V~ Come fiori di loto [pt. 5/5]

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"Realtà è il nome che noi diamo
alle nostre delusioni."

-Mason Cooley

[7 Febbraio 1990]

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[7 Febbraio 1990]


NARRATORE ESTERNO

"Non è tutto oro quel che luccica, Diana."
"Chi sei? Che vuoi dire con questo?" Era confusa, uno strano bagliore la spingeva a coprirsi gli occhi con i palmi delle mani nonostante provasse a scorgere il volto della figura davanti a sé.
La luce pian piano diminuì, e la scena che le si presentò davanti era apparentemente più che normale: si trovava seduta su uno sgabello della cucina di Neverland. A gambe accavallate osservava Michael che, standole davanti, le parlava a capo chino scrutando attentamente l'orologio nero che portava sul suo polso.
La ragazza incrociò il suo sguardo, l'uomo sorrise tristemente e le si avvicinò con un passo flemme, quasi a non voler far rumore.
"Mi dispiace." Le mostrò l'orologio.
"Il tempo scorre..."
Diana l'osservò con le lacrime agli occhi.
Michael aveva iniziato a piangere.
"Cosa... Cosa significa?"
"Non c'è più tempo ormai." Bisbigliava mentre amare lacrime solcavano il suo volto e si avvicinava provando a baciare la ragazza, ma non lo fece.
Strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche.
"Per chi? Per chi non c'è più tempo?"
Il cantante si allontanò di scatto, portò le mani tra i capelli e con un grido rabbioso sferrò un pugno sul davanzale.
"Per noi!"

Sbarrò gli occhi e si portò una mano al petto, il cuore le batteva forte.
Non appena si rese conto che si trattava solo di un sogno, assonnata allungò la mano dall'altra parte del materasso: nonostante il lenzuolo avesse ancora impregnato nel suo tessuto del calore corporeo, Diana non trovò nessuno.
Strabuzzando gli occhi e strizzando talvolta le palpebre, si sollevò su un gomito cercando di scorgere nella penombra una figura all'interno della grande stanza da letto, anche questa volta però non vide colui che cercava.
Ricordandosi della giornata appena trascorsa sorrise, ripensò per un momento ai loro corpi nudi, abbandonati e uniti sotto il getto caldo della doccia.
Prima di alzarsi dal letto si sistemò il décolleté del pigiama, sciolse i lunghi capelli, si passò una mano sul volto ancora assonnato e osservò l'orario sulla sveglia: segnava le due del mattino.
Una volta alzata aprì la porta del bagno in camera, lo stesso dove la sera prima fecero l'amore, ma del cantante non vi era traccia.
Camminò allora per il lungo corridoio che avrebbe portato ad un secondo bagno mentre si strabuzzava gli occhi ancora socchiusi, e una volta avvicinata alla porta in mogano, notò che questa era socchiusa. Avvicinò lentamente l'orecchio: non vi era alcuni scroscio d'acqua o rumore di scarico, infatti si chiese se al suo interno vi era una delle due domestiche o se fosse presente proprio Michael. Si avvicinò ancora di più e sbirciò nel piccolo spazio tra la maniglia e lo stipite.
Michael era silenzioso, di spalle, con il pigiama sgualcito e i capelli corvini spettinati. Si voltò verso lo specchio ed ora la donna poteva osservarlo di profilo: il volto era più stanco del solito, più scavato, più pallido; sembrava che non stesse bene. Di primo impulso la mente le disse di entrare e soccorrerlo, chiedere quantomeno cosa avesse ma, guardandolo, un gesto la frenò. Rimase a osservarlo di nascosto.
Dalla tasca del pigiama estrasse una minuscola chiave che inserì nella serratura di un cassetto alla sua sinistra, purtroppo però Talìka non riuscì a capire cosa ci fosse al suo interno. Michael fissò per una decina di secondi quel contenuto, poi con estrema lentezza allungò la mano estraendo un piccolo barattolo bianco. Lo aprì e, portandolo sulla mano, lo scosse un poco. Delle pillole mai viste prima caddero sulle sue dita: erano forse una, due se non tre.
Il moro socchiuse gli occhi e strizzando le palpebre le mise sulla lingua, si avvicinò poi al rubinetto e bevve qualche sorso d'acqua.
Diana lo vide poi accasciarsi al pavimento con gli avambracci posati sul davanzale in marmo, le ginocchia piegate e la fronte corrugata: sembrava stesse provando un forte dolore. Dopo un paio di minuti si rialzò lentamente, prese il tappo del barattolo e lo avvitò mettendolo al suo posto ma, forse per dimenticanza visto il suo stato che pareva come stravolto, non richiuse il cassetto a chiave. Portò una mano al viso e si appoggiò di peso al muro, restando però in piedi. Nella mente di Diana stavano ora avendo luogo tanti pensieri e paranoie, non aveva idea riguardo a cosa pensare. Un flashback tornò alla sua mente: la notte precedente, quando andarono a dormire e lei era voltata su un fianco, sentì Michael scartare velocemente qualcosa e anche in quel caso avvertì il rumore di un cassetto che veniva aperto e richiuso velocemente.
"Che stai facendo?"
Domandò la ragazza senza voltarsi.
"Mastico... Una mentina."
"Me ne dai una?"
"Sono finite." Rispose prontamente il ragazzo.
Lei ridacchiò, ma lui non lo fece. Si limitò a stringerle la mano.

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