IV~ Cuore e Psiche [pt. 4/5]

480 39 18
                                    

"Nella fotografia c'è una realtà
così sottile che diventa più
reale della realtà."

-Alfred Stieglitz

[17 Dicembre 1989]

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.



[17 Dicembre 1989]

Quella notte, nonostante lo stato di sonno nel quale ero caduta, avvertivo il mio respiro divenire irregolare e velocizzarsi inavvertitamente. Il cuore accelerava, mentre nella mia mente uno dei ricordi peggiori riaffiorò con la stessa forza con la quale una tempesta si scaglia al suolo, o un'onda s'infrange contro la ruvida roccia di uno scoglio.

Avevo la testa sul cuscino, ma nonostante il dormiveglia riuscii a captare il rumore della maniglia della stanza che si abbassava.
Dei passi. La sua camminata era pesante, capii fosse scalzo.
Rimasi immobile, mentre le mani cominciarono a tremare ed io iniziavo a sudare freddo, dentro me pregavo non mi facesse niente. Poco prima mi aveva tirato un forte schiaffo all'altezza dell'occhio, e per diversi minuti vidi terribilmente sfocato.
Cosa mi avrebbe fatto, era la domanda che ronzò nella mia testa in quella decina di secondi durante i quali lo sentii avvicinarsi.
Tutt'attorno era buio e ad un tratto il materasso si abbassò sotto un'altra peso, si mise seduto accanto a me.
Accese la lampada sul comodino, e potei così osservare il suo viso scavato dall'alcool.
Ci osservammo negli occhi: con i miei lo supplicavo di non farmi nulla, mentre nei suoi leggevo una sfumatura di un qualcosa che non mai riuscii a captare: tristezza? Rabbia? Delusione verso sé stesso? Compassione? Non lo seppi mai, ma quella notte le sue palpebre erano umide e i suoi occhi lucidi. Non stava piangendo, ma forse era in procinto di farlo. E perché, poi? Pensavo fosse diventato ormai un uomo senza emozioni, capace di sentire solo ira e rancore.
E lo credetti anche in quel momento: non era più il mio papà, adesso provavo solo timore nei suoi confronti, avevo paura potesse iniziarmi a picchiare a causa della sua stessa frustrazione, come fece molte altre volte in realtà.
"Come stai?" Mi domandò ad un trattò in un sussurro, i suoi abiti odoravano di alcol e fumo, ma era ancora percepibile il buon profumo della sua pelle.
"Male..." Risposi io "Esci da qui, per favore..."
"Ti faccio paura?"
"Sì, vai via." Lo pregai iniziando a singhiozzare. Mostrò un amaro sorriso, ero sicura mi avrebbe colpita da un momento all'altro. Ma invece scosse la testa con amarezza, alzandosi e dirigendosi verso la maniglia.
Si voltò come se avesse voluto dirmi qualcosa, ma mi fissò. E se ne andò sbattendo la porta, mentre io rimasi lì, immobile e piangente. Non seppi mai perché entrò nella mia stanza e mi pose quella domanda, che avesse capito gli errori che stava commettendo? Impossibile, era un uomo intrappolato nella sua stessa ira, delusione, debolezza. In quegli occhi scuri come i miei, non riuscivo più a scorgere un solo minimo tetto o sfaccettatura di umanità.
Solo rabbia e perdizione.

Erano settimane che durante la notte la mia mente non era soggetta a dolorosi ricordi, tempo prima pensai il tutto fosse terminato, ma in realtà non realizzai essi sarebbero stati qualcosa che -ahimè- mi avrebbero accompagnato per il resto della vita. Avrei solo dovuto imparare a conviverci.
Ciò che mi fece svegliare di soprassalto fu principalmente il battito del mio cuore: esso era estremamente veloce, sembrava quasi voler uscire dal petto. Sentivo la testa scoppiarmi, le tempie dolenti e gli occhi gonfi. Allungai un braccio verso il comodino accanto a me, velocemente cercai a tastoni l'interruttore della lampada. Le pareti si illuminarono, e socchiudendo gli occhi a motivo della luce, cercai di afferrare la cornetta del telefono e digitare il numero che mi ero prefissata di chiamare. Intanto i tormentosi flashback continuavano ad impadronirsi di me ogni qualvolta che chiudevo gli occhi.
Gli squilli sembravano interminabili: uno, due, tre...Non rispondeva nessuno, ma proprio nel momento in cui stavo per attaccare avvertii una delicata voce dall'altro capo del telefono.

𝐏𝐡𝐢𝐥𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora