III~ Un cuore tra di noi [pt. 3/5]

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"Vivo per lei da quando sai
La prima volta l'ho incontrata
Non mi ricordo come ma
Mi è entrata dentro e c'è restata
Vivo per lei perché mi fa
Vibrare forte l'anima."

-Andrea Bocelli

[25 Gennaio 1996]

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[25 Gennaio 1996]


NARRATORE ESTERNO

Michael fece il suo ingresso in quell'ampia stanza, arredata da mobili in mogano e tappeti color porpora. Un ampio scrittoio alla sua destra e un lampadario non troppo moderno conferivano al luogo un'aspetto caldo, intimo ma piuttosto formale al contempo, mentre una finestra semiaperta lasciava che il luogo arieggiasse e rinfrescasse le pareti. Dopo essersi guardato attorno per una decina di secondi, sfilò il cappello dal capo e guardò dritto davanti a sé, dove una donna seduta su una delle due poltrone disponibili al centro della stanza, lo guardava composta e con un'espressione serena in volto, contrariamente a quella di Michael: si sentiva agitato, spaesato ma era deciso a portare a conclusione ciò che aveva promesso a sé stesso.
E non solo.
"Buongiorno." Sussurrò Michael tenendo il suo Fedora tra le mani.

La donna si alzò e, con passo lento e formale, cordialmente lo raggiunse e gli sorrise, allungando una mano in sua direzione. Sul suo capo risaltava una chioma rossa, corta e riccia, la quale adornava un chiaro pallore che contrastava sul verde muschio degli occhi. Molto magra e minuta, con qualche ruga ai lati delle palpebre, avrà avuto sui cinquanta o cinquantacinque anni.
"Buongiorno Signor Jackson." Si strinsero le mani in segno di saluto. "Sono la Dottoressa Alma Thompson."
"Piacere mio, Michael."
"La prego..." Iniziò lei. "Può posare il cappotto ovunque vuole e, quando se la sente, sedersi su quella poltrona. Io mi siederò dove mi ha trovata, davanti a Lei."
"Grazie..." Sfilò il lungo e scuro cappotto dalle spalle, posandolo su una sedia, così come fece poi col cappello e gli occhiali. Infine raggiunse la poltrona sulla quale era stato invitato a sedersi e guardò la donna negli occhi: timidamente, le sorrise.

"Allora, come preferisce che la chiami? Signor Jackson o Michael?" Esordì restando composta, elegante.
"Michael, grazie."
"Va bene, Michael. Vorrei rassicurarla prima di tutto del fatto che la sua frequentazione qui resterà discreta e che quel che ci diremo in questa stanza, resterà qui. Per coscienza e per segreto professionale, neanche una sillaba uscirà mai dalle mie labbra, con nessuno. Può fidarsi di me, sono qui per Lei." Accavallò le gambe quando egli annuì, lasciò che qualche istante passasse.

"Come si sente oggi?"
"Normale, direi." Rispose facendo spallucce con lentezza.
"E qual è per lei la normalità?"
Michael alzò le sopracciglia con sorpresa, se l'era sempre chiesto e non aveva mai avuto il coraggio di accettare la risposta.
"Beh... La normalità?" Sorrise tra sé e sé, non seppe se sinceramente o amaramente. "Il caos, i paparazzi e i giornalisti, nascondermi o travestirmi per avere un po' di vita come gli altri. Altrimenti me ne resto a casa."
"Le piace stare a casa?"
"Dipende. A volte mi sento molto solo."
"Mi parli della sua casa."
Sorrise, guardando in basso per un po'. "Neverland." Sussurrò. "È il mio angolo di paradiso. È un grande ranch incontaminato dalla cattiveria del mondo nel quale sono immerso, l'unico luogo in cui posso essere me stesso senza essere giudicato da nessuno. Non so cosa farei senza la mia Neverland. Rispecchia me, quel che sono. È casa mia..."
Mentre parlava guardava un punto fisso davanti a sé, fu come se per un momento si trovasse proprio tra quei giardini, su quelle attrazioni, a passeggiare tra i laghetti o lo zoo. Poi tornò alla realtà.
E Alma Thompson lo notò. Restò in silenzio per un po', poi riprese.

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