91: Così lontani da sentirsi vicini

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"Flor! Flor, tesoro, svegliati!" chiamò dolcemente Christian, trovando la ragazza sdraiata in mezzo ai fiori. Si era addormentata pacificamente, dopo aver pianto tanto, e faceva tenerezza.
"Oh... il mio Freezer..." sussurrò lei aprendo lentamente gli occhi e girando lo sguardo. Quando vide Chris, però, il suo viso cambiò espressione. "Oh, scusa, Chris... mi sono addormentata senza rendermene conto... mi sa che la gravidanza sta iniziando a farsi sentire e ci sta dando parecchio dentro."
"Tranquilla Flor, è tutto a posto." la tranquillizzò Chris. "Mi dispiace soltanto di non essere il tuo Freezer!"
"Non importa... spero solo di potergli fare visita quanto prima!" sospirò Flor passandosi le mani tra i capelli e scrollando un po' dei petali che vi si erano ingarbugliati. Alzò lo sguardo e vide la foto di sua madre che sembrava sporgersi verso di lei, e le labbra ritratte in quella foto parvero curvarsi in un sorriso dolcissimo.
"Beh, farò meglio a tornare a casa" disse cercando di riscuotersi dai suoi pensieri.
"Ti accompagno" disse Christian con gentilezza. "Ho promesso a Fede di prendermi cura di te, se me lo permetti" aggiunse, notando il suo viso leggermente contrariato: lei era il tipo che non voleva dare fastidio a nessuno.
"Va bene... se lo dice il mio Freezer, d'accordo" sospirò Flor, e Chris la riaccompagnò a casa.
Intanto, in carcere, il Freezer aveva appena conosciuto la sua compagna di cella. Eh sì, compagna, perché la sua era l'unica cella libera. La donna, sospirando amareggiata, entrò nella cella e si mise a sedere sulla branda.
"Ah, vedo che mi hanno messa in cella con un bel ragazzo!" esclamò tranquilla.
"Bello non lo so... sono poco più di un ragazzo. Comunque molto piacere." disse lui. Stava per dirle il suo nome, ma la donna sorrise: "So come ti chiami, ragazzo. Ho visto una tua foto, sai? Ti posso chiamare Fede?"
"Mi chiamano tutti così. Non c'è problema." rispose lui, tranquillamente.
In realtà lo chiamavano anche in altri modi, ma non osava pronunciarne nessuno.
"Hai qualcosa a che fare con la ragazzina che è stata in cella con me, è così?"
"Può essere. Come si chiama la ragazza di cui sta parlando?" le chiese Fede.
La donna si passò una mano sulla fronte nel tentativo di ricordare. "Oh, sì... Florencia, si chiamava... sì."
Un flash gli passò davanti agli occhi: la sua Flor era finita in prigione per un equivoco... e ce l'aveva mandata lui!
"Sono stato un idiota" sospirò, triste.
"E perché, figlio caro?" chiese la donna, posandogli una mano sulla spalla.
"Perché quella volta l'ho messa nei guai." rispose lui, tornando a sedersi a terra. C'era soltanto una branda, troppo piccola per tutti e due, e lui, nel suo atteggiamento da cavaliere, aveva già deciso che l'avrebbe lasciata alla donna che era finita in cella con lui. "Beh... poi ci siamo innamorati ed è stato l'imprevisto migliore della mia vita, gliel'assicuro!"
"Ho capito. Scusami, bello: ho dimenticato di presentarmi!"
La donna tese la mano e disse: "Alélie il Lampo, piacere!"
"Il lampo?" chiese lui, e capì il perché del soprannome quando la donna si tolse con un gesto fulmineo un anello d'oro dalla tasca.
"Tranquillo, a te non rubo niente! Di solito i ricconi mi sono antipatici, ma tu no. Non so perché, mi sei simpatico" disse Alélie, stringendogli la mano.
"Pur volendo, che mi vuoi rubare? Non ho niente a  di mano" scherzò lui, affabile.
"Capisco perché la ragazzina si è innamorata di te" disse Alélie. "Sei sempre stato così simpatico?"
"Beh, lei ha risvegliato in me questa vena ironica... prima ero un Freezer... così mi chiamava lei, almeno. Ero fissato con l'ordine, il controllo, la disciplina e tutta questa bella roba..."
"E poi ti hanno fatto il lavaggio del cervello?" domandò Alélie.
"Beh... quando sono diventato così duro mi è stato fatto il lavaggio del cervello: me l'ha fatto la vita stessa."
"Vero! La vita spesso ti fa l'elettroshock!"
"Lampo, sbrigati! Va' ad aiutare la cuoca" disse un poliziotto.
"Ah, accidenti" sospirò la donna, uscendo.
"In cosa consiste questo "dare una mano", se posso chiedere?" domandò Fede, che non amava stare a guardare quando si parlava di aiutare qualcuno in qualsiasi modo.
"Niente di che: lei dà una mano a preparare il brodo, qualcuno apparecchia e roba così!" spiegò il poliziotto.
"E qualcuno si occupa di ripulire le celle?" chiese curioso il giovane. Le celle erano in condizioni disastrose: piene di polvere, con spifferi ovunque e tra polvere e freddo ci si ammalava molto spesso.
"Che cosa? Tu sai farlo?" domandò il poliziotto.
"Diciamo che ti potrei sorprendere!" fu la risposta del "ragazzo".
"Ma guarda!" esclamò il poliziotto. "Allora ti devo presentare una persona, vieni!"
Lo portò in cortile, e lì, chino su una pianta, c'era Eduardo.
"Ma che... Eduardo! Cosa fa lei qui("
"Sì... ci sono cascato un'altra volta!"
"Ah, vi conoscete già... Eduardo, tu vuoi fare il giardiniere e questo ragazzo vuole rimettere a posto le celle per gli altri... farete una bella squadra, secondo me!" esclamò la guardia per poi allontanarsi rapidamente.
Quando fu lontano, Fede posò una mano sulla spalla di Eduardo.
"Le va di dirmi... cosa le è successo?"
"Stavolta non ho fatto niente! Una donna mi ha dato una valigia, dicendo che sarebbe tornata a prenderla subito e poi è scomparsa... e la polizia mi ha detto che lì dentro c'era... non ricordo bene cosa, mi hanno preso per il ladro e sono finito dentro un'altra volta. Tu come ci sei finito qui, ragazzo mio?"
"Per colpa di una strega mangiabambini, come direbbe Flor." rispose calmo lui.
E quando la nominò, portò le mani sulla fronte. Eduardo lo vide cambiare espressione e capì che nella sua mente aveva visto qualcosa.
E qualcosa aveva visto il povero Fede!
Agostina reggeva un vassoio largo il doppio del suo corpo. Aveva gli occhi lucidi e reggeva a malapena quel peso. Le avevano rimesso addosso quel vestito tutto sporco e strappato, che con un inverno così rigido non era adatto, ancor meno per una bambina così piccola.
I bambini dell'orfanotrofio, i più ricchi, la guardavano preoccupati. Si vedeva che avrebbero voluto aiutarla, ma la suora li fulminò con lo sguardo quando provarono a fare un movimento verso di lei. Un uomo seduto al tavolo, per divertirsi un po', fece lo sgambetto alla bambina, facendole cadere dalle mani il vassoio con le vivande...
E il peggio fu vedere gli occhi della bambina che traboccavano di lacrime. La suora troneggiava su di lei e la stava fissando come se volesse picchiarla. Le alzò con forza il mento e sussurrò qualcosa al suo orecchio, facendola rabbrividire. La piccola creatura prese a mani nude tutto quello che era caduto sul pavimento, vetri compresi, e le sue minuscole mani si ricoprirono di tagli.
"Agostina..." sussurrò, pallido come un cencio, lasciandosi scivolare per terra come se quell'immagine l'avesse svuotato. Eduardo lo guardava preoccupato, mentre davanti agli occhi di Fede compariva Agostina, che legava ad un palloncino un biglietto con la scritta: "Aiutaci, Angelo del Parco!"
"Fede, Fede!" lo chiamò Eduardo, per poi chinarsi su di lui per aiutarlo. Il volto del giovane era completamente bianco ed i suoi occhi erano spalancati.
"AIUTO! AIUTATECI!" gridò disperato.
Intanto la suora aveva acchiappato Santiago e, davanti agli occhi della sorellina, l'aveva preso a schiaffi sul viso. Visto che Agostina, quando veniva picchiata, non aveva alcun tipo di reazione, la suora si era convinta che prendersela con suo fratello, che invece gridava, fosse molto più utile a farle capire chi comandava in quel posto che, purtroppo, era diventato la sua casa.
"No! Santiago, no!" balbettò Fede. I suoi occhi giravano intorno, come se in qualche modo sperassero di trovare i bambini che avevano conquistato il suo cuore tenero.
"Cos'è succes... oh, santo cielo!" urlò una voce, e Fede riconobbe Titina. "Come c'è finito lei qui, povero caro?"
"Titina..." balbettò lui, più sconvolto che mai.
"Eduardo, aiutami!" disse Titina. "Ti prego, di' alla guardia di chiamare un dottore... sta male, povero ragazzo!"
Eduardo si allontanò e Titina si chinò sul giovane e gli sollevò il viso. "Povero caro, sta bruciando di febbre!"
Lui la guardò implorante. "Titina... mi aiuti, la prego..."
"Stia tranquillo, andrà tutto bene." lo rassicurò lei, stringendogli la mano. "Ora deve solo cercare di non agitarsi, d'accordo?"
Lui cercò di respirare lentamente, ma i suoi polmoni sembravano molto compressi e l'ossigeno faceva fatica ad entrarvi.
"Robertina... Flor..." sussurrò lui, e Titina si sentì stringere il cuore. Mentre era in Brasile, Bata le aveva raccontato quello che era successo, e, come lui, anche lei ci aveva creduto. E ora che quel ragazzo per lei era diventato motivo d'orgoglio, le lacrime spingevano per uscire, viste le condizioni in cui il poveretto versava. La fronte in fiamme, gli occhi ribaltati, il viso terribilmente stanco.
Per fortuna il medico li raggiunse in breve tempo e fu molto meticoloso nel visitarlo. Titina, Alélie ed Eduardo, insieme a molti detenuti che avevano sentito la storia del giovane Fritzenwalden, si radunarono fuori dall'infermeria in cui era stato portato e rimasero lì, spaventati, in attesa...
"Povero ragazzo! Non gliene va mai bene una!" singhiozzò Titina, asciugandosi il volto in un fazzoletto. Eduardo le circondò le spalle, tentando di tranquillizzarla, nonostante stesse persino peggio di lei. Era suo genero, gli voleva un gran bene e vederlo così gli straziava il cuore. Quell'uomo, in realtà, era un uomo coraggioso, meritava rispetto e anche il bene che la sua famiglia gli voleva.
Come se l'avesse sentito, Flor si era risvegliata da un incubo. Avrebbe voluto che lui l'abbracciasse, che le accarezzasse i capelli, scompigliandoli, ma lui non c'era... non poteva esserci.
Ed era proprio lui che aveva sognato... pallido, sfinito, che continuava a chiamare lei e Robertina.
Indossò rapidamente una vestaglia e, in uno stato d'agitazione, scese in cantina.
Suo padre era sempre là, più preoccupato che mai, e quando la vide, cercò di allungare quel braccio che era diventato enorme, e si strizzò l'orecchio, tornando normale.
"Flor, che...?"
Flor si gettò tra le sue braccia, lasciandosi avvolgere dal suo calore, cercando sicurezza nei suoi battiti... e toccando lui, sentiva più vicina anche sua madre... si sentiva più tranquilla.
"Luce dei miei occhi, cosa ti succede?"
"Ho tanto bisogno di te, papà!" singhiozzò Flor. "Il mio principe è in prigione, non posso andare a trovarlo e ho un brutto presentimento... ti prego, abbracciami!"
"Mi ricordi tanto me con la tua mamma."
"Davvero?"
"Davvero. Quando ho saputo che si era ammalata volevo andare a trovarla... ma non potevo, perché mia moglie mi aveva già trasformato. @N quel periodo la trasformazione era periodica, e avveniva solo se entravo in contatto con luci non domestiche... e non sai quanto faceva male. Non ho potuto salutarla... ma tu e Fede ci siete già passati e vi siete ritrovati. Sono certo che lui ce la farà. Mi ha liberato e per questo ho la certezza che abbia una gran forza, tesoro."
"Ti fa male quando ti trasformi?" chiese Flor, stringendosi forte al suo papà, che le accarezzava la schiena e la teneva ancorata al suo corpo indebolito dalle circostanze.
"Sì... ma ogni tuo abbraccio vale questo sacrificio, vita mia" rispose lui dolcemente. "E anche quelli delle tue sorelle... io non amavo più quella donna tremenda, ma amo le mie bambine. Tutt'e tre, angelo mio... tutt'e tre."
"Papà, se gli succede qualcosa io..." singhiozzò Flor, in preda all'ansia.
"Non lo dire, vita mia, non lo dire..."
Flor non avrebbe potuto comunque dire granché, perché in quell'istante Matias fece il suo ingresso in cantina, seguito dalla piccola Roberta.
"Scusate." sussurrò. Sembrava agitato.
"Matias, che è successo?" chiese Alberto, posandogli una mano sulla spalla per esortarlo a parlare.
Lui non riusciva a parlare, vedendo Flor tanto agitata, quindi ci pensò Robertina.
"Hanno chiamato dal carcere" disse. "Fede non sta molto bene e vorrebbe vedere noi due."

Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora