II~ Esordio [pt. 2/5]

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"A volte è meglio perdersi sulla strada
di un viaggio impossibile che
non partire mai."

-Anonimo

                                            -Anonimo

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[28 Settembre 1988]


NARRATORE ESTERNO

Aveva sempre odiato il suono fastidioso che emetteva la sveglia ogni mattina, le ricordava le noiose giornate trascorse tra i banchi di scuola. Cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì. Sentiva la testa pesante e le palpebre altrettanto. Mugolò qualcosa di indecifrabile e, sbuffando, allungò la mano per tentare di premere il pulsante che avrebbe messo fine a quella tortura. Dopo vari tentavi riuscì a trovarlo rimanendo con la testa ancora sprofondata sul cuscino, ma l'arnese non rispondeva ai comandi. Più cercava di disattivarla, più quell'affare suonava forte. Diamine.
Era esasperante, ma con un colpo secco si spense: segnava fossero le sei meno un quarto del mattino.
"Almeno ora non suoni più." Farfugliò tra sé e sé, rigirandosi dall'altro capo del letto e affondando la testa nel profumato piumone bianco.

Restò immobile e portò una mano sotto al volto, sfiorando la federa del cuscino e perdendosi con sguardo perso e vitreo verso le tende che coprivano i bagliori mattutini.
Sorrise.

Michael Jackson, ancora non ci credeva.
Chiuse nuovamente gli occhi, cercando di immaginarsi come sarebbe potuto essere il primo incontro con quel mondo così distante da tutto ciò che visse in ventitré anni di età.
Ridacchiò tra sé e sé, soddisfatta e imbarazzata, immaginandosi colui che avrebbe dovuto incontrare.
Era davvero folle come tutti lo descrivevano?
Era davvero così bizzarro ed eccentrico?
Dicevano tante cose sul suo conto, ogni giorno era l'uomo più discusso del pianeta.
Per un momento ebbe addirittura paura che, essendo così importante, egli l'avrebbe trattata come uno zerbino e che l'avrebbe fatta sentire una nullità. Una semplice ragazza con un passato turbolento e il cassetto pieno di sogni.
Questa era lei, in fondo.
Non posso farlo, non posso andarci.
Poi si rese conto di quanto quei pensieri fossero ridicoli e paranoici, perciò sbuffò passandosi una mano sul volto ancora assonnato.
Quell'uomo, così amato quanto odiato, cosa riservava sotto quegli occhiali scuri che sempre portava sul volto?

Rimase nel suo turbine di pensieri con la testa coperta dal lenzuolo: aveva gli occhi aperti ma non riusciva a sostenere la luce che penetrava oltre la stoffa delle tende, così decise di coprirsi. D'altronde quel gesto non era nuovo per lei, perché aveva iniziato a farlo da quando suo padre era stato portato via e le era mancato l'ossigeno, l'uomo della sua vita verso il quale provava, adesso, una grande rabbia.
Con un filo di nostalgia e un groppo alla gola, decise che non era il momento di sprofondare nuovamente nelle memorie del passato.
Alzò la testa, scrollò le spalle, chiuse gli occhi e, senza rendersene conto, la mente le si annebbiò nuovamente.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora