IV~ Dietro la maschera [pt. 4/9]

67 4 29
                                    

"Il sospetto si introduce nei chiaroscuri delle parole, fruga nei silenzi dei volti e delle cose, indaga le anomalie della logica, come un esploratore inquieto per il quale ogni dettaglio, anche il più evidente, potrebbe nascondere lati oscuri."

-Fabrizio Caramagna

-Fabrizio Caramagna

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.



[17 Marzo 1996]


NARRATORE ESTERNO

Tirò il freno a mano, girò la chiave e spense il motore. Dopo aver slacciato la cintura uscì dall'auto e arrivò al bagagliaio, ne sollevò lo sportello e si protese con le braccia al suo interno.
Si piegò sulle ginocchia e afferrò il pesante oggetto, su una mano arrotolò il guinzaglio di Charlie, ormai più cresciuto, infine richiuse gli sportelli e spense l'auto.
Camminò lungo il viale che conduceva alla residenza principale del cantante con goffaggine, tentando di sbrigarsi affinché le braccia non le cedessero prima del tempo. Quando fu quasi davanti la porta, questa si aprì con velocità e, al di là di essa, Jackson apparve con aria allarmata andandole incontro correndo.

"Amore..." Disse sbrigativo, privandola del peso che portava e facendosene carico immediatamente. La salutò con un bacio a stampo, diede una carezza alla testolina del cane e poi corrucciò la fronte. "Non portare questi pesi, non nel tuo stato. Potevi dirmelo, ti avrei raggiunto al cancello..."
Ella sospirò di sollievo, si massaggiò un avambraccio e gli sorrise dal basso. "Non volevo scomodarti, ce l'avrei fatta..."
"Ma io sono qui per aiutarti in tutto, soprattutto adesso. Non mi scomoderesti mai, non dirlo." Poi le sorrise di nuovo, la guardò e le baciò la fronte. Non appena ripresero a camminare l'istinto gli disse di prenderle la mano, ma gli fu impossibile: ciò che sorreggeva era un grande scatolone imballato.

"Cos'è questa roba?" Domandò corrucciando la fronte.
"Tutto ciò che ho di noi." Rispose Talìka prontamente, calciando un sassolino e tornando con gli occhi sul cantante, ora ancora più confuso.
"Tutto? Intendi... Proprio tutto?"
"Già."
"Ricordi di quasi otto anni che ci conosciamo?"
"Sì, in casa non ho più nulla. Qualsiasi fotografia, qualsiasi indumento, qualsiasi gioiello che ci siamo regalati negli anni... La nostra storia è tutta qui dentro." Terminò dando una pacca al cartone e saltellando euforica,
"Mh..." Mugolò il cantante. "E... Ehm, perché?" Le chiese alzando un angolo delle labbra con divertimento. Diana si fermò qualche secondo e lo scrutò facendo spallucce.
"Dovrò venire a vivere a Neverland, giusto? Dovremo, anzi. Io e il bambino. Quindi voglio avere tutto qui. Al sicuro e nell'ambiente che gli spetta."

Arrivati davanti la soglia, Jackson spinse la porta voltandosi di schiena e mostrando alla donna un occhiolino d'intesa. Sembrava felice. "Dobbiamo vedere una cosa insieme, dopo."
"Sissignore." Replicò l'altra schernendolo.

Non appena entrarono in casa, Talìka sganciò il collare di Charlie dal guinzagliò affinché potesse girovagare libero, e Debbie Rowe andò loro incontro con un sorriso sulle labbra. "Ciao Diana!"
Quest'ultima ricambiò la calorosità. "Debbie!" Si salutarono con due baci sulle guance. "Come stai?"
"Tutto bene, sono solo passata per portare a Michael delle medicine che mi aveva richiesto."
Lo sguardo di Diana cambiò rapidamente e andò sul cantante che, di schiena, tentava di posare lo scatolone a terra.
"No, no, no..." Iniziò lui percependo immediatamente la tensione e intuendo ciò che la ragazza avrebbe potuto pensare. La osservò divertito. "Sono solo delle aspirine amore, te lo giuro." Terminò sorridendo.
"Giuramelo." Disse Diana in tono fermo. I suoi occhi espressero immediatamente preoccupazione, e in un attimo lo rivide incosciente, steso sul letto mentre lei, gridando, lo pregava di svegliarsi. Una scia di brividi le percorse la schiena.
"Diana..." Le prese le mani, adesso aveva smesso di sorridere e la guardava con serietà. "Te lo giuro. Sono di là, puoi vedere tu stessa."
Meyer fissò quegli occhi scuri così vicini e fissi nei suoi, da essi trapelava sincerità.
Nonostante la paranoia iniziale che si formò come un fulmine nella mente della donna, Jackson non stava mentendo: aveva ormai smesso con quelle dannose pillole e il suo percorso con la terapeuta andava sempre meglio. Si sentiva bene, era pieno di sé ed entusiasta per il futuro che li attendeva. Le aveva promesso che non le avrebbe mai fatto rivivere quell'incubo e stava mantenendo fede a quel giuramento.
Così, Diana sorrise e annuì. "Scusami." Sussurrò mentre Debbie, ignara del perché di quel loro discorso, sviaval'imbarazzo guardando altrove.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora