54 - addio amore mio

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Erano ormai passate due settimane da quell'orrenda notte in cui Simone aveva fatto l'incidente e da allora non si era più svegliato, era sempre in coma, attaccato ai monitor che costantemente lo tenevano in vita e controllato.
Manuel aveva smesso di andare a scuola, di uscire, mangiava ogni tanto quando si ricordava, oppure quando stava per svenire, aveva smesso qualsiasi cosa tranne stare in ospedale accanto al letto di Simone, gli teneva sempre la mano. La notte si addormentava dandogli un bacio sulla fronte e augurando 'buona notte' guardando quegl' occhi sempre chiusi.
Quando era sicuro che nessuno lo vedesse si avvicinava a Simone e gli ripeteva sempre queste parole:

M: "amore mio svegliati ti prego, è adesso che inizia la nostra vita insieme, ti amo tanto, ho finalmente capito che ti amo, non puoi lasciarmi da solo, la mia vita senza te non vale niente, sono perso senza di te, senza sentire la tua voce, senza vedere quei meravigliosi occhi scuri, nei quali  mi perderei volentieri"

Poi si chinava su di lui e gli lasciava un delicatissimo bacio sulle labbra.

Non aveva avuto il coraggio di dire a Dante che il giorno stesso  dell'incidente di Simone avevano litigato ferocemente e che gli aveva detto tutte quelle brutte parole che continuamente ripeteva nella sua mente:

"È stato divertente, ma finisce li"

"A me me piacciono le donne"

"me piace Chicca"

"me piace Alice"

"Nun so' frocio come te!!"

"Tu pe' me manco esisti"

Forse per codardia, o semplicemente per paura, sapendo che il padre di Simone avrebbe potuto incolparlo di quel che era successo al figlio, decise di starsene zitto e non dire una parola con nessuno di quello che era successo. Cercando di ripare alla situazione solo se Simone lo avesse ancora voluto vedere, se si fosse svegliato.
Non aveva fatto i conti con il senso di colpa che lo attanagliava.
Era diventato un tormento, uno strazio indicibile, si svegliava di soprassalto la notte, svegliato improvvisamente da un estremo peso sul cuore.
Solo poche notti sua madre e Dante erano riusciti a farlo andare a casa a dormire, perché fisicamente non riusciva più a reggere. Li aveva ascoltati sbuffando, anche se alla fine non poteva che dar loro ragione, almeno era riuscito a riposare un paio di ore di seguito.

A lui non interessava nemmeno la scuola, non aveva più senso andare, trovarsi solo, con accanto un banco, il "suo" banco vuoto. Non sarebbe riuscito a seguire nessuna delle lezioni nemmeno quella di filosofia che a lui piaceva tanto. Dante e Anita lo sapevano e non avevano nemmeno insistito affinché andasse.

Quella era la terza settima appena iniziata, era un lunedi, Simone giaceva in quel letto d'ospedale incosciente, senza dare un minimo di risposta fisica agli stimoli che continuamente sia i medici davano, ma anche lui stesso dava.
Arrivò a pensare che quella era la giusta punizione per tutto il male che era riuscito a fare al suo migliore amico, nonché suo innamorato. Si malediceva e tra se ripeteva continuamente:

M: "dovevo esserci io su quel letto, non Simone, non doveva esserci lui, dovevo essere io a combattere tra la vita e la morte, non la creatura più bella dell'universo. Quello stesso che aveva l'amore negli occhi, due occhi di cui tutti si sarebbero innamorati."

Quella mattina arrivò l'infermiera, Francesca, che fece un prelievo di sangue a Simone, uno dei tanti. Sperò in cuor suo che almeno si muovesse sollecitato dalla piccola pizzicata dell'ago, ma niente da fare, nessuna reazione, immobile come sempre.
Si sedette sulla sedia, gli prese la mano sinistra, la solita che prendeva sempre e la baciò, una, due, tre volte....ma niente...
Iniziò a leggere un libro che parlava della Norvegia, di un bellissimo viaggio fatto da un padre e un figlio in quel continente segnato dalla presenza perenne di ghiaccio.
Dopo un' ora vide arrivare Dante e Anita inaspettatamente, infatti sapeva che il prof. era a scuola tutta mattina, mentre la madre era a villa Balestra con la nonna, perche andava a lavorare alla segreteria del museo di pomeriggio. Anita entrò nella stanza di Simone chiamando Manuel che uscisse. Disse:

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