108: Genitori e figli [parte 1]

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"Fede! Fede, per l'amor del cielo, che ti hanno detto?" chiese piano Alberto.
La tensione gli si leggeva chiaramente sul viso, mentre Fede non era solo teso. Era come se l'avessero investito, per la terza volta, e l'avessero rimandato da dov'era riuscito a tornare.
"Come me... Agostina... la mia Ago... la mia sirenetta..." balbettò lui. Flor, che si era svegliata da un po' ma aveva evitato di dirlo per non disturbare i due, tirò su la testa e guardò il povero Freezer solo di soprannome con occhi sgranati.
"Che è successo a nostra figlia, Fede? Che le è successo?" domandò, presa dal panico.
"L'hanno investita, Flor! È stato proprio come quello che è successo a me..."
Flor si attaccò alla mano di suo padre, che la strinse forte dicendole: "Non può succederle niente, amore mio... non può succederle niente."
Era stata Reina a chiamare Fede per spiegargli tutto, ed era ancora terrorizzata mentre vedeva Lorenzo che raccoglieva la bambina dalla strada lastricata, le sentiva il polso, cercava di sentire il suo respiro e controllare le sue ferite meglio che poteva ed Emma che si occupava di chiamare i soccorsi.
Era successo tutto troppo in fretta.
Nessuno aveva visto Laura, moglie di Francisco e amante del Conte Massimo, che camminava per la strada piangendo così forte da non riuscire a vedere cosa le accadeva intorno, con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Solo Agostina l'aveva vista... aveva visto un'auto puntare dritta contro di lei e ogni volta che la donna si spostava, la macchina si spostava insieme a lei. Era come se la stesse proprio puntando. Era come se l'auto vivesse di vita propria, come se vedesse e sentisse i movimenti di quella donna.
Agostina provò ad avvisare la giovane, ma non trovava la sua voce. Non ricordava neanche più come fosse muovere la bocca per emettere .un qualsiasi suono.
Fu questione di un attimo: Agostina agì tanto rapidamente da non dare il tempo agli altri di far nulla. Scrollò la mano di Reina, che voleva fermarla, e si buttò addosso alla donna in pericolo, mandandola a cadere dall'altra parte della strada. Era la forza della disperazione: sarebbe stato impossibile, altrimenti, che un corpicino così minuto potesse esercitare una tale forza su una donna alta il doppio. Ma questo portò anche la bambina a cadere per terra, e non fece in tempo ad alzarsi, perché l'auto la travolse... poi parve incagliarsi nel terreno, come una barca. Reina corse in quella direzione assieme a Lorenzo e intanto chiamò Fede e in qualche modo gli spiegò quello che era successo.
Infilò una forcina nella sicura dell'auto, facendola scattare, e rimase scioccata da quel che vide. Non c'era nessuno al volante, perché sia il conducente che una donna seduta sui sedili posteriori giacevano riversi da un lato, privi di conoscenza... e sul volante vide un'iscrizione che non riuscì a decifrare, ma una cosa era certa: era stata sua madre a farla, e questo aveva messo a rischio la vita di una creatura innocente.
Quando giunsero i soccorsi, anche i due sventurati furono condotti in ospedale.
"Franco, Emma, voi andate a casa con i ragazzi!" esclamò Lorenzo, prendendo le redini della situazione. Emma aveva fatto del suo meglio per curare Agostina, ma alla fine era crollata in ginocchio per l'eccessivo sforzo.
Reina e Lorenzo andarono in ambulanza, con la piccola Ago, mentre gli altri ragazzi tornavano a casa. Santiago dovettero portarlo in braccio, e anche per Ramiro fu lo stesso, perché entrambi volevano andare insieme a loro.
"Lasciami, lasciami andare!" gridava Santiago mentre Emma cercava di stringerlo. "È mia sorella! Lì c'è mia sorella, lasciami andare da lei, per favore!"
"Santiago... tesoro, ti prego, ascoltami" cercò di calmarlo lei, mentre il bambino si agitava spasmodicamente tra le sue esili braccia. "Tua sorella è coraggiosa! Tutti noi teniamo a lei e sappiamo che agitarci non aiuterà nessuno, né lei né noialtri... fidati di me: non le succederà niente! Non le può succedere niente, hai capito?" E gli diede un bacio sulla fronte, senza lasciarlo. Sembrava che il suo abbraccio lo stesse poco a poco calmando nonostante lei fosse la prima ad essere nervosa... e la tensione aumentò quando riconobbe la voce di sua madre che urlava: "Salvate quella bambina, salvatela!", ma si concentrò su Santiago perché non tornasse ad agitarsi come un ossesso. Il suo corpo era caldissimo a causa del pianto disperato, lei non poteva vederlo, ma era diventato rosso, ed era tutto sudato per lo sforzo che faceva anche solo per respirare.
"Coraggio, Tiago! Andiamo a casa. Ti prometto che qualunque cosa accada, ci avviseranno presto, va bene?" disse piano la ragazza, continuando a stringere il bambino tra le braccia. Martin si avvicinò, le toccò il gomito, in modo da poterla guidare, e si diressero verso casa.
Per Ramiro fu persino peggio. Cedette quasi subito alla suppliche dei suoi amici di tornare a casa, ma camminava ad occhi chiusi, aveva il pianto così silenzioso che si stentava persino a sentirlo respirare e sembrava assente...
Flor e Fede, accompagnati da Alberto, invece, si erano diretti in ospedale. Fede stentava a tenere il volante per quanto gli tremavano le mani, quindi fu Alberto a mettersi alla guida, sperando che le medicazioni di Sofia reggesserk e Fede si mise dietro con Flor, con la mano stretta in quella di lei, che aveva il viso rosso dal tanto piangere.
La loro figlia, la sirenetta, era stata in grado di salvare una persona proprik come aveva fatto suo padre mesi prima: stessa dinamica, stessa ragione.
Fede non riusciva a darsi pace: quella piccola creatura, così fragile e delicata, che aveva sofferto per anni alla mercé di suore con teorie contorte, leggi ridicole e difficoltà a parlare, ora era distesa in un letto d'ospedale.
Arrivati in ospedale trovarono Reina e Lorenzo, in sala d'attesa, agitati quasi quanto loro.
Reina si alzò e corse ad abbracciare la sorella, in lacrime.
"Perdonami, Flor... mi dispiace tanto" singhiozzò contro il suo petto, stringendola forte tra le sue braccia.
"Non è stata colpa tua, Reina" sussurrò Flor, piangendo insieme a lei.
"Non ho potuto trattenerla... è saltata nella mischia come un fulmine, Flor!"
"Lo so, Reina, lo so." le disse Flor.
Reina guardò oltre la spalla di Flor a vide suo padre. Non vide i cerotti che aveva addosso, non era abbastanza lucida da chiedersi se quello che stava per fare potesse provocargli dolore o meno, ma sentiva il bisogno di farlo. Flor comprese, sciolse l'abbraccio e si fece delicatamente da parte. Reina si gettò in avanti e crollò tra le braccia di suo padre, che se la strinse al petto come fosse stata il tesoro più prezioso al mondo. Per Alberto le sue tre figlie erano davvero la cosa più cara che aveva e vedere le due sorelle, uo tempo nemiche, abbracciarsi, gli aveva riempito il cuore di gioia e d'orgoglio.
"Ehi, tesoro... non è stata colpa tua."
"Sì, invece! Se succede qualcosa a quella bimba è colpa mia, papà, solo mia!" singhiozzava lei.
"No, amore mio, non è vero! Tu hai provato a impedirlo, ma non hai fatto in tempo. Non è colpa di nessuno, è stato un incidente... e Agostina ha la forza tipica delle sirenette, si riprenderà."
Reina non provò nemmeno a contraddirlo.
Suo padre aveva un dono: riusciva ad infonderle speranza con poche parole, e un tempo l'aveva amato tanto, come si può amare un papà, un supereroe... poi sua madre la aveva messo in testa un mucchio di stupidaggini e i due si erano allontanati. Avrebbe voluto chiedergli perdono, ma non ne ebbe la forza. Ma Alberto poteva sentire quello che le sue figlie covavano dentro, e, per farle capire che almeno quel peso doveva toglierselo di dosso, le sussurrò all'orecchio: "Va tutto bene, piccola."
Parve trascorrere un'eternità in quella stanza prima che qualcuno si decidesse a dir loro qualcosa sulle condizioni di Agostina.
Un medico corse fuori da una stanza. Era pallido, distrutto dalla stanchezza e decisamente preoccupato per qualcosa.
"Voi siete i genitori di Agostina Fritzenwalden Fazarino?" chiese l'uomo. Flor aveva completamente dimenticato di cambiare il suo cognome e la bambina era stata riconosciuta con quel cognome proprio per quella ragione.
Flor e Fede fecero un passo avanti per far capire che erano proprio loro. Non trovarono la forza di parlare... non per dire di sì, ma Flor la trovò poco dopo per dire altro_.
"Dottore, la prego... ci dica come sta" supplicò, tesa. Fede la sorreggeva a fatica e si vedeva che stava male anche lui per quello che stava accadendo.
"Abbiamo dovuto operarla d'urgenza. Per una bambina così piccola, poi con quello che ha subito prima che la prendeste con voi, un impatto del genere potrebbe essere pericoloso. Ha delle costole incrinate e purtroppo è in coma. Per fortuna sembra che i parametri vitali mantengano ancora una sufficiente stabilità, ma bisogna tenerla sotto controllo. Le sue condizioni potrebbero precipitare in qualunque momento."
"Come... come fa a sapere che l'abbiamo adottata?" chiese Flor.
"La bambina riporta lesioni causate da percosse, che però risalgono ad almeno un mese fa, ed è impossibile che siano opera vostra. So riconoscere un genitore addolorato per un figlio, quando lo vedo."
Flor, pallida come un cencio, balbettò qualche parola che solo dopo Fede comprese fosse una richiesta: lei voleva uscire un po' da quel posto in cui l'aria era calda e soffocante e gli chiedeva d'informarla per qualunque cosa.
Alla fine si limitò semplicemente ad assentire con un movimento della testa.
Flor si diresse all'esterno. Stava iniziando a piovere e le temperature, vertiginosamente basse, facevano presagire una nevicata durante la notte.
Il cielo piangeva, come Flor e Fede. Quella non era pioggia. Erano le lacrime dei loro angeli, distrutti dal dolore come loro, e forse, chissà, anche le lacrime dei cherubini e persino del Capo Supremo.
La pioggia scendeva copiosa sul corpo modellato dalla gravidanza di Flor, che non faceva che camminare avanti e indietro per il minuscolo cortile ospedaliero, accarezzandosi la pancia e parlando dolcemente ai figli che crescevano dentro di lei.
"Angioletti, per favore, non mi abbandonate anche voi... vi prego!" singhiozzò Flor. "Vostra sorella è costretta a dormire... come la Bella Addormentata, sapete? Ma presto starà meglio... non dovete preoccuparvi, okay? Vi prometto che presto lei starà bene, ve lo promette mamma Floricienta..."
"Flor! Flor, piccola mia, ti ammalarai se resti ancora qui!" disse Alberto. Fede gli aveva chiesto di andare a cercarla, perché sapeva, conoscendo la sua principessa, che non avrebbe permesso che lui si facesse forte per lei, anche solo per chiederle di entrare per non ammalarsi.
"Papà... papà, esiste una cura per un cuore fatto in mille pezzi?" chiese lei, con gli occhi rossi dal tanto piangere.
Alberto si sentiva proprio come lei al sentirle pronunciare quelle parole. Aveva usato le stesse, identiche parole di Sofia, quando era ancora piccola, così fragile da cadere con un colpo di vento un po' più forte.
Afferrò le mani della ragazza: erano ghiacciate. E oltre al freddo della sua pelle, portato da vento e pioggia, Alberto sentiva il gelo del dolore entrargli fin dentro l'anima. Si chinò su di lei e le diede un bacio sulla fronte, ma avrebbe dovuto ritrarsi per quanto scottava.
"Fatine dei cuoricini spezzati, aiutate la mia Principessa della Terrazza, vi prego!" disse conducendola verso l'auto. Doveva portarla a casa: aveva la febbre e l'unica parte del corpo fredda erano le mani.
Flor sussultò sentendosi chiamare in quel modo.
"Principessa della Terrazza" ripeté. "Come fai a saperlo, papà?"
"Sapere cosa, tesoro?"
"La mamma mi chiamava sempre così."
"Non lo sapevo, veramente, ma ti ho sempre immaginata così. Mentalmente ti chiamavo sempre così" le rispose l'uomo.
Flor sentiva che lui le stringeva forte le mani, come se in qualche modo potesse servire a portarle via un po' di dolore. I suoi occhi erano dolci, la sua stretta calda e forte, ma anche abbastanza delicata da non farle male.
"È un soprannome speciale." disse mentre si avvicinavano all'auto. Flor non avrebbe voluto lasciare sua figlia, ma sapeva che in quelle condizioni non poteva assisterla.
"Perché tu SEI speciale."
"Perché? Non ho fatto niente di speciale, io..."
"È proprio questo che ti rende tanto speciale: non sai di esserlo."
Durante il tragitto verso casa, Flor non fece che piangere in silenzio. Quando giunsero sotto l'albero, però, dalle sue labbra venne fuori un gemito di dolore... non un dolore fisico, però.
"Ehi! Non fare così, ti prego!" le disse Alberto.
"Mi daresti un abbraccio, papà? Come se fossi ancora la... la Principessa della Terrazza? Per favore..."
Gli occhi della ragazza erano così gonfi da impedirle di distinguere chiaramente i contorni del volto di suo padre, e vederla in quelle condizioni provocò a quest'ultimo una fitta al cuore.
"Tu sarai sempre la mia Principessa della Terrazza." disse portandola in casa e stringendola in un caloroso abbraccio. Flor premette la guancia sul suo petto e poté udire i battiti frenetici del suo cuore. Non si erano mai potuti abbracciare in quel modo ed era un'emozione intensa per tutti e due.
Lui, dal canto suo, sentiva i morbidi ricci della ragazza solleticargli il viso e quella sensazione gli piaceva. Alzò una mano e prese a scompigliarli. Era una bella sensazione: quei ricci erano come lei, ribelli a primo impatto, ma morbidi come il suo cuore spezzato. Lei non faceva che piangere, ma almeno, stretta in quell'abbraccio, riusciva a respirare.
"Papà... se dovessi perdere la mia Ago io..."
"Shhh, non ci pensare. Non la perderai affatto, Principessa della Terrazza."
E dicendole questo, senza allentare la stretta, la condusse in camera sua. Greta li vide e aiutò Flor a togliersi gli indumenti bagnati per indossare un pigiama. Le era stato spiegato tutto e fu comprensiva come una mamma con Flor.
"Floricienta, Mein Liebe, tu no preoccupa. Sirenetta essere forte, come la sua mamma... eh? E tu essere molto, molto forte piccola mia" disse dandole un bacio sulla fronte infuocata. "Ora tu dorme e qvando tu sfeglia, febbre passare e tu potere tornare da tua piccioncina coraggiosa, eh?"
Flor, cullata dall'abbraccio di suo padre unito alle carezze e alle parole ci Greta, finalmente si lasciò andare.
"Povera piccioncina" disse Greta. "Lei pianto così tanto che essere stancata. Lei fuole che io resta, così lei cambiare medicamenti su sue ferite?"
Alberto scosse lentamente la testa.
"Grazie, Greta, ma non ti devi preoccupare per me." rispose tranquillo.
"Floricienta preoccupare per lei, Mein Her" disse Greta, "e lei no dovere si fare male... lei buon padre. Lei ama sue figlie, io sicura."
"Non posso dirti: "Non immagini quanto" perché lo immagini eccome!" fece notare lui. "Ma a Flor non ho mai potuto dimostrarlo e ora che sta male ho bisogno di stare con lei... come sono stato accanto a Sofia o a Del... a Reina quando erano malate. Lo facavo io, perché detestavo lasciarle nelle mani di qualcun altro, per quanto affidabile... avevo bisogno di stare con loro, dare loro quanto più amore potevo."
"Ah... Frau Stregona... perdonare, Frau Malamala preferire tate che curare sue figlie lei stessa?"
Alberto fece un cenno affermativo con la testa. "Non è come Fede, che, pur avendo una mamma adottiva buona come te, non ha paura di sporcarsi le mani per pensare ai ragazzi, se stanno male... povero ragazzo!"
"Me antare da lui, allora" disse Greta. "Lui molto solo, poverino."
"Mi faresti un grande favore... lui fa il duro, ma è fragile come una foglia, a volte... gli fa onore, ma fa così male" sospirò amareggiato Alberto, mentre stringeva tra le sue la mano di Flor. Pensava a Fede, che i genitori non li aveva più sulla Terra, e gli si spezzava il cuore all'idea che fosse lì, da solo, senza l'abbraccio dei suoi... la stessa Flor avrebbe voluto dargli un po' di conforto, ma era distrutta. Non poteva sostenere se stessa, figuriamoci lui!
Greta fece per andarsene, ma lui la fermò.
"Aspetta... aspetta" le disse.
"Servire lei altro, Mein Her?"
"No... volevo ringraziarti per aver fatto da madre a Flor da quando la conosci... e per essere stata vicina a Sofia, che per un po' è rimasta sola."
"Loro figlie per povera Greta... me non potere avere figli e me amare tutta famiglia Fritzenwalden e altri cognomi. Foi mia famiglia... miei figli, se folere."
Gli occhi della governante furono invasi da un luccichio che avrebbe fatto sciogliere chiunque.
Antonio, che aveva sentito tutto, si diresse verso la sua Greta e l'abbracciò stretta, da bravo innamorato quale era.
"Andiamo insieme, Gretina. Quel povero ragazzo avrà bisogno di due genitori per potersi sfogare un po', non credi?" La governante poté solo annuire lentamente.
"Lasciate che vi ci accompagni io" disse Pedro. Guardava ora con nuovo lispetto tutti i componenti della famiglia che l'aveva salvato dalla disonestà.
Così, per le fredde strade di Buenos Aires, un'auto con tre persone a bordo si diresse verso un ospedale in cui, prasto o tardi, tutti i componenti della famiglia di cui il terzetto faceva parte sarebbero entrati.
Greta e Antonio scesero dall'auto. Pedro, che ancora si vergognava per quante ne aveva fatte in passato, invece, rimase in disparte, in attesa...

Flor 2: l'Amore oltre la Vita ||Fedecienta||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora