V~ Colibrì [pt. 5/5]

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"E il cielo piano piano qua
diventa trasparente
Il Sole illumina le debolezze
della gente
Una lacrima salata bagna
la mia guancia mentre
Lei con la mano mi accarezza
in viso dolcemente"

-Maneskin

[24 Aprile 1996]

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[24 Aprile 1996]


NARRATORE ESTERNO

Caro Diario,
Oggi è il 24 Aprile 1996 e sono finalmente tornata a casa. Sono sola, non ho voluto nessuno con me e sono rimasta stupita da questo mio desiderio: da quando è successo quel che è successo, non ricordo quasi più la mia vita precedente. Di fatto mi sembra di aver vissuto due volte, come se quell'uomo avesse ucciso una parte di me per farne rinascere una peggiore, una Diana che fatico a riconoscere ma con la quale sto imparando a convivere, seppur forzatamente. Non mi sento molto bene ma cerco comunque di andare avanti, soprattutto per coloro che amo...

Diana interruppe la scrittura del suo diario per qualche istante, si morse lievemente un labbro e ricominciò poco dopo, prima però osservò le calde luci del giorno entrare dalle persiane rimaste semiaperte. Lentamente chiuse gli occhi: avvertì i rumori esterni arrivarle ai sensi con gentilezza. Erano le cinque del pomeriggio, la verità è che aveva passato tutta la giornata a letto, nel silenzio, senza la voglia o la forza di far nulla.
Riprese la penna tra le dita.

Mi è appena tornato in mente un ricordo, o meglio, un sogno che feci più di sei anni fa, la stessa mattina in cui venni chiamata per lavorare al tour mondiale: mi trovavo in un'oscurità e qualcuno, al di là di essa, mi fissava immobile. Dopo un po', questa figura della quale non riuscivo in alcun modo a scorgerne né il volto, né nessun altro contorno, si abbassò e scagliò a terra una clessidra, frantumandola in mille pezzi.
Dopo averlo fatto se ne andò senza curarsi di nulla, neanche di me.
Mi chiedo se quella clessidra non simboleggiasse il tempo che la vecchia Diana aveva ancora a disposizione prima che la sua vita venisse stravolta. Mi chiedo anche chi fosse l'uomo che la distrusse, ma penso di riuscire a indovinarlo senza molte difficoltà: la sua aurea nera mi perseguita ogni qualvolta abbasso le palpebre.
Comunque sia, non ne avrò mai l'assoluta certezza ma credo sia meglio così.
Forse neanche lo vorrei sapere davvero...

L'inchiostro scivolava ormai fluido sulla pagina del diario, lo stesso che aveva comprato giorni prima e sul quale non aveva mai smesso di confidare i propri pensieri. Adesso non si sentiva neanche più a disagio nel farlo, anzi, talvolta ne sentiva l'assoluto bisogno e si rintanava in camera per ore.
Richiuse il diario col lucchetto, come sempre lo ripose nel cassetto accanto al letto e nascose la chiave. Con fatica, poi, riuscì ad alzarsi, andare in bagno per rinfrescarsi un po' e vestirsi, il tutto con una tale lentezza che innervosiva anche lei.
Indossò le scarpe e si affacciò al primo gradino delle scale che l'avrebbero condotta al piano terra. Prima di scenderlo, voltò il capo alla sua sinistra: la porta della camera che aveva arredato per suo figlio era ancora chiusa a chiave. Una morsa allo stomaco le fece venire il capogiro nel ricordare l'ultima volta che ne aveva varcato la soglia: era appena tornata dall'ospedale, suo padre era venuto a prenderla sotto sua richiesta. Una volta in casa, non poté fare a meno che rientrare lì, in quel luogo che sarebbe rimasto vuoto per sempre. Sentì ancora nelle orecchie il rumore sordo di ciò che buttò a terra con una cieca disperazione, i suoi singhiozzi ininterrotti e le urla spaventate del padre che, raggiungendola, cercò di farla rialzare dal pavimento freddo sul quale si era afflosciata sentendo le gambe divenire gelatina.
"Oddio, Diana!"
"Il mio bambino... Me l'hanno portato via..."
Le suppliche del padre, impotenti dinanzi alla sua dolorosa presa di coscienza, le rimbombarono nelle ossa.
"Ti prego Diana, non fare così..."
"Dovevo morire anche io."
"No, no Dio mio. Non dirlo. Non potrei neanche immaginarmelo, per favore non dire questo."
Un brivido le percorse la schiena.
Non si rese neanche conto di essersi persa con lo sguardo sulla serratura della porta.
"Mi dai il permesso di chiudere a chiave quella stanza?"
Le aveva domandato il padre il mattino successivo e lei aveva accettato con una certa amarezza.
"Sì... Ma tieniti la chiave... Se l'avessi io, la riaprirei."

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora