V~ Esordio [pt. 5/5]

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"La semplicità è la più sospetta
delle qualità: essa è fonte di
grandissimo turbamento."

-Muriel Spark

[5 Ottobre 1988]

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[5 Ottobre 1988]


'NARRATORE ESTERNO'

In quel camerino non si percepiva alcun tipo di rumore, solo i suoi respiri che delle volte erano irregolari, altre erano racchiusi in sospiri.
E si osserva nella sua stessa fragilità, rievocando negli occhi scuri il dolore e la forza che ebbe durante la sua vita. Osservava riflesso allo specchio il volto di un giovane uomo cresciuto fin troppo velocemente, che già da adolescente era un veterano. Tornava indietro nei giorni trascorsi nella sua casa a Gary, in Indiana. Era così piccola, ma tanto accogliente. E purtroppo quando da bambino si trovava tra quelle mura quasi la disprezzava, senza rendersi conto che là dentro vi era molta più calorosità di quella che otteneva quando si trovava da solo in lussuose suite.
In quel momento, mentre sia sedeva sulla sedia e dinanzi a sé aveva il tipo di make-up necessario per la sua pelle, quasi volle dimenticare il suo nome, la sua esistenza. Come quasi ogni giorno, s'immaginò nell'essere un comune uomo di periferia: fantasticò sul divenire un operaio e sul tornare la sera tardi a casa, con una moglie che l'aspettava e i piccoli e chiassoso figli che gli correvano incontro non appena varcava la soglia.
E poi posò le mani sul davanzale davanti allo specchio e le congiunse, osservando in basso e sentendo un inesorabile senso di vuoto propagarsi in lui, al centro del petto. Gli occhi gli bruciavano, sentiva che delle lacrime stavano per uscire da quei grandi pozzi color petrolio, che avrebbero solcato le sue guance per poi finire tra le labbra.
Osservandosi nuovamente sulla parete riflettente, stavolta vide non una popstar, non un uomo del business, non un vip, come era chiamato quando camminava sul red carpet di Hollywood. Non vide Michael Jackson.
Scrutò un ragazzo solo, talentuoso, acclamato ma deriso al contempo. E lui si sentiva così impotente dinnanzi a tutto ciò che dall'età di cinque anni lo aveva risucchiato. Nella mente passarono i flashback delle sue prime esibizioni in locali di spogliarellisti, dove faceva come da cavia per allenarsi a ciò che sarebbe divenuto col tempo. Ricordò che tutto ciò in quegli anni aveva traumatizzato sia lui, il più piccolo, che il fratello Marlon. E poi si ricordò della Motown Records, la casa discografica che li accolse come 'Jackson Five' e che portava in grembo e avrebbe successivamente partorito la fama che ormai era divenuta parte di sé stesso.
Ma forse adesso egli non la voleva più: amava il canto, la danza era la sua vita. Ma la fama... Forse davvero quella non la desiderava ulteriormente.

Si avvicinò più lentamente allo specchio, pochi centimetri e il naso lo avrebbe toccato. Con un indice tremante arrivò a sfiorare alla base del collo ciò che da più di dieci anni gli stava rendendo la vita impossibile. Avrebbe voluto strapparsi la sua stessa pelle, liberarsi di quelle macchie scure, ormai piccolissime, che furono la causa del suo continuo cambiamento estetico. Non si riconosceva, desiderava ancora possedere il suo color moka, ma quello straziante disturbo dermatologico gliel'aveva impedito, privandolo di quella che lui considerava la sua stessa identità. Così con un groppo alla gola fece ciò che ormai quasi sempre compieva.
Sporcò il polpastrello nella cipria e nel fondotinta, cercando di coprire del tutto la disordinata pigmentazione che sovrastava la pelle del suo collo, delle sue mani, di ogni parte del suo corpo in realtà. E mentre lo faceva una lacrima solcava il viso stanco, ma l'asciugò immediatamente. La sua espressione era come immobile, impassibile. Nel  giro di pochi minuti quelle chiazze sparirono, mentre ormai di lui non era rimasta che un'anima sola e turbolenta, che dalla vita non aspettava altro che qualcuno che potesse risanarlo e accettarlo per quello che era.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora