III~ Cuore e Psiche [pt. 3/5]

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"A volte la risposta appropriata alla realtà è diventare pazzi."

-Philip K. Dick

[30 Novembre 1989]

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[30 Novembre 1989]


NARRATORE ESTERNO

Quel Giovedì mattina parlarono a lungo, come ogni giorno in realtà. Passarono una, forse due ore a conversare attraverso la fastidiosa cornetta di un telefono, ma cosa gli importava? Lei, nel suo grazioso appartamento di Echo Park, era stesa sul piccolo letto che per notti intere aveva ospitatoi loro corpi. E doveva sporgersi di molto col busto verso il comodino per far sì che il cavo riuscisse ad arrivare al suo volto, mentre lui, invece, nella grande e lussuosa suite nella quale si trovava, dovette stare in piedi dato che nei paraggi di quel telefono fisso -in un hotel tedesco- non vi erano divani o poltrone. Erano così scomode quelle posizioni durature in quell'arco di tempo, eppure ogni volta erano felici ed entusiasti di sentirsi e perciò, tutto quello, non gli pesava più di tanto.
Riuscivano a distrarsi quel che bastava.
Lei era distesa a pancia in giù, con i gomiti poggiati sul materasso per far leva sul suo stesso corpo. Arrotolava tra le dita il cavo a spirale del telefono, mentre sorrideva nel conversare con il ragazzo.

<Hai idea di che ore siano qui?> Gli domandava sussurrando.
<No, che ore sono?> Rispose l'altro in tono di sfida percependo una risata ironica.
<Be', Jackson, qui a Los Angeles sono esattamente le-> Allungò un braccio per afferrare la sveglia sul suo comodino e guardarne l'orario. <Le lancette segnano le 4:27, sto rinunciando al sonno per parlare con te, ti rendi conto a che livelli sono arrivata?>
<Alti livelli, direi.> Precisò presuntuosamente lui, anche se con un tono alquanto sarcastico. Lei scosse la testa roteando gli occhi.
<Che ore sono invece da te?>
Il moro, esattamente dall'altra parte del mondo, cercò con lo sguardo attorno a sé un qualche orologio a muro, ma si rese conto fosse troppo distante dalla cornetta.
<Aspettami in linea.> Le disse, poi quando tornò parlò nuovamente ridacchiando.
<Qui è ora di pranzo.>
<Ora di pranzo? Ma dove sei?>
Lui prese un grande respiro.
<Se te lo dicessi non mi crederesti mai, e sai perché? Perché sono a Frankfurt.> Disse mentre con agitazione si mordeva le labbra carnose, poi alzò un angolo della bocca.
<Sei a Francoforte? Oh santo cielo, vorrei esserci anche io lì!>
<Già, e sono esattamente nove ore avanti rispetto a te.>
<Molto simpatico.>
<Solo dietro puoi starmi.>
<Sei un vanitoso.>
<Dai scherzo! Lo sai che ti voglio bene.>
Ella si bloccò, diventò come una statua di sale. Ti voglio bene. Ripensandoci, era la prima volta che se lo sentiva dire da Michael.

<Diana...Sei ancora in linea?>
<Mh? Ehm...Sì, sì ci sono. Anzi, devi sussurrare perché altrimenti sveglio sia mamma che Grace, se non l'intero vicinato.> Rispose freneticamente, mentre si distaccava dallo stato di trance nel quale era caduta.
<Non sapevo fossi in Germania, l'altro ieri non ti trovavi a Ottawa?>
<Mi trovavo, ma dato che la vita da superstar è tanto caotica quanto noiosa, mi tocca viaggiare ogni giorno.>
<Deve essere stancante...>
<Eccome.> Il ragazzo fece passare vari secondi di silenzio durante i quali osservò il pavimento lucido in marmo che sosteneva il suo corpo esile, quei lucidi mocassini neri.
Poi continuò a parlare.
<Sai, adesso vorrei essere lì con te. Da più di un mese è tutto così monotono, non faccio altro che stupide apparizioni televisive, stupide conferenze stampa, stupide interviste per stupide riviste che poi scrivono su di me bugie...Ehm, come posso dire->
<Stupide?>
<Già...stupide.>. Sul volto di Jackson si era formato un malinconico e amaro sorriso.
<Ma una cosa positiva c'è: Sto imparando un sacco di strane parole in tedesco.>
<Davvero? E quali?>
<Te le direi se mi ricordassi la pronuncia.>
<Jackson, sei un caso perso.>
<No aspetta, non è vero! Qualcosa cosa me la ricordo.>
La ragazza si accigliò.
<Ah sì? Ovvero?> Il ragazzo fissò un punto indistinto dinanzi a sé.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora