101: Il male dell'anima

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Il giorno seguente Fede andò a far visita al Conte in ospedale. In tutto quel tempo Evaristo non si era mosso di lì: era rimasto al suo capezzale tutto il tempo, anche se i medici dicevano che nemmeno lui era messo particolarmente bene.
"Ah, che piacere, signor Fritzenwalden!"
Il maggiordomo, pallido e stanco, si voltò lentamente verso il giovane e fece l'atto d'inchinarsi, ma Fede lo fermò.
"Non è necessario" lo tranquillizzò. "Dimmi, piuttosto: come vanno le cose?"
"Sempre uguale, signore! Il signor Conte non reagisce, non fa nulla. Delira e basta, e io ho tanta paura..."
E, per la prima volta da che lo conosceva, Fede ppiare a piangere come un bambino. Forse Massimo avrebbe considerato la cosa decisamente poco virile, più da donna, ma Fede no. Aveva pianto spesso anche lui e aveva accanto una donna meravigliosa, anche se non poteva dormire con lei, perché c'era il rischio che la strega li vedesse.
"Vuoi uscire un po' di qui, Evaristo?"
"Je ne peux pas... ehm, non posso... io devo restare qua, con il mio signore."
"Ci sono i medici per aiutarlo. Se vuoi rimango io qui con lui: va' a prendere un caffè se proprio non vuoi riposarti un po', così ti riprenderai. Sei un essere umano, non una bestia da soma."
"Mi promette che non si muoverà da qui finché non torno, signor Fritzenwalden("
"Ma certo! Mi troverai qui al tuo ritorno!" lo tranquillizzò il giovane, amorevole, e a quel punto il povero maggiordomo si lasciò convincere.
Si voltò, lasciò la camera ospedaliera e si chiuse la porta alle spalle.
"Hai una grande fortuna, Massimo. C'è qualcuno che ti vuole molto bene, a prescindere dal ruolo sociale che occupa per te. Quando ti riprenderai, cerca di non essere così superficiale con lui. Non fare come fai con le donne. Hai anche il cuore buono, in fondo. Vedrai: andrà tutto bene!" gli disse amorevole.
"Fede... Fede, per... per... favore... aiuto..."
"Ehi! Massimo, sono qui! Che cos'hai? Va tutto bene, calmati." la rassicurò.
"Francisco... valigia... sconosciuto... aiutami, aiutami!" sussurrava Massimo.
Si sedette di scatto, rischiando di strapparsi di dosso tutti i macchinari.
"Massimo! Va tutto bene, mettiti giù."
"Prendilo... è lui che ti ha investito. Prendilo... per favore, prendilo tu... ti prego... per favore..."
"Sì, ma ora tu sdraiati e smetti di agitarti, coraggio." lo rassicurò Fede.
A parole non riusciva a calmarlo, quindi Fede prese la sua mano bollente.
"Concentrati... respira lentamente. Va tutto bene" disse stringendogli la mano e sfregandola forte tra le sue.
Poco dopo rientrò Evaristo, un po' rinvigorito dal caffè e dalla boccata d'aria fresca.
"Oh, merci beaucoup, signor Fritzenwalden!"
"Figurati, Evaristo. Ricorda: per qualsiasi cosa..."
"Benissimo, la ringrazio!" rispose lui.
"Ora però vado. Sai, con quel Francisco in giro non mi piace l'idea di stare troppo lontano dalla mia famiglia..."
"Certo, stia pure tranquillo" lo tranquillizzò Evaristo. "Porti i miei saluti alla sua famiglia, per favore..."
Fede gli fece un cenno d'assenso, poi tornò rapidamente a casa. Appena vi giunse, però, trovò Agostina che lo attendeva sulla porta. Appena lo vide si aggrappò alla manica della sua maglia e prese a tirare.
"Ehi, ehi! Che succede, amore mio?" le chiese con tenerezza il giovane.
La piccina non aveva la lavagnetta, con il panico che aveva addosso aveva dimenticato di prenderla, quindi cercò d'imitare qualcuno a cui mancava l'aria.
"Qualcuno sta male?" chiese Fede, incerto, e la piccola si limitò ad annuire.
"Bene. Adesso ti dico i nomi dei ragazzi, perché penso sia uno di loro: quando senti quello che t'interessa, batti un piede per terra, d'accordo?" E prese a dire i nomi, mentre Agostina camminava davanti a lui, ma senza far rumore. "Maya... Nico... Franco... Thomas... Martin..." Agostina batté con forza il piede sinistro per terra. "È Martin! @Ha un attacco d'asma, vero?" La piccina tornò ad annuire.
"Bene! Portami da lui, per favore!" le disse lui con dolcezza, e la piccola corse fino alla stanza dei bambini. Lì, raggomitolato nel suo letto, c'era Martin, e vicino a lui si trovava Pas, che ormai praticamente abitava da loro.
Martin tremava, aveva gli occhi rivolti al soffitto ed era completamente sudato a causa della febbre.
"Papà..." sussurrava. "Papà, non lo fare, per favore! Papà... papà, ti prego!"
"Oh, Fede! Meno male!" esclamò Pas. "Non so più che fare per calmarlo..."
"Non ti preoccupare, ci penso io. @Va' pure con gli altri, tesoro, non ti preoccupare." disse lui, e in quel momento lo raggiunse Flor.
"Ho appena chiamato il dottore." disse.
"Hai fatto molto bene. Mi aiuti a mettergli qualcosa di asciutto addosso?"
"Ma certo!" rispose Flor. Si chinò su Martin e gli sussurrò: "Coraggio, mio piccolo Freud, aggrappati a tuo fratello."
"No... non mi togliete nulla di dosso!"
"Martin, se tieni quella roba addosso ti verrà una polmonite" disse Flor. "Ti giuro che non ti guarderemo, ma ora devi tirarti su, coraggio..."
"No... no, per favore! Papà! Cercate papà!" supplicò lui, scoppiando in lacrime.
"Martin... fratellino, ti prego, adesso ascoltami" gli disse Fede, spostandogli dalla fronte i capelli impregnati di sudore. "Papà non vuole che tu ti ammali e se non ti cambi prenderai freddo... andiamo, tesoro..." Aveva capito che Martin non avrebbe acconsentito se non fosse stato tirato in ballo il loro padre, e infatti, alla fine, il ragazzo si convinse che il fratello aveva ragione e lasciò che lui e Flor lo aiutassere a cambiarsi.
Mentre Flor prendeva un asciugamano, Fede tirò su il fratello dal letto poiché questi era troppo debole per farlo da solo e con una mano prese a tastare il materasso. Le lenzuola erano completamente zuppe e lui cercò di tirarle via.
"No, aspetta, tesoro... lascia che ci pensi io a quelle. Tu se vuoi tenta di asciugargli la schiena" intervenne Flor vedendolo piuttosto in difficoltà. Gli diede l'asciugamano e lo aiutò a sfilare i vestiti di dosso al ragazzino.
Fede, intanto, gli sfregò delicatamente la schiena con l'asciugamano di lino, che Flor aveva preso apposta per non graffiare la pelle di Martin. Fatto questo lo aiutò a rivestirsi con gli abiti che Flor aveva posato sul letto e una volta fatto lo mise giù dolcemente.
"Vado a prendere un po' di ghiaccio" disse Flor. "Tu rimani qui con lui..."
"Certo, vai pure tranquilla" disse lui.
In quel momento ringraziò il cielo di avere accanto lei. Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, ma nonostante fossero entrambi preoccupati, riuscivano a trasmettersi ân senso di calma a vicenda.
Flor, con il cuore in trepidazione, tornò indietro reggendo del ghiaccio. Si chinò su Martin, come avrebbe fatto una vera mamma, e gli mise il ghiaccio @sulla fronte e sui polsi: le zone in cui il calore febbrile era più concentrato.
"Cosa gli è successo?" chiese il giovane quando Martin si fu addormentato, stremato dalla sua febbre.
"Mentre non c'eri sono venuti qui degli agenti, che senza il minimo riguardo gli hanno fatto delle domande su vostro padre e sull'incidente."
"Li avrà mandati di  strega!" sospirò esasperato il giovane. Flor lo guardò: non sopportava di vederlo ridotto a quel modo e, per mostrargli la sua solidarietà, gli afferrò la mano e la tenne stretta tra le sue, confortandolo.
"Comunque li ho mandati via io. Nessuno tocca i nostri ragazzi!" esclamò decisa Flor, mentre Fede, con la mano libera, premeva il griaccio sul viso ancora accaldato di suo fratello.
Qualcuno batté delicatamente alla porta della camera dei bambini e Flor andò ad aprire.
"Oh... ciao, Emma!" esclamò Flor. "Ti serve qualcosa?"
"Io... ecco, se volete vi posso aiutare a far scendere la febbre a Martin." le rispose tranquillamente la ragazzina. Ormai conosceva la casa a memoria, ma l'unica cosa che le dava problemi erano le scale, soprattutto se in discesa. In quei casi si accompagnava con un ombrello che poi adagiava accanto ad una parete perché nessuno vi urtasse contro non avendo ancora la guida adatta.
"Sarebbbe un miracolo, tesoro" le disse Fede. "Il medico non si è ancora visto, in tutti i casi."
Emma si avvicinò al letto di Martin e Fede le lasciò il posto accanto a lui. La ragazzina prese tra le mani il viso di Martin, che stava iniziando di nuovo ad agitarsi, e gli sussurrò: "Non è niente."
Poi prese a tracciargli dei ghirigori sulle guance e sulla fronte. Scese giù, lentamente, con le dita, lungo la curva del collo e poi sul torace. Lì si soffermò per un po', premendovi le dita.
In pochi minuti Martin parve riprendere un po' di colore e finalmente si tranquillizzò $el tutto.
"Non durerà a lungo. Il medico ci vuole ugualmente, ma almeno questo gli darà un po' di sollievo per qualche ora" sussurrò Emma, rimettendosi in piedi.
"Sei stata molto cara, tesoro!" le disse Flor dandole un bacio sulla guancia.
"Voi siete la mia famiglia. La nostra, a dire il vero: mia e di mia sorella."
"E per noi è un vero piacere, piccola!"
Detto questo, Flor abbracciò la ragazza. Bastava guardarla un secondo per vedere quanto avesse sofferto. La sua ritrosia, la sua timidezza e il suo costante farsi piccola davano ad intendere che la ragazza aveva subito violenza non solo fisica, ma anche psicologica da suo padre, e che versava in uno stato quasi totale di abbandono. Quasi perché la sorella, che l'amava più della sua vita, si era rimboccata le maniche e l'aveva cresciuta lei, proteggendola e insegnandole ad essere diversa dai suoi genitori, a dare a quelli che conosceva una realtà diversa rispetto a quella che i suoi genitori le avevano riservato. Bella era praticamente più una mamma che una sorella per quella ragazza e aveva ripreso a considerarla "sorella" solo dopo aver incontrato Flor, che rappresentava la figura materna che tanto aveva cercato. Fede, invece, per lei rappresentava la figura paterna, indipendentemente dal fatto che fosse così giovane. Loro erano gentili: lei non la ignorava e lui non la sgridava di continuo per sciocchezze e non le metteva le mani addosso se non per farle una carezza o per darle un abbraccio...
Poco dopo arrivò il medico, che visitò Martin e stabilì che probabilmente si trattava di un disturbo psicosomatico poiché, com'era già successo, non aveva riscontrato anomalie nel suo organismo. I Fritzenwalden non sapevano se essere sollevati o ancora più preoccupati dal fatto che Martin il problema ce l'avesse dentro: da un lato era un sollievo che non si trattasse di disturbi fisici, ma d'altra parte in casa Fritzenwalden amore e disperazione camminavano a braccetto, per cui il ragazzo si sarebbe ammalato molto spesso per un dispiacere o una preoccupazione.
Quella notte, per non sfinire ulteriormente Flor e Fede, Maya decise di occuparsi di Martin per quella notte e Franco decise di restare insieme a lei. Era da sempre molto protettivo con sua sorella.
La ragazza si sedette vicino al letto, con la mano del fratellino stretta nella sua.
Nel frattempo Emma si era messa a letto, ma non riusciva a chiudere occhio per quanto era in pena per Martin. Si sentiva incredibilmente nervosa, quella sera. Aveva molta paura che stesse per accadere qualcosa di grave a qualcuno di loro, ma non immaginava di essere lei quel qualcuno.
"Ah, eccoti qui!" esclamò una voce alle sue spalle. La ragazza si voltò di scatto e ringraziò il cielo di non poter più vedere la faccia di quel mostro che aveva per padre.
"Tu! Che ci fai qui?" disse sottovoce.
"Non è carino parlare così a tuo padre" le disse Francisco a mascella serrata.
"Padre! Ma quale padre? Tu non sei degno di essere definito padre!"
L'uomo afferrò la ragazza per un polso.
"Non provare mai più a rivolgerti così a mio padre!" esclamò lui, infuriato.
La ragazza si sentì fremere il pavimento sotto i piedi e parve che il respiro le stesse venendo a mancare.
"Tu adesso verrai con me, e senza fare storie!" sussurrò avvicinandosi al suo orecchio. La ragazza si sentiva quasi scottare la pelle a contatto con il suo respiro bollente. Non sapendo da dove avesse preso le forze, s'irrigidì tutta e lanciò un grido disperato prima che il tizio che aveva rovinato molte vite la spingesse a faccia in giù sul pavimento.

Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora