"Mi dispiace tanto!" gli disse l'angelo che l'aveva accolto appena era giunto in Paradiso. "Ma non devi arrenderti!"
"Non capisci, angioletto?" sussurrò lui con gli occhi eterei che gli facevano un male tremendo. Non sapeva più come si facesse a piangere. Avrebbe potuto urlare, ma non ne aveva più la forza. "Sono un disastro, lo sono sempre stato e il Capo ha ragione: me lo merito! Ma loro no! Loro non meritano di stare male per colpa mia, non se lo meritano!"
"Andiamo, novellino rivoluzionario!"
L'angelo gli posò un'ala sulla spalla e lo guardò con dolcezza.
"I ragazzi, la donna che ami, il tuo amico, la governante, non stanno male a causa tua... stanno male per te e con te e tu devi insistere. Se un'anima è tormentata quando giunge in Paradiso, se quello che vede la fa soffrire, vuol dire che in Paradiso ci verrà, ma il momento non era quello giusto... e mi sembra molto strano che il Capo non ti dia il permesso di tornare, visto che sei venuto qui perché hai messo la vita di un uomo un po' distratto prima della tua. Non ti arrendere, Fritzenwalden!"
"Tu... tu... lo credi davvero?" chiese il giovane, con una rinnovata speranza.
"Ma certo!" intervenne Margarita. "Tu meriti di tornare e non sei assolutamente un codardo, Fede! Flor ha bisogno di te e tu di lei... e io ti aiuterò perché mi piaci: sei un bravo ragazzo e mia figlia con quel Conte non la voglio vedere... anche se lei è testarda e non vuole più nessuno al suo fianco... nessuno che non sia tu."
Nel frattempo, il gioco passò a Franco.
"Io vorrei... vorrei tornare indietro."
Il ragazzo disse solo questo, prima di accasciarsi sul pavimento ad osservare il salotto. La strega era seduta al posto di suo fratello, indossava abiti ricercati e gioielli pagati con gli sforzi di suo fratello, mentre sua madre dormiva nella stanza che, fino a poco dopo l'arrivo di Flor, era stata di suo fratello, e in quel letto dormiva con quello squallido dottore da strapazzo. Il povero ragazzo si sentiva rivoltare lo stomaco al pensiero che la casa fosse caduta a pezzi quando il povero Fede aveva dovuto, per cause di forza maggiore, lasciare le redini di tutto.
"Perdonatemi... non posso" disse alzandosi.
"Franco! Franco, no!" disse Nicolas, alzandosi e dicendo: "Vorrei prendere io il tuo posto, fratellino!"
Flor non fece in tempo a dire nulla, perché Nico era già andato da Franco e l'aveva trovato inginocchiato a terra, nello studio, vicino al letto di suo fratello. Alzò lo sguardo: l'unica cosa che si faceva in quella stanza era spolverare, tirarla a lucido tutti i giorni mentre le streghe non c'erano... perché lui l'avrebbe voluto e se ne occupava lui stesso, a volte.
Subito dopo tutto veniva rimesso al suo posto. Franco si era messo a fissare la foto di suo padre, sulla scrivania come al solito, la sedia da ufficio al solito posto, le cartelline rdinate, l'elicottero giocattolo in un angolino.
"Perché l'avete voluto con voi, mamma e papà? Dove abbiamo sbagliato? Perché avete voluto punirci così?" singhiozzava Franco.
"Lo vede, Capo? Quello è Franco, mio fratello! Sta male per colpa mia, non posso stare a guardare, la prego!" supplicava imperterrito Fede. "Mi dica cosa vuole che faccia e giuro che lo farò, ma mi lasci andare, la prego!"
"Non possiamo sovvertire gli equilibri della natura, ragazzo" esclamò il Capo, risoluto, con la sua solita mazza da golf stretta nel pugno, pronto a scagliare una pallina in una buca.
Fede ormai aveva imparato che da quella frase in poi era inutile insistere, ma prima di andarsene si voltò verso di lui e, risoluto, disse: "Lei è il Capo ed è chiaro che io sono solo una sua creatura... cioè, lo ero prima che quel tale mi travolgesse con la sua auto. Ma ho imparato ad essere molto paziente e le giuro che non le darò pace da qui all'eternità se non mi lascerà tornare a casa... l'ha detto lei stesso: qui il tempo non manca. E io farò di tutto per tornare dalla mia famiglia, lo giuro!"
"E io lo aiuterò" esclamò Margarita, affiancandolo. "È mio genero e se mia figlia l'ha scelto come principe vuol dire che lui è speciale!"
"E anche noi lo aiuteremo!" aggiunsero in coro diversi altri spiriti. Fede si voltò e vide un gruppo di antenati che già conosceva: l'intera famiglia Fritzenwalden che lo aveva preceduto era lì per lui, con in testa Derick, suo padre.
"Figlio mio!" esclamò questi, battendogli con fierezza una mano sulla spalla. "Non puoi immaginare quanto io sia orgoglioso di avere un figlio come te! Sei il primo Fritzenwalden in assoluto che impara l'arte della perseveranza e della pazienza e sono sicuro che quando tornerai sulla Terra l'applicherai ancora!"
"Stavolta posso abbracciarti o farai il sostenuto?" chiese ridendo il giovane, riferendosi al sogno che aveva fatto, in seguito alla scossa elettrica. Derick chinò il capo, imbarazzato, ma sua moglie gli diede una leggera spinta e finalmente lui e il "ragazzo" si abbracciarono.
Quello fu il primo momento di cedimento del Capo. Il ragazzo superava di gran lunga le sue aspettative.
Sapeva che Fede avrebbe lottato, ma non così.
Nico, non sapendo che dire, abbracciava il gemello mentre in Paradiso il loro fratello maggiore lottava per la vita... per la sua, certo, ma anche per la loro.
In cucina, stavolta toccò a Martin esprimere il suo desiderio.
"Io rivoglio la mia famiglia!" esclamò il ragazzino, pronunciando esattamente le stesse parole che suo fratello ripeteva tutti i giorni al Grande Capo perché lo lasciasse tornare a casa sua.
"Sì... ehm... Oscar?" continuò Flor.
"Vorrei che poteste stare di nuovo bene come prima. Qui è tutto così triste ultimamente!" esclamò lui, e tutti si dimenticarono di pronunciare le parole di Cenerentola.
"Sì... Tommy?"
Thomas prese a singhiozzare. Non ci fu bisogno che parlasse: era chiaro quale fosse il suo più grande desiderio.
"Maya! Tesoro, vuoi provare?" chiese Flor, posando le mani sulle spalle della piccola Fritzenwalden, che si riscosse.
Estrasse dalla tasca la foto che teneva sempre con sé: una che raffigurava suo fratello che, per sfigurare Ariel, si era messo a ballare.
Flor rimase di sasso: era così bello, così aggraziato e sicuro, e aveva un sorriso stupendo, anche se deformato da quella piega che gli si formava agli angoli della bocca a causa della gelosia nei confronti del pretendente di Flor.
"Vorrei un abbraccio di mio fratello... uno solo, per poter andare avanti sapendo che lui c'è, che può vedermi..."
"Anch'io, piccola mia" le disse piano Flor. "Anch'io vorrei un abbraccio del mio principe, come ai vecchi tempi..."
"No! Io così non ce la faccio, non posso!" esclamò lui da lassù, e, mandando in barba tutte quelle stupide convenzioni dell'aldilà, si buttò a capofitto verso la cucina di casa sua e circondò le spalle di sua sorella, dandole un leggero bacio sulla guancia.
"Flor..." balbettò Maya, incerta. "È lui... è venuto qua, Flor!"
"Visto?" disse Flor, sorridendo. "Hai imparato a sentirlo anche se non ti può abbracciare fisicamente."
"Ehi... via quelle lacrime, diavoletto! Quando ridi sei molto più bella. Buon Natale!" disse lui, continuando a stringere a sé la sorella. Le asciugò le lacrime con una mano, in un colpo.
"Sono così contenta che tu sia riuscito a mostrarti, amore mio" disse Flor, accarezzando la chiave che portava al collo. Sfiorandola le parve di sentire le mani del giovane che gliela mettevano delicatamente attorno al collo. Il loro simbolo d'amore.
Improvvisamente, dalla stanza accanto, provennero delle voci.
"Chi ha acceso la televisione?"
Flor sussultò: sua sorella era stupita.
"Spaventala ancora un po', signor Freezer, per favore!" pensò lei, ma non fece in tempo a dirlo a voce, perché una mano le si posò delicatamente sulle labbra, facendola sussultare.
"Aspetta..." disse una voce bassa, roca e delicata al tempo stesso.
Flor rimase in ascolto e si avvicinò al salotto per origliare, ma rimase fuori.
"Ti amo, Molly" disse una voce.
"Idem" rispose un'altra voce.
"Non ci credo... Ghost!" esclamò Flor tirandosi indietro.
"Shhh, non farti sentire o quella strega ti prenderà per pazza!" esclamò la stessa voce di prima.
Flor corse in camera sua, si chiuse dentro e si sdraiò sul letto. Si era fatto ormai piuttosto tardi e tutti erano incredibilmente stanchi.
Flor, però, rimase sorpresa quando sentì un calore piacevole avvolgerla. Due braccia forti, forse immaginarie o forse no, la strinsero, e due labbra delicate premettero dolcemente sulla sua fronte leggermente accaldata. Da un po' Flor non stava molto bene, ma s'impegnava a rimanere in piedi, per i suoi ragazzi: i fratellini del suo unico amore.
"Chiudi gli occhi, amore mio!" le disse quella voce che le mancava così tanto.
"Signor Freezer!" esclamò riaprendo gli occhi e vedendolo levitare sul letto da bravo fantasma.
"Sì, sono io! Buon Natale, principessa!" disse piano il giovane per poi accarezzarle dolcemente il viso. "Ora chiudi gli occhi. Hai bisogno di dormire, di riprenderti un po', e di piangere, se ti va... altrimenti finirai per ammalarti."
"E i ragazzi?"
"Ci penserò io a loro, te lo prometto."
STAI LEGGENDO
Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||
FanficA Fede viene concesso di tornare sulla Terra, ma dovrà superare alcune prove. La prima ad incontrarlo sarà Flor, attraverso una visione. Infatti l'incontro con Fede della prima serie non sarà l'ultimo. Dopo il ritorno, poiché le leggi della natura s...