II~ Fugaci Istanti [pt. 2/5]

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"Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti."

-William Shakespeare

-William Shakespeare

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[13 Ottobre 1988]

Facevano a gomitate pur di stargli alle calcagna ed estorcergli qualche risposta, qualsiasi cosa che avrebbe dato maggiori ascolti alle loro reti televisive e radiofoniche.

"Puoi rilasciarci un'intervista?"
"Cosa si prova ad essere l'artista più famoso di tutti i tempi?"
E ci seguivano, seguivano tutti noi avvicinando i microfoni alle nostre facce.
I loro sguardi erano fugaci e imperterriti, riprendevano ogni movimento che sia noi che la star compievamo, non lasciandoci respirare.
Non risparmiavano nessuno, neanche me, che mai mi ero affacciata a quel mondo, neanche sapevo minimamente come fosse fatto.
Avevano scoperto dove alloggiava la troupe di Michael Jackson e mai se ne sarebbero andati, mai l'avrebbero lasciato in pace.
E lui, così abituato ormai a tutta quella tensione, era comunque agitato, si copriva il volto con la sciarpa e si metteva a posto gli occhiali, cercando in qualche modo di non far trasparire la sua immagine che era ogni giorno sulle riviste, sui giornali di tutto il mondo. Gregor e John cercavano di proteggerlo, altri uomini erano dietro di noi e ci incitavano a camminare velocemente per poter raggiungere al più presto l'entrata dell'albergo. Ero spaventata, il cuore mi batteva in petto come una mitragliatrice. Ogni tanto mi alzavo sulle punte dei piedi per scorgere la chioma di Michael davanti a me, ma non trovavo mai niente che poteva ricondurmi a lui. Solo striscioni e manifesti che i fan alzavano in suo onore, urlando il nome del cantante dietro quelle transenne pericolanti messe a nostra disposizione, per provare a farci passare in modo migliore. In quella grande massa inciampai e andai a sbattere contro la schiena di qualcuno, spaventata.
In quella minima frazione di secondo possibile Michael si voltò sentendo l'impatto dietro di sé, chiedendomi se stavo bene.

"Sì grazie" Risposi mentre lui si voltava e continuava a camminare velocemente, mentre gli rimanevo dietro.
"Quante saranno le tappe del Bad Tour?"
"È strano non fare concerti con il resto dei Jackson Five?"
Alzò una mano per fare segno che non era il momento, di lasciarlo in pace. Sui nostri volti ricadevano solo i flash delle loro fotocamere che, continuamente, immortalavano colui che reputavano l'intrattenitore per eccellenza.
Aveva un'atteggiamento perso, proprio come me, e guardava in continuazione accanto a lui.
Una giornalista bionda e abbastanza arrogante si sporse dalla transenna, avvicinando il microfono prima alla sua bocca poi a quella di Michael, attendendo una risposta che non arrivò.
"Come ci si sente ad essere chiamati Wacko Jacko?"
Vidi come a rallentatore.

Michael si fermò dinanzi alla donna per pochi istanti, mentre i flash iniziarono a diventare ancora più numerosi.
"Come vuoi che ci si senta?" Ringhiò a quel microfono, lo stesso oggetto che da anni gli veniva puntato contro, lo stesso dal quale doveva fuggire per avere un minimo di privacy.
Ma poi la situazione tornò come prima.
Iniziammo tutti a correre per poter scappare da quegli avvoltoi. Tutti tranne Michael.
In quei pochi istanti lo sorpassai di un paio di metri credendo che si sarebbe messo anche lui a correre ma, quando mi voltai, notai che era rimasto nella posizione precedente. Allora feci a gomitate, lo raggiunsi e tentai di afferrarlo per un polso. Lui si voltò lentamente nella mia direzione, come se poco prima si fosse trovato in uno stato di trance, stordito, e i suoni attorno fossero ovattati. Compresa la mia voce.
Non riuscii ad aiutarlo.
"Andiamo!" Gregor e John raggiunsero il ragazzo, proteggendolo mentre io mi aggregai al resto della troupe.
Una volta dentro l'albergo aspettammo Michael e, quando anche egli entrò, le porte in vetro si richiusero, il rumore delle grida e i flash delle videocamere si alleviarono.
Il moro si voltò lentamente, si sfilò gli occhiali sospirando e guardandoci tutti.
Poi scosse la testa, socchiuse gli occhi, si tolse il cappello e ci sorpassò con aria stanca, quasi affranta.
Chiamò l'ascensore e, quando lo raggiunse, si mise una mano tra i capelli corvini, entrò e sparì dietro la parete metallica.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora