II~ Colibrì [pt. 2/5]

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"Si aspettano da te che precipiti
per poter parlare dello schianto,
del fragore e dei danni.
E tu invece cadi volteggiando
come una piuma."

-Anonimo

[10 aprile 1996]

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[10 aprile 1996]

NARRATORE ESTERNO

"Alza le braccia..."
Diana acconsentì, lo fece lentamente. Quando si muoveva, nonostante assumesse regolarmente gli antidolorifici che le erano stati prescritti, avvertiva un fastidio pungente alla costola rotta e che era costretta a proteggere con un busto rigido nel quale si sentiva soffocare giorno dopo giorno.
Ma Michael era accanto a lei. E quando lui era accanto a lei, anche il dolore riusciva ad avere un retrogusto piacevole. Egli era ancora avvolto nel suo pigiama blu, i capelli corvini appena spettinati gli ricadevano ai lati del volto, ma riusciva a essere bello anche così: senza il suo personaggio, senza il trucco, senza giacche brillanti o flash accecanti. Nella sua semplicità, nel suo essere semplicemente sé stesso.

Il suo amato, amatissimo Michael.

Era arrivato a casa di Talìka la sera precedente, aveva cenato assieme a lei e ad Elen e, quando quest'ultima li aveva lasciati soli, era rimasto a dormire lì. L'aveva portata al piano superiore e adagiata sul letto, si era infilato sotto le coperte e l'aveva stretta tra le braccia, la aveva osservata addormentarsi lentamente mentre la accarezzava e lei lo guardava negli occhi. Una volta che fu sicuro che fosse tra le braccia di Morfeo, Jackson si alzò dal letto. Andò alla finestra, si accese una sigaretta che Gregor gli aveva donato e la fumò per tentare di reprimere il senso di pesantezza che provava dentro. Non ci riuscì e si odiò per questo.
Voleva essere forte, doveva. Per lei.
Eppure sentiva addosso una responsabilità tremenda, avvertiva che Diana, nonostante dicesse di non sapere chi le avesse fatto tutto quello, stesse facendo qualcosa all'oscuro di tutti e che nessuno, neanche lui, sarebbe riuscito a fargli confessare una verità che -non poteva nasconderlo- temeva di ascoltare.

Ora i raggi del Sole entravano dalle persiane semichiuse e sfioravano il volto di Diana che, dinanzi a lui, lo osservava come un cucciolo ferito guarda il suo salvatore: con timore, imbarazzo per sé stesso.

Aveva alzato le braccia come Michael le aveva richiesto.
Le sfilò la maglia del pigiama e la giovane si ritrovò dinanzi a lui ancora più vulnerabile e scoperta di quanto già non fosse. Ma il cantante non la guardò, capì si sentisse in imbarazzo. Non a causa sua, però. Jackson conosceva a memoria ogni centimetro del suo corpo e lo amava come fosse il proprio, però qualsiasi gesto, parola o occhiata avrebbe scalfito l'anima della ragazza in modo irreparabile e si focalizzò altrove: sui suoi occhi.

"Reggiseno bianco o nero?" Le domandò alzandosi dal materasso e afferrando i due oggetti.
"Bianco."
"Bianco sia." Tornò da lei e la aiutò a indossarlo, le baciò delicatamente la pelle all'altezza della scapola e risalì lungo l'orecchio, poi fece lo stesso con la maglia e i pantaloni. Le spostò i capelli da un lato, la guardò e prese un respiro. "Mi spieghi come fai ad essere sempre così bella?"
Timidamente, Diana sorrise.
"Non è vero..."
Charlie li raggiunse, il ticchettio delle unghie che si poggiavano al pavimento divenne sempre più vicino.
"Charlie, diglielo tu."
L'akita salì sul piumone e, scodinzolando, leccò la mano sinistra di Diana. "Buongiorno piccolino..." Sussurrò lei ridacchiando, tentando di spostare la mano che veniva sempre e comunque raggiunta dal cane per essere coccolata.
"Visto?" Continuò Michael, che poi la prese in braccio e scese le scale. "È d'accordo con me."

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