109: Genitori e figli [parte 2]

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Fede era in sala d'attesa. Non gli permettevano di avvicinarsi a sua figlia poiché la tenevano in terapia intensiva. Aveva pianto anche lui, silenziosamente, e se ne stava lì, con lo sguardo fisso a terra, pregando le fatine, gli angeli e chiunque lo sentisse di proteggere la sua famiglia: la donna che amava, i suoi fratelli, i suoi figli, sia adottivi che biologici. Aveva paura. Si sentiva come se stesse camminando sull'orlo di un precipizio, senza poter né vedere né sentire niente.
Gli facevano male tutti i muscoli, su quella scomoda sedia di plastica, ma non osava allontanarsi neanche per sgranchire le gambe. Dietro una di quelle innumerevoli porte bianche si trovava la sua sirenetta, in più non voleva che la donna di cui era innamorato soffrisse ulteriormente e se poteva sopportare quell'attesa per tutti e due, tanto meglio. Da un lato ringraziò che le fosse salita la febbre, perché voleva che stesse a casa, tranquilla, se poteva... almeno, stordita dal suo malessere, non sarebbe stata costretta a provare quel dolore...
Una mano piccola, irruvidita dalle faccende domestiche, ma calda come quella di una mamma, gli toccò il volto.
"Oh... ciao, Greta! Grazie" disse con un filo di voce, asciugandosi gli occhi con una mano. Ma la donna gli fermò il polso.
"No, Mein Kind... non tenere tutto dentro suo cuore... anche lei piccolino, lei afere bisogno tirare fuori suo dolore..."
"Parli con noi, signore... se le va di parlare... o se preferisce pianga pure."
E detto questo, Antonio gli sedette vicino e gli prese la mano tremante. Il giovane lo lasciò fare: era una stretta poderosa, ma accogliente e rinfrancante allo stesso tempo.
"Come... come sta... Flor?" balbettò. Si vergognava terribilmente del dolore che l'aveva travolto, pur conoscendo bene quei due compagni di viaggio. Era sempre stato lui a consolare gli altri e l'idea di farsi consolare gli faceva male... incredibilmente male.
"Floricienta stare bene. Lei ora tormire come ancioletto di cielo, povera piccolina... suo papà stare con lei..."
"Oh, grazie al cielo!" sospirò lui, sentendo il cuore un po' memo oppresso. "E voi? I bambini? State tutti bene?"
"Stia tranquillo, stiamo tutti bene..."
E detto questo Antonio gli cinse le spalle con un braccio, per rassicurarlo.
"Oh, meno male! Grazie... a entrambi."
Gli occhi del giovane si colmarono di nuovo di lacrime e lui chinò la testa, sperando di cuore che non lo guardassero in faccia. Greta e Antonio, capendo, non seguirono la traiettoria del suo sguardo, in un atteggiamento rispettoso.
Alla fine, però, il giovane esplose in un pianto disperato. Greta lo attirò a sé e gli fece posare la testa sul suo petto, in atteggiamento materno. Aveva sempre considerato come figli i piccoli Fritzenwalden e sapeva che era quello il momento migliore per dimostrarglielo.
"Tranquillo, Mein Kind. Tutto andare bene, capire? Piccolina essere forte e no potere lei succedere niente di male, perché tutta sua famiglia lei ama con tutto suo cuore..."
Il giovane non poté far altro che annuire lentamente, mentre altre lacrima scorrevano lungo le sue guance pallide.
Improvvisamente una giovane donna si diresse verso di loro.
"Può vedere sua figlia, signor Fritzenwalden."
Aveva una voce dolce, delicata... come quella di Flor, per certi versi.
"Grazie" sussurrò in risposta il giovane, alzandosi lentamente.
"Mi perdoni, ma il dottore dice che non posso far entrare più di una persona per volta... mi dispiace davvero."
"Vada, signore. Noi l'aspettiamo qui."
"Grazie, Antonio." sussurrò Fede.
L'infermiera lo sostenne e lo aiutò ad entrare nella stanza della sua sirenetta momentaneamente obbligata a dormire.
Fede si avvicinò lentamente al letto. Il suo sguardo percorse l'esile corpo di Agostina: era coperta di fili, aveva una fascia intorno al torace e a parte dell'addome. Il petto era compresso da un macchinario minuscolo, ma legato a un ingente numero di fili che sembravano spuntare da ogni parte. Sembrava che avesse un istrice applicato sul petto. Vide che una manina spuntava da quel groviglio e l'afferrò: era fredda, irruvidita da lavori che una bimba così piccola non avrebbe dovuto fare, e, il poveretto lo notò con dispiacere, in passato la piccola era probabilmente stata obbligata a raccogliere cocci di vetro a mani nude. Fede si portò la mano di Ago sulle labbra e la baciò con dolcezza.
"Che bella che sei, sirenetta!"
Faceva fatica a parlare: ad ogni parola sentiva lo stomaco contorcersi e il cuore sussultare ripetutamente.
"L-lo sai...? Anche... la mamma avrebbe voluto stare qui con te, ma le è venuto un brutto raffreddore e non voleva attaccarlo anche a te, piccola."
E immaginava la sua Flor, che teneva in braccio Agostina, le raccontava le fiabe o le insegnava le canzoni della band. Ma prima la bimba doveva tornare.
Avrebbe potuto sentire la sua anima, magari persino la voce che da sveglia Agostina non sapeva usare, ma non aveva la forza di concentrarsi. Era a pezzi.
Improvvisamente, però, ebbe l'impressione di sentire una voce che intonava una canzone che gli risultò nota, perché spesso la sentiva cantare ad Alberto. Quella voce era un regalo di Agostina, che probabilmente per non costringerlo a sforzarsi aveva provato ad andargli incontro. Lui, in fondo, era il suo papà e bei gli voleva bene. Era diventato un padre quando l'aveva abbracciata, capendo che ne aveva bisogno, quando le sue mani calde e morbide avevano accarezzato il suo corpo martoriato dai maltrattamenti subiti. Era buono, suo padre. Ago voleva tornare a stringersi a lui, a fargli sentire il suo cuoricino che batteva forte forte e voleva ascoltare il suo, di cuora, che sembrava averne subite un bel po'. Voleva tornare ad ascoltare la sua voce rassicurante, guardare gli occhi di un papà che aveva ritrovato in lui, sentirne il calore rassicurante. E questo era tutto quello che poteva fare per dimostrarglielo.
"Nessun amore mai
sarà più grande dentro di noi...
potrai sbagliare, innamorarti, cambiare strada ma
mai c'abbandonerai."
La voce si fermò e Fede rimase lì, attonito. Era possibile che quella fosse la voce che Agostina aveva perso?
Lui non poteva saperlo, ma lo sentiva.
"Sirenetta mia! Amore, sei tu?" cbiesa con gli occhi sognanti. "È così la tua voce?"
Ebbe la sensazione che la mano fredda e ruvidaa di Agostina stringesse la sua.
"Piccola... sono certo che ritroverai la voce... devi solo rompere la conchiglia in cui la custodisce la strega cattiva."
Intanto, a casa Fritzenwalden, tutti avevano notato che Santiago era irritabile, perché non lo facevano andare da sua sorella, ma Ramiro era catatonico.
"Ramiro... tesoro mio, che cos'hai?" Amélie si chinò sul figlio e gli prese delicatamente le mani.
"Agostina è speciale, mamma. Se le succedesse qualcosa non lo sopporterei."
"Perché dovrebbe succederle qualcosa?" Amélie voleva dargli speranza, ma gli occhi di Ramiro si allargarono per la paura al ricordo di quel che aveva visto il giorno prima.
"Non ho mai visto una cosa così brutta. Io non ci voglio più salire in macchina! Quella macchina andava da sola, ma sembrava che sapesse dove doveva andare... c'era una signora... io l'ho vista dopo, ma Ago l'aveva notata e l'ha salvata... come fece Fede, te lo ricordi? È buona come lui e non so se ce la ridaranno, se dovesse andarsene come se n'è andato lui!" E scoppiò a piangere, con gli occhi fissi nel vuoto.
"E perché dovrebbero portarla via?" gli chiese dolcemente Amélie, stringendolo a sé.
"Perché lei è un angelo, e lassù c'è sempre bisogno di angeli!" rispose Ramiro, continuando a singhiozzare sul petto di sua madre.
"Sì, ma sulla Terra c'è molto più bisogno di angeli che in Paradiso." gli rispose Amélie.
Era un goffo tentativo di consolarlo, ma, pur non sentendosi molto più sicuro, Ramiro apprezzò il gesto di sua madre.
Ricordò le parole che il suo papà adottivo, Otto Fritzenwalden, gli diceva sempre: "Tu sei un ometto, Ramiro. Quando qualcosa ti affligge, pensa positivo e asciugati le lacrime... la mamma ha bisogno di vederti felice."
E fu come se Otto avesse cercato di ricordargli quello che gli aveva detto, amorevolmente, tempo prima. Ramiro si passò le mani sul viso e spazzò via le lacrime con le punte delle dita. Respirò profondamente, cercando di convincersi del fatto che le parole di sua madre potessero risultare veritiere.
Questo lo calmò del tutto, tanto che fu persino in grado di accennare un ;orriso.
"Oh, amore mio! Sei così bello quando sorridi!" disse sua madre, orgogliosa.
Gonzalo guardava la scena da dietro la porta.
Accennò un debole sorriso prima di entrare, ma alla fine si decise. Corse verso Ramiro e Amélie e li abbracciò stretti, come forse non aveva mai fatto.
Proprio in quel momento, Flor aprì gli occhi. Suo padre sedeva al suo capezzale: non aveva il coraggio di allontanarsi da lei, dopo tutto il tempo in cui non aveva potuto starle accanto.
"Buongiorno, piccola!" disse dolcemente spostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
"Papà... devo andare... devo andare..."
Alberto comprese cosa intendeva: le si avvicinò e le sentì la fronte.
"Non puoi andare da Ago in questo stato, amore mio" le disse. "Lascia che passiancora un po' di tempo: poi, se la febbre dovesse scendere, ci andremo..."
"Papà... ho paura... ho sognato un angelo nero che se la portava via" disse a mezza voce la ragazza, ma Alberto la fermò.
"Piccola, non fare così! Non le succederà niente, tranquilla."
"Sì... ma io ho tanta paura, papà!" sussurrò Flor. Era dal giorno prima che non faceva che piangere, e quando non lo faceva giaceva in un torpore di sogni confusi e frammentati.
"Tu sei la sua mamma... l'amore che una mamma prova per i suoi figli è forte... così forte che niente può distruggerlo. E non lo si può nemmeno scalfire. Mia moglie è l'eccezione che conferma la regola."
"Ma... ma la mia mamma se n'è andata... ho paura che anche mia figlia mi lasci! Mi abbandonano tutti, papà... tutti mi vengono portati via! La mia mamma, il mio papà adottivo che è in prigione, tu che non hai potuto crescermi, il mio Fede... il mio Freezer..."
"Quelli che ami sono sempre qui con te. Nel tuo cuoricino da principessa. Non credere che siano felici di vederti così. E poi, quasi tutti sono tornati."
Improvvisamente Flor udì una voce dolce provenire dal lato opposto della camera. Emma, infatti, era entrata in quel momento e aveva sentito tutto. Alberto le aveva insegnato una canzone speciale e la ragazza, pensando che la cosa potesse risollevare un po' Flor, aveva preso a cantarla a mezza voce.
"Dividere non puoi
quello che il Cielo ha unito, lo sai...
amore immenso...
in questa vita
non c'è ferita che poi non guarirà...
ovunque tu sarai... io sarò..."
Flor spalancò gli occhi, sorpresa.
"Amore mio, sei bravissima!" esclamò. "Ma come la conosci?"
"Me l'ha insegnata Alberto" rispose la ragazza. "Quanto avrei voluto che anche i miei componessero qualcosa per me, anche se non fosse stata una cosa bella come questa... purché mi facessero capire che mi volevano bene."
"Ma questa... me la cantava sempre la mia mamma!" balbettò Flor. "Papà, come..."
"L'abbiamo scritta insieme" rispose lui per poi tirar fuori da una tasca un piccolo cofanetto. "Me l'ha dato lei... l'unica volta che ti ho vista... eri così piccola, così bella... e avevi gli occhi luminosi e dolci degli angeli... bastava tenerti vicina pochi secondi per capire che avresti avuto le ali della fantasia anche tu, come la tua mamma..."
Flor fece scattare la serratura del cofanetto. Dentro c'erano frammenti di quella stessa ninna-nanna che la sua mamma le cantava ogni sera. Le raccontava sempre che un uomo venuto dal Mare aveva scritto quelle parole per la sua figlia perduta e che il suo papà aveva trovato quel tesoro prezioso e l'aveva consegnato a lei, a Margarita, perché lo donasse alla piccola Flor: un angelo dagli occhi sognanti e dal cuoricino pronto al volo fin dal primo pianto.
"Eri tu... il marinaio che aveva perso la figlia e tutte le notti le cantava questa canzone perché lei ne fosse attratta eri tu!" esclamò incredula.
"Sì... ma questa signorina ha saputo renderla molto meglio." rispose Alberto che conosceva la storia inventata da Margarita. Si diresse verso Emma, che aveva le guance rosse per l'imbarazzo, e la strinse in un abbraccio. La ragazza rimase di stucco: era così l'abbraccio di un padre? Fino ad allora aveva visto quella figura in Fede, ma anche Alberto non scherzava. Era gentile, protettivo, e l'apprezzava.
"Al mio papà non piaceva che cantassi."
"Al tuo papà non piacciono le cose belle e pure" disse Flor, serrando la mascella. "Se lo prendo lo strangolo!"
Quella ragazzina innocente, che aveva pensato di farla star meglio con le parole che suo padre aveva scritto insieme a sua madre l'avevano un po' rinvigorita.
"Non abbassarti al suo livello, piccola mia!" la rimbeccò dolcemente Alberto. "Tu sei una Principessa della Terrazza: non hai bisogno di strangolare nessuno... aspetta che il lupo si calpesti la coda e vedrai che griderà da solo."
E in effetti Francisco fu decisamente incauto, quel giorno.
Purtroppo era stato affibbiato al povero Eduardo Fazarino, il papà adottivo di Flor, che vedendosi capitare l'assassino del principe azzurro di sua figlia tra capo e collo, dovette metterci tutta la buona volontà per non strangolarlo con le ;ue mani, e ve l'assicuro: l'unica circostanza che poteva provocare slanci violenti ad Eduardo era il trovarsi faccia a faccia con chiunque osasse far soffrire Florsicucy o chiunque le stava a cuore.
"Hai saputo, Fazarino?" chiese Francisco, appena avuta la notizia dell'incidente di Agostina. In teoria lui aveva chiesto che sua moglie venisse investita, ma anche far soffrire quel Fritzenwalden, il ragazzo che aveva investito, e la sua famiglia, andava bene.
"Saputo che cosa?" chiese secco l'uomo.
Francisco scrollò le spalle, tirò la testa indietro e scoppiò in una risata.
"Tua nipote... cioè, la tua mezza nipote è stata investita da una macchina. Sembra che abbia provato a salvare una tizia... come fece tuo genero... chissà se la piccolina sarà altrettanto fortunata?"
Eduardo serrò la mascella e respirò profondamente, tentando di restare calmo. Se fosse dipeso da lui, avrebbe fatto l'impossibile per cancellargli quello stupido ghigno dalla faccia, ma sapeva che Fede aveva chiesto che fosse riaperto il suo cask, e se voleva sperare di uscire e stare vicino a sua figlia non doveva dare in escandescenze.
"Povera la tua Florencia... sembra che porti sfortuna a tutti quelli che ama."
"Beh, se anche fosse almeno lei ama. Tu neppure alle tue figlie saresti in grado di dare il minimo sindacale dell'amore... chissà se ce l'hai, un cuore! Forse sei un'anima dannata bloccata sulla Terra!"
"Ti ci spedisco io, all'Inferno!" urlò Francisco, scagliandosi contro di lui.
Se Eduardo avesse agito d'istinto avrebbe ribaltato quell'uomo con un calcio, ma la sua vendetta andava al di là delle percosse. Rimase lì, inerme, in attesa che qualcuno sentisse i colpi.
Ci volle un bel po' prima che accadesse, a quando una guardia entrò sparando un colpo nel polpaccio di Francisco, che non si sarebbe fermato solo sentendosi richiamare dal secondino di turno, il povero Eduardo aveva il volto tumefatto ed era privo di sensi...
Intanto, in ospedale, la Contessa Anna De La Hoya finalmente si destò.
"Dove sono?" biascicò, provando a tirarsi su.
"Stia giù, signora contessa." disse il medico che si stava occupando di lei.
"Mio figlio è ricoverato in ospedale... devo vederlo. Per favore!" supplicò la donna, cercando di tirarsi su ancora una volta, ma senza risultato.
"Non ricorda com'è arrivata qui?" le chiese il dottore.
"Questa è l'unica cosa che non ricordo" rispose la signora Anna massaggiandosi energicamente la fronte con una mano. "Dovevo venirci comunque in ospedale... ma per vedere mio figlio: Massimo Augusto Calderón De La Hoya."
"Vede, signora" disse il dottore, con garbo. "Lei è stata portata qui priva di conoscenza dopo un incidente, insieme al suo autista, anche lui privo di sensi."
"Oh santo cielo! E lui come sta?"
"Non si preoccupi: si è svegliato anche lui e sta bene. Ma, vede, mentre eravate entrambi svenuti, probabilmente l'auto ha perso il controllo ed ha travolto una bambina di circa sette anni."
La donna trasalì, colta dal terrore. Una bambina così piccola poteva essere in grave pericolo dopo un incidente di quel tipo!
"Come si chiama la piccola? È viva? Sta bene?" domandò a raffica.
"La bambina è viva... non sta proprio bene, ma stiamo cercando di recuperarla" rispose il medico, sospirando al pensiero di quella povera bambina. "Il suo nome è Agostina Fritzenwalden Fazarino."

Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora