"No!" Massimo si staccò bruscamente da Evaristo, sbilanciandosi all'indietro e finendo quasi per farlo cadere. Il maggiordomo spalancò gli occhi, esterrefatto, cercando di riprendersi... ma non capiva... perché diavolo l'aveva baciato?
"Che succede, Massimo?" chiese Evaristo, sperando di aver capito male.
"Perdonami... non dovevo! Non dovevo farlo!" balbettò, cercando di evitare lo sguardo del povero valletto.
"Se non volevi, o non dovevi, o quel che diavolo è, allora perché l'hai fatto, Massimo? Ti diverti a ferirmi?" chiese Evaristo.
"È che... io non sono il tipo da relazioni stabili, lo sai! Non fanno per me... a maggior ragione se sono così complicate, capisci?" farfugliò Massimo.
"E allora lasciami in pace!" esclamò Evaristo. "Perché non puoi semplicemente trattarmi come il tuo domestico, se non mi vuoi licenziare? Almeno così non dovrò più illudermi, sperare in qualche stupida finzione per salvare la tua bella faccia!"
"Mi dispiace, Evaristo... mi dispiace molto."
"Dispiace di più a me... ma va bene... va bene, davvero!" disse Evaristo, rientrando precipitosamente in casa. Massimo rimase lì a guardare, e vide che i fiori che l'albero di Flor aveva lasciato sbocciare poco prima stavano scomparendo lentamente.
Non andava bene. Non andava bene per niente, al povero Evaristo! Se avesse potuto avrebbe afferrato il Conte e gli avrebbe gridato tutta la rabbia e il dolore che aveva provato per colpa sua.
Il Conte, dal canto suo, semplicemente non ci capiva nulla. In quel momento gli sarebbe piaciuto uscire da quella casa, andare a bere in un bar, incontrare una bella donna e lasciarsi tutto quello che era accaduto alle spalle grazie al suo intervento... voleva sentire il calore di una donna, la voce di una donna, il contatto di una donna... ne aveva bisogno... doveva convincersi che quello che era successo era stato provocato da un forte senso di pietà e non da qualcos'altro... lui non poteva essere gay... le donne, non poteva essere altrimenti, per nessuna ragione!
Nel frattempo, in casa Fritzenwalden, la piccola Agostina era seduta accanto ai suoi genitori. Era arrivata da poco e voleva vedere i suoi nuovi fratellini... ma camminando non aveva potuto non notare il Conte che usciva in fretta e furia ed Evaristo camminava rasente al muro, a testa china, mogio mogio... e allora scrisse sulla sua lavagnetta: "Mamma, i nobili piangono?"
"Sì, amore mio" disse Flor, scoppigliandole teneramente i capelli. "Ma perché, ne hai visto uno?"
"Sì... il Conte che abita qua" rispose Agostina. "Sembrava nervoso. E... e poi ho visto Evaristo. Stava quasi piangendo... non posso fare niente per loro, mamma?"
"No, amore mio. Non puoi fare molto... però... puoi andare a dare un bell'abbraccio a quello che ti è più vicino... sai, quando due persone si abbracciano, i loro cuori iniziano a battere allo stesso ritmo. È come se avessero un modo tutto loro di comunicare."
"Ma io non so parlare... non ricordo più come si fa, mamma!"
"Sì che lo sai. Ma non devi aver fretta di rompere la conchiglia magica, sirenetta, altrimenti finirai per farti male... invece di lanciarla, colpirla o sbatacchiarla, dalle dei piccoli colpetti... un poco per volta."
Agostina sorrise e fece un piccolo cenno d'assenso con la testa. Si alzò lentamente e fece per allungarsi verso i bambini che emettevano dei versetti, ma le culle erano troppo alte. Fede, vedendola arrancare, la prese in braccio e lei, sporgendosi in avanti, baciò la fronte dei gemellini.
"Vi... vi... voglio... bene!"
"Ago!" esclamò Flor, saltando in piedi. "Brava, piccolina, bravissima!"
Santiago, che ascoltava da dietro la porta, entrò di corsa.
"Sorellina mia, hai parlato! Hai parlato!" esclamò elettrizzato, facendo ridere anche i gemelli.
"Piano, giovanotto, piano!" disse Fede, ridendo. "Un passo alla volta... però in effetti non hai tutti i torti!"
Agostina rise: aveva una risata bellissima, cristallina... chissà da quanto non rideva più, tra un ceffone e un rimprovero!
Si voltò verso suo padre e gli baciò la guancia, poi saltò giù e fece altrettanto con il fratellino e la mamma.
Finiti gli abbracci, corse fuori dalla stanza e in mezzo al corridoio, con il volto premuto contro il muro, c'era il povero Evaristo, con le spalle scosse dai singhiozzi.
La piccola gli si avvicinò lentamente e gli cinse i fianchi con le braccia.
"Oh... signorina, cioè, Ago!" balbettò Evaristo. La piccola preferiva il suo nome al linguaggio forbito. "È stato molto carino da parte tua... l'abbraccio." La piccola sorrise teneramente e lui la prese tra le braccia, sorridendole. Lei abbozzò un sorriso, mentre lui le accarezzava il viso, sul quale ancora si vedeva l'ombra di qualche ferita. "Povero angioletto... lo sai, nemmeno io ho più i miei genitori... mia madre si è ammalata... e mio padre non ha sopportato la sua assenza... abitavamo già a casa del mio signore... di Massimo... c'era anche suo cugino. Era piccolissimo, ed era decisamente carino e gentile." Agostina ascoltava attentamente, stringendosi ad Evaristo. "Lo sai? I miei si amavano troppo, per questo sono andati via insieme... e la signora Anna e il signor Andrés si sono occupati di me."
"Oh..." biascicò Agostina, con il viso basso. Anche i suoi genitori biologici si amavano. Visto che era impossibile fermare l'impatto con l'altra auto, si erano presi per mano, per andarsene insieme, e avevano allungato le mani libere per coprire i bambini sui sedili posteriori... Agostina li aveva visti, e quella era stata l'ultima volta in cui aveva lanciato un grido disperato.
"Era buono, da bambino, il signor Conte, sai?" disse Evaristo. "Spesso da piccoli giocavamo insieme, però... lui non ne ha mai voluto sapere di trovarsi una moglie, pur essendo un nobile... e più sua madre insisteva, più lui... però questo non dovrei dirtelo!"
Non ci fu bisogno che continuasse, perché Agostina aveva capito cosa voleva dire. Pur essendo piccola, in quell'orfanotrofio ne aveva viste tante... forse troppe per una bambina di sei anni.
"Perché mi sono innamorato proprio di lui?"
Evaristo lo stava chiedendo a se stesso, in realtà, ma sperava che Agostina avesse la risposta. E la piccola, facendo una gran fatica, disse: "Tu sei molto buono... e... non ti saresti... innamorato... se non avessi visto del buono anche in lui..."
Nel frattempo, il Conte era arrivato ad una taverna. Era solito frequentare ristoranti chic, posti per gente di alto lignaggio, ma quella sera sentiva la necessità di cercare altro... ubriacarsi con dell'alcool scadente, adocchiare una donna, qualunque donna fosse tanto attraente da fargli scattare qualcosa dentro, e lasciarsi andare al suo passatempo preferito fino a stancarsene e gettarla via come uno straccio per la polvere, com'era nel suo stile, per farla breve.
Appena la porta si fu aperta, Massimo notò che i polmoni gli bruciassero: l'aria lì dentro era completamente secca e il fumo formava delle nuvolette. Certo: il Conte era abituato alle sigarette, ma non a buttarne giù tante in una volta sola. Di solito ne fumava una ogni tanto, per farsi bello agli occhi delle damigelle che seduceva, ma lì era diverso: tutti si accanivano su quelle sigarette come se non ci fosse nient'altro al mondo.
"Cosa desidera, signore?" chiese la cameriera, ma per poco i bicchieri che reggeva non le caddero dalle mani. "Massimo..."
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Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||
FanfictionA Fede viene concesso di tornare sulla Terra, ma dovrà superare alcune prove. La prima ad incontrarlo sarà Flor, attraverso una visione. Infatti l'incontro con Fede della prima serie non sarà l'ultimo. Dopo il ritorno, poiché le leggi della natura s...