IV~ Arma a doppio taglio [pt. 4/5]

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"Lei e lui, lui e lei.
L'essenza, la sostanza, la forza inspiegabile
e irresistibile che li tiene stretti
uno all'altra."

-Andrea De Carlo

[24 Dicembre 1995; ore 19

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[24 Dicembre 1995;
ore 19.30]


NARRATORE ESTERNO

"Ecco fatto..." Sussurrò l'uomo alzandosi in piedi e stirandosi gli indumenti con le mani, osservando meticolosamente il risultato -decisamente apprezzabile- del suo lavoro: l'allestimento di un grande albero di Natale all'angolo del grande soggiorno. Fosse dipeso da lui, in casa sarebbe bastato anche solo il presepe -il quale considerava il vero simbolo religioso del Natale in confronto al pagano albero- ma la compagna insistette affinché ci fosse la presenza di un abete luminoso a decorare il tutto.
Così, semplicemente, la fece contenta.
Dopo un lieve ghigno di soddisfazione, si chinò verso la presa della corrente e attaccò la spina, e quello che ne nacque fu una cascata di piccole luci colorate ad illuminare ogni ramo.

"Riley, amore, non toccare i fili." La calda voce di Grace -seduta sul divano assieme al compagno Andrew- risuonava tra le pareti. Batté le mani, allargò le braccia e fece in modo che la sua bambina, ormai di quasi due anni, trotterellasse euforica in sua direzione prima di sollevarla e baciarle il piccolo volto carnoso.

Jacob sorrise a quella vista, poi strofinò una mano sull'altra come per pulirsele dalla polvere e prestò attenzione alla voce che lo chiamava proveniente della cucina.
"Jacob!"
"Arrivo!" Esclamò riponendo i vari scatoloni dell'albero -ormai vuoti- in un angolo della stanza.

"Guarda, che ne pensi?"
Elen, davanti al lavello della cucina, si voltò in sua direzione e gli sorrise, mostrando poi un grande vassoio contenente un enorme tacchino ancora crudo, posato su un velo di lattuga e olive. "Penso che tu sia bellissima." Rispose l'altro andandole incontro, posando le mani sui suoi fianchi e lasciandole un delicato bacio a fior di labbra. "Grazie..." Sussurrò lei. "Ma io intendevo del tacchino."
Egli sgranò gli occhi. "Oh..." Ridacchiò. "Ha un ottimo aspetto."
"Ne ho fatto altri due prima di questo."
"Due?"
"Jacob." Riprese Elen. "Ti ricordi quanti saremo oggi?"
"Sei? Sette?"
"Undici."
"Ah... Bene." E tornò a darle un bacio sulla guancia prima di allontanarsi e tornare in salone per riposare nell'armadio le scatole ingombranti che fino a pochi minuti prima contenevano un finto abete alto circa due metri -o poco meno- e tutte le varie decorazioni che ora lo abbellivano.

Diana sorrise. In piedi accanto alla madre, fingendo di essere troppo concentrata nella scelta dei piatti e dei bicchieri che avrebbe posato sulla grande tavolata natalizia, aveva in realtà assistito a tutta la scena e aveva osservato le espressioni dei due. Vedere sua madre così contenta e spensierata quasi la commosse. Scrutarla ora, mentre sorridente riponeva il tacchino nel forno già acceso e davanti al quale anni prima fu vittima di una violenza che quasi la stava strappando alla figlia, parve surreale.
Tentò di non pensarci, anche se in quel momento le fu difficile ingoiare quei dolorosi ricordi che di tanto in tanto tornavano a farle visita quasi per dispetto, come a ricordarle che non si sarebbe mai sbarazzata di loro, neanche volendo. Erano lì, immobili, imperturbabili.
E lei non ne parlava mai con nessuno, o quasi. Neanche quando qualcuno la vedeva persa nei suoi pensieri, neanche quando Michael, fissandola, le prendeva la mano e le chiedeva a cosa stesse pensando con un tono tanto dolce da riuscire quasi a farla parlare. Ma erano rare le volte in cui, anche lui, ci riusciva.

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